Mobbing e risarcimento del danno non patrimoniale - lesione dei diritti inviolabili della persona - liquidazione equitativa.
Il Tribunale ribadisce il
principio ella risarcibilità del danno non patrimoniale da mobbing.Si afferma,
infatti, che il lavoratore che provi che le conseguenze pregiudizievoli subite
sono in rapporto di causalità con la
condotta denunciata come mobbizzante, ha diritto alla riparazione di tutti gli
aspetti non patrimoniali di danno sofferti. Per la liquidazione di tali danni
deve farsi riferimento al criterio equitativo, trattandosi della lesione di
valori inerenti la persona.
Tribunale Agrigento Sezione Lavoro Civile
Sentenza del 1 febbraio 2005
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 23/9/2003, (A) ha esposto:
che dal 12/10/1975 presta servizio presso l'Istituto (B), con le funzioni di
"direttore dei servizi generali e amministrativi" (DSGA);
- che l'insediamento del dirigente scolastico prof. (C), a
partire dall'1/9/2001, aveva da subito determinato, a causa dell'atteggiamento
dallo stesso assunto, un clima di distacco, tensione e mancanza di fiducia con
tutto il personale di segreteria;
- che nei suoi confronti l'operato del prof. (C) si era
sostanziato esclusivamente in ordini di servizio di carattere minatorio, con
cui veniva richiesto il compimento di atti spesso non dovuti o addirittura
contrari alle norme che disciplinano il funzionamento e le competenze degli
uffici scolastici, in repliche, contestazioni di addebiti per lo più contenenti
apprezzamenti di cattivo gusto, in frasi ingiuriose e lesive del ruolo, del
decoro e della dignità del ricorrente, in minacce di sanzioni, disciplinari e
non, mai irrogate;
- che per ordine del prof. (C) era stato privato del
computer in dotazione alla segreteria, invitato a consegnare le chiavi
dell'ufficio di segreteria e di tutti i cassetti e armadi ivi contenuti, e,
inoltre, gli era stato proibito di rivolgersi personalmente al dirigente
scolastico per le ordinarie comunicazioni riguardanti l'attività degli uffici
scolastici;
- che in conseguenza dei puntuali e specifici, quanto
arbitrari, ordini di servizio, il ricorrente non aveva più potuto svolgere le
proprie mansioni con l'autonomia operativa riconosciutagli dalla contrattazione
collettiva, secondo la declaratoria del profilo, e aveva così subito un grave
danno patrimoniale, derivante sia dall'impoverimento della capacità
professionale acquisita e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità,
sia dalla lesione del diritto all'immagine e alla vita di relazione;
- che attraverso la costante pressione di una minaccia più o
meno velata, il comportamento del dirigente scolastico aveva determinato nel
ricorrente una condizione patologica caratterizzata da una sensazione di
timore, associata a segni somatici indicativi di iperattività del sistema
nervoso autonomo, sfociata in sindrome postraumatica da stress; che con le
condotte poste in essere il dirigente scolastico aveva operato in violazione
della disciplina delle obbligazioni contrattuali, sotto il duplice profilo del
diritto del lavoratore a svolgere le mansioni corrispondenti alla qualifica
(art. 2103 cod. civ.) e del diritto di espletare l'attività lavorativa in un
ambiente lavorativo salubre, sia sotto l'aspetto materiale, che
socio-psicologico, idoneo a consentire la libera esplicazione delle istanze di
sviluppo personale e professionale collegate alla prestazione (art. 2087 cod.
civ.);
- che, per la reiterazione, la durata e la finalità di
isolare il ricorrente dall'ambiente di lavoro, esautorandolo dalle funzioni
attribuitegli dalla normativa (art. 25, c. 5, D.Lgs. 165/2001), i comportamenti
posti in essere dal prof. (C) si inquadravano nella fattispecie del "mobbing"
e, oltre a doverne rispondere direttamente l'autore ex art. 2043 cod. civ., si
riverberavano in capo all'ente datore di lavoro, doppiamente responsabile dei
danni conseguenti, sia contrattualmente, in relazione agli obblighi connessi al
dovere di buona fede nell'esecuzione del rapporto, sia in qualità di preposto
ex art. 2049 cod. civ..
Sulle premesse di fatto e di diritto che precedono, dando
atto di aver infruttuosamente esperito il tentativo obbligatorio di
conciliazione, il ricorrente ha convenuto in giudizio l'Istituto (B) e il prof.
(C), per sentir condannare l'Istituto alla reintegrazione del ricorrente nelle
mansioni spettategli e condannare, in solido, i convenuti al risarcimento del
danno biologico, morale, patrimoniale e professionale, nella misura complessiva
di Euro 25.000,00 o in quell'altra maggiore e/o minor somma accertata in corso
di causa.
L'Istituto (B), costituitosi in giudizio in persona del
Dirigente Scolastico pro tempore, ha chiesto di essere estromesso dal giudizio,
ritenendosi privo della qualità e dei poteri del datore di lavoro nei confronti
del ricorrente.
Anche il prof. (C) si è costituito in giudizio e,
preliminarmente, ha eccepito la carenza di legittimazione passiva, sia rispetto
alla richiesta di reintegrazione nelle mansioni, in quanto cessato dal servizio
il 30/4/2003, sia rispetto alla domanda risarcitoria, il cui unico destinatario
poteva essere il datore di lavoro.
Nel merito, deducendo l'infondatezza delle domande proposte
in ricorso, ne ha chiesto il rigetto. In particolare, ha contestato il
demansionamento, sostenendo che semmai si era verificata la situazione opposta,
per il sistematico boicottaggio posto in essere dal ricorrente sin dal suo
insediamento, che gli aveva impedito di svolgere a pieno le sue funzioni e
procurato conseguenze psicologiche e fisiche, sfociate in uno stato di
infermità, con lunghi periodi di assenza dal servizio per le necessarie cure
(dal 14/10/2002 al 14/11/2002 e dal 14/11/2002 alla data di cessazione del
servizio) e che lo avevano determinato a presentare le dimissioni con
decorrenza dall'1/5/2003.
La causa è stata istruita con documenti e con i testi (D),
(E), (F), (G), (H), (I), (L), (M).
All'esito, è stata espletata consulenza tecnica d'ufficio
sulle condizioni di salute del ricorrente.
Autorizzato il deposito di note conclusive, nelle note
depositate il ricorrente, riconoscendo di essere stato reintegrato nelle
mansioni di sua competenza di seguito all'avvicendamento del dirigente
scolastico, ha dichiarato di voler abbandonare la relativa domanda.
All'odierna udienza sulle riportate conclusioni la causa è
stata discussa e decisa con lettura pubblica del dispositivo steso in calce
alla presente sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente chiede di essere risarcito dei danni,
patrimoniali e non, che ricollega all'attività "mobbizzante" del
Dirigente Scolastico, prof. (C).
Per valutare se realmente vi sia stata un'attività
persecutoria nei confronti del ricorrente da parte del prof. (C) occorre
ricostruire i fatti e verificare se siano stati posti in essere atti e/o
comportamenti, anche non autonomamente sanzionabili, ripetuti in maniera
frequente e duratura al fine di danneggiare il lavoratore.
Il mobbing, infatti, secondo la nozione elaborata dalla
psicologia del lavoro (i primi studiosi sono stati Hans Leymann ed in Italia
Harald Ege) è una situazione lavorativa di conflittualità sistematica,
persistente e in costante progresso all'interno del luogo di lavoro, in cui gli
attacchi reiterati e sistematici hanno lo scopo di danneggiare la salute, i
canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione e/o la
professionalità della vittima.
Appare utile muovere, anche se in ordine cronologico
rappresenta l'epilogo della vicenda, dalle risultanze dell'indagine ispettiva
disposta dal Ministero dell'Istruzione presso l'Istituto (B) negli ultimi mesi
del 2002, di seguito all'esposto con cui il personale della segreteria
denunciava diversi eventi e situazioni che vedevano protagonista il prof. (C)
e, in generale, lamentava che il Dirigente Scolastico non aveva mai stabilito
un dialogo con le diverse componenti della scuola (ATA, docenti, genitori e
alunni) e, anzi, organizzava la scuola secondo criteri autoritari.
Sulla base degli accertamenti condotti, l'organo ispettivo
ha espresso il parere che fosse auspicabile utilizzare il Dirigente Scolastico
ad altri compiti o trasferirlo per incompatibilità ambientale, avendo rilevato
nella scuola una situazione di continua denigrazione della professionalità nei
confronti del D.G.S.A. odierno ricorrente, come della maggior parte del
personale dell'Istituto, oltre a diverse disfunzioni sia sotto il profilo
relazionale, che normativo.
Del personale di segreteria fanno parte gli assistenti
amministrativi (E), (F) e (L), i quali, sentiti come testimoni, hanno riferito
che il prof. (C) sin dal suo insediamento in Istituto, dove i rapporti con i
precedenti dirigenti si erano sempre distinti per spirito di collaborazione
funzionale e fiducia reciproca, ha alimentato con il suo modo di fare un
contesto di tensioni e di relazioni conflittuali con tutti, compreso il corpo
docenti; in particolare, nei confronti del personale della segreteria non ha
stabilito un rapporto di fiducia e di collaborazione, giungendo al punto di far
affiggere all'albo la comunicazione di servizio datata 31/8/2002 con cui si
avvisava che i rapporti tra la segreteria e la presidenza dovevano essere
tenuti soltanto dalla dott.ssa (N) (riguardo a questa specifica circostanza,
l'organo ispettivo ha evidenziato che non sono soggetti a pubblicazione
all'albo gli atti concernenti singole persone).
Da quanto sopra (risultati dell'indagine ispettiva ed
emergenze testimoniali), si ricava un dato di fatto senz'altro significativo,
che induce a ravvisare nella scuola diretta dal prof. (C) l'esistenza di una
situazione di conflitto generalizzato e latente nei rapporti tra il D.S. e le
varie componenti di Istituto, anche se i testi non hanno mancato di confermare
che i contrasti maggiori il prof. (C) li aveva con il ricorrente.
Sarebbe, tuttavia, prematuro trarne delle valutazioni in
merito alla condizione lavorativa lamentata dal ricorrente, perché l'ambiente
di lavoro teso, la gestione della scuola secondo moduli autoritari o in forme
inadempienti delle norme vigenti in materia di lavoro, di gestione
amministrativo-contabile, in materia didattica, per un verso, non sono ancora
"il mobbing", fenomeno che per esistere ha bisogno di una strategia
persecutoria mirata nei confronti di una persona o di un gruppo determinato di
persone; per altro verso, non lo escludono a priori, perché, anzi, la
psicologia del lavoro insegna che la situazione di conflitto generalizzato, del
tutto contro tutti o, come in questo caso, dell'uno contro tutti, può essere un
terreno fertile allo sviluppo del mobbing.
Bisogna, allora, approfondire i rapporti del prof. (C) con
il (A), per vedere se lo stato di conflittualità alimentato nella scuola abbia
creato le condizioni per una violenza psicologica particolarmente accanita nei
confronti del D.S.G.A., ovvero della figura professionale che, insieme al
Dirigente Scolastico, costituisce un elemento fondante del sistema funzionale
di Istituto, in quanto preposto, con autonomia operativa, ai servizi
amministrativi e generali dell'istituzione scolastica, di cui coordina il
personale.
Non è un caso che si sia rimarcato qual è la qualifica del
ricorrente e la ragione risiede nel fatto che non pare si possa trascurare che
proprio le funzioni da egli ricoperte possono averne facilitato il ruolo di
vittima; nell'ambito di una gestione dell'istituzione scolastica non informata
a criteri partecipativi, infatti, chi rischia più di altri di diventarne il
capro espiatorio è colui che è inchiodato dalla posizione funzionale che occupa
ad un rapporto di collaborazione istituzionale e professionale con il capo
d'istituto da cui dipende l'organizzazione autoritaria e nello specifico la
persona in questione è il ricorrente, visto che le competenze del Dirigente
Scolastico e del Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi si intrecciano
in modo da costituire un unicum normativo (art. 25 D.Lgs. 165/2001).
A parlare, comunque, devono essere fatti oggettivi e
comprovati, non mere congetture e, allora, si passi ad esaminare la cronologia
degli accadimenti documentati.
- In data 11/1/2002 il D.S. ha inviato un ordine di servizio
al D.S.G.A., avente ad oggetto la liquidazione di emolumenti in favore di
determinati dipendenti, avvertendolo che in caso di inadempienza entro 15
giorni, sarebbe stato sottoposto a provvedimento disciplinare. L'organo
ispettivo ha accertato che i fondi per le liquidazioni non erano stati erogati.
- Il 4/3/2002 il D.S. ha chiesto formalmente al D.S.G.A.
chiarimenti per i seguenti punti: conferimento delle supplenze; pagamento dello
stipendio alle insegnanti supplenti; acquisto di P.C., fotocopiatrice e
armadio; situazione di cassa dell'Istituto.
L'organo ispettivo ha accertato a tal proposito,
nell'ordine: che, dopo un primo momento, in cui era stato rispettato l'ordine
della graduatoria fornita dalla scuola pilota, il procedimento per le nomine
era stato impartito dal prof. (C), essendo, peraltro, il D.S. che conferisce le
supplenze in base al C.c.n.l.; che non erano stati erogati i fondi per il
pagamento degli stipendi ai supplenti; che gli acquisti di PC, fotocopiatrice e
armadi non erano stati apportati nei capitoli di spesa in conto capitale e che
il D.S. non aveva tenuto conto delle normative per attivare le procedure
previste dal regolamento contabile D.I. n. 4/2002 e D.A. 895/2001.
- Con prot. ris. n. 5 dell'11/3/2002 il D.S. ha inoltrato al
Dirigente del C.S.A. di Ag. una richiesta di informazioni sui flussi di cassa,
che così recitava: "... sospetto di essere continuamente boicottato dal
D.S.G.A. dell'Istituto".
- In data 13/3/2002 il D.S. ha reiterato l'ordine di
servizio al D.S.G.A. riguardante la richiesta di una relazione sulla situazione
di cassa, benché il (A) avesse formalmente precisato, nei chiarimenti forniti,
che solo in data 8/3/2002 erano pervenute le istruzioni per la predisposizione
del programma annuale, riservandosi di fornire dettagliatamente l'avanzo di
amministrazione dei fondi statali e regionali.
- In data 15/3/2002 il D.S. ha inviato una contestazione di
addebiti al D.S.G.A., sostenendo che i chiarimenti forniti erano falsi e
insoddisfacenti.
- In data 16/3/2002 il D.S. ha chiesto al D.S.G.A. il
resoconto delle somme disponibili.
- In data 2/7/2002 il D.S. ha mandato al D.S.G.A. un ordine
di servizio, riguardante la decurtazione di un giorno di stipendio al personale
ausiliario LSU (O) e (P). L'organo ispettivo ha evidenziato che la retribuzione
viene erogata dall'IPACEM e non dalla scuola.
- In data 4/7/2002 il D.S. ha replicato ordine di servizio
al D.S.G.A., sul presupposto, esplicitato nella nota, che competeva al
responsabile amministrativo dirigere il personale ausiliario, minacciando
l'adozione dei provvedimenti urgenti del caso.
- Lo stesso giorno, con nota ris. 12, ha invitato il D.S.G.A.
a consegnare entro 24 ore le chiavi delle segreterie, dei cassetti e degli
armadi e lo ha diffidato "dallo spendere anche un euro senza
l'autorizzazione scritta del Dirigente o in sua assenza del Vicario".
- Con nota ris. 13, in pari data, ha contestato i seguenti
addebiti al D.S.G.A.: oltraggio e calunnie gravi rivolte al D.S.; minacce al
D.S.; ostruzionismo e abuso di potere.
- Il D.S. ha inviato una precisazione sull'ordine di
servizio n. 12 del 4/7/2002, con cui ha escluso dall'autorizzazione preventiva
le spese postali e per l'ordinaria pulizia dei locali.
- Il 13/7/2002 il D.S. ha annotato nel foglio di presenza
del personale ATA l'assenza arbitraria del D.S.G.A.
Risulta dalla relazione ispettiva che il D.S.G.A. aveva
presentato domanda il 4/7/2002 per fruire delle quattro giornate di festività
soppresse, regolarmente protocollata, e le festività erano state accordate dal
D.S.
- Il 17/7/2002 il D.S. ha richiesto all'Ufficio Scolastico
Regionale di Pa. e al C.S.A. di Ag. "visita ispettiva urgente per
accertare le responsabilità del D.S.G.A.".
- Il 5/9/2002 il D.S. ha invitato il D.S.G.A., con comunicazione
di servizio, ad ordinare tutto il materiale necessario per il nuovo anno
scolastico.
- Con prot. 24/ris dell'11/10/2002 il D.S. ha sollecitato
all'Ufficio Scolastico Regionale di Pa. la visita ispettiva.
- In data 21/10/2002 ha emanato un o.s. al D.S.G.A., avente
per oggetto il trasferimento immediato del P.C. dall'ufficio del D.S.G.A.
all'ufficio del D.S. L'organo ispettivo ha appurato che in quel P.C. erano
caricati tutti i programmi necessari alla funzione.
- Lo stesso giorno, gli ha inviato un ulteriore o.s., a
parziale modifica del precedente, in cui ha specificato che si trattava di
prelevare "solo il Monitor, la tastiera e il mobiletto porta P.C.".
- In data 29/10/2002 il D.S. ha replicato l'ordine di
servizio con cui invitava il D.S.G.A. a consegnare le chiavi delle due
segreterie e lo diffidava formalmente in caso di inadempienza dei suoi compiti.
- Il 6/11/2002 il D.S. ha sporto formale denuncia contro il
D.S.G.A. alla Procura della Repubblica di Ag., alla D.I.A. di Ag., al
Comandante della Stazione dei Carabinieri di Na., per la scomparsa di
importanti documenti di ufficio e la manomissione del registro di protocollo.
- Nel corso della visita ispettiva, il D.S. ha affermato,
nel colloquio avuto con l'organo ispettivo, che il D.S.G.A. voleva comandare,
che aveva firmato i certificati sostitutivi della terza media al suo posto. In
base alla normativa vigente (art. 187, commi 1 e 2, T.U. 297/94), l'organo
ispettivo ha ritenuto che il D.S.G.A. possa firmare i certificati, in quanto di
sua competenza.
Singolarmente presi, molti degli atti e dei comportamenti
elencati rivelano, in alcuni casi autonomamente, in altri sulla base di quanto
accertato in sede ispettiva, chiare disfunzioni sia sotto il profilo
relazionale del Dirigente, sia sotto il profilo normativo, che già l'organo
ispettivo, del resto, ha evidenziato: il D.S. non conosce la situazione
finanziaria dell'Istituto in cui opera e chiede informazioni al dirigente del
CSA, accusando il DSGA di boicottarlo; immancabilmente sotto la minaccia della
sanzione disciplinare, ma senza mai farne ricorso, pretende dal D.S.G.A. la
corresponsione di finanziamenti senza che i relativi fondi siano stati ancora
erogati; gli chiede chiarimenti su procedure da egli stesso impartite
(supplenze); lo accusa di dichiarazioni false e insoddisfacenti in merito a
dati contabili non ancora disponibili; gli ordina di emettere provvedimenti
estranei alle competenze del DSGA (retribuzione degli l.s.u.) e lo accusa,
senza che sia risultato vero, di compiere atti al di fuori delle sue funzioni
(certificati sostitutivi degli attestati di licenza); gli sottrae l'autonomia
di spesa; gli annota come arbitrarie assenze che egli stesso aveva autorizzato;
lo priva degli strumenti di lavoro (computer contenente tutti i programmi necessari
alla funzione); lo accusa di malefatte mai accertate (sparizione di documenti,
manomissione del registro protocollo) e richiede formalmente una visita
ispettiva per accertarne le responsabilità.
Considerati nel loro insieme sotto il profilo delle norme
regolatrici del rapporto di lavoro, non sembra si possa dubitare che i
reiterati ordini di servizio, le continue richieste di chiarimenti e di
resoconti, l'abusiva ingerenza nelle procedure di spesa da parte del prof. (C),
in effetti, abbiano marcatamente ridotto l'ambito di autonomia operativa che
compete al responsabile amministrativo, con una progressività che è giunta al
punto, con la sottrazione del P.C. contenente i dati necessari alla funzione,
di creare condizioni ostative alla possibilità per il ricorrente di svolgere
l'attività lavorativa.
Oltre che sul piano della professionalità, mortificata sotto
l'aspetto dell'autonomia funzionale, l'attacco è stato sferrato sotto il
profilo della personalità morale del lavoratore, mediante frasi ingiuriose,
come l'accusa di mantenere la segreteria in "stato di disservizio...
tendente a provocare disordine e a screditare il suo legale rappresentante, con
una tattica di boicottaggio subdola, ma fin troppo evidente" (cfr.
richiesta di chiarimenti del 4/3/2002), frasi diffamatorie tese a screditare il
D.G.S.A. agli occhi del dirigente del C.S.A. ("... sospetto di essere
continuamente boicottato dal D.S.G.A. dell'Istituto"), reiterate minacce
di punirlo con sanzioni disciplinari, addebiti di responsabilità insussistenti,
anche con formali contestazioni, e finanche ripicche (vedi l'ordine di consegna
delle chiavi dell'ufficio e di tutti i cassetti e gli armadi ivi contenuti).
Il raggio dell'azione denigratoria si allunga ulteriormente
passando ad esaminare le emergenze dell'istruttoria testimoniale. I testi (E),
(L) e (F) hanno riferito che il prof. (C) ha offeso il ricorrente in presenza
dei colleghi definendolo "lestofante, ladro, turbatore d'asta" e la
circostanza è chiaramente indicativa di un'aggressione al D.S.G.A. anche sotto
il profilo della reputazione nell'ambito della comunità scolastica, volta a
screditarlo agli occhi del personale che da lui dipendeva per il coordinamento.
A questo punto, la ricostruzione dei fatti è completa e si
tratta di stabilire se si possa riconoscere una strategia mobbizzante
nell'operato del titolare dell'istituzione scolastica, non ignorando il
Tribunale che il mobbing in prima battuta è una realtà fenomenica, non un
concetto giuridico, e che, pertanto, intanto si potrà riconoscerlo nella
fattispecie concreta, in quanto la fattispecie medesima sia perfettamente
sussumibile nei requisiti richiesti dalla psicologia del lavoro, nazionale e
internazionale, compreso l'andamento nelle sei fasi successive del modello Ege.
Iniziando dalle categorie di attacchi mobbizzanti, si
osserva che le azioni ostili ai danni del D.S.G.A. rientrano in almeno tre
delle cinque categorie elaborate dallo studioso.
In effetti, il ricorrente ha subito attacchi ai contatti
umani, con continue critiche alle sue prestazioni (situazione di cassa,
supplenze, lavoro della segreteria), ripetute minacce scritte (irrogazione di
sanzioni disciplinari), accuse ingiustificate, frasi ingiuriose e diffamatorie.
Inoltre, il ricorrente è stato dequalificato sul piano delle
mansioni, a causa della pressante ingerenza arbitrariamente esercitata dal
convenuto nella sfera di autonomia operativa riservata alle funzioni di
D.G.S.A., e, sia pure per un breve lasso di tempo, è stato privato degli
strumenti di lavoro.
Ha subito attacchi contro la reputazione, con le false voci
fatte circolare sul suo conto (accuse di boicottaggio denunciate al Dirigente
del CSA, richiesta di visita ispettiva per farne accertare le responsabilità) e
in occasione delle offese rivoltegli in presenza dei colleghi.
Passando ai parametri di riconoscimento del mobbing, si
osserva che gli atti persecutori hanno avuto una durata complessiva superiore a
sei mesi, da gennaio ad ottobre 2002, e in questo arco temporale si sono
concentrati particolarmente in alcuni mesi.
La conflittualità ha avuto un andamento successivo, fino
alla fase di insorgenza dei sintomi psicosomatici (cfr. certificazione medica e
relazione di C.T.U. medico-legale).
In tale ambito, l'elemento materiale del mobbing è
senz'altro integrato, perché secondo la definizione data dagli psicologi del
lavoro il mobbing è un attacco ripetuto, continuato, sistematico, duraturo e il
ricorrente in un arco temporale di circa otto mesi, non senza trascurare
l'ostilità latente manifestatagli dal capo d'istituto nei rapporti quotidiani
("ogni giorno il prof. (C) mandava una lettera al segretario", teste
(L)), è stato vittima di almeno venti comprovate azioni mobbizzanti, fra atti
illegittimi sotto il profilo delle regole che governano il rapporto di lavoro
(ordini di servizio lesivi dell'autonomia professionale del D.G.S.A.) e
condotte aggressive sul piano dei rapporti umani.
Più difficile capire le ragioni dell'intento persecutorio,
che senz'altro trapela dai chiarimenti richiesti su procedure gestite dal
richiedente, dalle continue minacce di sanzioni mai irrogate, dalle accuse
ingiustificate, dalle ingiurie e dalle diffamazioni, dalle critiche soggettive
e che fa da collante delle diverse aggressioni, in un unicum strategico che
colora di significato persecutorio anche comportamenti di per sé innocui
(richiesta di consegna delle chiavi).
Un contributo può venire dalle dichiarazioni che il prof.
(C) ha reso all'ispettrice a proposito del ricorrente: "... vuole
comandare, ha firmato i certificati sostitutivi della 3a media; non ha
provveduto all'acquisto di una cassaforte e di un computer per l'Ufficio della
Presidenza", circostanze indicative di una volontà mirata nei confronti
del ricorrente, di fargliela pagare per determinate cose fatte e non fatte.
Si aggiunga la possibilità, come si diceva all'inizio, che
le disfunzioni relazionali abbiano portato il D.S. a sviluppare un sentimento
di rivalsa nei confronti della figura professionale con cui più avrebbe dovuto
instaurare un rapporto di cooperazione funzionale; in altre parole, è
verosimile ritenere che la posizione funzionale ricoperta dal (A) ne abbia
facilitato il ruolo di vittima, considerata, peraltro, la considerazione di cui
il ricorrente godeva nel settore della scuola ("era il punto di
riferimento per la provincia e per il provveditorato che a lui si rivolgeva per
le questioni di segreteria", cfr. teste (D), Preside dell'Istituto dal
1992 al 1995).
Anche in questo secondo caso, comunque, è essenziale
rilevare che non è indifferente che nella posizione di D.G.S.A. ci si sia
trovato il ricorrente, non potendosi escludere, perché ogni individuo è
irripetibile, che, a fronte dei metodi oggettivamente poco empatici del D.S.,
reazioni comportamentali diverse da quelle che ha avuto il ricorrente non
avrebbero portato il primo ad un sentimento altrettanto ostile. In altri
termini, ad essere chiamate in causa -come sempre, del resto, nelle questioni
di mobbing- sono le caratteristiche personologiche del ricorrente, che la
consulenza tecnica d'ufficio ha puntualmente evidenziato, sia pure, com'è
inevitabile, dopo che il lavoratore è stato mobbizzato: tendenza al
perfezionismo e alla ricerca della minuziosità, tratti di timidezza e
riservatezza, una certa difficoltà ad esprimere i sentimenti e le emozioni,
sensibilità alle critiche.
Per quel che vale, visto che non è possibile sapere come
fosse la personalità del periziato prima di essere vittima della violenza
psicologica sul luogo di lavoro, l'analisi del c. t.u. si sovrappone agli studi
psichiatrici del danno da mobbing, che hanno riscontrato nell'indole
scrupolosa, sensibile ai riconoscimenti e alle critiche e con un elevato senso
del dovere le caratteristiche caratteriali che agevolano il ruolo di vittima.
Riassumendo, quanto emerso dall'istruttoria prova che nel caso
concreto si ravvisano i requisiti tipici della condotta lamentata in ricorso,
mentre le giustificazioni addotte dal prof. (C), di essere stato lui ostacolato
dal (A) nello svolgimento delle sue funzioni, già difficilmente credibili alla
luce dei risultati dell'indagine ispettiva, non hanno trovato alcun riscontro.
Venendo a questo punto alle valutazioni giuridiche, si
osserva che le fonti di responsabilità del prof. (C), autore dei fatti
illeciti, sono da ricercare nel generale principio del neminem laedere espresso
dall'art. 2043 cod. civ., la cui violazione è fonte di responsabilità
aquiliana.
Una concorrente responsabilità contrattuale del datore di
lavoro ex art. 2087 c. c., pure evocata in ricorso, non si attaglia
all'Istituto Scolastico, la cui avvenuta entificazione (legge 59/97 e DPR
275/99) non implica che tanto il potere disciplinare, quanto la gestione degli
aspetti giuridici ed economici del rapporto di lavoro con il personale
scolastico si siano trasferiti all'istituzione scolastica-persona giuridica,
continuando a far capo agli organi ministeriali centrali, ovvero decentrati sul
territorio, che la esercitano per mezzo degli atti di gestione del rapporto di
lavoro che il Dirigente Scolastico pone in essere come organo
dell'amministrazione statale; la conseguenza è che il datore di lavoro del
personale scolastico continua ad essere lo Stato, nella sua personificazione
del Ministero dell'Istruzione. Da tanto discende che per avvantaggiarsi della
responsabilità contrattuale del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c. c.,
in solido con il dipendente autore dei fatti illeciti, il lavoratore avrebbe
dovuto chiamare in giudizio il Ministero, non l'Istituto (B), ammesso che al
datore di lavoro fosse imputabile nella fattispecie concreta di aver omesso di
adottare le misure necessarie ad impedire la reiterazione dei comportamenti
vessatori da parte del Dirigente Scolastico.
Non avendolo fatto, non può prospettare un concorso di
azioni e avvalersi dei benefici della responsabilità solidale, per cui il danno
ingiusto è soltanto quello che si ponga in rapporto di causalità con la
violazione da parte del superiore gerarchico dell'obbligo di comportarsi
secondo buona fede e correttezza in ambito extracontrattuale.
In tale ambito, la regola del neminem laedere trova la sua consacrazione nell'art. 2059
c. c., ora che questa norma, dopo essere rimasta per lungo tempo quasi del
tutto inutilizzata, è risorta nella nuova sistemazione dogmatica del danno
civile elaborata con il fondamentale contributo delle due sentenze gemelle
della Suprema Corte di Cassazione del maggio 2003 (nn. 8827 e 8828 del
31/5/2003). Secondo l'interpretazione costituzionalmente orientata che
analogamente alla Cassazione ne ha dato la Corte Costituzionale
(sent. n. 233 dell'11/7/2003), la norma, infatti, chiarisce il portato della
regola del neminem laedere nelle relazioni interpersonali con specifico
riferimento alle situazioni normativamente previste e tipizzate, oltre
l'aspetto meramente patrimoniale del danno; il risultato non è più quello di un
ambito di tutela risarcitoria ristretto al danno morale (che, a questo punto,
diventa riparabile anche quando non derivi da un fatto penalmente rilevante),
ma la possibilità di una tutela piena dei diritti inviolabili della persona
(art. 2 Cost.). Nella categoria del danno non patrimoniale, quindi, superata la
bipartizione nelle componenti del danno morale e del danno biologico, la figura
aggiuntiva del danno esistenziale si presta a salvaguardare il profilo
relazionale-sociale dell'individuo, che viene così protetto in tutte le
attività e manifestazioni espressive della personalità.
Sulla
scorta di tali principi, il lavoratore vittima del mobbing che provi che le
conseguenze pregiudizievoli sono in rapporto di causalità con le attività
persecutorie compiute per nuocerlo ha diritto alla riparazione di tutti gli
aspetti non patrimoniali di danno sofferti, anche se per la liquidazione non
potrà che farsi ricorso al criterio dell'equità, trattandosi di riparare la
lesione di valori inerenti alla persona.
Ebbene, la prova che l'attività mobbizzante posta in essere
dal prof. (C) abbia arrecato nocumento al ricorrente può dirsi acquisita.
Aspetti di danno di natura patrimoniale si rinvengono nella
lesione della professionalità specifica, desumibile in base agli elementi di
fatto emersi relativamente alla qualità e alla durata della dequalificazione,
rispetto ai quali la consequenzialità del danno è normale secondo l'id quod
plerumque accidit. Ordini di servizio e richieste di chiarimenti in
continuazione, reiterate accuse ingiustificate e minacce di sanzioni, divieto
di esercitare l'autonomia di spesa ("ogni giorno il prof. (C) mandava una
lettera al segretario, ...ha tolto il computer dalla sua stanza... Lo accusava
di ritardare il pagamento degli stipendi... gli vietava di spendere soldi senza
la sua autorizzazione" - teste (L)) implicano per il responsabile
amministrativo di una scuola, le cui funzioni consistono nell'organizzare i
servizi generali amministrativo-contabili dell'istituzione scolastica nell'ambito
degli obiettivi assegnati e degli indirizzi impartiti, senz'altro una
sottoutilizzazione delle esperienze lavorative. Le esperienze lavorative sono
beni che hanno un valore economico, perché la professionalità specifica non è
solo il portato delle nozioni teoriche, ma anche dell'applicazione pratica, e
considerato che è stato prolungato il periodo di tempo durante il quale il
ricorrente è stato limitato nelle possibilità applicative della proprie
capacità ed attitudini (da gennaio ad ottobre 2002), deve ritenersi che il
danno patrimoniale si sia prodotto nella sua sfera giuridica in conseguenza
della dequalificazione professionale subita.
Aspetti di danno non patrimoniale sono pure presenti, nelle
tre componenti del danno biologico, morale ed esistenziale. Il "disturbo
post-tramautico da stress cronico moderato in personalità di tipo
dipendente" è la diagnosi in ambito psicopatologico che descrive il quadro
clinico del ricorrente secondo il giudizio medico-legale del c. t.u., il quale
ha precisato, quanto alle cause dell'infermità, che le situazioni collegate
all'attività lavorativa sono state senz'altro un fattore di lesività, ma che il
disturbo visivo presente nella storia clinica del periziato fin dal 1984 è da
includere fra gli eventi stressogeni, perché responsabile di una forte
vulnerabilità nello stato d'animo del lavoratore, che lo ha predisposto
ulteriormente a nuovi stress. In ambito somatico il ricorrente è risultato
affetto, oltre che dal predetto disturbo visivo, da "malattia da reflusso
gastro-esofageo per disordine motorio di transizione sec.
Hellemans-Vantrappen".
La diagnosi e le considerazioni medico-legali formulate dal
consulente tecnico d'ufficio sono senz'altro suffragate da ogni necessario
accertamento clinico e specialistico, compiuto con particolare riferimento alla
peculiare strutturazione della personalità del periziato (indagini
clinico-anamnestetiche, psichiche e testologiche), ma il convincimento del
giudice, supportato dalla documentazione sanitaria a firma degli specialisti ai
quali il periziato si è rivolto per le cure, è che il quadro clinico accertato
deponga per una condizione psicopatologica di più lieve entità. Tanto
l'anamnesi, quanto l'esame obiettivo e testologico, infatti, nemmeno
lontanamente rivelano, ora come al tempo dei fatti accaduti nell'ambiente
lavorativo, i sintomi peculiari del DPTS: persistente rievocazione
dell'esperienza traumatica attraverso immagini, pensieri, incubi notturni,
accompagnata da sensazioni di vergogna, rabbia, tristezza, paura, sentimenti di
irrealtà e/o di estraneità, sensazioni fisiche quali sudorazione profusa,
dispnea, pianto improvviso, tachicardia, nausea, diarrea, tremori; rapporto
fobico con tutti gli stimoli che possono rievocare l'evento (persone, luoghi,
attività, ascolto di programmi televisivi, lettura di giornali, situazioni
sociali); amnesia psicogena, intorpidimento emozionale, apatia; stato di
iperattivazione costante che si manifesta con disturbi del sonno, maggiore
irritabilità e aggressività, deficit di concentrazione, stato di ipervigilanza.
Rispetto a questo genere di disturbi, che il c. t.u. ha
escluso nel periziato affermando che non sono emersi disturbi psicosensoriali,
che il pensiero è stato logico, l'ideazione lucida, i processi ideativi
coerenti (cfr. pag. 8 della relazione), l'analisi delle funzioni psichiche ha
evidenziato nel ricorrente un quadro clinico ben distante dal punto di vista
nosografico e tipico della personalità di tipo dipendente: tendenza alla
ricerca della minuziosità, difficoltà ad esprimere con parole i sentimenti e le
emozioni esperite, sentimenti di scarsa autostima, preoccupazione del giudizio
degli altri, incertezze nel prendere decisioni, vita affettiva nel complesso
poco equilibrata e facilmente influenzabile, particolare sensibilità alle stimolazioni
esterne ed ambientali, sbilanciamento verso l'intellettualizzazione,
insofferenza alle critiche, contatto sociale condizionato da una migliorabile
adattività intellettuale indicativa di una polarizzazione sul proprio sé e da
un bisogno di assertività, fattore ostacolante la realizzazione di una piena
vita di relazione.
Di contro, sono testimoniate testologicamente valenze
nevrotiche (incidente nevrosi astenica, la cui entità sintomatologica è
espressa dal numero considerevole di fenomeni particolari) e aura depressiva,
che sono comunque sintomi di una condizione psicopatologica di entità
notevolmente più lieve del DPTS e che il c. t.u. ha condivisibilmente
inquadrato nella fragilità dei processi identificativi tipici della personalità
di tipo dipendente.
Unitamente alla storia personale del lavoratore (familiarità
negativa quanto a malattie nervose e mentali, inizio nel gennaio 2002 del
trattamento psicoterapico, che il ricorrente ha praticato per circa un anno,
insieme al trattamento farmacologico prescrittogli da medico specialista
neurologo in servizio nella struttura pubblica, assenza di precedenti patologie
psichiche o nervose, notevole miglioramento del quadro clinico in seguito alla
cessazione dal servizio del prof. (C), le risultanze dell'indagine
psicodiagnostica permettono di ritenere che la patologia psichica da cui è
affetto il periziato, oltre a rappresentare una comune risposta a situazioni
stressanti esogene, denoti caratteristiche morfologiche tali da far desumere un
sicuro nesso eziologico con la conflittualità relazionale determinatasi sul
posto di lavoro, che, pertanto, non senza risentire del preesistente deficit
sensoriale visivo, ha agito come fattore (con)causale nel determinismo e
nell'evoluzione della menomazione.
Aspetti di danno esistenziale, ovvero alla sfera
relazionale-sociale, sono evidenti negli esiti dell'intervista psichiatrica,
che, in sintesi, hanno messo in luce una condizione di".
Aspetti di danno morale, infine, sono desumibili in base
agli elementi di fatto emersi relativamente alla qualità, alla frequenza e alla
durata delle azioni ostili, rispetto ai quali la consequenzialità delle
ripercussioni sullo stato d'animo in termini di transeunte turbamento può dirsi
normale secondo i dati dell'esperienza.
Venendo alla liquidazione del pregiudizio, la lesione
patrimoniale può essere risarcita facendo riferimento alla retribuzione,
pacificamente ritenuta in giurisprudenza un accettabile parametro per la
quantificazione in via equitativa del danno alla professionalità, essendo
espressione della qualità e quantità del lavoro prestato (art. 36 Cost.). Circa
la misura della retribuzione cui far corrispondere il pregiudizio, deve
considerarsi, per un verso, la qualità intrinseca delle mansioni negate ("
secondo la declaratoria contrattuale collettiva) in rapporto alla durata del
demansionamento (circa otto mesi), posto che la perdita del valore della
professionalità è direttamente proporzionale al contenuto professionale delle
mansioni non esercitate e al trascorrere del tempo di dequalificazione; per
altro verso, va detto che che il demansionamento non si è verificato nelle
forme più gravi dello svuotamento di mansioni o dell'assegnazione a mansioni
inferiori. In tale prospettiva, appare proporzionato all'entità del danno risarcirlo
con una somma pari a un 1/4 della retribuzione mensile per i primi cinque mesi
di demansionamento, ad un 1/3 per i successivi quattro mesi (escluso il mese di
ferie in agosto); in base alle buste paga del periodo, la retribuzione lorda
utile come parametro di riferimento è di Euro 2.170,00 (grosso modo) e,
pertanto, a titolo di danno patrimoniale spetta al danneggiato la complessiva
somma di Euro 5.606,00.
Per il risarcimento della lesione sanitariamente accertata,
considerato che secondo il parere espresso dal c. t.u. il quadro clinico è in
atto consolidato, anche se in parziale remissione, può farsi riferimento per
l'individuazione del grado di invalidità permanente ai valori delle tabelle
approvate con decreto del Ministero del Lavoro, D.M. 12/7/2000 (le tabelle
allegate al d.m. Sanità del 5/2/1992 per la valutazione dell'invalidità civile
non prevedono un'infermità corrispondente dal punto di vista nosografico alla
patologia da cui è risultato affetto il ricorrente e neanche prevedono il
DPTS). Su tale base, può ritenersi che l'infermità comporti un danno biologico
decisamente inferiore al 6% (che è la percentuale di danno biologico attribuita
dalle tabelle al disturbo post-traumatico da stress cronico moderato), del
quale, si noti, il danneggiante risponde interamente. La precisazione origina
dal fatto che, come si è visto, precedenti condizioni soggettive della vittima
hanno interferito con l'eziologia degli eventi dannosi, comprese le
problematiche personologiche del lavoratore (profilo di tipo dipendente), il
ctu essendo del parere che si tratti di problematiche strutturali (pag. 15
della relazione, in relazione all'ultimo quesito). Anche se non si dubita che
le condizioni soggettive preesistenti possano aver reso il lavoratore
particolarmente sensibile e reattivo alle stimolazioni esterne, l'eventualità
che abbiano esercitato un'azione concorrente (il c. t.u. l'ha affermato senza
mezzi termini per il disturbo visivo) non potrebbe comunque comportare alcuna
riduzione della responsabilità civile del danneggiante per il minor grado di
efficienza causale della condotta, perché una comparazione del grado di
incidenza eziologica è ammessa nell'ordinamento positivo del danno ingiusto
civile solo nel caso di concorso di comportamenti umani colpevoli, ai sensi e
per gli effetti degli artt. 1227 e 2055, c. 1, c. c. (Cass. 9/4/2003, n. 5539).
Sicché, il danneggiante resterebbe responsabile anche per
gli aspetti di danno non direttamente ricollegabili alla sua condotta e, sulla
scorta di tali principi, considerata l'età del ricorrente (58 anni), risponde
ad equità risarcire la lesione medico-legale con la somma di Euro 2.500,00 (del
resto, secondo la tabella di liquidazione del danno biologico del Tribunale di
Palermo per l'anno 2004, ipotizzando una percentuale di invalidità del 4% la
liquidazione sarebbe pari a Euro 2.570,71, considerato che il valore punto
corrispondente al grado di lesione è di Euro 805,67, il coefficiente di
rivalutazione ex Dm 22/7/2003 è pari a 1,0496 e il coefficiente di
devalutazione riferito all'età del danneggiato è pari a 0,760).
Per le altre voci di danno non patrimoniale, considerate
tutte le specificità del caso (qualità, frequenza e durata delle azioni ostili,
posizione occupata dal danneggiato nell'organizzazione dell'Istituto scolastico,
età e profilo personologico del danneggiato, risultati dell'analisi delle sue
funzioni psichiche) e non potendosi trascurare che la lesione è direttamente
proporzionale al trascorrere del tempo, si ritiene equo liquidare il danno
morale in misura di una frazione del danno biologico, pari a 1/5, per ogni mese
di attività mobbizzante e, quindi, nel complessivo ammontare di Euro 5000,00 e
altrettanto, grosso modo, appare congruo liquidare per il danno esistenziale.
In conclusione, le somme spettanti al ricorrente a titolo di
risarcimento del danno ammontano complessivamente ad Euro 18.000,00 a carico del
prof. (C), e possono così riepilogarsi:
euro 5.606,00 per danno patrimoniale;
euro 2.500,00 per danno biologico;
euro 5.000,00 per danno morale;
euro 4.894,00 per danno esistenziale.
La domanda risarcitoria nei confronti dell'Istituto (B) deve
invece essere rigettata, essendosi rilevato, contrariamente a quanto dedotto in
ricorso, che l'Istituto non riveste nei confronti del ricorrente la qualità di
datore di lavoro.
Le spese del giudizio, nei rapporti tra il ricorrente e il
prof. (C), vengono liquidate in euro 939,95 per onorari, euro 581,55 per
diritti, euro 190,18 forfettario 12,5% spese generali e poste a carico del
convenuto.
Nei confronti dell'Istituto Scolastico non v'è luogo a
provvedere, essendo stata scelta dall'Avvocatura dello Stato la rappresentanza
e difesa in giudizio ai sensi dell'art. 417 bis, c. 1, c. p.c. e non sono state
documentate spese vive.
Le spese separatamente liquidate al c. t.u. restano
definitivamente a carico del prof. (C).
P.Q.M.
Il Giudice del Lavoro
respinta ogni altra istanza, eccezione e difesa, condanna
(C) a corrispondere a (A) la complessiva somma di euro 18.000,00, a titolo di
risarcimento del danno, con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria
dalla data di cessazione della lesione al soddisfo.
Rigetta nel resto.