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Chirurgia estetica e responsabilità medica

Il medico, anche nell’ambito della chirurgia estetica, è tenuto ad una prestazione di mezzi e non di risultati. Egli, pertanto, assumendo l’incarico, non si impegna a raggiungere senz’altro l’esito sperato dal paziente bensì a conformare il proprio comportamento a quello del “buon professionista” adoperando prudenza, diligenza e perizia.
Ne deriva che l’esito negativo di un intervento estetico non vale, automaticamente, a dimostrare la responsabilità del chirurgo e dunque a legittimare un risarcimento per il soggetto danneggiato. Come in ogni altro campo della medicina, la responsabilità del sanitario ricorre quando questi non abbia adoperato tutta la prudenza, diligenza e perizia, dovute nel caso di specie.

D’altra parte, la materia esula dal trattamento sanitario obbligatorio stabilito per legge e, per tali casi, la Costituzione - all’art. 32 2° comma - stabilisce che nessuno possa essere sottoposto, contro la sua volontà, a qualsivoglia tipo di cura. Anche il codice civile all’art. 5 riconosce - sebbene indirettamente - il diritto dell’individuo a disporre del proprio corpo (purché non determini una diminuzione permanente dell’integrità fisica o atti che siano contrari alla legge, all’ordine pubblico ed al buon costume).
Dato il peculiare rapporto che si instaura tra le parti, il consenso del paziente - più che in ogni altro caso - è obbligatorio e deve essere ottenuto a seguito di un’informazione corretta ed esauriente sotto ogni profilo in particolare quello dei possibili esiti estetici negativi. La legittimità del trattamento estetico è pertanto subordinata ad una completa informazione del paziente ed alla acquisizione da parte del chirurgo della relativa accettazione.

Se il consenso non è regolarmente prestato, il medico può essere tenuto al risarcimento anche nel caso in cui l’intervento sia stato eseguito correttamente. Tale principio è stato ribadito dalla Cassazione - proprio in materia di danno estetico – con la Sent. 9705/1997.
Con la menzionata pronuncia, la Suprema Corte ha, infatti, riconosciuto la responsabilità del chirurgo sull’unico presupposto della mancanza d’informazione alla paziente nel caso di un intervento che - pur “eseguito a regola d’arte” – aveva creato delle vistose cicatrici sul corpo della paziente.
Nel giudizio di merito, la CTU (consulenza tecnica d’ufficio) aveva infatti accertato l’utilizzo, da parte del sanitario, di tutta la prudenza diligenza e perizia richiesta dal caso affermando che in quel tipo di operazione gli esiti cicatriziali siano inevitabili. Ma questo, in mancanza di una corretta informazione alla donna, non è bastato ad escludere la responsabilità del sanitario.