Le azioni di status
Lo status di figlio legittimo, anche quando risulta dall’atto di nascita, può
essere contestato tramite le cosiddette azioni di stato il cui scopo è quello
di sostenere in giudizio la divergenza tra titolarità sostanziale e formale
della condizione di figlio legittimo.
L’azione di reclamo della legittimità (art. 249 c.c.) può
essere avanzata per ottenere il riconoscimento dello stato di figlio legittimo
che non risulta dall’atto di nascita perché il nato risulta, nei registri dello
stato civile, figlio o di ignoti, o di genitori naturali o di genitori
legittimi diversi da quelli effettivi.
Il primo caso è quello che si verifica quando dall’atto di nascita non risulta
o non viene dichiarata l’identità dei genitori oppure quando i genitori
risultano iscritti sotto falsi nomi: in questo caso, accanto all’azione di
reclamo della legittimità, sarà necessario che genitori e/o figlio esperiscano
anche l’azione di contestazione della legittimità.
La seconda ipotesi si realizza, invece, quando il figlio, nato da genitori
legittimi, sia stato denunziato come figlio naturale di soggetto diverso dal
marito della madre, in contrasto con la presunzione di paternità oppure nel
caso di sostituzione di neonato o di supposizione di parto .
Questi casi ricorrono anche nella terza ipotesi, vale a dire quando un soggetto
sia stato dichiarato come figlio legittimo di genitori diversi dai suoi
effettivi.
Titolari della legittimazione attiva all’azione di reclamo sono, quindi, oltre
al figlio, anche gli effettivi genitori, i quali, in questi casi dovranno
richiedere al giudice competente non solo di dichiarare che il figlio che è
nato costituisce loro prole legittima, ma anche che – quando lo status di
figlio legittimo risulti sussistere in capo al nato in relazione ai genitori
apparenti – sia dichiarato espressamente che quest’ultima situazione non
corrisponde a verità (azione di reclamo congiunta con azione di contestazione
della legittimità).
L’azione di cui stiamo discutendo, per il figlio, può essere esercitata in ogni
tempo ed è perciò imprescrittibile nei confronti di entrambi i genitori o dei
loro eredi.
Anche gli eredi del figlio, solo però a condizione che questi non l’abbia
esercitata e sia morto prima che siano trascorsi 5 anni dal raggiungimento
della maggiore età, possono reclamare che il loro dante causa venga dichiarato
figlio legittimo ai sensi dell’art. 249 c.c.
La prova della filiazione, quando vi sia un principio di prova scritta
consistente in documenti di famiglia, registri e carte private della madre, o
vi siano presunzioni o indizi gravi che richiedano l’ammissione della prova
orale, può essere data anche per testi. La prova contraria, invece, con
qualsiasi mezzo.
L’azione di contestazione della legittimità può essere
promossa in tutti quei casi in cui si voglia contestare l’attribuzione della
qualifica di figlio legittimo contenuta in un atto di nascita, quando vi sia
stata falsa o erronea indicazione dei genitori legittimi ovvero, pur essendo i
genitori correttamente indicati, gli stessi non abbiano contratto matrimonio
tra loro.
Non si contesta, quindi, la paternità, ma piuttosto, nella prima ipotesi, si
eccepisce la divergenza fra titolarità formale e sostanziale della filiazione
(erronea indicazione di alcuni soggetti quali genitori legittimi del nato);
nella seconda, la qualifica di figlio legittimo al nato, il quale è figlio dei
genitori indicati nell’atto di nascita, ma non è figlio legittimo perché gli
stessi non sono sposati.
Legittimazione attiva all’azione (imprescrittibile): figlio, soggetto che
risulti genitore dall’atto di nascita e chiunque vi abbia un interesse attuale
e rilevante.
L’azione di disconoscimento della paternità può essere
esercitata, infine, da chi è indicato quale padre legittimo, ma che, in realtà,
non riveste tale qualità nei confronti del nato.
Lo scopo di quest’azione, non soggetta a particolari limiti, ma per la quale
dalla giurisprudenza è richiesta la prova che il marito non sia padre del nato,
è, pertanto, quello di contestare la presunzione di paternità perché il figlio
è nato prima che siano trascorsi 180 giorni dalla contrazione del matrimonio.
Nel caso in cui il nato sia venuto alla luce dopo i 180 giorni dalla
celebrazione delle nozze, l’azione è ammessa solo quando sussistano determinati
presupposti al ricorrere dei quali si presume che il marito della madre non sia
anche il padre del nuovo nato.
Tali presupposti, consistenti nelle seguenti ipotesi:
-
i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso tra il trecentesimo e il centottantottesimo giorno prima della nascita,
-
in quel periodo il padre era affetto da impotenza anche solo a generare,
-
nel predetto periodo la madre ha commesso adulterio o ha tenuto celata la gravidanza,
Necessari per proporre l’azione di cui all’art. 235 c.c., sono comunque ormai
da considerare superati per la possibilità di escludere la paternità tramite
gli accertamenti di compatibilità ematica e genetica, ma non sono di per sé
sufficienti ad escludere la paternità, dovendosi dare anche ulteriori prove,
nessuna esclusa. A questo proposito, deve ricordarsi che il rifiuto di
sottoporsi alle prove ematiche e genetiche può essere valutato dal giudice come
sintomo dell’effettiva paternità.
L’azione può essere avanzata dal marito della madre, dalla madre e dal figlio
della stessa.
Il figlio può esercitare l’azione entro un anno dal raggiungimento della
maggiore età o dal momento in cui viene a conoscenza dei fatti che escludono il
rapporto di filiazione con il padre legittimo.
La madre, invece, può azionare il diritto in questione solo entro 6 mesi dalla
nascita del figlio.
L’azione, infine, può essere esercitata anche da un curatore speciale nominato
dal giudice su istanza del figlio minore ultrasedicenne e del pubblico
ministero quando si tratti di minore di età inferiore.
Per quanto riguarda i termini previsti a pena di decadenza (al loro decorrere,
pertanto, non potrà più essere proposta l’azione di disconoscimento) la Corte
costituzionale è intervenuta sull’art. 244 c.c. eliminando (sentenza n. 170 del
1999) la disparità di trattamento sussistente tra l’ipotesi di adulterio della
moglie – per la quale la Consulta aveva nel 1985 stabilito che la decorrenza
dell’azione fosse fissata nel giorno nel quale il marito fosse venuto a
conoscenza del tradimento - e quella della scoperta della propria incapacità a
generare. Anche in questo caso, pertanto, il termine per proporre l’azione di
disconoscimento della paternità decorre dal giorno della conoscenza dell’impotentia
generandi.
Legittimati passivi e litisconsorzi necessari sono la madre, il figlio e il
padre.
La sentenza con la quale il Tribunale ordinario (quello per i Minorenni rimane
competente solo per l’azione di riconoscimento ai sensi dell’art. 38 disp.att.
c.c.) decreta il disconoscimento ha effetti retroattivi: ciò significa che il
figlio perde il suo status di figlio legittimo nei confronti del padre,
assume quello di figlio naturale della madre e conseguentemente il cognome di
questa, fino al momento dell’eventuale riconoscimento da parte del padre
naturale.