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Giurisprudenza su I.N.A.I.L.

Cassazione Civile Sent. n. 13348 del 22-06-2005

COMMENTO: Uso del mezzo proprio ai fini della definizione dell’infortunio in itinere. Con la seguente sentenza la Corte Cassazione ha definito il significato dell’infortunio in itinere in particolare sull’uso del proprio mezzo per recarsi al lavoro.

Svolgimento del processo

La domanda proposta nei confronti dell'Inail da Maria Luisa Usai per ottenere quale coniuge superstite la rendita a lei spettante per la morte del coniuge, Salvatore Manghino, deceduto in un incidente stradale mentre nel corso della attività espletata di artigiano edile si recava dal cantiere di Sassari a quello di Ardara, era rigettata dal Tribunale di Sassari con sentenza dell'8 novembre 2000, confermata dalla Corte di appello di quella città con la pronuncia depositata il 28 febbraio 2002.

Nel disattendere il gravame della soccombente, la Corte territoriale negava l'indennizzabilità dell'incidente, non essendo configurabile l'infortunio sul lavoro per la mancanza di collegamento con l'attività lavorativa: era stato accertato infatti, attraverso la denuncia d'infortunio e le successive dichiarazioni rese dall'appellante all'ispettore dell'Inail, che la vittima al momento dell'evento stava rientrando nella propria abitazione per il pranzo e non si spostava da un cantiere all'altro, per cui, "a prescindere dalla qualità di artigiano o meno del defunto", l'evento non poteva essere qualificato come infortunio sul lavoro.

Avverso questa sentenza la Usai ha proposto ricorso per Cassazione, con un solo motivo.

L'Istituto ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con un unico motivo la ricorrente, nel denunciare unitamente a vizio di motivazione violazione dell'art. 2 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, critica la sentenza impugnata per avere negato l'applicabilità della tutela assicurativa per l'artigiano, malgrado l'incidente in questione si fosse verificato in occasione di lavoro. Quali che fossero le situazioni in cui era accaduto il sinistro, sia se, in base alle dichiarazioni della richiedente, il coniuge stesse percorrendo la strada per ragioni di lavoro dovendo raggiungere un secondo cantiere edile dopo avere lavorato in un altro, sia secondo la diversa prospettazione dell'Istituto, per rientrare a casa per il pranzo, l'incidente, ad avviso della Usai, deve essere considerato infortunio in itinere rientrante nella tutela assicurativa dell'Inail.

Il ricorso non è fondato. Il giudice del merito ha accertato che il coniuge della odierna ricorrente, al momento dell'incidente, non si spostava da un cantiere ad un altro per l'espletamento della sua attività di artigiano edile, ma rincasava per il pranzo. La ricostruzione del fatto in tali termini non è efficacemente contrastata dalla ricorrente, la quale da un lato ha insistito nella propria tesi affermando che si tratta di infortunio sul lavoro ("Anche a voler ammettere che nel caso in esame ricorresse l'ipotesi di un infortunio in itinere e non un ordinario infortunio è da dire ..." etc., v. inizio di pag. 7 del ricorso), senza però specificare, malgrado il dedotto vizio di motivazione, quali gli errori compiuti dalla sentenza impugnata nell'accertamento di fatto compiuto, dall'altro ha sostenuto che in ogni caso l'incidente dovrebbe essere indennizzato come infortunio in itinere, competendo la tutela assicurativa per tale evento anche agli artigiani.

Di fronte a tale ultima affermazione, occorre precisare che, secondo la dottrina e la giurisprudenza, alla cui elaborazione deve farsi risalire l'istituto, l'infortunio in itinere è l'incidente nel quale può incorrere il lavoratore nel percorso dalla propria abitazione al luogo di lavoro e viceversa, sempre che il tragitto sia per il lavoratore quello normale per raggiungere il posto di lavoro e per tornare alla propria abitazione, sussista un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito ed attività lavorativa, nel senso che il primo non sta percorso dal lavoratore per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda, e vi sia la necessità dell'uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, considerati i suoi orari di lavoro e quelli dei pubblici servizi di trasporto (cfr. fra le più recenti Cass. 23 aprile 2004 n. 7717).

Quindi escluso, in base a siffatto accertamento, che al momento dell'incidente il lavoratore si stava spostando da un cantiere all'altro per svolgere la sua attività di artigiano edile, va negata la sussistenza dell'infortunio sul lavoro, anche a comprendere nella tutela assicurativa prevista dal d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, in base alla più recente e prevalente giurisprudenza, qui da ribadire, tutte le attività materiali, prodromiche o comunque inerenti all'esecuzione di quella tipica e peculiare della prestazione artigianale, pure se effettuate fuori dei locali dell'impresa, ma non quelle concernenti la direzione e l'amministrazione dell'impresa medesima. In tal senso sono tutti i precedenti giurisprudenziali richiamati dalla ricorrente, e precisamente Cass. 11 settembre 1997 n. 8919, in fattispecie concernente le lesioni riportate da una artigiana, socia di una lavanderia, uscita fuori strada con il proprio veicolo, mentre rientrava in azienda dal laboratorio ove si era recata per la consegna di capi di biancheria da stirare, incombente lavorativo commissionato alla sua azienda e al quale non si era reso possibile provvedere direttamente per una causa di forza maggiore; Cass. 24 aprile 1998 n. 4255, relativamente all'incidente stradale accaduto ad un artigiano mentre si spostava, per motivi diversi da quelli strettamente inerenti alla attività di produzione ma connessi a questa, e cioè esposizione delle armi antiche da lui riprodotte, dai locali della sua azienda nella zona della mostra;

Cass. 2 maggio 1998 n. 5099, in relazione alla caduta dalla scale di un artigiano mentre era intento a riparare la copertura del capannone adibito a deposito del materiale a lui occorrente per la esplicazione della propria attività; Cass. 23 settembre 1998 n. 9515, che ha ritenuto indennizzabile l'infortunio occorso all'artigiano, il quale aveva riportato la rottura di un tendine mentre effettuava la misurazione delle superfici di un edificio da pitturare; Cass. 2 ottobre 1998 n. 9796, in fattispecie relativa a incidente stradale in cui era deceduto un artigiano edile, mentre, trasportando un macchinario da riparare o da sostituire, ritornava presso il deposito della ditta; Cass. 27 luglio 1999 n. 8150, sempre con riferimento a incidente stradale, causa della morte di un artigiano mentre faceva ritorno al laboratorio, dopo essersi recato da un fornitore di pezzi di ricambio per la riparazione di un macchinario utilizzato nell'esercizio della propria attività. Analogamente altre sentenze precedenti, tra cui Cass. 16 marzo 1992 n. 3196, per un incidente stradale subito da un artigiano falegname che con la propria vettura si era recato presso l'abitazione di un cliente per provvedere alla misurazione delle opere commissionate; Cass. 19 aprile 1995 n. 4346, concernente l'infortunio occorso all'istruttore di una scuola-guida durante il tragitto per ritornare alla scuola dopo aver riaccompagnato un allievo al termine della lezione, e altre successive a quelle menzionate dalla ricorrente, tra cui Cass. 7 maggio 2002 n. 7514, Cass. 9 gennaio 2002 n. 190.

Di conseguenza, gli accennati precedenti giurisprudenziali non possono essere utilmente richiamati a sostenere la tesi della indennizzabilità anche per l'artigiano dell'infortunio in itinere, il quale, per la nozione innanzi delineata, non può evidentemente rientrare nella esecuzione (o comunque essere ad essa ricollegata) di attività inerenti a quella oggetto dell'impresa o alle necessità produttive di essa.

Nè alcun argomento a supporto dell'assunto qui sostenuto dalla ricorrente può essere ricavato dalla disciplina dell'istituto introdotta dal decreto legislativo 23 febbraio 2000 n. 38, che nel recepire i principi elaborati in proposito dalla giurisprudenza si riferisce come risulta dal complessivo tenore dell'art. 12 soltanto al rapporto di lavoro subordinato.

Infine, la ricorrente, la quale nelle fasi di merito aveva richiesto l'attribuzione della rendita ex art. 85 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 per la morte del coniuge a seguito di infortunio sul lavoro, non può introdurre in sede di legittimità una diversa questione, quella cioè concernente la esistenza dell'infortunio in itinere, che non si basa sui medesimi elementi di fatto ma richiede accertamenti diversi - in particolare sulla necessità dell'uso del mezzo proprio, mai dedotta dinanzi al giudice del merito - inammissibili in sede di legittimità.

In definitiva, anche se non va confermata la statuizione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il decesso del lavoratore che torna a casa per il pranzo non è mai indennizzabile come infortunio sul lavoro, tanto valendo per l'artigiano e non anche, come da giurisprudenza consolidata, per gli altri lavoratori subordinati compresi nell'assicurazione a norma dell'art. 4 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, l'errore, essendo il dispositivo conforme a diritto, non può dare luogo all'annullamento della sentenza impugnata, ma soltanto alla correzione della motivazione nei termini sopra esposti, e il ricorso deve essere rigettato.

Sebbene soccombente, la ricorrente resta esonerata dal pagamento delle spese del giudizio di cassazione, ai sensi dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2005.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2005

Cassazione Civile Sent. n. 19940 del 06-10-2004

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Pisa Carmignani Armando proponeva appello avverso la sentenza del Pretore di Pisa, emessa nei confronti delle Ferrovie dello Stato, con la quale era stata rigettata la sua domanda per il riconoscimento dell'infortunio in itinere da lui subito in data 28/11/89, mentre rientrava dal lavoro, e quindi per la costituzione della rendita per incapacità lavorativa nella misura del 45%.

Le Ferrovie contrastavano il gravame ed il Tribunale, con sentenza del 13/6 - 14/7/01, lo rigettava sul rilievo che i fatti di causa non erano contestati, mentre controversa ne era la qualificazione.

L'occasione di lavoro doveva essere esclusa, perchè non era provata nessuna relazione fra la necessità di uso del mezzo privato e la prestazione lavorativa del giorno dopo: se il Carmignani non si fosse recato a Pisa con la sua auto la mattina del giorno 28 per motivi personali, non avrebbe avuto alcuna di necessità di riportare il mezzo a casa per poterlo poi usare la mattina successiva per recarsi al lavoro. La carenza di relazione fra l'uso del mezzo privato ed il lavoro era ancor più netta che nel caso di un comportamento effettivamente strumentale nel quale si può anche ravvisare una qualche relazione di necessità (come la riparazione della vettura, che sia assolutamente necessaria per effettuare il percorso lavorativo in mancanza di mezzi di trasporto meno pericolosi); nel caso in esame, invece, era pacifico che il rientro alla abitazione con mezzo proprio era dovuto esclusivamente al fatto di avere in precedenza portato la macchina a Pisa per motivi personali.

La tesi prospettata in secondo grado (secondo cui Fuso della macchina era necessario per il ritorno nella abitazione nella stessa serata del 28/11/89 considerata la variabilità dell'orario di uscita) non era attendibile, sia perchè in contrasto con quanto affermato in primo grado (che la macchina era stata portata a Pisa per motivi personali "pag. 2 del ricorso" e quindi che doveva essere riportata presso la sua abitazione in vista del viaggio di andata al lavoro del giorno dopo) sia perchè non risultava che la sera dell'incidente vi fosse stato un ritardo imprevisto nella fine del turno di servizio ed in ogni caso perchè non erano state proposte specifiche contestazioni circa l'insufficienza del servizio pubblico in caso di uscita alle ore 20.18.

Avverso questa pronuncia propone ricorso per Cassazione il Carmignani, fondato su un unico motivo. Resiste la Rete Ferroviaria Italiana spa (già Ferrovie dello Stato spa) con controricorso, illustrato con memoria.

Motivi della decisione

Lamentando violazione e falsa applicazione dell'art. 2 DPR n. 1124/65 (art. 360 n. 3 CPC) deduce il ricorrente che esatta è l'affermazione che i fatti sono pacifici in causa, ma non la conclusione che ne trae il giudice d'appello, che debba cioè escludersi l'occasione di lavoro: è pacifico il nesso eziologico sussistente tra il percorso seguito e l'evento, posto che lo stesso costituisce l'iter normale per i residenti in Marina di Pisa che intendano recarsi a Pisa. Tale tragitto è stato percorso dall'istante quella sera, alle ore 20,18, non per ragioni personali, ma perchè è la via più veloce per giungere a casa in tempo per il necessario riposo dovendo prendere servizio la mattina successiva alle ore 4.45; la necessità dell'uso del mezzo privato è evidente ove si abbia riguardo alla effettiva disponibilità dei mezzi pubblici la sera dell'infortunio, la mancanza di una corsa di autobus utile per il turno della mattina del 28/11/89 e la conseguente necessità di riportare a casa la macchina, che si trovava a Pisa, costituiscono elementi tali da giustificare la presenza del requisito di un nesso di causalità. L'occasione di lavoro inizia nel momento in cui l'istante terminato il turno di lavoro si trova costretto a condurre la propria auto, che in quel momento era a Pisa, presso la propria abitazione per utilizzarla la mattina successiva. Non sussiste invece il rischio elettivo posto che la necessità di utilizzare l'auto non è una scelta personale, ma una soluzione imposta dall'obbligo di prendere servizio la mattina successiva in condizioni fisiche ottimali.

Il ricorso è infondato.

La Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto secondo cui "l'ipotesi dell'infortunio "in itinere", compreso nella tutela dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, non può essere ravvisata nel caso di incidente stradale subito dal lavoratore che si sia spostato con il proprio automezzo dal luogo di lavoro ove l'uso del veicolo privato non rappresenti una necessità, in assenza di soluzioni alternative, ma una libera scelta del lavoratore (Cass. n. 806/93). Va considerato, infatti, che ai fini dell'indennizzabilità di un infortunio occorso lungo il percorso tra il luogo della propria dimora e il luogo di prestazione dell'attività lavorativa fuori sede il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio della strada; con la conseguenza che l'uso del mezzo privato può essere consentito solo quando sia direttamente collegato con la prestazione lavorativa ed è indispensabile per raggiungere il posto di lavoro o per tornare alla propria abitazione.

Nel caso di specie, la macchina era stata portata a Pisa la mattina del giorno 28 "per motivi personali" dice lo stesso ricorrente, o meglio "per trattare una permuta del veicolo", come risulta dalla sentenza. E' quindi pacifico in causa che il viaggio di andata a Pisa con il mezzo proprio non era legato al lavoro che doveva essere prestato nel turno pomeridiano; così come è pacifico che al termine del turno lavorativo, alle ore 20,18, ben poteva essere utilizzato il mezzo pubblico in partenza alle ore 20,35 con arrivo a Marina di Pisa alle ore 20,44, come precisa il controricorrente. In questo contesto logica e coerente è la conclusione del giudice di merito secondo cui il viaggio di ritorno a casa non è affetto legato alla prestazione lavorativa, ma è frutto di una libera scelta del lavoratore e quindi di un rischio elettivo. La circostanza che la macchina sarebbe servita la mattina successiva per recarsi al lavoro, in relazione ad un turno lavorativo da iniziarsi alle ore 5,45 non è rilevante, perchè costituirebbe, secondo la valutazione del giudice di merito un "comportamento meramente prodromico" all'uso del mezzo privato per uno scopo lavorativo. Simile valutazione è condivisibile perchè non possono rientrare nel rischio protetto dalla copertura assicurativa dell'INAIL le attività prodromiche all'uso del mezzo privato per fini lavorativi.

Il ricorso va quindi rigettato. Le spese vanno regolate ai sensi dell'art. 152 disp. att. CPC nel testo anteriore a quello di cui all'art. 42 del D.L. n. 269 del 30/9/03, nella specie inapplicabile "ratione temporis"; in proposito va rilevato che il ricorrente non ha mai contestato di avere portato la macchina a Pisa per motivi non legati alla prestazione di lavoro, assolutamente personali, per trattare cioè la pennuta della stessa vettura; nel corso del giudizio però ha aggiunto, in appello, che l'uso della macchina era necessaria per il ritorno a casa in considerazione della variabilità dell'orario di uscita (senza però allegare e dimostrare i relativi presupposti di fatto, come si pone in evidenza nella sentenza impugnata) ed in questa sede che l'uso del mezzo privato era necessario per il ritorno a casa avuto "riguardo all'effettiva disponibilità di mezzi pubblici la sera dell'infortunio" (senza poi contestare l'affermazione del controricorrente in merito all'esistenza di un mezzo pubblico in partenza per Marina di Pisa alle ore 20,35, con arrivo alle ore 20,44, pienamente utilizzabile in caso di uscita alle ore 20,18, come accertato in primo grado). Tale allegazione di nuovi fatti, non dimostrati, o palesemente inammissibili, rende evidente non solo la manifesta infondatezza della domanda, ma anche l'uso temerario del ricorso per Cassazione, per cui si giustifica la condanna alle spese di lite, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 50,00 per spese, oltre ad Euro 1.500,00 per onorario.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2004.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2004

Cassazione Civile Sent. n. 16613 del 23-08-2004

COMMENTO: Termine di prescrizione per la domanda di riconoscimento della malattia professionale. Il termine d prescrizione, ai fini del riconoscimento della malattia professionale decorre dalla conoscenza da parte del dipendente che tale patologie dipende ha nesso di causalità con l’attività svolta.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 3 aprile/5 maggio 2000 il Tribunale di Siracusa, accogliendo l'appello proposto dall'INAIL, rigettava la domanda avanzata da Filippo Puglisi nei confronti dell'Istituto previdenziale (domanda che, in primo grado, era stata accolta, con la condanna alla corresponsione di una rendita per una inabilità del 27%).

I giudici di secondo grado ritenevano, sulla scorta della consulenza tecnica espletata, che la componente professionale della ipoacusia sofferta dall'appellato non si fosse aggravata dopo la cessazione, nel 1975, della attività rumorosa.

Si era, pertanto, maturato il termine di prescrizione.

Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando tre motivi di censura, Filippo Puglisi.

L'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) resiste con controricorso.
Motivi della decisione

Va preliminarmente dichiarata la tempestività del ricorso.

Lo stesso è stato notificato il 16 novembre 2000, nel mentre la sentenza impugnata era stata notificata al ricorrente il 15 settembre 2000.

Dall'esame dell'originale del ricorso risulta che lo stesso era stato consegnato agli ufficiali giudiziari di Siracusa il 10 novembre 2000, con la richiesta di effettuare la notifica entro il 13 novembre.

Tale circostanza comporta la tempestività della impugnazione, atteso che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 28 del 13/23 gennaio 2004, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 139 e 148 c.p.c, sollevata dal Tribunale di Milano, osservando che, a seguito delle sentenze n. 69/94, 358/96 e 4777/02, "risulta ormai presente nell'ordinamento processuale civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio secondo il quale -relativamente alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è destinata a svolgere per il notificante - il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui si perfeziona per il destinatario".

Il principio della distinzione fra i due diversi momenti di perfezionamento delle notificazioni degli atti processuali, chiaramente affermato dalla ricordata giurisprudenza additiva della Corte Costituzionale, soprattutto con le sentenze n. 477/02 e n. 28/04, è stato poi ribadito con le ordinanze nn. 97 e 132 del 2004.

Con i primi due motivi, denunciando contraddittorietà della motivazione in relazione alla consulenza tecnica di ufficio e violazione e falsa applicazione dell'art. 112 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, la difesa del ricorrente deduce che il Tribunale ha male interpretato le affermazioni del CTU. Afferma che questi aveva distinto la percentuale di ipoacusia attribuibile al periodo di esposizione a rumore, dal 1947 al 1975, da quella imputabile ad altre cause, anche nel periodo 1975/82 e 1982/91.

Assume che la motivazione con la quale il Tribunale ha ritenuto maturata la prescrizione è viziata dal falso presupposto che, secondo il CTU, la ipoacusia non si sarebbe aggravata dal momento di allontanamento dall'attività rumorosa, nel mentre il consulente aveva riconosciuto un aggravamento successivo.

Richiama la giurisprudenza della Corte sulla applicazione del principio di equivalenza causale, ove l'infermità derivi da fattori concorrenti, di natura sia professionale che extraprofessionale (Cass., 21 gennaio 1998 n. 535), e sulla decorrenza del termine prescrizionale.

Con il terzo motivo, denunciando ancora contraddittorietà della motivazione, la difesa del ricorrente assume che il Tribunale ha dato per scontato che dal 1975 al 1982 il lavoratore non fosse stata addetto ad attività rumorose, per il fatto che era stato "assistente per la gestione dei materiali" quale dipendente della Tecnimont.

Deduce che la esclusione del rischio rumore era stato escluso dal CTU sulla scorta di una lettera raccomandata spedita dalla Tecnimont.

Assume che il giudizio espresso dall'impresa non poteva essere acriticamente recepito dal CTU (e quindi dal Tribunale), atteso che, secondo l'orientamento di questa Corte, "in tema di malattie professionali il giudizio negativo dell'attitudine della macchina a produrre la sordità (...) deve essere fondato su un rigoroso accertamento che tenga conto dell'esatto livello della rumorosità, calcolato in base a precisi parametri acustici e non espresso mediante apprezzamento soggettivo, specie in considerazione della mancanza di previsione di una soglia minima di rumore, della variabilità della risposta individuale al fenomeno e della possibile incidenza causale di questo nel determinismo dell'ipoacusia" (Cass., 6 marzo 1990 n. 1752).

Il ricorso non è fondato.

Il Tribunale, contrariamente a quanto rileva il ricorrente, ha dato atto che il CTU aveva individuato nel 15% la percentuale di ipoacusia dovuta ad esposizione a rumore di natura professionale, nel mentre la residua parte, sul danno complessivo del 27%, era imputabile a patologia comune.

Nell'affermare che "tale ipoacusia non si è aggravata a decorrere dal momento in cui il Puglisi si allontanò dall'attività rumorosa (1975)", i giudici di secondo grado si sono con tutta evidenza riferiti alla ricordata componente professionale della tecnopatia (il 15%), sulla scorta delle considerazione del CTU sull'andamento delle ipoacusie da rumore.

Va qui ribadito che, nel caso di ipoacusia, della quale sia stata accertata una percentuale dovuta a causa-professionale ed una parte dovuta a fattori extraprofessionali, la prescrizione, di cui agli artt. 111 e 112 del D.P.R. n. 1124 del 1965, per l'esercizio dell'azione nei confronti dell'INAIL, per ottenere la rendita per la inabilità derivante dalla componente professionale della tecnopatia, decorre dal momento in cui la ipoacusia di origine professionale ha raggiunto il minimo indennizzabile ed è conoscibile da parte dell'assicurato.

Il Tribunale ha ritenuto che nella fattispecie in esame ciò sia avvenuto entro il 1975; con la conseguenza che la domanda contenuta nel ricorso depositato il 20 ottobre 1992 era inaccoglibile per la intervenuta prescrizione dell'azione.

La affermazione è corretta e avverso la stessa non vengono mosse specifiche censure; non si censura, in particolare, la quantificazione della componente professionale della ipoacusia riferita al 1975, nè la conoscibilità della stessa da parte del signor Puglisi (al quale già nel 1950 era stata comunicata una ipoacusia, tale da comportare la dispensa dal servizio militare), mentre si insiste su un aggravamento della ipoacusia complessiva anche nel periodo successivo, fino al 1991; aggravamento che, seppure esistente, diviene chiaramente irrilevante.

Per le stesse ragioni risulta irrilevante, prima che infondata, la censura mossa con il terzo motivo.

La esclusione del rischio rumore nel periodo 1975/1982, genericamente criticata dal ricorrente (senza neppure l'indicazione delle concrete caratteristiche dell'attività svolta in tale periodo), risulta comunque priva di rilievo al fine di contrastare la decorrenza del termine prescrizionale fissata dai giudici di secondo grado nel 1975.

Per tutto quanto esposto il ricorso va rigettato.

Il ricorrente non è tenuto al rimborso delle spese processuali nei confronti dell'INAIL, non ricorrendo gli estremi richiesti dall'art. 152 disp att. c.p.c., nel testo anteriore alla riforma del 2003.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2004.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2004