Conferimento incarichi dirigenza medica – mansioni superiori - applicabilità.
La Corte d’Appello di Bologna afferma che l’art. 2103 cc (disciplina codicistica delle mansioni) è inapplicabile, per la dirigenza medica, al passaggio ad incarichi dirigenziali diversi. Nel settore, infatti, non esistono altre qualifiche superiori a quella dirigenziale, sicchè non si intende a cosa servirebbe dichiarare non applicabile ai dirigenti la normativa che, ricorrendo certe condizioni, consente la promozione automatica in qualifiche superiori. In particolare, la contrattazione collettiva non ha posto le mansioni del dirigente di struttura complessa ad un livello professionale più elevato rispetto alle altre tipologie di incarichi dirigenziali da essa previste, ma si è, più semplicemente, limitata ad attuare le rigide prescrizioni di legge, secondo le quali nell'ambito dell'unica qualifica dirigenziale coesistono diverse responsabilità professionali e gestionali e l'accesso ai singoli incarichi dirigenziali è condizionato sia dal possesso di particolari requisiti soggettivi e di anzianità di servizio sia dal rispetto di procedure selettive diversificate.
App. Bologna Sez. lavoro, 07-01-2005
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 22 maggio 2000, il dott. YY1, dipendente dell'Azienda Unità Sanitaria Locale di Piacenza, quale vincitore di apposito concorso, con qualifica di Dirigente con direzione di struttura, secondo il d.lgs. n. 229/99, oppure di Dirigente medico di primo livello, come da d.lgs. n. 502/92, nella disciplina "Radiologia Diagnostica", ha esposto quanto segue:
- di essere, dal 3 maggio 1993, direttore del Reparto - o anche Unità Operativa - di Radiologia Diagnostica presso il Presidio Ospedaliero di Piacenza e di avere, in precedenza, diretto analogo reparto presso il Presidio Ospedaliero di B.;
- che le mansioni del primario ospedaliero restavano, ancora, individuate dall'art. 63 del d.p.r. n. 761/79 e che la descrizione delle mansioni, contenuta in tale norma, aveva trovato conferma nell'art. 15 della legge n. 502/92, come modificato dall'art. 12 del d.lgs. n. 229/99;
- che l'Azienda USL di Piacenza, in attuazione all'art. 4 della legge 502/99 e della legge regionale n. 19/94, aveva introdotto, con decisione del direttore generale n. 392/98, il modello organizzativo dipartimentale, ordinando i servizi ospedalieri in appositi Dipartimenti, per "consentire a servizi affini e complementari di operare in forma coordinata per evitare ritardi, disfunzioni e distorto utilizzo delle risorse finanziarie";
- che la predetta decisione del Direttore Generale aveva configurato il dipartimento come struttura sovraordinata rispetto alle Unità Operative relativamente ai processi decisionali concernenti la gestione delle risorse in dotazione, con particolare riferimento al personale, agli spazi operativi, alle attrezzature, con limitazione dell'autonomia delle Unità Operative alle risorse specificamente assegnate;
- che l'Unità Operativa da lui diretta era inserita in una struttura dipartimentale trasversale, denominata "dipartimento delle Funzioni Radiologiche inter - Presidi", cui afferivano anche le Unità Operative di Radiologia dei Presidi Ospedalieri di Fiorenzuola d'Arda e di Castel San Giovanni e l'Unità Operativa di Medicina nucleare del Presidio Ospedaliero di Piacenza;
- che, al Dipartimento delle Funzioni Radiologiche, afferiva anche l'Unità Operativa "Nuovo Polo Radiologia di Piacenza", mai attivato ed esistente solo sulla carta;
- che il dirigente di tale Nuovo Polo, dott. YY2, era stato assunto dal 6 maggio 1998 - con effetto dal 15 ottobre 1998 - in forza della decisione del Direttore generale n. 1026/98, con apposito incarico quinquennale, quale unico candidato della selezione bandita dall'Azienda per ricoprire un posto esistente soltanto sulla carta;
- che, non essendo stato attivata tale funzione, il dott. YY2 aveva svolto, a seguito di delibera del direttore Generale n. 77/99, funzioni eterogenee, quali prestazioni di consulenza in materia di radiologia vascolare interventistica presso l'Ospedale di Parma per 7/10 ore settimanali;
- che, con decisione n. 148/99 del direttore Generale, il dott. YY2 era stato assegnato temporaneamente, nelle more dell'assetto organizzativo definitivo delle attività radiologiche aziendali, a sovrintendere alla Radiologia del Presidio Ospedaliero della Val Tidone, il cui precedente titolare - dott. M.C. - era cessato dal servizio per pensionamento -, alla supervisione dell'attività diagnostica e interventistica svolta nella sala vascolare del servizio di radiologia del P.O. di Piacenza e alla formazione professionale in indagini Eco - Doppler di radiologia per un potenziamento della relativa attività diagnostica;
- che, con decisione n. 2316/98, l'AUSL di Piacenza aveva già indetto apposita selezione per la copertura del posto di dirigente della U.O. radiologia presso il P.O. della Val Tidone;
- che, sino al gennaio 1999, le ulteriori funzioni assegnate dal dott. YY2 erano da lui svolte;
- che, con comunicazione 18 febbraio 1999 n. 298/27/V, l'Azienda aveva formalizzato l'avvenuta sottrazione di detti compiti, invitandolo a rapportarsi con il dott. YY2;
- che, nel febbraio 1999, il dott. YY2 era stato nominato responsabile del Dipartimento delle Funzioni Radiologica inter - Presidi;
- che, da quella data, il dott. YY2 aveva cercato di limitare in misura crescente la sua autonomia dirigenziale, contestando ogni sua forma di decisione autonoma delle risorse umane, finanziarie e strumentali necessarie per l'autonoma conduzione del reparto da lui diretto;
- che, con decisione del direttore generale n. 141/2000, a lui comunicata il 29 febbraio 2000, l'Azienda, con riguardo ai soli servizi radiologici nell'ambito cittadino, aveva deliberato di affidare al dott. YY2 la gestione delle risorse umane, tecnologiche a fare data dall'1 marzo 2000;
- che, come risulta dal verbale dell'assemblea dei medici radiologi del 14 marzo 2000, il nuovo responsabile del dipartimento aveva preteso di esautorarlo da ogni autonoma mansione gestionale, riservandosi il potere di decidere sulle ferie, sulla partecipazione a congressi e corsi di aggiornamento e di revocare o modificare - ad libitum - ogni e qualsivoglia sua decisione sulla stessa organizzazione dei turni di lavoro;
- che l'Azienda sanitaria aveva, così, attuato sistematicamente un intervento di svuotamento delle sue mansioni, in palese violazione, in particolare, dell'art. 2103 cod. civ., 56 d.lgs. n. 29/93 e dlla decisione n. 392/98;
- che, in particolare, se la finalità del dipartimento era quella di coordinare diverse unità operative per minimizzare gli sprechi, non aveva senso configurare un dipartimento per un'unica unità organizzativa, come avvenuto nel caso di specie;
- che, con ricorso ex art. 700 cod. proc. civ., depositato il 20 marzo 2000, aveva chiesto di essere immediatamente reintegrato nelle mansioni in precedenza sciolte;
- che il Tribunale di Piacenza, con ordinanza 28 aprile 2000, aveva accolto l'istanza cautelare, ordinando alla locale azienda USL di reintegrarlo in tutte le mansioni svolte precedentemente alla emanazione della delibera n. 148/99.
Ciò esposto, il ricorrente ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Piacenza, l'Azienda Unità Sanitaria Locale, chiedendo, previa disapplicazione dei richiamati atti, in particolare, di quelli n. 148/99; n. 298/27/V, e n. 141/2000 e previa conferma del provvedimento d'urgenza, che venisse accertato il suo diritto a svolgere le mansioni precedenti il 29 gennaio 1999 o equivalenti, venisse reintegrato in tali o in equivalenti mansioni e che la convenuta azienda fosse condannata al risarcimento del danno, da quantificare nella somma mensile di Lire 12.835.000 da moltiplicare per i mesi di demansionamento, oltre accessori.
In corso di causa, il dott. YY1, con ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. depositato il 25 ottobre 2000, ha chiesto, in via d'urgenza, che fossero inibiti, in relazione al suo reparto, i provvedimenti dell'AUSL del 25 settembre 2000 attinenti a procedure di mobilità interna ordinaria per il trasferimento nel reparto del dott. U. di sei medici radiologi, di dieci tecnici radiologi e di cinque operatori professionali sanitari infermieri, sostenendo che, ove questi fossero stati attuati con prelievo dal suo reparto, sarebbe stato ulteriormente demansionato mediante sottrazione di personale.
Radicatosi il contraddittorio, la domanda del dott. YY1 era accolta con provvedimento del 2 ottobre 2000, successivamente, riformato in sede di reclamo dal Tribunale di Piacenza, in composizione collegiale.
Con atto di intervento volontario adesivo dipendente, depositato il 14 dicembre 2000, si è costituito in giudizio il dott. YY2, sostenendo la legittimità dei provvedimenti di mobilità assunti dall'Azienda e chiedendo il rigetto delle domande proposte dal dott. YY1.
Anche la AUSL di Piacenza si è, ritualmente, costituita in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda. In particolare, l'azienda convenuta ha sostenuto che:
- nessun demansionamento era ravvisabile a danno del ricorrente, il quale aveva continuato ad esercitare le sue mansioni di primario;
- rientrava nel pieno potere datoriale quello di esercitare lo ius variandi, in ragione di scelte organizzative aziendali, non sindacabili dal giudice;
- ai sensi dell'art. 19, legge n. 29/93, non si poteva ritenere applicabile alla dirigenza medica la tutela prevista dagli articoli 2103 cod. civ. e 56 legge n. 29/93;
- in subordine, ammessa l'applicabilità dell'art. 56 citato, questo non tutelava le mansioni da ultimo svolte dal ricorrente, ma solo quelle rientranti nella classificazione contrattuale così come previste in astratto e che, pertanto, la domanda non poteva trovare accoglimento, essendo comunque il ricorrente a capo di una struttura complessa.
Il Tribunale di Piacenza, con sentenza n. 188 del 29 maggio 2001, depositata il 18 giugno 2001, ha dichiarato illegittimi ed inefficaci i provvedimenti AUSL n. 148/99; 298/27/V e n. 141/2000 nonché gli avvisi di mobilità del 25 settembre 2000, in relazione al personale ed alle risorse umane già in dotazione al reparto ospedaliero del dott. YY1; ha accertato il diritto del ricorrente a svolgere tutte le mansioni precedenti al 21 gennaio 1999 o equivalenti; ha condannato l'AUSL a reintegrare il dott. YY1 nelle precedenti mansioni o in altre equivalenti ed al risarcimento del danno quantificato nella somma mensile di Lire 5.000.000 dal 29 gennaio 1999 fino all'effettiva reintegrazione; ed ha, infine, condannato la convenuta e l'intervenuto al rimborso delle spese legali.
La decisione del Tribunale di Piacenza può essere sintetizzata nei seguenti passaggi:
- dalla comparazione fra l'art. 2103 cod. civ. e l'art. 56 del d.lgs. n. 29/93, si evince che entrambi statuiscono in modo uniforme in ordine 1) alla corrispettività assoluta tra la qualifica iniziale o successivamente acquisita e le mansioni del lavoratore e 2) al divieto di mutatio in peius;
- le due norme differiscono in ordine al principio dell'acquisizione automatica della qualifica superiore, per effetto dello svolgimento delle relative mansioni, drasticamente limitato dall'articolo 56 con espressa esclusione del diritto a promozione automatica;
- il divieto è generale ed è applicabile a tutti i lavoratori compresi i dirigenti (art. 56, u.c.) e può essere derogato solo ad opera dei futuri contratti collettivi;
- l'art. 2103 cod. civ. trova, quindi, applicazione alle fattispecie di trasferimento del lavoratore, non contemplata dall'art. 56, e di promozione automatica nei casi di deroga ammessi dallo stesso articolo;
- di guisa che, quando altre norme di legge richiamano l'articolo 2103 cod. civ., per escluderlo o per invocarlo, esse non possono che riferirsi a quelle uniche fattispecie da questo disciplinate;
- quindi, quando l'art. 19 della legge n. 29 del 1993 esclude l'art. 2103 cod. civ. nel conferimento o passaggio a mansioni diverse, vuole semplicemente impedire in modo assoluto ipotesi di promozione automatica nell'area dirigenziale, anche ad opera dei contratti collettivi, preoccupandosi che un automatismo di tale genere possa provocare facili abusi;
- l'art. 15 ter, ultimo comma, della legge n. 502/92, come modificato dall'art. 12 del d.l. n. 229/99, conferma tale interpretazione, sancendo che in caso di sostituzione di dirigente medico preposto ad una struttura complessa non trova applicazione l'art. 2103 cod. civ.;
- trattasi di un caso di assegnazione o conferimento di incarico diverso, in applicazione dell'art. 19 citato, che spiega chiaramente il senso del richiamo all'art. 2103 cod. civ., che, ove non fosse escluso, ricorrendone i presupposti, potrebbe dare luogo alla promozione automatica, in ossequio al principio dell'equivalenza inteso come corrispondenza tra mansioni e qualifica;
- l'art. 27 del c.c.n.l. individua quattro diverse tipologie di incarichi dirigenziali, stabilendo, nel successivo articolo 28, comma 6, lettera G, la non applicazione dell'art. 2103 cod. civ., data l'equivalenza degli incarichi dirigenziali, agli incarichi elencati nelle lettere b, c, ed d, con esclusione dell'incarico di direzione di struttura complessa ed equiparata, corrispondente alla qualifica del ricorrente;
- tale interpretazione della norma contrattuale si fonda sia sulla formulazione letterale dell'articolo 28 (che si riferisce ai dirigenti con meno e più di cinque anni di servizio), sia sul secondo comma dell'art. 27, il quale conferma che l'incarico di direzione di struttura complessa è sovraordinato a quelli elencati nelle lettere b e c così che non rientra nelle ipotesi di equivalenza assoluta voluta per le due fasce intermedie, sia dall'articolo 28 che, nel disciplinare l'affidamento e la revoca degli incarichi per i dirigenti di struttura complessa, non contiene alcun riferimento all'esclusione dell'articolo 2103 cod. civ., sia, infine, dall'art. 15 ter u.c. legge n. 502/92 che, nel vietare la promozione automatica del sostituto, riconosce che le mansioni del primario sono da inquadrare in un livello superiore;
- alla luce della normativa applicabile (art. 15, legge n. 502/92, modificato dall'art. 12, sesto comma, del d.l. n. 229/99) al dirigente di secondo livello competono: la gestione piena ed autonoma della struttura complessa, la direzione tecnica clinica, la responsabilità professionale propria del dirigente di struttura e quella legata al risultato, con il solo limite degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento;
- il dipartimento, al quale è riservata la gestione esclusiva delle risorse comuni o di quelle che appartengono alla struttura organizzativa di supporto, può esplicare la propria attività solo mediante atti di direzione generale, senza alcuna possibilità di interferire nell'ambito della struttura, sostituendosi al potere gestionale o di direzione tecnica del primario;
- il doversi rapportare per l'ecodoppler al dott. U. o sottoporre l'attività della sala vascolare alla supervisione di quest'ultimo, significa che l'azienda ha consentito all'altro primario una indebita interferenza sul potere direzionale tecnico - professionale del dott. YY1 in relazione a tali servizi, mentre l'avere demandato ogni potere sul personale, sulle risorse finanziarie e sulle attrezzature significa averlo privato del potere direzionale, ferma restando comunque la formale responsabilità del reparto, cioè l'aspetto esteriore della qualifica, così ponendo in essere un grave demansionamento, in presenza di provvedimenti che svuotano del suo contenuto più tipico e qualificante le mansioni di dirigente di struttura complessa già assegnate al dott. YY1;
- gli aspetti concreti del lamentato demansionamento possono essere desunti, quanto alla gestione del personale, dal verbale di assemblea dei medici redatto in conseguenza alle statuizioni dell'azienda;
- risulta dai provvedimenti aziendali che era intendimento dell'AUSL incorporare il reparto del dott. YY1 in un unico presidio ospedaliero, con gestione da affidare al dott. YY2 e così lasciando al ricorrente la sola autonomia clinica, che, in concreto altro non vuole dire "che la possibilità di fare... le lastre";
- con riguardo alla posizione del dott. YY2 sussistono alcune anomalie, quali la sua assunzione, con contratto quinquennale, come dirigente di primo livello di struttura complessa radiologica da costituirsi presso il Presidio Ospedaliero, istituito a distanza di due anni e cinque mesi dalla nomina, così rimanendo, fino all'ottobre 2000, un primario privo di reparto;
- al dott. YY2 sono, poi, stati assegnati ulteriori incarichi (presso l'Ospedale di Parma, e di titolare del reparto di radiologia del presidio della Val Tidone e di supervisore della sala vascolare di Piacenza e gestore delle risorse umane e tecnologiche del polo radiologico cittadino, compreso il reparto del dott. YY1) estranei a quelli per i quali era stato assunto;
- le esigenze organizzative dell'azienda non possono prevalere sul diritto alla tutela mansionistica del lavoratore, stabilita dall'articolo 56 citato, perché non richiamate, a differenza che per il caso del trasferimento;
- l'accertamento relativo alla sussistenza o meno di circostanze qualificative della condotta del datore di lavoro, che rileva indipendentemente da una specifica volontà di declassare o svilire il lavoratore, non è giustificabile neppure per le comprovate esigenze organizzative e tecniche;
- la circostanza che il reparto del dott. YY2 fosse rimasto inattivo sino all'ottobre 2000 e che l'attività radiologica ordinaria del presidio ospedaliero e del polichirurgico, ad eccezione del pronto soccorso, abbia continuato ad essere svolta in via ordinaria dal reparto del dott. YY1, esclude che le esigenze organizzative siano oggettive e comprovate, rispondenti, cioè, a criteri di necessità od evidente utilità, rispondendo esse alla necessità di occupare il dott. YY2, rimasto per oltre due anni senza il lavoro attribuitogli nella delibera di assunzione;
- la nomina del dott. YY2, quindi, non è stata l'effetto ma la causa della costituzione del nuovo reparto;
- l'assunzione del dott. YY2 è altresì illegittima per violazione dell'art. 97 Cost., perché ha comportato una forte onere economico per una prestazione non contemplata nell'atto di assunzione;
- la privatizzazione del rapporto di lavoro non costituisce una sorta di affrancamento per l'ex pubblica amministrazione, ma essa ne sottopone l'attività ad un doppio giudizio, di legittimità, attribuendo al lavoratore una tutela diretta dei diritti con il riconoscimento della natura privatistica del contratto, che si aggiunge a quella, già esistente, degli interessi legittimi attraverso la corrispondenza dell'atto alle norme di legge;
- il potere organizzativo è stato strumentalizzato dall'azienda per fini non propri, con la conseguenza che le ragioni addotte per giustificare tale esercizio, oltre ad essere giuridicamente irrilevanti, appaiono altresì non veritiere;
- con riguardo agli avvisi di mobilità del 25 settembre 2000, essi comportano un vero e proprio demansionamento consistente nella progressiva emarginazione rispetto al ruolo fino ad oggi ricoperto, configurando un tentativo di sottrazione del personale già in dotazione al ricorrente;
- il bando di mobilità interna non è atto dovuto, come dedotto dall'azienda, perché, per effetto dell'art. 11 lettera b d.p.r. 384/90 e dell'accordo regionale 17 dicembre 1991, può, e non deve, essere attivato preliminarmente al bando di concorso esterno;
- la mobilità può essere ammessa solo laddove essa non si ponga in contrasto con diritti soggettivi indisponibili di altri lavoratori, nel qual caso la clausola di obbligatorietà dovrebbe ritenersi caducata perché inidonea a derogare una norma di rango superiore;
- la sottrazione potenziale di alcuni medici, tecnici ed operatori (per i tecnici ed operatori ulteriormente illegittima perché non risulta che i posti siano stati ufficialmente istituzionalizzati, come previsto dall'accordo aziendale), costituisce un ulteriore tentativo di demansionamento del tutto in linea con quello attuato con il provvedimento n. 141/2000;
- il ricorrente ha, altresì, diritto al risarcimento del danno, da liquidarsi in Lire 5.000.000 per ogni mese dal 29 gennaio 1999 all'effettiva reintegrazione.
Avverso la detta decisione, non notificata, l'Azienda Unità Sanitaria Locale di Piacenza, con ricorso depositato il 30 luglio 2001, ha proposto appello, articolato su tre motivi, cui resiste il dott. YY1, chiedendo il rigetto del gravame. Il dott. YY2, nonostante la ritualità della notifica della impugnazione, non si è costituito in giudizio ed è stato, quindi, dichiarato contumace.
All'udienza del 21 ottobre 2004, i procuratori delle parti hanno concluso come in epigrafe e la causa, dopo la discussione orale, è stata decisa come da dispositivo, di cui è stata data lettura.
Motivi della decisione
1. Preliminare è l'esame del secondo motivo, con il quale l'Azienda USL appellante censura l'impugnata sentenza e, con essa, anche l'ordinanza emessa dal primo giudice all'udienza di discussione, nella parte in cui è stata disattesa l'eccezione di inammissibilità della domanda di "disapplicazione" dei due avvisi di mobilità del 25 settembre 2000, trattandosi di questione nuova non contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio. Secondo l'appellante, la domanda del dott. YY1, avanzata per la prima volta in corso di causa con la richiesta di un provvedimento d'urgenza, è senza dubbio "nuova" perché i fatti posti a suo fondamento sono completamente diversi da quelli già dedotti nel pendente procedimento di merito.
Il motivo è fondato.
Va premesso che la questione relativa ai due avvisi di mobilità del 25 settembre 2000 è estranea al contenuto dell'atto introduttivo del giudizio e si riferisce a fatti verificatosi successivamente al deposito del ricorso avvenuto il 22 maggio 2000. La suddetta questione è stata, infatti, per la prima volta prospettata dal dott. YY1 con ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. depositato in corso di causa il 25 ottobre 2000, con il quale il dott. YY1, premesso che l'Azienda USL, con due note in data 25 settembre 2000, aveva pubblicato due avvisi di mobilità volontaria, il primo per il trasferimento di dieci tecnici sanitari di radiologia medica e di cinque operatori professionali sanitari infermieri presso il Presidio Ospedaliero di Piacenza, U.O. Radio Diagnostica II, ed il secondo per il trasferimento di sei dirigenti medici - disciplina radiodiagnostica (ex I livello) sempre presso la suddetta Unità Operativa e che tali deliberazioni avevano evidenziato una grave e palese violazione del suo diritto alle mansioni, garantito dagli articoli 2103 cod. civ. e 55 d.lgs. n. 29/93, ha chiesto che venisse inibito alla convenuta Azienda USL di dare attuazione ai provvedimenti del 25 settembre 2000 ed alle procedure di mobilità in essi previste in relazione alle risorse umane assegnate al reparto da lui diretto.
Nell'ordinanza resa all'udienza del 29 maggio 2001, il primo giudice ha autorizzato il difensore del dott. YY1 ad integrare le conclusioni di merito, già assunte con il ricorso introduttivo, con la formale richiesta di disapplicazione degli avvisi di mobilità del 25 settembre 2000, rilevando che esse inerivano a "fatti sopravvenuti in corso di causa connessi oggettivamente alla domanda contenuta nel ricorso principale", tendenti ad evidenziare un aggravamento dell'originario demansionamento. "Non si ha", ad avviso del Tribunale "una domanda nuova ma un ampliamento del fatto costitutivo e del petitum per eventi sopravvenuti che non incidono sulla causa petendi iniziale e che, pertanto, rendono ammissibile l'integrazione" Secondo il primo giudice, infine, la domanda era ammissibile anche perché l'Azienda convenuta aveva accettato sul punto il contraddittorio, svolgendo le proprie difese di merito.
L'affermazione del Tribunale di Piacenza non merita di essere condivisa perché in contrasto con il principio, ripetutamente ribadito dai giudici di legittimità (v., fra le tante, Cass. n. 4538/00; n. 5840/00; 9401/00; 6794/02; n. 12133/03; n. 14599/04) secondo cui costituisce domanda nuova quella che, introducendo un nuovo petitum o una nuova causa petendi, comporti la prospettazione di una diversa situazione giuridica con mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere sì da dilatare il tema di indagine mediante sostanziale alterazione dell'oggetto dell'azione e dei termini della controversia. In particolare, si è precisato che si ha domanda nuova per modificazione della causa petendi quando vengono aggiunti presupposti di fatto che alterano l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia introducendo un diverso tema di indagine. In sostanza, nel processo del lavoro, si ha introduzione di domanda nuova per modificazione della causa petendi, quando il fatto che giustifica la pretesa sia alterato nei suoi elementi materiali e, quindi, non sia in questione solamente una diversa qualificazione giuridica del rapporto e degli stessi fatti già acquisiti al processo.
Va, poi, precisato che, secondo costante giurisprudenza della suprema Corte (v., in particolare, Cass. n. 8423/01), nel rito del lavoro, mentre è consentita - sia pure previa autorizzazione del giudice - la modificazione della domanda (emendatio libelli), non è ammissibile la proposizione di una domanda nuova per mutamento della causa petendi o del petitum, neppure con il consenso della controparte manifestato, espressamente, con l'esplicita accettazione del contraddittorio o, implicitamente, con la difesa di merito; e ciò perché, in detto rito, la rigida disciplina della fase introduttiva del giudizio risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano. In altri termini, il consentire all'attore, nel corso del giudizio, di porre a fondamento della domanda, di cui al ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., fatti non esplicitati in detto ricorso si traduce nella negazione dei principi caratterizzanti il rito del lavoro, perché impedisce una sollecita definizione della lite; legittima, in sede di prima udienza, l'interrogatorio delle parti su fatti non definitivamente individuati; incide, più in generale, sul regolare andamento dell'udienza di discussione ex art. 420 cod. proc. civ., privando tra l'altro il giudice di una piena conoscenza della lite necessaria per un corretto svolgimento della sua attività conciliativa. A tale riguardo si è anche evidenziato che se - in caso di mancata deduzione dei fatti nel ricorso e di omessa produzione dei documenti in violazione degli articoli 414 e 420, comma 4, cod. proc. civ. - si consentisse al ricorrente di dedurre nuovi fatti e produrre nuovi mezzi di prova si andrebbe contro la "ratio" del processo del lavoro, perché si consentirebbe una riapertura dei termini per proporre nuove prove in prima udienza (v., sul punto, Cass. n. 3810/99).
Nel caso di specie, non può porsi in dubbio che la domanda, con la quale il dott. YY1 ha chiesto la disapplicazione degli avvisi di mobilità del 25 settembre 2000, si presenta come domanda nuova rispetto a quella iniziale spiegata dallo stesso sanitario per ottenere, previo accertamento della illegittimità degli atti della Azienda USL di Piacenza n. 148/1999; n. 298/27/V; n. 141/2000 e degli altri indicati in premessa per violazione dell'articolo 2103 cod. civ. e dell'art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, la condanna dell'Azienda convenuta ad assegnarlo alle mansioni svolte prima del 29 gennaio 1999 o ad altre equivalenti ed al risarcimento danno. Va, infatti, evidenziato che la questione relativa agli avvisi di mobilità ha comportato, innanzitutto, un estensione del petitum, inteso sotto il profilo formale come provvedimento giurisdizionale richiesto e sotto l'aspetto sostanziale come bene della vita che si intende tutelare, come comprovato dalla circostanza che la difesa del dott. YY1 ha dovuto, all'udienza di discussione, ampliare le conclusioni, a suo tempo rassegnate nell'atto introduttivo del giudizio, chiedendo per la prima volta che venissero disapplicati gli atti adottati dall'Azienda USL "già oggetto delle conclusioni del ricorso cautelare" ed, altresì, riformulando la domanda di condanna al risarcimento del danno con riguardo anche "agli atti e comportamenti sopravvenuti in corso di causa descritti nel ricorso ai sensi dell'art. 669 quater"; ed ha, altresì, inciso sulla struttura della causa petendi che, con l'aggiunta di un fatto nuovo - la pubblicazione degli avvisi di mobilità - verificatosi successivamente al deposito del ricorso introduttivo, è stata alterata nei suoi elementi materiali, con l'introduzione di un diverso tema di indagine.
Nella specie, quindi, la deduzione degli avvisi di mobilità, con il ricorso d'urgenza depositato in corso di causa, ha comportato la proposizione di una domanda nuova, fondata su presupposti di fatto volti ad alterare gli iniziali termini della controversia e ad introdurre un nuovo tema di indagine.
Inoltre, come ritenuto dal supremo Collegio nella sentenza n. 1434/97, la disciplina prevista dall'art. 420, comma primo, circa il divieto della proponibilità di domande nuove nel corso del giudizio di primo grado opera nell'ambito di quel determinato procedimento cui la domanda che si assume modificata abbia dato luogo, di guisa che la parte - che abbia già proposto un determinato ricorso delle particolari domande - può comunque proporne delle ulteriori, nei confronti del medesimo convenuto, con un nuovo e separato ricorso, che ben può essere riunito al primo per ragioni di economia processuale, sempre che il secondo ricorso possieda i requisiti di forma previsti dall'art. 414 cod. proc. civ. ed abbia seguito l'iter prescritto dall'art. 415 cod. proc. civ. Ciò significa che, nella specie, la questione relativa agli avvisi di mobilità, pur non potendo essere dedotta nell'ambito del presente procedimento perché domanda nuova, avrebbe ben potuto formare oggetto di un ulteriore ricorso ex articolo 414 cod. proc. civ. che, una volta radicato il contraddittorio ai sensi degli articoli 415 e 416 cod. proc. civ., avrebbe dovuto essere riunito a quello introduttivo di questo giudizio. Il dott. YY1, anziché seguire tale percorso, ha preferito dedurre la questione degli avvisi di mobilità con un ricorso d'urgenza depositato in corso di causa, ed ha, quindi, finito per introdurre una domanda nuova in violazione del divieto posto dall'art. 420, primo comma, cod. proc. civ.
Va, di conseguenza, ritenuta la non ammissibilità - perché nuova - della domanda volta ad ottenere la disapplicazione degli avvisi di mobilità del 25 settembre 2000 e la condanna al risarcimento del danno anche in relazione a questi fatti, con riforma sul punto della statuizione del Tribunale di Piacenza.
2. Con il primo, complesso, motivo d'appello, l'Azienda USL di Piacenza censura l'impugnata sentenza per avere dichiarato l'illegittimità e l'inefficacia dei provvedimenti n. 148/99; 298/27/V e 141/2000, per avere accertato il diritto del dott. YY1 a svolgere tutte le mansioni precedenti al 29 gennaio 1999 o equivalenti e per averla condannata a reintegrare il primario in tutte le mansioni svolte anteriormente al 29 gennaio 1999 o equivalenti ed al risarcimento del danno, quantificato in una somma pari a Lire 5.000.000 al mese dal 29 gennaio 1999 fino alla effettiva e totale reintegrazione nelle mansioni in precedenza svolte.
In estrema sintesi, l'Azienda sanitaria appellante sostiene che:
- la costituzione del dipartimento, al quale era stato preposto il dott. YY2, rappresenta una scelta obbligata, imposta dall'esigenza di attuare i nuovi modelli organizzativi previsti dal decreto "Bindi" n. 229/99;
- le scelte aziendali che hanno condotto al trasferimento di personale dal reparto diretto dal dott. YY1 a quello diretto dal dott. YY2 sono esempio di buona amministrazione e, comunque, non sono sindacabili da parte del giudice;
- ha errato il primo giudice nello scrivere che il dott. YY1 avrebbe la qualifica di dirigente secondo livello, perché non esistono in realtà diversi livelli, ma un unico bacino, il c.d. ruolo unico, all'interno del quale tutti i dirigenti medici hanno un'unica qualifica;
- l'art. 2103 cod. civ. non è applicabile al rapporto dirigenziale medico;
- l'art. 52 del d.lgs. n. 165/01 non è applicabile ai dirigenti della sanità;
- il dott. YY1 non ha subito alcuna dequalificazione perché l'Amministrazione non ha posto in essere un mutamento dell'oggetto dell'incarico.
Il motivo è fondato.
Va premesso che, dal 3 maggio 1993, il dott. YY1 svolge le funzioni di primario presso l'Unità Operativa di Radiologia Diagnostica del Presidio Ospedaliero di Piacenza.
Il dott. YY1 lamenta, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, che l'Azienda sanitaria, attuale appellante, abbia attuato "sistematicamente un intervento di svuotamento delle mansioni" assegnategli in palese violazione dell'art. 2103 cod. civ. e dell'articolo 56 del d.lgs. n. 29 del 1993 (v., ricorso, pag. 11). Più specificamente, l'attuale appellato ha ravvisato in tre provvedimenti dell'Azienda USL gli atti in base ai quali gli sarebbero state sottratte parte delle funzioni primariali di sua competenza.
Il primo di questi atti è la decisione del Direttore Generale n. 148/1999 del 29 gennaio 1999 (doc. 5 YY1), con la quale l'Amministrazione appellante ha deciso, fra l'altro, di confermare in capo al dott. U. "la supervisione dell'attività Diagnostica ed Interventistica svolta nella sala vascolare del Servizio di Radiologia del P.O. di Piacenza, con presenza ed attività operativa di due giorni alla settimana" e di assegnare al medesimo dott. YY2 la "formazione professionale in indagini Eco - Color - Doppler di radiologi dell'AUSL di Piacenza per un potenziamento della relativa attività di diagnostica"; attività queste svolte, fino al gennaio 1999, dal Reparto di Radiologia del Presidio Ospedaliero di Piacenza da lui diretto (v. ricorso pag. 7).
Il secondo atto è rappresentato dalla lettera del Dirigente Medico n. 298/27/V del 18 febbraio 1999 (doc. 7 YY1), con la quale l'Azienda sanitaria ha comunicato al dott. YY1 la sottrazione dei compiti disposta con la delibera n. 148/99 e lo ha invitato a "rapportarsi con il dott. U., perché, in tempi brevi, possano essere definiti, in ordine all'attività di cui sopra, indirizzi operativi e modalità di attuazione".
Il terzo è, infine, è costituito dalla decisione del Direttore Generale n. 141/2000 del 3 febbraio 2000 (doc. 9 YY1), con la quale erano state affidate al Responsabile delle Funzioni Radiologiche Inter Presidi, dott.YY2, Dirigente Medico di secondo livello - chiamato a questo incarico nel febbraio 1999 (doc. 8 YY1), "la gestione delle risorse umane, tecnologiche e finanziarie dei Servizi di Radiologia dell'ambito cittadino, a far data dal 1 marzo 2000", dando atto che "resta ferma l'autonomia clinica delle Rispettive UU.OO di Radiologia del Presidio Ospedaliero di Piacenza nonché l'autonomia clinica dei Responsabili di Servizio" cui verranno "assegnate, fra quelle attualmente in dotazione, risorse appropriate e da individuarsi in correlazione alle attività di competenza". Secondo il dott. YY1, si tratterebbe di un provvedimento indicativo di un preciso intento discriminatorio nei suoi confronti dato che, nonostante che al Dipartimento diretto dal dott. YY2 afferiscano anche le Unità Operative radiologiche di Fiorenzuola D'Arda e di Castel San Giovanni, esso ha efficacia "solo ed esclusivamente nei confronti dei Servizi radiologici dell'ambito cittadino, id est solo ed esclusivamente nei confronti del Reparto radiologico" da lui diretto (v., ricorso pag. 8).
Nel ricorso, il dott. YY1 ha, altresì, evidenziato che il suo rapporto con il dott. YY2 era stato contrassegnato da "crescenti tentativi del primo di limitare in misura sempre maggiore l'autonomia dirigenziale del secondo, ad esempio contestando ogni sua forma di gestione autonoma delle risorse umane, finanziarie e strumentali necessarie per l'autonoma conduzione del Reparto diretto dall'esponente" (v. ricorso pag. 7), come dimostrato dal verbale dell'assemblea dei medici radiologi del Presidio Ospedaliero di Piacenza del 14 marzo 2000 (doc. 10 YY1), dal quale emerge che il dott. YY2 in realtà pretende di esautorarlo di ogni autonoma mansione gestionale, essendosi riservato il potere di decidere sulle ferie e sulla partecipazione a congressi e corsi di aggiornamento e di modificare ogni sua decisione sui turni di lavoro.
3. Ciò posto, va rilevato che la domanda proposta dal dott. YY1 pone la questione della tangibilità o meno delle prerogative connesse all'incarico dirigenziale conferito ad un dirigente medico di struttura complessa durante il periodo della sua vigenza; se, cioè, l'amministrazione datrice di lavoro può - ed eventualmente entro che limiti - esercitare lo ius variandi nell'ambito dell'arco temporale di durata dell'incarico conferito al dirigente medico.
Giova, al riguardo, premettere che anche la dirigenza sanitaria rimane soggetta alla disciplina generale degli incarichi di funzione dirigenziale dettata per i dirigenti delle amministrazioni statali dall'articolo 19 del d.lgs. n. 29 del 1993, le cui norme sono state trasfuse nell'art. 19 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e poi modificate dalla legge 15 luglio 2002, n. 145. Si può, infatti, ritenere che, nel comparto della sanità, il richiamo alla normativa generale dei dirigenti, posto dapprima dall'articolo 26 del d.lgs. n. 29/93 e poi dall'art. 26 del d.lgs. n. 165/01, - dal quale il riferimento all'art. 19 è stato soppresso soltanto per esigenze sistematiche di coordinamento, di redazione e di aggiornamento della disposizione -, fondi su solide basi normative, le cui radici vanno ricercate nell'articolo 3 bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, il cui comma 14 ha, espressamente, disposto che "il rapporto di lavoro del personale del Servizio sanitario nazionale è regolato dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni". Inoltre, con specifico riferimento al personale dirigenziale della sanità, il secondo comma dell'art. 15 dello stesso d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, ha, apertamente, affermato che "la dirigenza sanitaria è soggetta alla disciplina generale prevista dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, salvo quanto previsto nel presente decreto". Infine, l'articolo 15 ter del d.lgs. n. 502/92 - aggiunto dal d.lgs. n. 229/99 -, nel disporre che agli incarichi di cui all'articolo 15, comma 4, cioè quelli di natura professionale e di direzione di struttura semplice, si applica l'articolo 19, comma 1, del d.lgs. n. 29 del 1993 e successive modificazioni, conferma ulteriormente l'esistenza per la dirigenza sanitaria di un rinvio generalizzato alla normativa contenuta nel d.lgs. n. 29 del 1993 più volte richiamato.
Possono, quindi, essere utilmente richiamate le considerazioni di ordine generale svolte dalla suprema Corte nella sentenza n. 5659/04 secondo cui nel nuovo sistema del lavoro cd "privatizzato" (rectius, contrattuale) alle dipendenze di amministrazioni pubbliche statali, la 'qualifica dirigenziale' non esprime più una posizione lavorativa inserita nell'ambito di una "carriera" e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l'idoneità professionale del dipendente, che tale qualifica ha conseguito mediante il contratto di lavoro stipulato all'esito della prevista procedura concorsuale (e conseguente iscrizione prima nel ruolo unico, oggi nei diversi ruoli previsti dall'art. 23, novellato) a svolgerle concretamente (l'inapplicabilità dell'art. 2103 cod. civ. al lavoro pubblico dirigenziale è sancita espressamente dall'art. 19, comma 1, del decreto).
Il dirigente svolge le funzioni inerenti alla qualifica solo per effetto del conferimento, a termine, di un incarico dirigenziale, conferimento che, nel testo previgente dell'art. 19, consta di un atto in forma di decreto (non espressamente menzionato solo per gli incarichi dirigenziali conferiti dal dirigente di ufficio dirigenziale generale, ma tuttavia da ritenere ugualmente richiesto, attesa la considerazione sperata del contratto rispetto all'atto di conferimento) e di un contratto al quale è demandata la definizione dell'oggetto, degli obiettivi da conseguire, della durata del trattamento economico.
Nel nuovo testo dell'articolo 19, invece, "tutti gli incarichi di funzione dirigenziale nelle amministrazione statali" sono conferiti mediante "provvedimento", al quale "accede" un contratto individuale abilitato a definire il "corrispondente trattamento economico". Dunque, da una parte, è stato chiarito che il regime giuridico è identico per tutti gli incarichi dirigenziali; per altra parte, si è stabilito che mediante provvedimento (non più con il contratto, come nella disciplina precedente) vengono individuati l'oggetto dell'incarico e gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti negli atti di indirizzo, alla durata dell'incarico, entro i termini massimi previsti dalla legge, in relazione agli obiettivi prefissati".
Ciò posto, va rilevato che il primo comma dell'art. 19 del d.lgs. n. 29 del 1993, espressamente, stabilisce che "al conferimento degli incarichi ed al passaggio ad incarichi diversi non si applica l'articolo 2103 del codice civile". Tale norma esprime, con estrema chiarezza, il principio della estraneità alla dirigenza pubblica delle disposizioni dettate dall'articolo 2103 cod. civ., e trova il suo fondamento nel nuovo sistema introdotto dal legislatore per il conferimento degli incarichi dirigenziali, nel cui ambito lo svolgimento delle funzioni dirigenziali è scorporato dalla qualifica di dirigente ed avviene mediante il conseguimento di singoli incarichi a tempo determinato, che sono assegnati in relazione alla natura ed alle caratteristiche degli obiettivi prefissati e delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, la cui prestazione è soggetta a periodica verifica dei risultati (art. 20 del d.lgs. n. 29 del 1993, ora art. 20 del d.lgs. n. 165 del 2001) può dare luogo a quella forma particolare di responsabilità per il mancato raggiungimento degli obiettivi e per l'inosservanza delle direttive delineata dall'art. 21 dello stesso decreto legislativo n. 29/93, ora art. 21 del d.lgs. n. 165/01. Come è stato, autorevolmente, osservato da un'attenta dottrina, la ratio della scelta del legislatore risiede nell'esigenza di ampliamento della libertà che deve avere l'amministrazione di conformare la prestazione del dirigente agli obiettivi ed agli strumenti a disposizione per perseguire il fine pubblico. Essendo il dirigente il soggetto chiave in quell'azione amministrativa che gli organi di governo dell'ente sono in grado di determinare nei fini, nel momento del conferimento viene garantita una più ampia libertà di scelta di colui che maggiormente pare in grado di assicurare un'azione efficace e coerente, cedendo in cambio la garanzia della stabilità temporale, sempre che le sole verifiche periodiche dei risultati mostrino in re ipsa la persistente sintonia di azione.
Altre norme, poi, confermano la non applicabilità alla dirigenza sanitaria dell'articolo 2103 cod. civ. In particolare, il quinto comma dell'articolo 15 ter del d.lgs. n. 502/92, aggiunto dall'articolo 13 del d.lgs. n. 229/99, espressamente, stabilisce che "il dirigente preposto a una struttura complessa è sostituito, in caso di sua assenza o impedimento, da altro dirigente della struttura o del dipartimento individuato dal responsabile della struttura stessa; alle predette mansioni superiori non si applica l'articolo 2103, comma prima, del codice civile".
Sebbene tale norma si presti ad una lettura non univoca, potendosi atteggiare a specificazione della generale inapplicabilità della disposizione codicistica oppure, come ritenuto da alcuni, come eccezione che conferma la regola, la sua corretta interpretazione non può prescindere dal tessuto normativo nella quale è stata inserita, caratterizzato dall'intima connessione della disciplina della dirigenza sanitaria con la regolamentazione generale della dirigenza pubblica prevista dal d.lgs. n. 29/93 e successive modificazioni ed integrazioni. Del resto, non solo il primo comma dello stesso articolo 15 ter, espressamente, richiama il primo comma dell'articolo 19 del d.lgs. n. 29 del 1993 relativamente alla regolamentazione degli incarichi di natura professionale e di direzione di struttura, ma il successivo comma 3 sempre del predetto articolo 15 ter contiene una disposizione presupponente la non applicabilità dell'articolo 2103 cod. civ. agli incarichi di direzione di struttura complessa. E' stabilito, infatti, che "il dirigente non confermato alla scadenza dell'incarico di direzione di struttura complessa è destinato ad altra funzione con il trattamento economico relativo alla funzione di destinazione previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro; contestualmente viene reso indisponibile un posto di organico del relativo profilo". Tale norma enuncia, quindi, il principio che il dirigente di struttura complessa - non confermato alla scadenza nell'incarico - non conserva il diritto alla conferma o all'assunzione di un altro incarico sempre di struttura complessa, ma può essere destinato o a funzioni di natura professionale, consulenza, studio e ricerca, nonché a funzioni ispettive, di verifica e di controllo - come previsto dal successivo comma quattro - oppure ad altro incarico che non necessariamente dovrà essere di primo livello, come confermato dall'inciso secondo cui viene reso indisponibile un posto in organico del relativo profilo.
Va, poi, aggiunto che, come previsto dall'art. 15 del d.lgs. n. 502/92, "la dirigenza sanitaria è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, ed in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali". Da ciò consegue che per l'assegnazione, a termine, degli incarichi, l'azienda sanitaria attinge all'interno di un unico bacino, il c.d. ruolo unico, dove sono collocati tutti i dirigenti medici, anche se non tutti avranno l'anzianità e le caratteristiche soggettive per accedere agli incarichi più importanti e prestigiosi.
L'articolo 15, comma 4 del d.lgs. n. 502/92, dopo le modifiche apportate con il d.lgs. 28 luglio 2000, n. 254, stabilisce che al dirigente sanitario, all'atto della prima assunzione, sono affidati compiti professionali con precisi ambiti di autonomia da esercitare nel rispetto degli indirizzi del dirigente responsabile della struttura e sono attribuite funzioni di collaborazione e corresponsabilità nella gestione delle attività. La stessa norma prevede, poi, che al dirigente medico, con cinque anni di attività con valutazione positiva, sono attribuite funzioni di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca, ispettive, di verifica e di controllo, nonché possono essere attribuiti incarichi di direzione di strutture semplici, in ordine ai quali, però, il primo comma del successivo art. 15 ter opera una delimitazione, consentendone, infatti, l'attribuzione "compatibilmente con le risorse finanziarie a tal fine disponibili" e in relazione "al numero degli incarichi e delle strutture stabiliti nell'atto aziendale di cui all'art. 3, comma 1 - bis, tenendo conto delle valutazioni triennali del collegio tecnico". Esistono, infine, gli incarichi di struttura complessa, come quello conferito al dott. YY1, i quali comportano funzioni di direzione e organizzazione di una struttura (art. 15, comma 6, d.lgs. n. 502/92), individuata come complessa dall'atto aziendale previsto dall'art. 3, comma 1 bis. Anche l'attribuzione dell'incarico di struttura complessa - della durata di cinque anni e rinnovabile - è effettuata dal direttore generale, il quale attua la sua scelta sulla base di una rosa di canditati idonei selezionata da un'apposita commissione (art. 15 ter, comma 2, d.lgs. n. 502/92).
Da ciò consegue che la dirigenza sanitaria è articolata su un'unica qualifica, nella quale sono posti tutti i dirigenti, che ricevono incarichi a termine, con contratti integrativi di quello lavorativo. Non può essere pertanto condiviso l'assunto del primo giudice, secondo cui il dott. YY1 avrebbe rivestito la "qualifica di Dirigente di secondo livello" (v., sentenza, pag. 7), giacché, per legge, i medici sono tutti collocati in un'unica qualifica e l'attività da essi prestata si differenzia soltanto sulla base degli incarichi, temporanei, che sono loro affidati.
Da ciò consegue, altresì, l'erroneità della interpretazione delle disposizioni della contrattazione collettiva del settore prospettata dal Tribunale di Piacenza, il quale ha affermato che "non è assolutamente vero infatti che nell'ambito della dirigenza medica non vi siano profili professionali graduati" (v., sentenza pag. 12).
Il grave errore ermeneutico compiuto dal primo giudice consiste proprio nel non avere considerato che le disposizioni della contrattazione collettiva non possono porsi in contrasto con la speciale normativa della dirigenza sanitaria prevista dalla legge ed, in particolare, con il primo comma dell'art. 15 del d.lgs. n. 502/92, secondo cui la dirigenza sanitaria "è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, e in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali". Del resto, il già citato primo comma dell'art. 15 rimanda alla contrattazione collettiva di stabilire "in conformità ai principi e alle disposizioni del presente decreto" i criteri generali "per la graduazione delle funzioni dirigenziali nonché per l'assegnazione, valutazione e verifica degli incarichi dirigenziali e per l'attribuzione del relativo trattamento economico accessorio correlato alle funzioni attribuite e alle connesse responsabilità di risultato".
Quindi, la tipologia degli incarichi, prevista dall'art. 27 del c.c.n.l. dell'Area medica dell'8 giugno 2000 (doc. 35 YY1), secondo cui si distinguono a) gli incarichi di direzione di struttura complessa, b) gli incarichi di direzione di struttura semplice, c) gli incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e ricerca, ispettivi di verifica e di controllo e d) gli incarichi di natura professionale conferibili ai dirigenti con meno di cinque anni di attività, non rappresenta altro che una esplicazione - sul piano contrattuale - di quanto già previsto dal d.lgs. n. 502 del 1992 e, pertanto, da essa non possono essere tratti argomenti per supportare una diversa interpretazione delle norme contenute nella fonte superiore, dovendosi anzi ricordare che, in questa materia, le clausole contrattuali poste in violazione della legge debbono essere considerate nulle.
Allo stesso modo, deve essere letta la disposizione contenuta nel secondo comma dell'articolo 27 citato, secondo cui "la definizione della tipologie degli incarichi di cui alle lettere b) e c) è una mera elencazione che non configura rapporti di sovra o sotto ordinazione degli incarichi, la quale discende esclusivamente dall'assetto organizzativo aziendale e dalla graduazione delle funzioni". Anche questa disposizione contrattuale si limita, infatti, a riportare quanto è già presente nella legge, e secondo cui il livello dirigenziale anche se unico è articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali, ed il numero degli incarichi e delle strutture è stabilito nell'atto aziendale di cui all'art. 3, comma 1, bis, del d.lgs. n. 502/92. Ciò significa, in altri termini, che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, il contratto collettivo non ha stabilito - come non poteva assolutamente fare - dei rapporti gerarchici fra le varie tipologie di incarico da affidare ai dirigenti medici, ma si è limitato a definire la correlazione tra i singoli incarichi, così come astrattamente delineati dalla legge, e le articolazioni interne della azienda sanitaria, come definite, in concreto, dall'atto di cui all'art. 3, comma 1 bis, del d.lgs. n. 502/92. Poiché ad ogni incarico consegue una differente responsabilità professionale e gestionale, la contrattazione collettiva non ha fatto altro che specificare la disciplina di dettaglio per consentire l'assegnazione dei singoli incarichi in relazione alla sua organizzazione concreta, ribadendo quanto già era comunque presente nella legge e, cioè, che gli incarichi di direzione di struttura complessa comportano anche "funzioni di direzione e organizzazione della struttura" (art. 15 comma 6 d.lgs. n. 502/92), di guisa che essi implicano delle potestà gestionali di risorse umane, tecniche o finanziarie.
Né elementi di natura diversa possono essere tratti dall'articolo 28 del contratto, disciplinante l'affidamento e la revoca degli incarichi dirigenziali, nella parte in cui, alla lettera g) del comma 6, espressamente esclude, nel conferimento degli incarichi e per il passaggio ad incarichi di funzione dirigenziali diverse, l'applicazione dell'art. 2103 cod. civ. "data l'equivalenza delle mansioni dirigenziali". Tale norma, infatti, si limita, ancora una volta, a ribadire il principio, più volte espresso dalla vigente legislazione anche per la dirigenza sanitaria, della non applicazione dell'art. 2103 cod. civ. al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali. La circostanza, poi, che l'affidamento e la revoca degli incarichi di direzione di struttura complessa sia disciplinata in altra norma contrattuale - nel successivo articolo 29 - non è però idonea a determinare l'equivoco interpretativo in cui è incorso il primo giudice, dato che la contrattazione collettiva non poteva, ancora una volta, che prendere atto della volontà del legislatore - chiaramente espressa nel comma 7 dell'art. 15 del d.lgs. n. 502/92 - di riservare questa tipologia particolare di incarichi a coloro che fossero in possesso dei requisiti previsti dal d.p.r. 10 dicembre 1997, n. 484, e di adottare per la scelta del dirigente medico quella particolare procedura stabilita dallo stesso d.p.r. n. 484/97, con l'integrazione prevista dal comma 2 del successivo articolo 15 ter e per la nomina del direttore del dipartimento le modalità introdotte dall'art. 17 bis, comma 2, del d. legs. n. 502/92. In sostanza, l'articolo 28 del c.c.n.l. 8 giugno 2000 si limita a ricordare l'equivalenza di tutte le mansioni dirigenziali, già disposta dal legislatore, come principio la cui esistenza è pacifica e generalizzata. Il successivo articolo 29, comma 4, nel precisare che "i criteri per il per il rinnovo previsti dall'art. 28, comma 6" - inapplicabilità dell'art. 2103 cod. civ. compresa - "sono integrati da elementi di valutazione ..." non fa altro che ribadire la generale estraneità delle disposizioni contenute nell'articolo 2103 cod. civ. al conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa. Se, poi, si leggono i due articoli - ed in particolare il comma 6 dell'articolo 28 ed il comma 4 dell'art. 29, in stretta connessione fra loro, si ha la definitiva conferma che l'articolo 2103 cod. civ. non trova applicazione né all'affidamento ed alla revoca degli incarichi dirigenziali di tipo professionale o di direzione di struttura semplice, né all'affidamento ed alla revoca degli incarichi dirigenziali di struttura complessa. Con ciò, quindi, la contrattazione collettiva - con disposizioni che potrebbero essere considerate di natura ricognitiva - contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, ha riaffermato il principio - già normativamente stabilito - dell'estraneità dell'art. 2103 cod. civ. al conferimento ed alla revoca degli incarichi nel settore della dirigenza sanitaria.
In altri termini, la contrattazione collettiva non ha posto le mansioni del dirigente di struttura complessa ad un livello professionale più elevato rispetto alle altre tipologie di incarichi dirigenziali da essa previste, ma si è, più semplicemente, limitata ad attuare le rigide prescrizioni di legge, secondo le quali nell'ambito dell'unica qualifica dirigenziale coesistono diverse responsabilità professionali e gestionali e l'accesso ai singoli incarichi dirigenziali è condizionato sia dal possesso di particolari requisiti soggettivi e di anzianità di servizio sia dal rispetto di procedure selettive diversificate.
4. Ciò detto, non possono essere, assolutamente, condivise le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, secondo cui quando altre norme di legge, contenute nel decreto legislativo n. 29 del 1993 e successive modificazioni ed integrazioni, si richiamano all'art. 2103 cod. civ., per escluderlo o invocarlo, esse non possono che riferirsi a quelle uniche fattispecie da quest'ultimo disciplinate - ricavate dalla comparazione del contenuto dell'art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, recante la disciplina delle mansioni superiori con la disposizione di cui all'articolo 2103 cod. civ. - con la conseguenza che quando l'art. 19 del medesimo decreto legislativo esclude l'art. 2103 cod. civ. nel conferimento o passaggio a mansioni diverse, vuole semplicemente impedire "in modo assoluto ipotesi di promozione automatica nell'area dirigenziale, anche a opera dei contratti collettivi, giustamente preoccupandosi che un automatismo di tal genere possa trovare troppo facili abusi" (v., sentenza, pag. 8-10).
Il procedimento ermeneutico seguito dal Tribunale di Piacenza si appalesa fragile fin dal suo presupposto.
Va, infatti, osservato che, secondo quanto previsto dall'art. 2, ed, in particolare, dalla direttiva contenuta nella lettera n), della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, dalla quale sono poi scaturite le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 29 del 1993, l'articolo 2103 cod. civ. non è applicabile nel settore del pubblico impiego.
Il decreto delegato - n. 29 del 1993 -, emanato in attuazione della delega contenuta nella legge n. 421 del 1992, nel cui corpo unitario si trovano sia l'articolo 19, che sancisce l'inapplicabilità della tutela codicistica alle mansioni dei dirigenti sia l'articolo 56 che deroga a quella tutela per i restanti dipendenti, cioè per il personale inquadrato nelle ex qualifiche funzionali, non può, quindi, essere interpretato se non alla luce della direttiva contenuta alla lettera n) dell'articolo 2, secondo cui la disciplina delle mansioni di cui all'art. 2103 cod. civ. è estranea al pubblico impiego. Ne consegue che la ripetuta esclusione dell'applicabilità ai dirigenti dell'art. 2103 cod. civ. va intesa come riflesso - per la categoria dirigenziale pubblica - del più generale divieto di applicazione dell'art. 2103 cod. civ. al pubblico impiego. Del resto, seguendo l'opzione interpretativa seguita dal primo giudice, se si dovesse necessariamente procedere dal confronto tra l'art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993 e l'art. 2103 cod. civ. per comprendere il significato del rinvio attuato da altre norme dello stesso decreto legislativo all'art. 2103 cod. civ., rischierebbe di diventare superflua e priva di senso l'esclusione dell'applicabilità dell'art. 2103 cod. civ. ai dirigenti pubblici espressamente sancita dall'art. 19 del d.lgs. n. 29 citato. In realtà, proprio in forza del principio direttivo contenuto nella legge delega, la disposizione contenuta nell'art. 2103 cod. civ. è, comunque, estranea al pubblico impiego e, quindi, non è applicabile ai dirigenti anche a prescindere dal contenuto dell'art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993. Ne consegue, quindi, che l'esplicita esclusione di applicabilità al dirigente pubblico in generale contenuta nell'art. 19 del d.lgs. n. 29 del 1993 e a quello sanitario, in particolare, ribadita dal d.lgs. n. 502 del 1992, deve essere intesa nel senso fatto palese dal significato delle parole secondo la connessione di esse, secondo il fondamentale canone della interpretazione letterale della legge fissato dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, e cioè come deroga espressa ed onnicomprensiva della tutela codicistica delle mansioni per la imprescindibile incompatibilità con il sistema degli incarichi dirigenziali voluto dal legislatore della riforma.
Merita, poi, censura lo stesso procedimento ermeneutico utilizzato dal primo giudice, che, per stabilire il campo di applicazione dell'art. 2103 cod. civ., ha comparato il contenuto normativo dell'art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, considerato quale disposizione specifica e quindi con precedenza assoluta ed immediata nel rapporto di lavoro pubblico, con quello dell'articolo 2103 cod. civ. sul presupposto della complementarità di tale ultima norma ritenuta "applicabile ai soli casi non previsti dall'art. 56 e non in contrasto con quanto da esso statuito" (v., sentenza, pag. 8 e 9).
In tale modo, però, il Tribunale di Piacenza non solo non ha dato applicazione ai fondamentali canoni ermeneutici, secondo cui la norma giuridica deve essere interpretata innanzi tutto e principalmente dal punto di vista letterale, non potendosi al testo attribuire altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e il criterio di interpretazione teleologica, previsto dall'art. 12 delle preleggi, può assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione di legge sia incompatibile con il sistema normativo, dato che non è consentito all'interprete correggere la norma, nel significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, nell'ipotesi in cui ritenga che l'effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa (v., sul punto e fra le tante, Cass. n. 9700/04; n. 12081/03; n. 5128/01; n. 3495/96), ma ha compiuto una inammissibile e contraddittoria operazione di "taglia-cuci" delle due norme, espungendo parti di frasi o singole parole e senza tenere conto che, nel momento stesso in cui ha ritenuto la specialità della disciplina delle mansioni nel pubblico impiego contenuta nell'art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, ha, per questa sola ragione, escluso l'applicabilità della normativa generale codicistica in base al fondamentale principio che la legge speciale deroga a quella generale.
Ancora, il primo giudice non ha tenuto conto che la deroga all'art. 2103 cod. civ. non derivava dal d.lgs. n. 29 del 1993, bensì dalla richiamata direttiva contenuta nella legge delega n. 421 del 1992, secondo cui il legislatore delegato avrebbe dovuto prevedere che, con riferimento al settore pubblico, in deroga all'articolo 2103 cod. civ., l'esercizio temporaneo di mansioni superiori non attribuisce il diritto all'assegnazione definitiva delle stesse, che sia consentita la temporanea assegnazione con provvedimento motivato del dirigente alle mansioni superiori per un periodo non eccedente tre mesi o per sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto esclusivamente con il riconoscimento del diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e che comunque non costituisce assegnazione alle mansioni superiori l'attribuzione di alcuni soltanto dei compiti propri delle mansioni stesse, definendo altresì criteri, procedure e modalità di detta assegnazione.
Di conseguenza, come esattamente puntualizzato dalla difesa della azienda appellante, il raffronto non può essere operato tra le norme, come ha fatto il primo giudice, bensì tra istituti, con la conseguenza che, se la disciplina delle mansioni è regolata dall'art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, in esecuzione di una specifica direttiva della legge delega contenente la deroga all'art. 2103 cod. civ. nel settore pubblico, tutta la disciplina delle mansioni contenuta nella norma codicistica non è applicabile al pubblico impiego.
In realtà, il primo giudice avrebbe dovuto, più correttamente, aprire la sua analisi interpretativa dall'articolo 19 del d.lgs. n. 29 del 1993, il cui contenuto normativo è direttamente riferibile alla categoria dirigenziale pubblica e, sulla base della formulazione letterale della norma, esaminare l'esplicita esclusione dell'art. 2103 cod. civ. al conferimento degli incarichi ed al passaggio ad incarichi diversi alla luce della previsione, al riguardo, contenuta nella direttiva di cui all'art. 2, lettera n, della legge delega n. 421 del 1992.
Applicando tale criterio interpretativo, emerge, quindi, l'evidente erroneità delle conclusioni alle quali è pervenuto il Tribunale di Piacenza, secondo cui l'esclusione dell'art. 2103 cod. civ. nel conferimento o passaggio a mansioni diverse, disposta dall'art. 19, vuole semplicemente impedire in modo assoluto ipotesi di promozione automatica nell'area dirigenziale, anche ad opera di contratti collettivi diversi, sia perché è incompatibile con la dichiarata inapplicabilità dell'art. 2103 cod. civ. al passaggio ad incarichi dirigenziali diversi, sia per l'unicità della qualifica dirigenziale. In altri termini, posto che non esistono altre qualifiche superiori a quella dirigenziale, non si intende a cosa servirebbe dichiarare non applicabile ai dirigenti la normativa che, ricorrendo certe condizioni, consente la promozione automatica in qualifiche superiori.
In realtà, il legislatore ha voluto, espressamente, sancire la non applicabilità ai dirigenti pubblici dell'art. 2103 cod. civ. in coerenza con la scelta di creare, per la dirigenza, un sistema che, come necessaria conseguenza della distinzione tra le funzioni di indirizzo politico amministrativo e quelle prettamente amministrative di attuazione di tali indirizzi, è caratterizzato dal riconoscimento della necessità di un rapporto di carattere fiduciario tra gli organi di governo ed i dirigenti, inserito nell'ambito della più ampia flessibilità nelle determinazioni di organizzazione operativa e gestionale stabilita dall'art. 2, comma 1, lett. b) del decreto legislativo citato. Di conseguenza, la non applicabilità della normativa codicistica delle mansioni, espressamente enunciata dalla norma, letta in connessione con l'esplicita previsione della temporaneità degli incarichi dirigenziali, non può che essere interpretata in base al suo significato letterale, che è comunque conforme all'assetto complessivo della riforma voluto dal legislatore, secondo cui gli incarichi dirigenziali sono conferiti tenendo conto ma senza le limitazioni derivanti dalla necessità di rispettare l'art. 2103 cod. civ, con esclusione, quindi, della configurabilità di un diritto del dirigente al posto ed alle corrispondenti mansioni, fuori dall'ambito delle previsioni contrattuali.
5. Ciò detto, va rilevato, quanto al caso in esame, che l'Azienda appellante non ha posto in essere alcun mutamento nell'oggetto dell'incarico conferito al dott. YY1 il quale è rimasto, sostanzialmente e formalmente, immutato.
Va, al riguardo, precisato che l'introduzione, ad opera della Azienda USL di Piacenza, della nuova struttura organizzativa del dipartimento non ha, in alcun modo, leso le prerogative connesse all'esercizio dell'incarico di dirigente di struttura complessa a suo tempo conferito al dott. YY1.
La costituzione di una "organizzazione dipartimentale di tutte le unità operative presenti nella struttura, disciplinata dall'atto di cui all'articolo 3, comma 1 - bis, in coerenza con l'articolo 17 - bis" è stata, infatti, imposta dal decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, che ha modificato il d.lgs. n. 502/92 (art. 4, comma 1 - bis d.lgs. n. 502/92).
In particolare, l'articolo 17 bis, primo comma, d.lgs. n. 502/92, stabilisce che "l'organizzazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle Aziende sanitarie" e, in relazione al ruolo del direttore del dipartimento, il comma 2 precisa che "rimane titolare della struttura complessa cui è preposto" e che, comportando la preposizione ai dipartimenti "l'attribuzione sia di responsabilità professionali in materia clinico - organizzativa e della prevenzione sia di responsabilità di tipo gestionale in ordine alla razionale e corretta programmazione e gestione delle risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti ...predispone annualmente il piano delle attività e dell'utilizzazione delle risorse disponibili, negoziato con la direzione generale nell'ambito della programmazione aziendale".
La presente controversia trae origine proprio dalla introduzione, presso l'Azienda sanitaria appellante, del sistema dipartimentale, introdotto dal d.lgs. n. 229/99 e dalla circostanza che il dott. YY2, ovvero il dirigente preposto all'Unità Operativa di Castel San Giovanni e, contestualmente, alla nuova Unità Operativa Radiologica sorta nel Polichirurgico di Piacenza, venne nominato, nel mese di febbraio 1999, anche direttore del neo costituito "Dipartimento radiologico inter - presidi", nel cui ambito era stata, altresì, inserita anche la Unità Operativa di Radiologia diretta dal dott. R.
Va, al riguardo, posto in evidenza che la normativa regionale (legge regione Emilia Romagna n. 19 del 1994, art. 4, comma 4) legittima l'articolazione in dipartimenti delle aziende sanitarie e che il Regolamento dell'Azienda appellante (doc. 8) stabilisce, tra l'altro, che "il dipartimento si configura come struttura sovraordinata rispetto alle Unità Operative che lo compongono relativamente ai processi decisionali concernenti la gestione delle risorse in dotazione, con particolare riferimento al personale, agli spazi operativi, alle attrezzature", precisando che "l'autonomia organizzativa delle Unità Operative è limitata alle risorse specificamente assegnate, mentre è piena la loro autonomia in ordine agli aspetti clinico - assistenziali". Il dipartimento, infatti, ha lo specifico scopo di "migliorare l'efficacia e la qualità dell'intervento sanitario... nonché il livello di efficienza dell'organizzazione attraverso: 1) il riaccorpamento delle funzioni ospedaliere; 2) le economie di scala; 3) la condivisione di attrezzature e risorse in genere; 4) la omogeniezzazione delle risorse in genere ...".
Nella specie, quindi, l'Azienda appellante ha costituito il Dipartimento delle Funzioni Radiologiche, nel cui ambito sono stati inseriti il Servizio di Radiologia di Piacenza, il Servizio di Radiologia di Castel San Giovanni, il Servizio di Radiologia di Fiorenzuala d'Arda, il Servizio di Medicina Nucleare ed il Servizio di Fisica Sanitaria, cui ha preposto il dott. YY2, quale responsabile (atto n. 722 del 13 aprile 1999). Con successiva delibera n. 141 del 2000 - che rientra tra gli atti dalla cui emanazione il dott. YY1 ha fatto discendere l'asserito demansionamento - il Direttore Generale, procedendo dalla premessa che era in fase di realizzazione, presso i locali del Polichirurgico, il nuovo Polo Radiologico del Presidio Ospedaliero di Piacenza, diretto dal dott. YY2 e che il riassetto organizzativo era finalizzato alla creazione di un unico ambito radiologico cittadino sito nel Presidio ospedaliero di Piacenza, idoneo a soddisfare il fabbisogno complessivo, ha deciso di affidare, in attesa di una definizione complessiva degli assetti dipartimentali e nell'ottica di una visione globale unitaria per ciò che concerneva l'ambito cittadino, al Responsabile del Dipartimento Aziendale delle Funzioni Radiologiche la gestione delle risorse umane, tecnologiche e finanziarie dei Servizi di Radiologica dell'ambito cittadino dall'1 marzo 2000 ferma restando "l'autonomia clinica" delle rispettive Unità Operative di Radiologia del Presidio Ospedaliero di Piacenza, cui sarebbero state assegnate fra quelle attualmente in dotazione "risorse appropriate e da individuarsi in correlazione alle attività di competenza".
La delibera n. 141 del 2000, quindi, non solo è coerente con l'organizzazione interna della azienda sanitaria appellante e con le vigenti disposizioni di legge, ma, limitandosi a contenere l'enunciazione delle astratte competenze affidate al direttore del Dipartimento, non è neppure idonea ad incidere, in modo concreto, sulle prerogative spettanti al dott. YY1 nella sua qualità di direttore di struttura complessa, non essendo stato dimostrato il compimento, da parte del dott. YY2, di alcun atto concretamente lesivo della autonomia gestionale spettante al primario radiologo attuale appellato.
Per altro, la delibera n. 141 del 2000 deve essere letta congiuntamente alla successiva decisione del Direttore Generale n. 931 del 7 giugno 2000 (doc. 2, fasc. Azienda AUSL), con la quale - in attuazione alla decisione del giudice del lavoro del 28 aprile 2000 - è stato precisato che al dott. YY1 erano "mantenute, come già in atto anteriormente alla data del 1 marzo 2000, e come, di fatto, mai dismesse, le funzioni di Responsabile dell'U.O. di Radiologia del P.O. di Piacenza meglio precisate nella parte espositiva" e che, quindi, lo stesso dott. YY1, fatta salva la sua autonomia clinica, operativa ed organizzativa - gestionale, avrebbe continuato ad "operare con la necessaria autonomia professionale con responsabilità di risultato, così come previsto dalla disciplina relativa al rapporto di lavoro della dirigenza per ciascuno dei responsabili di struttura complessa".
Ne consegue, quindi, che il dott. YY1 non ha subito alcun demansionamento, sia perché ha continuato ad operare in qualità di direttore di struttura complessa, secondo il contenuto e la finalità dell'incarico dirigenziale a suo tempo affidatogli, sia perché la delibera n. 141 del 2000 - come specificata da quella successiva n. 931 del 2000 - non hanno, in alcun modo, leso le sue prerogative di primario, essendosi limitate - la prima - a enunciare le competenze astrattamente attribuite al Direttore del Dipartimento e - la seconda - a ribadire l'autonomia, clinica e gestionale, del dott. YY1 quale Direttore di struttura complessa.
Per altro, l'istruttoria orale, condotta nel presente grado del giudizio con l'audizione dei testi C.C. e C.R., ha consentito di confermare che la costituzione del dipartimento delle funzioni radiologiche è intervenuta quale parte integrante di un progetto di complessiva riorganizzazione e potenziamento del servizio radiologico gestito dalla azienda sanitaria appellante; che il reparto di radiologia 2 presso il nuovo Polichirurgico, diretto dal dott. YY2, è stato, effettivamente, inaugurato nel mese di ottobre 2000 ed è entrato in funzione nei successivi mesi di novembre - dicembre 2000 e che, al termine della ristrutturazione, l'Unità Operativa diretta dal dott. YY1 avrebbe mantenuto l'attuale servizio radiologico presso l'ospedale vecchio, con piena giurisdizione su tutti i reparti ospedalieri allocati fuori dal Polichirurgico, quali le due medicine, l'infettivologia, l'oncologia, la lunga degenza e la neurologia; assorbito l'attività radiologica svolta dall'ex dispensario di Piacenza; accorpato la radiologia del distretto cittadino e quella di B. Inoltre, sempre secondo le prove orali, avrebbero continuato ad afferire alla Unità Operativa del dott. YY1, in termini di specialità e di servizi semplici, una diagnostica di TAC, una diagnostica digitale gastroenterologica, una diagnostica digitale urologica, due eco color doppler, la mammografia clinica e la diagnostica di radiologia tradizionale. Infine, l'organico della predetta Unità Operativa sarebbe stato composto da un dirigente di secondo livello, tredici dirigenti di primo livello, 28 tecnici e resterà invariato il numero degli infermieri professionali.
L'amministrazione attuale appellante, quindi, non ha posto in essere un mutamento dell'oggetto dell'incarico di direzione di struttura complessa di Radiologia 1, ma, quale soggetto titolare di una propria autonomia imprenditoriale, il cui funzionamento è disciplinato con atto aziendale di diritto privato (art. 3 del d.lgs. n. 502/92, come modificato dal d.lgs. n. 299/99), ha, al contrario, cercato, nel rispetto delle disposizioni di legge, di razionalizzare il servizio di radiologia, nell'esercizio di un potere di organizzazione e di scelta non sindacabile dal giudice essendo coperto dalla garanzia prevista dall'art. 41 della Costituzione. Di conseguenza, una volta accertata la genuinità delle scelte organizzative aziendali - come nel caso di specie -, l'articolo 41 della Costituzione offre loro tutela senza che possano costituire ostacolo i diritti alle mansioni ed alla stabilità del rapporto dei singoli lavoratori interessati direttamente dalla riorganizzazione aziendale. Pertanto, anche sotto questo profilo, non si comprende come possa prevalere l'interesse del dirigente al mantenimento della identità delle risorse - umane e materiali - gestite, quando, come nella specie, permane identico l'oggetto dell'incarico.
Poiché l'articolo 19 del d.lgs. n. 29 del 1993, ma anche il testo vigente dell'art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dalla legge n. 145 del 2002, pone una stretta correlazione fra il conferimento degli incarichi dirigenziali e gli obiettivi prefissati da conseguire, la questione posta dal dott. YY1 non può essere inquadrata nell'ambito della previsione dell'art. 2103 cod. civ., norma - come si è visto - non applicabile alla dirigenza pubblica, ma nell'ambito della responsabilità dirigenziale delineata dall'articolo 21 del d.lgs. n. 29 del 1993 per il mancato raggiungimento degli obiettivi, che può comportare l'impossibilità del rinnovo dello stesso incarico dirigenziale o, nei casi più gravi, la revoca dell'incarico in corso di esecuzione.
Nel caso in esame, l'Azienda sanitaria appellante non ha posto in essere un mutamento dell'oggetto del contratto, ma ha lasciato immutato, formalmente e sostanzialmente, l'incarico del dott. YY1. Di conseguenza, il dirigente medico non può lamentare alcuna lesione relativamente al suo diritto all'incarico ma, al più, potrebbe contestare la scelta organizzativa dell'Azienda sanitaria sotto il profilo che la sottrazione delle risorse gli potrebbe precludere il raggiungimento degli obiettivi individuati con l'incarico di direzione di struttura complessa. Nella specie, però, non solo il dott. YY1 non ha articolato la sua domanda in questa prospettiva, ma la questione non può neppure essere, fondatamente, posta sia perché, in fatto, il servizio di radiologia diretto dall'appellato risulta quanto meno mantenuto inalterato nelle sue componenti essenziali se non potenziato al termine della ristrutturazione, ma, soprattutto, in diritto perché l'amministrazione appellante non ha mai contestato al primario il mancato raggiungimento degli obiettivi ovvero l'inosservanza delle sue direttive e, quindi, proceduto alla revoca anticipata dall'incarico.
Per altro, qualora anche si ammettesse la possibilità di revoca anche per ragioni oggettive, connesse a motivate ragioni organizzative e produttive, la conclusione non potrebbe essere diversa, attesa la decisività del rilievo che l'amministrazione non ha mai inteso procedere, nella specie, alla revoca dell'incarico, che anzi ha lasciato immutato nel suo oggetto. Del resto, qualora si fosse reso necessaria una vera e propria revoca per ragioni organizzative, non sarebbero comparabili, secondo quanto previsto dall'art. 19 del d.lgs. n. 29 del 1993 e dall'art. 28 del c.c.n.l., l'incarico precedente e quello assegnato in futuro, di guisa che, una volta effettuata la revoca, l'amministrazione potrebbe, paradossalmente, assegnare quale nuovo incarico quanto risulta dalla variazione di identità di oggetto di quello precedente.
6. Rimane, ora, da esaminare l'ultimo aspetto, in fatto, dedotto dal dott. YY1, che ha ravvisato una lesione delle sue prerogative di primario nell'assegnazione al dott. YY2 della supervisione dell'attività diagnostica ed interventistica svolta nella sala vascolare del Servizio di Radiologia e della formazione del personale in indagini Eco Color Doppler, sostenendo, al riguardo, di avere svolto tali funzioni fino al mese di febbraio 1999.
L'indagine istruttoria, svolta nel presente grado del giudizio, ha permesso di accertare che la decisione assunta con la delibera n. 148 del 1999 non è pretestuosa ma trova piena giustificazione in specifiche esigenze organizzative aziendali e, quindi, consente di rilevare - anche in fatto - l'assoluta infondatezza della pretesa del dott. YY1.
E', infatti, emerso - dalle concordanti deposizioni dei testimoni - che l'attività della sala vascolare del reparto del dott. YY1 era stata seguita dal dott. Q., il quale era in possesso di una specifica competenza nel servizio vascolare acquisita con degli studi compiuti anche all'estero; che, dopo il trasferimento a Pavia del dott. Q., avvenuto presumibilmente nel corso dell'anno 2000, la sala vascolare della Unità Operativa del dott. YY1 era rimasta pressoché inutilizzabile e che continuava, invece, a funzionare quella situata nel polichirurgico sotto la supervisione del dott. YY2, il quale era, a sua volta, in possesso di una professionalità adeguata.
Quanto emerso dalle prove orali trova, poi, indiretta conferma nella lettera (allegato A Azienda appellante al reclamo ex art. 669 terdecies cod. proc. civ.) datata 12 ottobre 2000 (nonché nella successiva domanda di trasferimento presentata dal dott. R. il 21 dicembre 2000 - doc. B), con la quale alcuni medici, assegnati al reparto del dott. YY1, e cioè M.G.L., R.M. e S.P., direttamente impegnati nell'attività di radiologia vascolare diagnostica, avevano formalmente segnalato "la situazione di difficoltà nella quale si sono venuti a trovare a seguito del trasferimento del dott. Q. presso l'Ospedale Policlinico di Pavia" per il "timore di svolgere procedure più complesse senza un controllo adeguato, compito assolto in precedenza dal dott. Q. ..." e, quindi, avevano fatto presente che "per evitare di incorrere in errori" che avrebbero potuto causare anche "gravi conseguenze", si sarebbero limitati, "se non verrà posto rimedio a tale carenza", "allo svolgimento delle sole metodiche per le quali ci sentiamo di poter procedere in sicurezza".
Se si tiene conto che presso la sala vascolare vengono eseguiti esami per accertare la pervietà e la conduzione del sistema vascolare onde valutare la presenza di patologie vascolari e, in alcuni casi, anche dei piccoli interventi chirurgici (v. dep. C.R.), la decisione, assunta dalla azienda sanitaria appellante con la delibera n. 148 del 1999, di assegnare al dott. YY2, medico particolarmente esperto in chirurgia e radiologia vascolare, la supervisione dell'attività Diagnostica e Interventistica svolta nella sala vascolare del Servizio di Radiologia del presidio ospedaliero di Piacenza, nonché la formazione professionale in indagini Eco - Color - Doppler, appare pienamente giustificata, sia per la indiscussa capacità tecnico - scientifica dell'interessato, sia in previsione della futura attivazione di una seconda sala vascolare presso il polichirurgico, che sarebbe rientrata tra i servizi affidati al nuovo reparto diretto dallo stesso dott. U. Per altro, la descritta successiva evoluzione delle vicende della sala vascolare situata nel reparto diretto dal dott. YY1, conseguente al trasferimento del dott. Q., definitivamente avvalora la fondatezza della scelta organizzativa assunta dalla azienda appellante con la delibera n. 148 del 1999 e ne esclude ogni intento discriminatorio e persecutorio nei confronti del dott. YY1. Del resto, non può, nella specie, essere neppure ipotizzata una forma di sottrazione di mansioni perché, come è chiaramente emerso nell'istruttoria, il dott. YY1 aveva esercitato la supervisione sulla sala vascolare fino al mese di febbraio 19999 soltanto in modo del tutto formale, dato che, in realtà, era stato il dott. Q. a svolgere il necessario ed adeguato controllo sulle procedure più complesse compiute presso la sala vascolare.
7. Pertanto, assorbito il terzo motivo con il quale era stata censurata la statuizione sulle spese disposta dal primo giudice, l'appello avverso la sentenza del Tribunale di Piacenza del 29 maggio 2001 va accolto e, per l'effetto, vanno respinte le domande proposte dal dott. YY1.
Stante la novità e la complessità della questione trattata, si stima equo compensare integralmente le spese del doppio grado del giudizio.
P.Q.M.
La Corte, ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, in accoglimento dell'appello proposto dall'AUSL di Piacenza avverso la sentenza del Tribunale di Piacenza del 29 maggio 2001, rigetta tutte le domande proposte dal dott. YY1 nei confronti dell'Azienda Unità Sanitaria Locale di Piacenza; compensa le spese del doppio grado del giudizio.
Così deciso in Bologna, il 21 ottobre 2004.
Depositata in Cancelleria il 7 gennaio 2005.