Affidamento a terzi ex legge n. 184/83.
Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nella propria famiglia.
Questo è il nuovo principio ispiratore dell’intera disciplina dell’adozione
dopo la riforma del 2001.
Vi sono dei casi in cui, però, quel principio non può trovare concreta
applicazione e, pertanto, per espressa previsione dell’art. 1 della legge
sull’adozione (l. n. 184 del 1983 per come modificata dalla legge n. 149 del
2001) si deve necessariamente dar luogo applicazione degli istituti che quella
norma speciale prevede, ossia, con graduazione delle ipotesi, l’affidamento del
minore al di fuori della famiglia ovvero l’adozione (nazionale o
internazionale).
Il c.d. affido è contemplato negli artt. 2 ss. della summenzionata legge
speciale.
Si precisa, fin da adesso, che si tratta di istituto distinto e separato
dall’affidamento preadottivo, in quanto diversa ne è la ratio e la funzione.
Le differenze si rendono chiare e manifeste già con la sola lettura dell’art.
2, il quale espressamente stabilisce che il minore temporaneamente privo di un
ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto
disposti ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 184, è affidato ad una
famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado
di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni
affettive di cui egli ha bisogno.
La particolarità dell’affido è, quindi, che esso non presuppone lo stato di
abbandono del minore, ma l’istituto in questione, qualora adottato, si pone
come un affiancamento della famiglia affidataria o del singolo affidatario al
minore e alla sua famiglia per supportarli, sotto ogni punto di vista, in un
momento di difficoltà.
Il minore dovrebbe mantenere, pertanto, a seconda dei casi e delle necessità,
contatti continui (“...il mantenimento delle relazioni affettive di cui egli ha
bisogno” ai sensi dell’art. 2, comma 1°, legge adozione) con i propri
genitori e venire aiutato da altri soggetti, che, non sostituendosi al papà e
alla mamma, ciononostante gli garantiscano e gli assicurino il mantenimento,
l’educazione, l’istruzione.
In via residuale, è previsto, dalla stessa norma, l’affidamento del minore a
comunità di tipo familiare (nel quale dovrà essere convertito il ricovero in
istituto dal 31 dicembre 2006, qualora non sia possibile la conversione in
affido familiare in senso stretto).
L’affido viene disposto dal servizio sociale competente territorialmente,
previo consenso dei genitori esercenti la potestà ovvero del tutore e ascolto
del minore che abbia compiuto i dodici anni o che dimostri una sufficiente
capacità di discernimento .
Il suggello dell’esecutività del provvedimento di affido adottato dai servizi
sociali è dato dal giudice tutelare.
Il provvedimento di affidamento familiare deve obbligatoriamente contenere
l’indicazione delle sue ragioni giustificatrici, della sua presumibile durata,
dei tempi e dei modi d’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario e
delle modalità secondo le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo
familiare di origine possono intrattenere rapporti con il minore.
Deve essere indicato anche il servizio sociale competente per territorio al
quale è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, con
conseguente obbligo di vigilanza e di riferire all’autorità giudiziaria
sull’andamento dello stesso o sul verificarsi di eventi di particolare
importanza che interessino il minore.
Sull’affidatario gravano il dovere di accogliere presso di sé il minore e
l’obbligo di provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione
nel rispetto delle indicazioni dei genitori per i quali non siano stati
adottati dal Tribunale per i Minorenni dei provvedimenti limitativi o ablativi
della potestà genitoriale e delle indicazioni offerte dalla autorità affidante.
I poteri connessi con la potestà parentale vengono esercitati dall’affidatario
con riguardo agli ordinari rapporti con la scuola e l’autorità sanitaria;
mentre gli assistenti sociali, su disposizione del Tribunale per i minorenni,
secondo le necessità del caso, svolgono attività di sostegno educativo e
psicologico, agevolano i rapporti con la famigli di origine e il rientro in
essa del minore.
L’affidamento cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto,
dopo valutazione dell’interesse del minore, quando sia venuta meno la
situazione di difficoltà della famiglia originaria che ne stava alla base
ovvero nel caso in cui il suo proseguimento causi pregiudizio al minore.
In ogni caso, deve precisarsi che la durata dell’affido, sebbene ogni singolo
periodo possa essere prorogato, non può superare in nessun caso i 24 mesi.
Il giudice tutelare, trascorso il periodo di durata previsto per l’affido
oppure quando si siano verificate quelle circostanze che ne rendono
pregiudizievole la prosecuzione, sentiti il servizio sociale interessato e il
minore ultradodicenne o che abbia sufficiente capacità di discernimento,
richiede, se necessario, al Tribunale per i Minorenni competente per territorio
l’adozione di provvedimenti nell’interesse del minore