Consiglio
di Stato
Adunanza della
Commissione Speciale Pubblico Impiego
del 9 novembre 2005
N. prot. 3556/2005
Sez.: III
OGGETTO
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE. Quesito relativo all’applicabilità della
normativa in materia di assunzioni ai passaggi tra le aree di inquadramento del
personale.
Vista la relazione del Ministero
dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello
Stato – pervenuta il 4 agosto 2005, con la quale è stato chiesto il parere sul
quesito in oggetto;
Visto il decreto del Presidente
del Consiglio di Stato con il quale – rilevato che le questioni poste con il
suddetto quesito risultano di interesse generale per la materia del pubblico
impiego – l’affare in oggetto è stato deferito alla Commissione speciale per il
pubblico impiego;
Esaminati gli atti ed udito il
relatore ed estensore, consigliere Luigi Carbone;
PREMESSO E CONSIDERATO:
1. La scrivente amministrazione
dell’economia e delle finanze riferisce che la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento
della funzione pubblica ha chiesto di conoscere il suo avviso “in ordine alla
possibilità di considerare le cd. progressioni verticali (i passaggi tra le
aree di inquadramento), conseguenti alle procedure di riqualificazione del
personale dipendente, della stessa natura giuridica delle procedure di
reclutamento che consentono l’accesso dall’esterno”; si chiede, altresì, se le
stesse progressioni “siano da ritenere soggette alle limitazioni imposte dalla
disciplina vigente in materia di assunzioni nel pubblico impiego”.
In particolare, il quesito
della funzione pubblica è inteso ad accertare se, nella previsione del
legislatore, i citati passaggi tra le aree, in analogia con le assunzioni
derivanti dalle procedure selettive pubbliche, siano inclusi nel cd. “blocco
delle assunzioni” di cui all’art. 1, comma 95, della legge 30 dicembre 2004, n.
311 (legge finanziaria 2005) e, quindi, assoggettabili sia alla disciplina
autorizzatoria di spesa prevista dalla stessa legge per le assunzioni dall’esterno
sia alla procedura prevista dal successivo comma 104, che subordina l’avvio
delle stesse procedure all’emanazione di un apposito d.P.C.M. di
autorizzazione.
Su tale questione, il Ministero
dell’economia propende, in ultima analisi, per la soluzione positiva per i
passaggi da un’area all’altra, da tenere distinti rispetto ai passaggi interni
alla stessa area. Prima di pronunciarsi definitivamente, il suddetto Ministero
ha però ritenuto opportuno acquisire il parere di questo Consiglio di Stato.
L’affare in oggetto è stato
deferito alla Commissione speciale per il pubblico impiego, rilevato che le
questioni poste con il suddetto quesito risultano di interesse generale per la
materia.
2. Il menzionato comma 95 della
legge finanziaria per il 2005 dispone, tra l’altro, che: “Per gli anni 2005, 2006 e 2007 alle amministrazioni dello Stato, anche
ad ordinamento autonomo, alle agenzie, incluse le agenzie fiscali di cui agli
articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e
successive modificazioni, agli enti pubblici non economici, agli enti di
ricerca ed agli enti di cui all’articolo 70, comma 4, del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, è fatto divieto di
procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, ad eccezione delle
assunzioni relative alle categorie protette. Il divieto si applica anche alle
assunzioni dei segretari comunali e provinciali nonchè al personale di cui
all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni. … È consentito, in ogni caso, il ricorso alle procedure di
mobilità, anche intercompartimentale.”.
Ad avviso della Commissione
speciale, va esaminato il significato del lemma “assunzioni di personale” chiarendo se – ai fini della applicazione
del riportato comma 95 che impone il blocco delle suddette “assunzioni” – con
tale termine si intenda, oltre al reclutamento di nuovo personale da inserire
in organico tramite concorsi pubblici aperti a tutti, anche il reclutamento, in
una determinata area di inquadramento, di personale “interno” alla stessa
amministrazione proveniente da un’area inferiore, a seguito delle procedure di
“riqualificazione o di altro tipo di progressione di carriera di una posizione
lavorativa già esistente”.
3. Questo Consiglio di Stato –
condividendo l’impostazione della stessa Amministrazione richiedente – ritiene
necessario fare riferimento all’elaborazione giurisprudenziale della Corte
costituzionale, della Corte di Cassazione e di questo Consiglio di Stato che è
intervenuta con riguardo all’art. 63, comma 4, del decreto legislativo n. 165
del 2001, secondo cui le controversie in materia di procedure concorsuali per
l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono devolute al
giudice amministrativo.
3.1. Al riguardo, come è noto,
un iniziale orientamento della Corte di Cassazione distingueva tra le procedure
dirette all’instaurazione del rapporto di lavoro (per le quali la giurisdizione
veniva attribuita al giudice amministrativo) e le procedure volte a consentire
la progressione di carriera di lavoratori già dipendenti dall’amministrazione
(per le quali la giurisdizione veniva attribuita al giudice ordinario).
Secondo tale impostazione, il
comma 1 dell'art. 63 del citato d.lgs. n. 165 del 2001 attribuiva alla
giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie inerenti ad ogni fase
del rapporto di lavoro, dalla sua instaurazione fino all’estinzione, compresa
ogni fase intermedia, relativa a qualsiasi vicenda modificativa, anche se
finalizzata alla progressione in carriera e realizzata attraverso una selezione
di tipo concorsuale. La residuale riserva di giurisdizione amministrativa,
prevista dal comma 4, concerneva esclusivamente le procedure concorsuali
strumentali alla costituzione del rapporto con la pubblica amministrazione.
In tale ottica, i concorsi
interni andavano qualificati come procedimenti negoziali di esercizio dello ius variandi della pubblica
amministrazione e quindi come atti gestionali o di micro-organizzazione di cui
all’art. 5 comma 2, del d.lgs n. 165 del 2001. Essi, infatti, non comportavano
l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro con i vincitori, ma
esclusivamente la modifica dell’inquadramento contrattuale e delle prestazioni
esigibili in un rapporto preesistente (Cass., sez. un., 27 febbraio 2002, n.
2954; Cass. sez. un., 26 giugno 2002, n. 9334; Cass., sez. un., 21 febbraio
2002,, n. 2514; Cass., sez. un., 11 giugno 2001 n. 7859; Cass., sez. un., 22
marzo 2001, n. 128; Cass., sez. un., ord. 23 novembre 2000, n. 1203).
In tale contesto
interpretativo, in definitiva, al vocabolo “assunzione”
veniva data un’accezione restrittiva, limitata ai soli procedimenti riguardanti
la prima immissione del pubblico dipendente nell’Amministrazione.
3.2 L’orientamento della Corte
di Cassazione era però destinato a collidere con quello della Corte
costituzionale, la quale ha interpretato la disposizione dell’art. 97, comma 3,
Cost. – secondo cui “agli impieghi nelle
pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla
legge” – nel senso di riferirla tanto al primo accesso quanto al passaggio
alla qualifica funzionale superiore.
In sostanza, la Corte costituzionale, anche
dopo la cd. privatizzazione del rapporto di impiego, aveva ribadito che il
passaggio ad una fascia funzionale superiore costituisce l’accesso ad un nuovo
posto di lavoro e che la selezione, come le altre forme di reclutamento, è
soggetta alla regola del pubblico concorso (Corte cost. 4 gennaio 1999, n. 1;
Corte cost. 16 maggio 2002, n. 194; Corte cost. 23 maggio 2002, n. 218; Corte
cost. 23 luglio 2002 n. 373; Corte cost. 24 luglio 2003, n. 274).
In particolare la Corte costituzionale,
investita della questione concernente la legittimità dell’art. 63 del d.lgs. n.
165 del 2001 in relazione ai cd.
concorsi misti, cioè aperti ai candidati esterni ed interni, ma con una quota
di posti riservata a questi ultimi, ha rilevato che la procedura concorsuale
non ha diversa natura per i concorrenti in quota di riserva e per quelli
esterni, trattandosi per gli uni e per gli altri di procedura concorsuale di
assunzione nella qualifica indicata nel bando (concludendo che l’intera
controversia deve essere attribuita al giudice amministrativo: Corte cost. 4
gennaio 2001, n. 2).
3.3. Per effetto di tale
orientamento della Corte costituzionale si è quindi verificato un revirement da parte della Corte di
Cassazione.
La sentenza delle Sezioni unite
civili 15 ottobre 2003, n. 15403 ha, infatti,
ritenuto che il quarto comma dell'art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, nel
riservare alla giurisdizione del giudice amministrativo “le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione
dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, fa riferimento non solo
alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta,
del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere
l'accesso del personale già assunto ad una fascia o area funzionale superiore,
posto che tale accesso deve avvenire per mezzo di una pubblica selezione,
comunque denominata ma costituente, in definitiva, un pubblico concorso, al
quale, di norma, deve essere consentita anche la partecipazione di candidati
esterni; ne consegue che le controversie riguardanti la legittimità delle
graduatorie relative a tali procedure selettive sono anch'esse devolute alla
giurisdizione del giudice amministrativo.
La
Cassazione ha,
invece, confermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario
quando si tratta di semplice passaggio di livello, senza variazione di area o
di categoria ossia senza novazione oggettiva del rapporto di lavoro, in quanto
si è in presenza di concorsi inerenti la gestione del rapporto di lavoro
(Cassazione Civile, Sez. Unite, ordinanza n. 18886 del 10 dicembre 2003).
Tale indirizzo ha trovato poi
definitiva sistemazione in Cass. sez. un. civ. n. 3948 del 26 febbraio 2004,
secondo cui, in base ai principi elaborati dalla Corte costituzionale e dalla
giurisprudenza di legittimità in materia di riparto di giurisdizione nelle
controversie relative a procedure concorsuali per l'assunzione di pubblici
dipendenti, la giurisdizione deve essere attribuita al giudice ordinario o a
quello amministrativo a seconda che ricorra una delle diverse ipotesi di cui al
seguente quadro complessivo: a) giurisdizione del giudice amministrativo nelle
controversie relative a concorsi per soli candidati esterni; b) identica
giurisdizione nelle controversie relative a concorsi misti, restando
irrilevante che il posto da coprire sia compreso o meno nell'ambito della
medesima area funzionale alla quale sia riconducibile la posizione di lavoro di
interni ammessi alla procedura selettiva, poiché, in tal caso, la circostanza
che non si tratti di passaggio ad area diversa viene vanificata dalla presenza
di possibili vincitori esterni; c) ancora giurisdizione amministrativa quando
si tratti di concorsi per soli interni che comportino passaggio da un'area
funzionale ad un'altra, spettando, poi, al giudice del merito la verifica di
legittimità delle norme che escludono l'apertura all'esterno (salvo stabilire
se la violazione del principio costituzionale in tema di concorso aperto
all'esterno, risolvendosi in carenza di potere perpetrato attraverso atti di
autonomia contrattuale, fondi, per questo stesso fatto, la giurisdizione del
giudice ordinario, una volta negata la natura esclusiva della giurisdizione
amministrativa in materia); d) residuale giurisdizione del giudice ordinario
nelle controversie attinenti a concorsi per soli interni, che comportino
passaggio da una qualifica ad un'altra, ma nell'ambito della medesima area
funzionale.(v. anche Cass. 26 maggio 2004, n. 10183; Cass., 23 marzo 2005 n.
6217; Cass. 20 maggio 2005, n. 10605).
3.4. A tale impostazione si è
successivamente conformata la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (ex multis: Sez. IV, 7 giugno 2005, n.
2988; Sez. IV, 7 giugno 2005, n. 2881; Sez. IV, 3 novembre 2004, n. 7107; Sez.
VI, 7 ottobre 2004, n. 6510, Sez. V, 10 dicembre 2003, n. 8143), il quale ha
anche avuto modo di approfondire ulteriormente il nuovo orientamento.
In particolare, la decisione n.
6510 del 2004 della VI Sezione ha fornito alcune precisazioni circa
l’applicazione concreta dei principi sopra richiamati, con riferimento ai
concorsi interni senza variazione di area o di categoria, chiarendo alcuni dubbi
esegetici derivanti dalle diverse terminologie utilizzate nei contratti
collettivi dei diversi comparti (mentre a volte si fa riferimento al concetto
di “area” per distinguere tra area dirigenziale ed area non dirigenziale, altre
volte il termine viene utilizzato per la classificazione del personale non
dirigenziale).
4. Alla stregua di quanto
esposto, questo Consiglio di Stato ritiene necessario recepire anche con
riferimento al quesito in oggetto gli esiti interpretativi cui prima la Corte costituzionale e poi la Corte di Cassazione ed il
Consiglio di Stato sono giunti nell’interpretazione dell’art. 63 del d.lgs. n.
165 del 2001.
Va, pertanto, ritenuto che
rientrino nel blocco delle “assunzioni”
di cui all’art. 1, comma 95, della legge n. 311 del 2004 anche le progressioni
cd. verticali da un’area ad un’altra poiché, anche in tal caso, si verifica una
novazione del rapporto di lavoro, in quanto si tratta di accesso a funzioni più
elevate, qualsiasi sia il nomen della
posizione funzionale attribuita dalla contrattazione collettiva, che può
divergere da contratto a contratto.
Tale interpretazione appare,
peraltro, necessitata alla stregua del vigente quadro costituzionale come
derivante dall’art. 97 Cost. nella lettura di “diritto vivente” operata dalla
Corte costituzionale, secondo la quale la
norma ivi contenuta, secondo cui ai pubblici uffici, che debbono essere
organizzati in modo da assicurare il buon andamento della Pubblica
amministrazione, si accede “mediante
concorso salvi i casi stabiliti dalla legge”, impone che il concorso
costituisca la regola generale per l’accesso ad ogni tipo di pubblico impiego,
anche a quello inerente ad una fascia funzionale superiore, essendo lo stesso
“il mezzo maggiormente idoneo ed imparziale per garantire la scelta dei
soggetti più capaci ed idonei ad assicurare il buon andamento della Pubblica
amministrazione” (cfr. le sentenze 487/91, 453/90, 161/90).
In altre parole, nel nostro
contesto costituzionale “il passaggio ad una fascia funzionale superiore, nel
quadro di un sistema come quello oggi in vigore che non prevede carriere o le
prevede entro ristretti limiti”, deve essere attuato mediante una forma di
reclutamento che permette “un selettivo accertamento delle attitudini”, anche
laddove si tratti di progressione verticale di carriera. Per questa ragione –
come ha rilevato anche la Cassazione con la
citata sentenza n. 15403 del 2003 – è stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale di plurime disposizioni di legge (alcune delle quali relative ai
corsi-concorso per la riqualificazione del personale del ministero delle
Finanze: articolo 3, commi, 205, 206 e 207 legge n. 549 del 1995 e successive
modificazioni) nella parte in cui le stesse prevedevano il passaggio a fasce
funzionali superiori “in deroga alla regola del pubblico concorso” o comunque
non prevedevano “alcun criterio selettivo”, ovvero riservavano, esclusivamente
o in maniera ritenuta eccessiva, al personale interno l’accesso alla qualifica
superiore.
In termini ancora più espliciti
si pone l’ordinanza n. 2 del 2001 della Consulta, con la quale è stata
dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 68 decreto legislativo n. 29 del 1993 e successive
modificazioni (ora articolo 63 d.lgs. n. 165 del 2001), in cui si è affermato
che la procedura selettiva diretta all’accesso ad una qualifica superiore – e
riservata sia al personale interno all’amministrazione, sia a candidati esterni
– integra “una vera e propria procedura concorsuale di assunzione nella qualifica
indicata nel bando”.
La necessaria selettività,
imposta dal vigente assetto costituzionale, del passaggio di personale
“interno” ad una data amministrazione ad una fascia superiore costituisce
quindi – ad avviso di questa Commissione speciale – una conferma alla
interpretazione che estende l’applicabilità del termine “assunzioni” di cui alla legge finanziaria per il 2005 anche a tali
fattispecie.
In altri termini, il lemma “assunzione” – come da ultimo confermato
anche dalla recente sentenza delle s.u. della Cassazione n. 14259 del 7 luglio
2005 – deve essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire
e non all’ingresso iniziale nella pianta organica del personale, dal momento
che, oltretutto l’accesso nell’area superiore del personale interno o esterno
implica, esso stesso, un ampliamento della pianta organica.
5. A tali conclusioni non può ostare l’obiezione
che l’elaborazione giurisprudenziale sopra menzionata riguarderebbe una
dimensione squisitamente “giuridica” del termine “assunzioni”, laddove invece l’accezione voluta dalla legge n. 311
del 2004 atterrebbe ad una dimensione strettamente “finanziaria”, relativa al
solo impatto delle “assunzioni”
stesse sul bilancio dello Stato, con il distinto obiettivo di contenerne la
spesa entro i vincoli di finanza pubblica.
Secondo tale possibile
obiezione, si potrebbe sostenere che, in tale seconda accezione, il termine “assunzioni” andrebbe riferito soltanto
alle assunzioni che provocano un onere finanziario rilevante, ovvero quelle di
personale esterno all’amministrazione, mentre per il personale interno l’onere
economico della sola “riqualificazione” è di gran lunga inferiore.
Tale obiezione deve essere
disattesa, ad avviso di questo Consiglio di Stato, per almeno due ragioni.
Da un punto di vista più
letterale, si fornirebbero al medesimo termine “assunzione”, già di per sé non privo di ambiguità, due significati
fortemente difformi, che avrebbero ambiti di applicazione troppo diversi
(concorsi sia interni che esterni per il d.lgs. n. 165 e concorsi solamente
esterni per la legge n. 311) per non incorrere in un’antinomia del sistema
(antinomia che, peraltro, la citata giurisprudenza della Cassazione ha voluto
espressamente evitare, ritenendo “come non fosse ragionevole immaginare”, a
fronte della sostanziale necessità, in ogni caso, di una “procedura selettiva”,
“giurisdizioni diverse a seconda della qualità dei partecipanti alla
selezione”).
D’altro lato, e forse
soprattutto, tale interpretazione risulterebbe in contrasto con i principi costituzionali
meritocratici sopra esposti, che fondano il buon andamento degli uffici
pubblici ex art. 97 Cost. su una maggiore selettività del loro personale e che
si ispirano ad un favor per l’accesso
esterno alle carriere pubbliche. Essa finirebbe invece per favorire, anche se
soltanto per ragioni finanziarie, proprio quelle forme di “promozioni interne”
che il quadro costituzionale ritiene del tutto eccezionali (e giustificabili
solo in poche occasioni) rispetto alle procedure selettive pubbliche con prevalente
partecipazione dall’esterno.
In altri termini, la pur
fondamentale esigenza di “buon andamento” della finanza pubblica non può, ad
avviso di questo Consiglio di Stato, comportare interpretazioni che si pongano
in contrasto con il “buon andamento” della amministrazione pubblica,
costituzionalmente garantito dall’art. 97 Cost. .
6. Parimenti priva di pregio
risulta, poi, l’altra possibile obiezione che potrebbe paventare una portata
“paralizzante” sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni di una
interpretazione estensiva della norma sul blocco delle assunzioni.
Va, infatti, ricordato che –
come ricordato dalla stessa amministrazione richiedente – la stessa legge
finanziaria prevede un consistente temperamento a tale blocco, consistente
nella possibilità di “autorizzazioni in deroga” a carico di un apposito fondo
ai sensi dei commi 96 e 97 e, inoltre, nell’applicazione del regime
autorizzatorio fissato dal comma 104 dello stesso articolo.
L’atteggiamento delle
amministrazioni competenti (e, in particolare, del Dipartimento della funzione
pubblica) dovrà tener conto della interpretazione del termine “assunzioni” prospettata da questo
Consiglio di Stato (e, quindi, della necessitata estensione dell’ambito di
operatività del loro “blocco” ad opera del comma 95) nell’attivare, volta per
volta, il meccanismo derogatorio sopra richiamato. È infatti attraverso tale
meccanismo (e soltanto attraverso di esso) che si potrebbe, se del caso, tener
conto del minore onere finanziario delle eventuali richieste di autorizzazione
in deroga in relazione a procedure di riqualificazione (laddove, ovviamente,
esse siano giustificate da uno specifico regime legislativo).
7. Va, infine, ricordato che la
suddetta ricostruzione si riferisce esclusivamente al passaggio da un’area
all’altra e non si estende ai passaggi interni alla stessa area.
La ricordata giurisprudenza
della Cassazione è stata, di recente, ribadita in termini ancora più espliciti
con una pronuncia specifica su tale fattispecie (la già ricordata sent. n. 14259
del 7 luglio 2005 delle s.u., relativa ad un passaggio interno all’area “C” e
precisamente alle procedure di passaggio dalle categorie C1 e C2 alla categoria
C3).
In tale sede è stata confermata
la diversa natura di tali procedure interne alla stesa area – sulle quali
permane la giurisdizione del giudice ordinario – ancorché anche esse possano
prevedere prove selettive: non sussistendo, infatti, un passaggio di area,
secondo le sezioni unite si è in presenza di una mobilità verticale
funzionalizzata unicamente a consentire il transito dei dipendenti dotati di
specifica professionalità e capacità ad una qualifica superiore e ad un più
adeguato trattamento economico nell’ambito di una gestione del singolo rapporto
lavorativo assoggettabile al generale regime privatistico, in assenza di
contrarie ragioni che ne giustifichino la disapplicazione.
È evidente che in tale ottica,
come pure ribadisce la Suprema Corte,
assume rilevanza determinante ai fini dell’indicato criterio di ripartizione
della giurisdizione – e, correlativamente, dell’ambito di applicazione del
termine “assunzione” – il contenuto
della contrattazione collettiva nazionale (applicabile ai diversi comparti
ministeriali riguardanti settori omogenei ed affini) che definisce con apposita
procedura i comparti e le aree contrattuali (cfr. art. 40, comma 2, e 41, comma
6, del d.lgs. n. 165 del 2001) e non quello della contrattazione integrativa.
Tale differente disciplina dei
passaggi interni alle aree professionali appare, da ultimo, confermata anche dalla
legge finanziaria per il 2006, la legge n. 266 del 23 dicembre 2005,
pubblicata sulla G.U. n. 302 del 29 dicembre 2005,
nelle more della pubblicazione del presente parere.
Difatti, il
comma 193 dell’art. 1 di tale legge dispone che “gli importi relativi alle spese per le
progressioni all’interno di ciascuna area professionale o categoria continuano
ad essere a carico dei pertinenti fondi [si tratta dei fondi per il finanziamento della contrattazione
integrativa di cui al precedente comma 189] e
sono portati, in ragione d’anno, in detrazione dai fondi stessi per essere
assegnati ai capitoli stipendiali fino alla data del passaggio di area o di
categoria dei dipendenti che ne hanno usufruito, o di cessazione dal servizio a
qualsiasi titolo avvenuta. A decorrere da tale data i predetti importi sono
riassegnati, in base alla vigente normativa contrattuale, ai fondi medesimi”.
Lo specifico riferimento alle “progressioni all’interno di ciascuna area
professionale o categoria” conferma, ad avviso di questo Consiglio di
Stato, la diversa disciplina giuridica di tali procedure, che non rientrano
nelle “assunzioni” di cui alle
progressioni tra un’area e un’altra e proseguono senza che su di esse incida il
“blocco” di cui al comma 25 dell’art. 1 della legge finanziaria per il 2005.
P.Q.M.
Nelle esposte considerazioni è
il parere della Commissione speciale.
Per estratto dal verbale
Il
Segretario della Commissione
Antonio Natale
Visto
Il
Presidente della Commissione
Giovanni
Ruoppolo