Mobbing - Dequalificazione professionale - Disturbo da disadattamento prolungato - Risarcimento del danno - Criteri di liquidazione.
Nella sentenza sottoriportata
viene riconosciuto e risarcito un danno da “disadattamento prolungato” . Tale
figura di danno viene ricondotta allo stress subito dal dipendente per effetto
della notevole differenza tra le mansioni assegnate e quelle previste dalla
declaratoria del livello di inquadramento nonché della rilevante durata del
periodo di dequalificazione.
Tribunale Firenze Sezione Lavoro Civile
Sentenza del 6 febbraio 2004 .
FATTO E DIRITTO
Con ricorso al Tribunale di Firenze, in funzione di giudice
del lavoro, il sig. X.Y. ha convenuto in giudizio Azienda Z. S.p.A., esponendo:
- di prestare attività lavorativa subordinata alle
dipendenze della convenuta dal 5.11 1968;
- di essere stato addetto dal 14.10.1974 al 15.11.1985 alla
segreteria amministrativa dell'ufficio economato, svolgendo mansioni attinenti
gli acquisti e gli approvvigionamenti;
- il ricorrente, ritenendo che i dirigenti a lui
gerarchicamente superiori non prestassero adeguata attenzione alla riduzione
dei costi e a una migliore gestione dei servizi e delle forniture, aveva
chiesto nel 1985 un colloquio con il Presidente di Azienda Z. S.p.A., che
veniva peraltro negato;
- successivamente a tale iniziativa, il ricorrente era stato
trasferito all'ufficio della filiale H e adibito a mansioni dequalificanti,
circostanza accertata con sentenza 21.10.1986 del Pretore di Firenze, che aveva
dichiarato nullo il trasferimento;
- il 25.11.1986 Azienda Z. S.p.A. aveva comminato al
ricorrente la sanzione di tre giorni di sospensione, confermata anche a seguito
di impugnazione giurisdizionale;
- in data 4.12.1986 il ricorrente era stato nuovamente
trasferito al Servizio Esattoria (oggi Concessioni), e adibito a mansioni di
contenuto professionale inferiore anche a quelle (pur dequalificanti) svolte
presso la filiale H;
- tale condotta illegittima, configurabile come mobbing,
aveva provocato nel ricorrente una grave sofferenza psico-fisica, che aveva
determinato un danno all'integrità psico-fisica quantificabile nel 30%;
- la dequalificazione subita aveva altresì provocato un
danno alla professionalità del ricorrente;
- il ricorrente aveva inoltre riportato un danno biologico
del 30%, oltre al danno morale, e a spese per L. 40.000.000.
Tanto premesso, previo accertamento dell'illegittimità della
condotta datoriale, ha chiesto condannarsi Azienda Z. S.p.A. al risarcimento:
a) del danno alla professionalità, quantificato in misura non inferiore al 50%
delle retribuzioni, da elevarsi al 100% per il periodo dal 1.3.1999; b) del
danno biologico del 30%, oltre al danno per invalidità temporanea; c) del danno
morale; d) del danno emergente, nella misura di L. 40.000.000.
Costituitasi in giudizio, la convenuta Azienda Z. S.p.A. ha
contestato la domanda, chiedendone il rigetto; in via riconvenzionale, ha chiesto
accertarsi l'infondatezza delle domande attrici.
Fallito il tentativo di conciliazione, escussi testi,
espletata c. t.u. medico legale, all'odierna udienza la causa è stata discussa
e decisa cerne da separato dispositivo, del quale è stata data lettura.
Risulta dagli atti che il trasferimento del Sig. Y.,
disposto presso la filiale H della Azienda Z. S.p.A., è stato dichiarato nullo
con sentenza del Pretore di Firenze in data 21.10.1986 per violazione dell'
art. 2103 c.c., sia sotto il profilo della carenza di ragioni giustificatrici
del trasferimento, che sotto il profilo della mancata equivalenza delle
mansioni. Successivamente, dal dicembre 1986 il ricorrente è stato trasferito
presso il servizio esattoria; in tale settore, come è risultato dall'istruttoria
testimoniale espletata, egli ha sostanzialmente svolto mansioni di consegna e
ritiro di documentazione contabile presso la Banca d'Italia, senza peraltro avere autonomia
decisionale in caso di problemi (in tale ipotesi, intervenivano infatti altri
soggetti - teste L.), e di raccolta quadrimestrale di dati contabili. Intorno
alla seconda metà degli anni '90, il ricorrente fu poi assegnato a gruppi di
lavoro creati presso il servizio esattoria (testi R., B.), ma non è emerso
quali fossero, in tale contesto, le specifiche mansioni del sig.Y.
L'istruttoria espletata prova, ad avviso del giudicante,
l'avvenuta dequalificazione lamentata dal ricorrente; le mansioni a questi
affidate, per il loro limitato contenuto professionale, non possono ritenersi
adeguate rispetto alla qualifica di funzionario rivestita dal Sig. Y., e
attribuita a coloro che, investiti di specifiche mansioni con responsabilità
diretta ed elevato grado di professionalità, vengano inquadrati nella categoria
superiore a quella impiegatizia ed abbiano, di regola, alle proprie dipendenze
un adeguato numero di impiegati (cfr. le declaratorie di cui ai ccnl 1983,
1991, 1995 - del resto il contratto integrativo 11.4.1991 prevede per il
funzionario di grado IV mansioni quali direzione di filiale, di uffici di
rappresentanza, esercizio di professione forense etc.), mentre il ccnl
11.7.1999 (peraltro, successivo al periodo per cui è causa) definisce quali
quadri direttivi i lavoratori che, pur non appartenendo alla categoria dei
dirigenti, siano stabilmente incaricati dall'azienda di svolgere, in via
continuativa, mansioni che comportino elevate responsabilità funzionali e
elevata preparazione professionale e/o particolari specializzazioni, e che
abbiano maturato una significativa esperienza, nell'ambito di strutture
centrali e/o nella rete commerciale, ovvero elevate responsabilità nella
direzione, nel coordinamento e/o controllo di altri lavoratori.
La
sussistenza di una dequalificazione, costituendo inadempimento
dell'obbligazione facente capo ad datore di lavoro ex art. 2103 c.c., determina
la responsabilità risarcitoria della Azienda Z. S.p.A.; dall'avvenuto
pensionamento del ricorrente, consegue invece la sopravvenuta carenza di
interesse ad agire rispetto al capo di domanda relativo alla reintegrazione in
mansioni confacenti.
Considerata
la notevole differenza tra le mansioni assegnate e quelle previste dalla
declaratoria del livello di inquadramento del ricorrente, e la rilevante durata
del periodo di dequalificazione (che determina un aggravamento progressivo del
danno - cfr. Trib. Milano 22.12.2001 in Riv. Crit. Dir. Lav. 2002, 377), appare
equo riconoscere a titolo di risarcimento del danno per dequalificazione
l'importo pari al 60% della retribuzione prevista per la qualifica di
funzionario di grado IV dal 15.11.1985 (data di assegnazione alla filiale H)
fino alla cessazione del rapporto (18.4.2001).
Per
quanto concerne la domanda di risarcimento del danno biologico, l'espletata c.
t.u. medico legale (cfr. relazione dr. G. F. depositata il 7.10.2002 e
supplemento di relazione depositata l'8.7.2003) ha concluso che il
comportamento di Azienda Z. S.p.A. ha determinato l'insorgenza nel rag. Y. di
un disturbo da disadattamento prolungato della durata di 20 mesi, senza
che sia residuato danno biologico permanente.
Parte ricorrente ha contestato tali conclusioni, insistendo
(cfr. note critiche 3.1.2003) per il riconoscimento di un danno biologico
permanente.
Ad avviso del giudicante, non rilevano le osservazioni
svolte in ordine alla valutazione della personalità del danneggiato ai fini
dell'affermazione della responsabilità civile del soggetto danneggiante, ovvero
in ordine alla valutazione, da parte del consulente, delle condotte di Azienda
Z. S.p.A. come inadeguate a giustificare un disturbo da disadattamento di
maggiore ampiezza di quello diagnosticato; infatti, ove il danno lamentato non
sussistesse (come sostenuto dal consulente) nei termini dedotti dal ricorrente,
sarebbe irrilevante la valutazione della personalità della parte ovvero della
maggiore o minore gravità delle condotte della datrice di lavoro.
Al riguardo, parte ricorrente deduce la sussistenza di stato
depressivo consistente in una tristezza continuata. Il consulente d'ufficio
sostiene che si tratta di una tristezza spiccata, mentre parte ricorrente
sostiene che tale tristezza spiccata continuativa configura uno stato
depressivo; peraltro, il c. t.u. specifica esattamente (pag. 8, 2° cpv.,
relazione depositata il 7.10.2002) l'assenza di sintomi tipici dello stato
depressivo.
Per quanto concerne la diagnosi di disturbo da
disadattamento prolungato, formulata dal c. t.u., il ricorrente sostiene che
tali disturbi hanno la caratteristica di essere transitori, e di risolversi
nell'arco di due anni circa (come del resto afferma anche il c. t.u. - cfr.
relazione depositata il 7.10.2002 pag. 8 cpv.); peraltro, parte ricorrente
deduce che l'inizio dello stato patologico risale a epoca ben anteriore a
quella indicata dal c. t.u. (il quale ha affermato che il disturbo si è
circoscritto in venti mesi circa, da aprile 1999 a novembre 2000),
facendo riferimento ad assenze per malattia nel 1998, e ai certificati dr. Z.
in data 15.3.1999 e dr. M. in data 19.3.1999, che attestano l'esistenza di
stati patologici anche per periodi precedenti, e, quanto alla data finale, al
certificato Clinica del lavoro in data 20.11.2000, nel quale viene attestata la
persistenza della situazione patologica.
Le conclusioni peritali sono peraltro avvalorate dalla
considerazione che le assenze per malattia sostanzialmente coincidono, per gli
anni 1999 e 2000, al danno biologico temporaneo accertato dal c. t.u.; le
assenze del 1997 e 1998 si riferiscono invece ad altre patologie, mentre quelle
precedenti sono di entità irrilevante, e quindi non confermano la esistenza di
un danno temporaneo (cfr. relazione integrativa depositata l'8.7.2003 pagg. 6 e
7). Il certificato dr. Z. è relativo al periodo successivo al gennaio 1997,
mentre per il periodo precedente attesta di aver avuto in cura occasionalmente
il Sig. Y.; il certificato dr. M., pur attestando una situazione patologica
pregressa, non è idoneo a documentare l'entità invalidante della stessa.
Comunque, entrambi i certificati riferiscono di una regressione della patologia
nei periodi non lavorativi, circostanza che conferma il termine finale indicato
dal c. t.u., posto che, in base alla stessa certificazione prodotta dal
ricorrente, la sintomatologia è collegata allo svolgimento dell'attività
lavorativa. Ne consegue che, ad avviso del giudicante, non appaiono
contraddittorie le motivazioni del consulente d'ufficio in ordine alla
quantificazione del periodo di invalidità temporanea.
Per quanto concerne il rivendicato danno biologico
permanente, il ricorrente sostiene che si è verificato un disturbo post
traumatico da stress, a suo avviso contraddittoriamente escluso dal c. t.u.
Peraltro, anche nelle note critiche depositate il 3.1.2003 parte ricorrente non
specifica in base a quali elementi sia possibile evidenziare, e quantificare,
un danno permanente; ed è comunque decisivo rilevare che i tests psicologici
acquisiti dal c. t.u. escludono la sussistenza di un danno permanente.
Ne consegue che le conclusioni peritali appaiono
congruamente motivate, e sono pienamente attendibili e utilizzabili ai fini
della decisione.
Il danno biologico da invalidità temporanea (quantificato
dal c. t.u. in 20 mesi) va liquidato, secondo i criteri adottati da questo
Tribunale, in complessivi L. 60.000.000 (L. 100.000 x 600 giorni), pari a Euro
30.987,41 già rivalutati ad oggi.
Non può essere riconosciuto il danno morale, non essendo
ravvisatale ipotesi di reato; neppure può essere riconosciuto il rimborso delle
spese, in quanto non documentate (al riguardo, la relazione dr. Gi. -doc. 17
ric.- le ipotizzava in L. 40.000.000 per due anni a decorrere dal 25.5.1999, e
quindi fino al maggio 2001, mentre non è stato documentato alcun esborso a tale
titolo, neppure in corso di causa).
La domanda merita quindi accoglimento nei sensi di cui in
dispositivo.
Ex art. 91 c.p.c., la soccombente Azienda Z. S.p.A. va condannata
al pagamento delle spese processuali sostenute da controparte, che, tenuto
conto del valore della causa (scaglione di valore indeterminabile rilevante di
cui alla tariffa forense approvata con d.m. 5.10.1994 n. 585) e dell'attività
svolta, si liquidano come da dispositivo; vanno inoltre poste a carico della
convenuta le spese di c. t.u., liquidate come da separato decreto.
La sentenza è provvisoriamente esecutiva ex lege.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto
da X.Y. con atto depositato in data 27.6.2000, respinta ogni diversa istanza,
eccezione e deduzione:
condanna Azienda Z. S.p.A., in persona del legale
rappresentante, al pagamento, a favore del ricorrente X.Y., della somma pari al
60% della retribuzione a lui dovuta, sulla base della qualifica di funzionario
di grado IV, dal 15.11.1985 fino alla cessazione del rapporto, oltre
rivalutazione monetaria e interessi legali dalla maturazione delle singole voci
di credito al saldo;
condanna Azienda Z. S.p.A., in persona del legale
rappresentante, al pagamento, a favore del ricorrente X.Y., della somma di Euro
30.987,41, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla data odierna
al saldo;
condanna Azienda Z. S.p.A., in persona del legale
rappresentante, al pagamento, a favore del ricorrente, delle spese processuali,
liquidate in complessivi Euro 6.600,00, di cui Euro 1.800,00 per diritti, Euro
4.200,00 per onorari, Euro 600,00 per spese generali, oltre IVA e CAP;
pone a carico di Azienda Z. S.p.A. le spese di c. t.u.,
liquidate come da separato decreto.