Benefici di cui alla legge 104/92 – permessi mensili - condizioni.
Il Tribunale di Napoli nella sentenza sotto riportata riconosce il diritto al beneficio di cui all’art. 33 3° comma L. 104/92, che prevede il diritto alla fruizione di tre giorni di permesso mensile in favore di coloro che assistono una persona con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno anche nel caso in cui il beneficiario, coniuge, convive con due figli studenti. Il tribunale a tal fine richiama la circolare INPS 37/99 che precisa "che i familiari non lavoratori studenti, sono equiparati, ai fini dell'erogazione delle prestazioni di cui alla legge n. 104/1992, ai soggetti occupati in attività lavorativa anche nei periodi di inattività scolastica (per gli studenti universitari dopo il primo anno di iscrizione deve essere accertata non solo l'iscrizione all'Università ma anche l'effettuazione di esami)".
Tribunale di Napoli 11/01/2005
Svolgimento del processo
Con atto di ricorso, depositato in data 19 dicembre 2002, la ricorrente in epigrafe dipendente presso l'Istituto Tecnico Industriale Statale Leonardo da Vinci in qualità di collaboratrice scolastica affermava:
che aveva fatto richiesta di usufruire del diritto a tre giorni di permesso mensile ai sensi dell'art. 33 comma III della L. 104/92, in quanto unica persona ad assistere il marito, S.C., riconosciuto come persona affetta da handicap con connotazione di gravita, con verbale della commissione medica invalidi civili del 27 marzo 2000;
che, a seguito della relativa domanda presentata il 12/3/2002, il dirigente scolastico dell'istituto resistente rifiutava il riconoscimento di tali permessi, eccependo che non era l'unica persona del nucleo familiare a poter fornire assistenza al marito, facendovi parte anche i due figli non lavoratori;
che nella specie, però, questi ultimi non erano in grado di poter prestare assistenza continuativa al padre disabile in quanto impegnati nei corsi universitari cui erano iscritti, ed in tale veste erano equiparabili ai soggetti lavoratori;
che a seguito di ricorso d'urgenza il Tribunale di Napoli, con ordinanza depositata l'11/11/2002, riconosceva il diritto alla fruizione dei permessi;
che a seguito dell'illegittimo diniego dell'amministrazione era derivato un danno di carattere, patrimoniale, morale, biologico ed esistenziale ed in particolare uno stato di preoccupazione, ansia e stress emotivo.
Ciò premesso, concludeva:
per l'accertamento del diritto ad usufruire di tre giorni di permesso mensile ai sensi dell'art. 33, comma 3, L. n. 104/92;
per la condanna dell'Istituto Tecnico Industriale Statale Leonardo da Vinci alla corresponsione della somma titolo di risarcimento del danno patrimoniale, morale, biologico ed esistenziale nella misura di Euro 55.000 o in quella maggiore o minore da determinarsi ai sensi dell'art. 1226 c.c. oltre la vittoria delle spese di lite.
L'amministrazione convenuta, costituitasi, concludeva per il rigetto della domanda in quanto infondata con vittoria di spese.
Sulla documentazione in atti, la causa passava in decisione come da separato dispositivo, di cui era data pubblica lettura.
Motivi della decisione
La domanda è parzialmente fondata.
L'art. 33 3° comma L. 104/92 prevede il diritto alla fruizione di tre giorni di permesso mensile in favore di coloro che assistono una persona con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno.
Nel caso di specie il sig. S.C., coniuge della ricorrente è stato dichiarato "persona con minorazione prevista dalla definizione di Handicap di cui ai c. 1 e 3 dell'art. 3 della L. 104/92 con connotazione di gravità rivedibile tra dieci anni" dalla commissione invalidi civili dell'ASL NA 3, nella seduta del 29 giugno 2000.
Avverso l'istanza volta all'ottenimento del beneficio dei permessi mensili, inoltrata dalla sig.ra G. in data 12 marzo 2002 ha fatto seguito il diniego da parte del dirigente dell'istituto scolastico di appartenenza.
Con nota del 20 giugno 2002 l'istituto scolastico motivava il suo diniego sulla base della circolare INPS 37/99 nella parte escludeva il diritto al beneficio nel caso di mancata documentazione dell'impossibilità di assistenza da parte di altri familiari non lavoratori, rilevando che l'istante aveva dichiarato di essere convivente con due figli i quali per la loro qualità di studenti non rientravano nella dizione di familiari lavoratori previsti dalla norma.
Sul punto occorre, però, evidenziare che la richiamata circolare dell'INPS precisa "che i familiari non lavoratori studenti, sono equiparati, ai fini dell'erogazione delle prestazioni di cui alla legge n. 104/1992, ai soggetti occupati in attività lavorativa anche nei periodi di inattività scolastica (per gli studenti universitari dopo il primo anno di iscrizione deve essere accertata non solo l'iscrizione all'Università ma anche l'effettuazione di esami)".
Tale equiparazione tra lavoratore e studente contenuta nella circolare è legittima in quanto conforme allo spirito della norma invocata, che mira ad assicurare una assistenza effettiva in favore della persona handicappata.
Nel caso di specie è stato documentalmente dimostrato che i figli della ricorrente sono entrambi studenti Universitari ed hanno sostenuto nell'anno in corso almeno un esame, per cui a tutti gli effetti devono essere equiparati ai familiari lavoratori.
Le domande di risarcimento del danno così come formulate non possono trovare accoglimento.
In primo luogo, generica è la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale in quanto di fatto non viene prospettata alcuna diminuzione patrimoniale, sia nelle forme del danno emergente che del lucro cessante, derivanti dal diniego dei permessi da parte dell'amministrazione scolastica.
Infondata è la richiesta di risarcimento del danno biologico in quanto nel ricorso introduttivo la sig.ra G. non lamenta di aver contratto una vera e propria patologia, ma più precisamente denunzia una situazione di disagio psicologico ovvero un grave stato di preoccupazione, ansia e stress emotivo.
Manca, perciò, una menomazione dell'integrità psicofisica, avente un carattere di permanenza, necessaria ai fini della sussistenza di un danno biologico.
Non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno morale, in quanto l'art. 2059 c.c. limita la tutela risarcitoria ai soli casi determinati dalla legge e la ricorrente non ha indicato alcun fondamento normativo alla base di tale pretesa.
Del pari infondata è la richiesta di risarcimento del danno esistenziale.
Con tale termine vengono individuate tutte le compromissioni delle attività realizzatrici della persona umana come ad esempio, impedimenti alla serenità familiare, al gradimento di un ambiente salubre e di una situazione di benessere, al sereno svolgimento della propria attività lavorativa e ciò in quanto anche il libero dispiegarsi della attività dell'uomo nell'ambito della famiglia o di altre comunità è considerato e tutelato dalla Costituzione negli articoli 2 (garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo) e 29 (diritto della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio).
Si è ritenuto, perciò che i pregiudizi alla dimensione esistenziale, unitamente a quelli inerenti il bene salute, che quelli sicuramente di natura non patrimoniale, non possono essere lasciati privi di tutela risarcitoria, come è stato affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 7713/2000.
Ma, perché possa essere risarcito, il pregiudizio di un diritto inviolabile della personalità deve essere allegato e provato (sia pure con ampio ricorso alle presunzioni) nei suoi caratteri naturalistici (incidenza su di una consueta attività, pur non reddituale e non mero patema d'animo interiore).
Ciò considerato non vi è una precisa indicazione di quello che sarebbe stato il disagio patito nel non usufruire di tali permessi mensili, situazione protrattasi, peraltro, per un ristretto arco temporale, pari ad otto mesi intercorrenti dal 12 marzo 2002 (epoca della domanda volta all'ottenimento del beneficio) al 11 novembre 2002 epoca di riconoscimento in via cautelare del diritto.
La ricorrente, difatti, non precisa in cosa di fatto si sia sostanziato il pregiudizio ed il disagio nel non aver usufruito in tale arco temporale dei ventiquattro giorni di permesso che le sarebbero spettati.
Difatti, nel corpo del ricorso a pag. 8) e 9) si evidenzia solo un pregiudizio ipotetico quale l'impossibilità per i figli di seguire i corsi universitari o di poter sostenere un esame nel caso di coincidenza del giorno di esame con quello di una visita di controllo del coniuge ma non si precisa se ciò si sia realmente verificato.
Pertanto, a parte il non risarcibile "mero patema d'animo" non sono indicati ulteriori elementi da cui desumere la sussistenza di un tale danno esistenziale.
L'accoglimento della domanda in misura parziale giustifica la compensazione delle spese nella misura di 1/3 che si liquidano come da dispositivo.
Sentenza provvisoriamente esecutiva ai sensi dell'art. 431 c.p.c.
P.Q.M.
Ogni diversa istanza e deduzione disattese, così provvede:
Dichiara il diritto della sig.ra G. ad usufruire dei tre giorni di permesso mensile previsti dall'art. 33 comma 3 L. 104/92.
Rigetta le restanti domande.
Condanna l'istituto resistente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessivi Euro 1.400,00 oltre iva e cpa.
Sentenza provvisoriamente esecutiva.
Così deciso in Napoli il 30 settembre 2004.
Depositata in cancelleria l'11 gennaio 2005.