I provvedimenti relativi ai figli nella crisi
familiare. L’affidamento ad un genitore, l’affidamento condiviso, l’affidamento
alternato, l’affidamento a terzi nei giudizi di separazione e divorzio e nella
crisi della famiglia.
Il 16 marzo 2006 è entrata in vigore la legge n. 54 del 2006 che ha modificato
il codice civile e il codice di rito con riguardo alla separazione e
all’affidamento dei figli, istituendo il c.d. affido condiviso.
La nuova legge è destinata, come accadde anche per la legge di riforma di
diritto di famiglia, prima, e per quella sul divorzio, poi, a sconvolgere gli
equilibri attualmente costituiti in materia di crisi della famiglia,
riconoscendo e applicando ora più che mai, oltre al principio informatore di
tutta la disciplina minorile (l’interesse del minore), un altro principio
fondamentale, quello del diritto alla bigenitorialità del minore, entrambi
sanciti nella Convenzione internazionale di New York del 20 novembre 1989 e
ratificata in Italia con la legge n. 176 del 1991 e nella Convenzione europea
dei diritti del fanciullo recepita nella nostra legislazione interna nel 2003.
Prima di riportare dettagliatamente le nuove disposizioni, richiamiamo
brevemente la disciplina vigente in precedenza.
La regola, nel caso di separazione tra coniugi con prole, stabiliva che il
giudice che se ne fosse occupato (indipendentemente dal fatto che la
separazione fosse consensuale o giudiziale) doveva scegliere il genitore con il
quale i figli minori avrebbero dovuto continuare a vivere, decidendo altresì,
sull’affidamento, sull’esercizio della potestà, nonché sul mantenimento dei
minori.
Pertanto, la normalità era rappresentata dall’affidamento esclusivo in capo ad
uno solo dei genitori (in genere, la madre), al quale sarebbe spettato, oltre
alla titolarità, anche l’esercizio esclusivo della potestà sul figlio, nonché
l’assegnazione della casa coniugale.
All’altro coniuge non affidatario, ferma restando la titolarità della potestà
genitoria, spettava, oltre alla possibilità di decidere per le questioni di
particolare rilevanza riguardanti il figlio che dovevano essere assunte da
entrambi i genitori, il diritto di mantenere e coltivare nel tempo il rapporto
affettivo con il figlio e il diritto di vederlo e tenerlo periodicamente con
sé, anche il potere di vigilare sull’educazione del minore.
Anche se l’affidamento e la potestà spettavano in via esclusiva ad uno solo dei
genitori, su entrambi gravava l’onere del mantenimento dei figli minori. Ragion
per cui il coniuge affidatario aveva diritto a percepire un contributo
economico per il loro mantenimento dall’altro coniuge, determinato dal giudice
tenendo conto delle sostanze del coniuge non affidatario e delle sue capacità
di reddito.
La situazione era pressoché identica anche nel caso dello scioglimento degli
effetti civili del matrimonio o del divorzio con la particolarità che il
legislatore con la legge del 1987, n. 74, all’articolo 6, prevedeva
l’affidamento congiunto e l’affidamento alternato, ossia rispettivamente,
l’affidamento che avrebbe dovuto permettere al figlio di convivere con entrambi
i genitori, con suddivisione della singola giornata o dei giorni della
settimana ovvero di convivere per un certo periodo di tempo con uno e per il
rimanente periodo con l’altro dei genitori.
Vediamo adesso cosa è cambiato con la nuova legge.
Le modifiche hanno riguardato, come si è detto, il codice civile e il codice di
procedura civile con la modifica dell’art. 155 c.c. e dell’art. 708 c.p.c. e
l’introduzione degli artt. da 155bis a 155sexies e dell’art. 709ter c.p.c.
In ragione del recepimento del principio del diritto alla bigenitorialità del
minore: “anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha
il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di
essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare
rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo
genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice
che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti
relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale
di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino
affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono
affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza per ciascun
genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve
contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei
figli”.
Il Tribunale (il Presidente all’udienza di prima comparizione o il G.I. in sede
di trattazione della causa) prende, altresì, atto, quando non siano in
contrasto con l’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori e
adotta ogni altro provvedimento necessario riguardante la prole.
La novità sostanziale è, quindi, quella per la quale i genitori, pur nella
crisi in cui la coppia versa ormai, sono tenuti a condividere la responsabilità
della crescita dei figli: infatti, ai sensi dell’art. 155, comma 3, c.c. nuovo
testo, pur essendo naturale che il figlio trascorra la maggior parte del tempo
con il genitore al quale è stata assegnata la casa coniugale, tuttavia entrambi
i genitori mantengono titolarità ed esercizio della potestà genitoria e,
pertanto, gli stessi dovranno assumere di comune accordo le “…decisioni di
maggior interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla
salute…tenendo conto (come accade quando la coppia sia unita in
matrimonio in forza dell’art. 147 c.c.) delle capacità, dell’inclinazione
naturale e delle aspirazioni dei figli”.
Se il giudice così dispone, i genitori saranno legittimati ad esercitare
separatamente la potestà per le ipotesi in cui dovranno essere compiuti atti di
ordinaria amministrazione.
Contrariamente a quanto sostenuto nei primi (feroci!) commenti della nuova
normativa, l’assegno di mantenimento è rimasto fermo: sono solo state
modificate, con recepimento di quelle già seguite dai giudici, le modalità con
le quali lo stesso deve essere calcolato.
La nuova versione dell’art. 155 c.c., infatti, stabilisce espressamente sul
punto: “Salvo diversi accordi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei
genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio
reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno
periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare
considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto
dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di
permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i
genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da
ciascun genitore”
Alla luce di quanto si è fin qui sostenuto sembrerebbe quasi che l’affidamento
esclusivo dei figli ad uno dei genitori sia stato mandato in soffitta. In
realtà, non è per niente così.
Infatti, pur non costituendo altro che un’ipotesi residuale ormai, a cui
ricorrere solo in casi particolari, quella versione dell’affidamento può essere
sempre disposta dal giudice con provvedimento motivato che sia fondato
esclusivamente sull’interesse del minore (art. 155 bis c.c.) e, in ogni caso,
in qualsiasi momento – i provvedimenti relativi a separazioni e divorzi sono
dati rebus sic stantibus e, quindi, possono essere modificati quando
mutino le ragioni che li sostenevano in origine - , ciascun genitore può
chiedere che il figlio gli venga affidato in via esclusiva, quando sussistono
le condizioni che rendono l’affidamento condiviso con l’altro genitore non
confacente o, addirittura, contrario all’interesse precipuo del figlio minore
(come, per esempio, nel caso di genitori separati particolarmente litigiosi e
conflittuali).
In questo caso, se il giudice accoglie la domanda, disponendo l’affidamento
esclusivo in capo al genitore richiedente, deve tener conto, nel rispetto
dell’interesse del minore, del principio fissato dal nuovo testo del 1° comma
dell’art. 155 c.c., ossia deve disporre l’affido esclusivo in modo che venga
rispettato il diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e
continuativo con entrambi i genitori.
Resta ferma la possibilità, sebbene il relativo comma dell’art. 155 c.c. non
sia stato traslato dal legislatore nel nuovo testo della norma, la possibilità
di affidare i figli minori a terze persone e, pertanto a soggetti diversi dai
genitori, quando l’affidamento al padre e/o alla madre non possa offrire
rispetto dei doveri posti in capo degli stessi a tutela degli interessi dei
figli.
Le disposizioni accennate troveranno applicazione a partire dal 16 marzo 2006
in tutte le cause di separazione, divorzio, dichiarazione di nullità del
matrimonio (anche concordatario), nonché ai procedimenti relativi ai figli di
genitori non coniugati e, con riguardo alle analoghe cause per le quali sia
stata già emessa sentenza prima dell’entrata in vigore della legge n. 54 del
2006, ciascun genitore potrà richiederne la modifica ai sensi dell’art. 710
c.p.c. o dell’art. 9 della legge n. 989 del 1970.