Mobbing e dimissioni. Annullamento per incapacità di intendere e di volere.
La Corte di Cassazione affronta
il tema afferente la possibilità di chiedere l’annullamento delle dimissioni presentate per effetto della situazione di
grave perturbamento psichico e morale
ingenerato da atteggiamenti
discriminatori e irriguardosi dei
diritti del lavoratore da parte dell’ente datore di lavoro.
La
Corte afferma che la situazione, anche transitoria, di
incapacità di intendere e volere del dichiarante, da qualsiasi causa
dipendente, comporta l’annullamento del negozio giuridico unilaterale, ancorché
ricettizio, pur in mancanza della sua riconoscibilità da parte del soggetto
destinatario dell’atto, sempre che sussista il grave pregiudizio del suo
autore.
CORTE DI CASSAZIONE Sezione lavoro
Presidente - Mercurio Relatore - Amoroso Pm - D'Angelo
(difforme)
Ricorrente - R.R. Controricorrente - Poste Italiane Spa
Svolgimento del processo
1. Con ricorso del 29 giugno 1998 Pretore di Ancona, in
funzione di giudice del lavoro, Rxxxxx Rxxxxx., premesso che aveva lavorato
alle dipendenze dell?ente Poste Italiane del 19 gennaio 1987 al 15 settembre
1997, data in cui aveva presentato le dimissioni; che a seguito di varie
vicende, caratterizzate da atteggiamenti asseritamente discriminatori e
irriguardosi dei suoi diritti da parte dell?ente datore di lavoro, era venuta a trovarsi in una
situazione di estremo disagio, che l?aveva indotta, a presentare la
dichiarazione di dimissioni; che quando ciò era avvenuto si trovava in una
situazione di grave perturbamento psichico e scoramento morale, tale da
impedirle di adottare decisioni coerenti con la sua effettiva volontà; che
l?atto compiuto era per lei gravemente pregiudizievole, in quanto era venuta a
trovarsi senza lavoro e senza aver maturato il diritto ad alcun trattamento
pensionistico, pregiudizio aggravato dallo stato di disoccupazione del coniuge.
Tutto ciò premesso, conveniva in giudizio la società Poste Italiane spa
(succeduta all?ente Poste Italiane) per sentir dichiarare l?annullamento e
l?inefficacia dell?atto di dimissioni, con conseguente reintegra nel posto di
lavoro e condanna della società al pagamento in suo favore di tutte le somme
dovute per retribuzioni non corrisposte dal 16 settembre 1997 fino alla data di
riammissione al lavoro, oltre alla regolarizzazione contributiva.
La società convenuta si costituiva chiedendo il rigetto del
ricorso.
Con sentenza del 17 novembre 1999 ? 29 febbraio 2000 il
giudice adito respingeva il ricorso con compensazione delle spese di lite;
pronuncia questa che veniva poi confermata, con sentenza del 6 luglio - 20
agosto 2001, dalla Corte d?appello di ancona, adita dalla R. con atto
d?impugnazione, cui resisteva la società. Avverso questa pronuncia ricorre per
cassazione la lavoratrice con un unico motivo di impugnazione.
Resiste con controricorso la società intimata.
Motivi della decisione
1. Con l?unico motivo di ricorso la R. ha denunciato la violazione
e falsa applicazione dell?articolo 428 Cc nonché il vizio di motivazione
contraddittoria ed insufficiente. In particolare la ricorrente si duole del
fatto che i giudici di merito non abbiano motivato in modo adeguato nel
ritenere non raggiunta la prova dell?allegata situazione di incapacità naturale
in ragione delle sue compromesse condizioni psichiche al momento della
dichiarazione di recesso dal rapporto.
2. Il ricorso è fondato.
3. Deve innanzi tutto considerarsi in linea di principio che
(ex articolo 428 Cc) la
situazione, anche transitoria, di incapacità di intendere e volere del
dichiarante, da qualsiasi causa dipendente, comporta l?annullamento del negozio
giuridico unilaterale, ancorché ricettizio, pur in mancanza della sua
riconoscibilità da parte del soggetto destinatario dell?atto , sempre che sussista
il grave pregiudizio del suo autore, cui poi è riservata - unitamente a
successori ed aventi causa - la legittimazione all?azione di annullamento
(articolo 1441 Cc) L?incapacità naturale, al pari dei vizi della volontà, quale
la violenza, l?errore ed il dolo, inficia la facoltà di autodeterminazione del
dichiarante. Tuttavia, a differenza di questi ultimi che hanno incidenza ab
externo sul processo volitivo (per essere questo alterato da un?azione
compulsiva di altri o dall?esistenza di circostanze di fatto idonee a
determinare una falsa rappresentazione nell?autore dell?atto), l?incapacità naturale impedisce
ab intrinseco la cosciente e libera autodeterminazione del soggetto, sicché
diversi ne sono i presupposti e diversi sono gli accertamenti in fatto che ne
conseguono.
4. La fattispecie prevista dal cit. articolo 428 Cc è stata
più volte presa in considerazione da questa Corte che ha elaborato alcuni
principi utilmente richiamabili come quadro di riferimento dello stato della
giurisprudenza in materia..
4.1. Ricorrente è innanzi tutto l?affermazione secondo cui
perché sia ravvisabile una situazione di incapacità di intendere e di volere,
quale prevista dalla citata disposizione, non è necessaria la totale esclusione
della capacità psichica e volitiva del soggetto agente, essendo sufficiente
invece che questi, al compimento dell?atto, si trovi in uno stato di turbamento
psichico tale da impedirgli di apprezzare l?importanza dell?atto medesimo e di
liberamente determinarsi al suo compimento (Cassazione 4539/02). Analogamente
Cassazione 7344/97 ha affermato che ai fini dell?invalidità di un negozio per
incapacità naturale non è necessaria una malattia che annulli in modo totale ed
assoluto le facoltà psichiche del soggetto essendo sufficiente un perturbamento
psichico tale da menomare gravemente, pur senza escluderle, le capacità
intellettive e volitive, anche se transitorio e non dipendente da una precisa
forma patologica, impedendo o ostacolando una seria valutazione dei propri atti
e la formazione di una cosciente volontà; tale accertamento deve essere
compiuto dal giudice di merito con riferimento al momento della stipulazione
del negozio e, pertanto, nel caso di incapacità dovuta a malattia non può
prescindere da una valutazione delle possibilità di regresso della malattia
manifestatasi anteriormente o posteriormente, per stabilirne la sua sussistenza
nel momento indicato (cfr. Cassazione 6756/95). Anche secondo Cassazione
7784/91 è sufficiente che le facoltà intellettive o volitive risultino diminuite
in modo da impedire od ostacolare una seria valutazione dell?atto e la
formazione di una volontà cosciente (cfr. Cassazione 3569/91 e, da ultimo,
Cassazione 7485/03). Anche in epoca maggiormente risalente questa Corte
(Cassazione 4955/85) ha parimenti affermato che l?incapacità naturale consiste
in ogni stato psichico abnorme, pur se improvviso e transitorio e non dovuto a
una tipica infermità mentale o a un vero e proprio processo patologico, che
abolisca o scemi notevolmente le facoltà intellettive o volitive, in modo da
impedire od ostacolare una seria valutazione degli atti stessi o la formazione
di una volontà cosciente. Secondo Cassazione 1797/69 è sufficiente la
dimostrazione di un perturbamento psichico, anche transitorio, tale da menomare
gravemente, pur senza escluderle, le facoltà intellettive del soggetto
medesimo, in modo da impedirgli o da ostacolargli una seria valutazione dei
propri atti e la formazione di una cosciente volontà.
4.2. Quanto poi alla prova della situazione di incapacità
naturale, parimenti ricorrente è l?affermazione che essa può anche essere (e di
norma è) indiziaria (con presunzioni semplici). Si è, infatti, affermato
(Cassazione 4539/02, cit.) che la prova dell?incapacità naturale può essere
data con ogni mezzo o in base a indizi e presunzioni, che anche da soli, se del
caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità, e il giudice è
libero di utilizzare, ai fini del proprio convincimento, anche le prove
raccolte in un giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre. Quindi lo
stato di incapacità di intendere e di volere può essere provato in modo
indiretto in base ad indizi e presunzioni, che anche da soli possono essere
decisivi ai fini della sua configurabilità (Cassazione 4344/00). Si è altresì
precisato (Cassazione 4539/02, cit.) che, accertata la totale incapacità di un
soggetto in due determinati periodi, prossimi nel tempo, per il periodo
intermedio la sussistenza dell?incapacità è assistita da presunzione iuris
tantum, sicché, in concreto, si verifica l?inversione dell?onere della prova
nel senso che, in siffatta ipotesi, deve essere dimostrato, da chi vi abbia
interesse, che il soggetto abbia agito in una fase di lucido intervallo. Ad una
sorta di presunzione fa riferimento anche Cassazione 11833/97 che ha affermato
che quando sussista una situazione di malattia mentale di carattere permanente,
ricade su chi pretende la validità dell?atto l?onere di dimostrare l?esistenza
di un eventuale lucido intervallo, tale da ridare al soggetto l?attitudine a rendersi
conto della natura e dell?importanza dell?atto. Si è anche precisato
(Cassazione 7914/90) che la prova dell?incapacità naturale non deve essere
necessariamente riferita alla situazione esistente al momento in cui l?atto
impugnato venne posto in essere, essendo possibile cogliere tale situazione da
un quadro generale anteriore e posteriore al momento della redazione dell?atto,
traendo da circostanze note, mediante prova logica, elementi probatori
conseguenti. Quindi l?incapacità naturale, ove si tratti di situazione non
transitoria, ma sia pure relativamente perdurante quale una malattia, può
essere provata anche attraverso il dato induttivo costituito dalle condizioni
del soggetto antecedenti o successive al compimento dell?atto pregiudizievole
(Cassazione 2212/90). Anche la giurisprudenza più risalente (Cassazione
6506/83) ha affermato che, se è vero che la prova della sussistenza della
incapacità naturale al momento della conclusione del contratto incombe a chi ne
chieda lo annullamento, però a tal fine può essere utilizzato qualsiasi mezzo
probatorio ed il rigoroso criterio della dimostrazione circa la rispondenza
temporale dell?incapacità al compimento dell?atto trova opportuno temperamento
nella possibilità di trarre utili elementi di giudizio anche dalle condizioni
del soggetto anteriori e posteriori all?atto; pertanto, specialmente nei casi
di anormalità psichiche dipendenti da malattia, l?accertamento di questa, in un
determinato periodo, della sua durata e della sua suscettibilità di regresso o
di stabilità o di peggioramento, può offrire chiare indicazioni
sull?alterazione della sfera intellettiva e volitiva al momento dello atto. In
conclusione, la prova dei fatti posti a base della domanda di annullamento di
un atto per incapacità naturale può essere fornita con ogni mezzo ed anche con
elementi raccolti in un giudizio diverso tra le stesse parti o fra altri
(Cassazione 2085/95); il convincimento del giudice di merito circa l?esistenza,
o meno, dell?incapacità di intendere e di volere del soggetto nel momento in
cui ha posto in essere l?atto del quale è chiesto l?annullamento a norma
dell?articolo 428 Cc è suscettibile di controllo in sede di legittimità sotto
il profilo del vizio di motivazione (Cassazione 10505/97).
4.3. Questi stessi principi trovano poi applicazione anche
in caso di domanda di annullamento dell?atto di dimissione del lavoratore dal
rapporto di lavoro (cfr. da ultimo Cassazione 7485/03, cit.), con alcune
puntualizzazioni quanto alle conseguenze del possibile annullamento dell?atto
Questa Corte (Cassazione 14438/00) ha infatti precisato che, nell?ipotesi di
annullamento delle dimissioni presentate dal lavoratore per incapacità
naturale, il principio secondo il quale l?annullamento di un negozio giuridico
ha efficacia retroattiva non comporta il diritto del lavoratore alle
retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione
al lavoro, atteso che la retribuzione presuppone la prestazione dell?attività
lavorativa, onde il pagamento della prima in mancanza della seconda rappresenta
un?eccezione che, come nelle ipotesi di malattia o licenziamento non sorretto
da giusta causa o giustificato motivo, deve essere espressamente prevista dalla
legge, a nulla rilevando che le dimissioni siano state immediatamente revocate,
giacché le dimissioni producono istantaneamente lo scioglimento del rapporto di
lavoro. Analogamente Cassazione 6166/96 ha ritenuto che nell?ipotesi di
annullamento delle dimissioni per incapacità naturale del dimissionario, il
principio secondo cui la pronuncia di annullamento di un negozio giuridico ha
efficacia retroattiva, nel senso che essa comporta il ripristino, tra le parti,
della situazione giuridica anteriore al negozio annullato, che si considera
come insussistente fin dall?inizio, non comporta il riconoscimento del diritto
del lavoratore al trattamento retributivo e previdenziale maturato nel periodo
di tempo compreso tra la data delle dimissioni e la decisione di annullamento
del giudice di primo grado, atteso che, in tale ipotesi, l?effetto risolutorio
delle dimissioni permane fino alla data della sentenza, non essendo
configurabile alcun obbligo del datore di lavoro di accettare il lavoratore in
azienda prima di tale momento e non potendo quindi profilarsi un?ipotesi di
mora del datore di lavoro rispetto ad un rapporto che, prima della sentenza di
annullamento, deve considerarsi inesistente.
5. Ciò posto in generale. come quadro di riferimento della
giurisprudenza rilevante in materia, venendo ora al caso di specie deve
rimarcarsi che la Corte
d?appello ha da una parte considerato che da una relazione del Ctu, disposta in
un diverso procedimento pochi giorni prima della presentazione delle
dimissioni, la R.
era risultata «affetta da sindrome ansioso-depressiva con marcati tratti
pitiatici in soggetto con immaturità psico-affettiva e tendenza ad interpretare
i dati della realtà in maniera soggettiva, parziale, superficiale, e talora
erronea»; la stessa relazione evidenziava inoltre che la lavoratrice presentava
«impulsività clinicamente manifesta con tendenza ad acting out». D?altra parte
la stessa Corte d?appello ha dichiarato di aderire al menzionato orientamento
giurisprudenziale secondo cui l?incapacità naturale può consistere anche in un
«turbamento psichico temporaneo» purché idoneo ad inficiare il processo
formativo della volontà del dichiarante. Però, a fronte del dato conoscitivo
costituito dalla menzionata relazione tecnica, che offriva già elementi di
valutazione dell?alterazione psichica della lavoratrice e della possibilità di
eccessi comportamentali impulsivi (acting out), non ulteriormente esplorati dal
Ctu in quanto incaricato in un diverso giudizio avente altro thema decidendum, la Corte d?appello, pur
riconoscendo gli «aspetti patologici» della psiche della lavoratrice, non solo
non ha ritenuto necessaria una consulenza tecnica ad hoc, ma ha sostanzialmente
precorso la sua indagine ulteriore predicando subito la ritenuta inidoneità di
«tale quadro psichico», benché «connotato da aspetti patologici», a
qualificarsi come possibile situazione di incapacità naturale della R. di
procedere alla consapevole autodeterminazione dei propri atti e di rendersi
conto delle conseguenze degli stessi. Viceversa questo quadro psichico, idoneo
secondo la menzionata relazione, a determinare «talora» (ossia - in ipotesi -
per intervalla insaniae) un?erronea interpretazione della realtà e quindi ad
alterare proprio il processo volitivo, andava calato nella fattispecie concreta
dell?atto unilaterale posto in essere dalla lavoratrice esaminando la coerenza
intrinseca delle sue motivazioni interiori e la possibile significatività di
ogni ulteriore circostanza al contorno. Indagine che i giudici di merito hanno
in realtà mancato di fare perché nella già orientata prospettiva dell?enunciato
convincimento dell?insussistenza di una seppur temporanea situazione di
incapacità naturale, si sono limitati a registrare la sequenza dei fatti. Hanno
potuto constatare come la lavoratrice, assunta come dattilografa ed adibita in
prosieguo di tempo ad altre mansioni per effetto di una determinazione
datoriale a suo dire illegittima, tanto da essere contestata in sede
giudiziaria, non aveva altra mira, insistentemente (se non proprio
ossessivamente) perseguita, che quella di riprendere a svolgere le sue mansioni
originarie. Pertanto - hanno accertato sempre i giudici di merito - la R. si consultava (non già con
il suo legale, bensì) con un sindacalista in ordine al possibile esito della
sua causa di lavoro pendente. Inoltre aveva un colloquio con un funzionario
della datrice di lavoro in ordine alla possibilità di essere ripristinata nelle
sue originarie mansioni, evenienza questa che le veniva rappresentata come
altamente improbabile. Ed è in questo contesto che le cose precipitavano nel
senso che la R. «
subito dopo tale colloquio» sottoscriveva la lettera di dimissioni, predisposta
dall?ufficio del personale della società, presentandola poi tre giorni dopo;
dimissioni queste che sempre secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata - la Ramposelli dichiarava,
in sede di interrogatorio, essere stata «costretta» a rassegnare «perché non
era stata reintegrata in mansioni confacenti con il suo stato di salute».
Orbene - non senza pretermettere di rilevare che è tutt?altra questione quella
riguardante gli strumenti di tutela del diritto del lavoratore subordinato ad
essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o ad altre
equivalenti compatibili comunque con il suo stato di salute - i giudici di
merito non potevano esimersi dallo scrutinare la pressione psicologica che
aveva orientato i comportamenti della lavoratrice, la coerenza intrinseca
dell?atto posto in essere dalla stessa, all?epoca priva dei requisiti per
godere di alcun trattamento pensionistico, e la idoneità, pur soggettivamente
intesa, dell?atto a raggiungere la finalità dichiaratamente perseguita dalla
lavoratrice, per poi coniugare il risultato di questo apprezzamento con il
«quadro psichico» di fondo, quale evidenziato dalla relazione del Ctu, al fine
di operare una valutazione complessiva della sussistenza, o meno, della prova
indiziaria della allegata situazione di transitoria incapacità naturale, intesa
quale «turbamento psichico temporaneo», della lavoratrice al momento delle
dimissioni. Invece nella sentenza impugnata c?è uno iato, che ridonda in vizio
di motivazione insufficiente, tra l?affermazione da una parte che c?era nella
lavoratrice un «quadro psichico ... connotato da aspetti patologici» e, d?altra
parte, l?accertamento vuoi delle ragioni soggettive che avevano spinto la
lavoratrice a rassegnare le sue dimissioni, vuoi delle circostanze di fatto in
cui queste erano maturate.
Per tale ragione - ed in questi limiti - deve essere cassata
la pronuncia impugnata con conseguente rinvio della causa alla Corte d?appello
di Bologna perché proceda ad una nuova valutazione degli elementi indiziari per
colmare l?insufficienza motivazionale sopra evidenziata.
PQM
La Corte
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese,
alla Corte d?appello di Bologna.