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Cass. Civ. n. 13810 del 23/07/2004

Svolgimento del processo

Con decreto del 29 novembre 2001, il Tribunale di Palermo ha respinto l'opposizione di Agata Dsiubinska, cittadina polacca al decreto di espulsione emesso il 30 ottobre 2001 dal Prefetto della Provincia di Palermo, osservando: a) che il provvedimento di espulsione era stato correttamente tradotto nella lingua inglese che la stessa Dziubinska aveva attestato di conoscere ed aveva peraltro raggiunto il suo scopo come dimostrava la tempestiva opposizione avanzata dalla straniera, b) che la relazione di fatto da costei intrapresa con tale Greco salvatore non rientrava in alcuna delle ipotesi a presenza delle quali l'art. 19 del d.lgs.286 del 1998 fa divieto di disporre l'espulsione dello straniero.

Per la cassazione del provvedimento la Dziubinska ha proposto ricorso per due motivi; cui resiste il Prefetto di Palermo con controricorso.

Motivi della decisione

Il collegio deve preliminarmente rilevare che la ricorrente, malgrado l'ordinanza di questa Corte del 9 aprile 2003, non ha depositato alcuna documentazione rivolta a dimostrare l'avvenuto espletamento del procedimento di emersione del proprio lavoro irregolare, come previsto dalla legge 222 del 2002.

Con il primo motivo del ricorso. Agata Dziubinska, denunciando violazione di legge si duole che il Tribunale di Falerno abbia respinto la sua opposizione al decreto di espulsione, senza accertare la sua conoscenza della lingua italiana o inglese, ma fondando la decisione sull'asserito fatto notorio che la lingua inglese viene ormai considerata una seconda lingua internazionale.

Il motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte, con riguardo all'interpretazione della portata dell'obbligo di cui al comma 7 dell'art. 13 T.U.sull'immigrazione ha enunciato; i seguenti principi: 1) rilievo assorbente assume l'accertata conoscenza dell'italiano da parte dell'espellendo (accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato), posto che la ratio delle previsioni in discorso, come attesta la significativa previsione della esigenza di tradurre in una lingua conosciuta, e non già nella lingua nazionale, il testo da comunicare all'espellendo, sta nella necessità che il destinatario - straniero della comunicazione abbia la possibilità di percepire con immediatezza e pienezza il contenuto del decreto onde apprestare controdeduzioni e difese nel brevissimo termine concesso; di talchè ogni irregolarità nelle forme della comunicazione viene ad essere sanata dalla piena comprensione, accertata in fatto, del testo in originale (cfr. Cass. 9076/00 - 9266/00 - 12350/01); 2) l'obbligo dell'Autorità adottantel'espulsione di tradurre la copia notificante del decreto nella lingua conosciuta dell'espellendo è derogabile le volte in cui la stessa Autorità attesti e specifichi le ragioni per le quali tale operazione sia impossibile e sì imponga la traduzione nelle lingue predeterminate (inglese o francese o spagnolo).

Nel caso, il Tribunale ha ritenuto legittima la traduzione del decreto in lingua inglese ritenendo che fosse provata la conoscibilità di detta lingua da parte della ricorrente, per due distinte ragioni: per prima, purchè detta conoscenza era stata attestata dalla stessa Dziubinska nella relata di notifica, al momento in cui le era stata consegnata la copia tradotta in lingua inglese. E, quindi, per l'avvenuta tempestiva proposizione del ricorso nel termine perentorio previsto dalla legge, comprovante che lo scopo era stato raggiunto.

Orarla ricorrente non ha impugnato tale ultima ratio decidendi, cheera del tutto autonoma; e neppure la prima, essendosi in merito ad essa limitata a dedurre che il giudice avrebbe dovuto accertarsi della sua conoscenza della lingua inglese e non dedurla dal menzionato asserito fatto notorio, invece del tutto estraneo all'indicata ratio decidendi ed aggiunto dalla decisione impugnata esclusivamente quale considerazione ad abundantiam onde spiegare i motivi per cui il legislatore aveva scelto anche la lingua inglese fra quelle in cui l'autorità amministrativa è obbligata a tradurre il decreto ove detta traduzione sia impossibile nella lingua nazionale conosciuta dallo straniero.

Per cui la doglianza è del tutto inconferente e non puntuale anche rispetto alla prima "ratio decidendi", pur essa rimasta incensurata.

Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione dell'art. 19 del d.lgs.286/1998, lamenta che il Tribunale non abbia considerato che la sua convivenza con un cittadino italiano in attesa deldivorzio era equiparabile alle situazioni previste da detta norma;

die anzi la relazione di fatto comporta un legame ancora più stabile rispetto alla convivenza con un parenti e non può non attribuire i medesimi diritti del matrimonio, anche per il mutamento della concezione relativa a detto istituto anche a causa delle frequenti crisi e rotture dei rapporti tra i coniugi che lo interessano.

Anche il suesposto motivo è infondato.

Questa Corte, infatti, in merito all'espulsione amministrativa dello straniero prevista dal menzionato art. 13 del d.lgs.286 del 1998, ha più volte affermato che il relativo provvedimento costituisce un atto vincolato che il Prefetto e tenuto ad adottare tutte le volte in cui ricorra una delle tre fattispecie indicate dalla norma e, quindi, per quel che interessa allorchè lo straniero si sia trattenuto nel territorio dello Stato senza avere richiesto il permesso di soggiornonel termine prescritto ovvero in cui il permesso sia scaduto da più di 60 giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo (comma 2 sub b).

Rispetto a tale regola la normativa contenuta nell'art. 19 comporta, dunque, altrettante deroghe che non consistono comunque di disporre l'espulsione dello straniero, che il legislatore ha introdotto fra le "disposizioni di carattere umanitario"; e che dunque non sono suscettibili di interpretazione analogica oppure estensiva nè applicabili al di fuori delle ipotesi tassative previste dalla norma.

E fra di esse, come riconosce la stessa ricorrente, non rientra la convivenza more uxorio neppure ove giustificata dal tempo necessario affinchè l'uno o entrambi i conviventi ottengano la sentenza di scioglimento del matrimonio dal proprio coniuge, posto che la sola cui convivenza che ha rilievo per la norma è quella in essa sia congiunta alla parentela entro il quarto grado con cittadini dinazionalità italiana. E che, per converso, la mera convivenza fra soggetti non legati dal vincolo di parentela assume la medesima valenza solo quando essa si trasformi in un rapporto di coniugio con un cittadino italiano: la previsione del divieto di espulsione solo per lo straniero coniugato con un cittadino italiano e per lo straniero convivente con cittadini che siano con lo stesso in rapporto di parentela entro il quarto grado risponde, infatti, come ha rilevato la Corte Costituzionale, all'esigenza di tutelare, da un lato l'unità della famiglia, dall'altro il vincolo parentale e riguarda persone che si trovano in una situazione di certezza di rapporti giuridici; che è invece assente nella convivenza more uxorio.

Ragion per cui la stessa Consulta ha ripetutamente dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del menzionato art. 19 nella parte in cui non prevede il divieto diespulsione dello straniero convivente "more uxorio" con un cittadino Italiano (Corte Costit.481/2000; 313/2000).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2004.