Giurisprudenza su I.N.A.I.L.
Cassazione Civile Sent. n. 13348 del 22-06-2005
COMMENTO:
Uso del mezzo proprio ai fini della definizione dell’infortunio in itinere.
Con la seguente sentenza la Corte Cassazione ha definito il significato dell’infortunio in itinere in particolare sull’uso del proprio mezzo per recarsi al lavoro.
Svolgimento del processo
La domanda proposta nei confronti
dell'Inail da Maria Luisa Usai per ottenere quale coniuge superstite la rendita
a lei spettante per la morte del coniuge, Salvatore Manghino, deceduto in un
incidente stradale mentre nel corso della attività espletata di artigiano edile
si recava dal cantiere di Sassari a quello di Ardara, era rigettata dal
Tribunale di Sassari con sentenza dell'8 novembre 2000, confermata dalla Corte
di appello di quella città con la pronuncia depositata il 28 febbraio 2002.
Nel disattendere il gravame della
soccombente, la Corte
territoriale negava l'indennizzabilità dell'incidente, non essendo
configurabile l'infortunio sul lavoro per la mancanza di collegamento con
l'attività lavorativa: era stato accertato infatti, attraverso la denuncia
d'infortunio e le successive dichiarazioni rese dall'appellante all'ispettore
dell'Inail, che la vittima al momento dell'evento stava rientrando nella
propria abitazione per il pranzo e non si spostava da un cantiere all'altro,
per cui, "a prescindere dalla qualità di artigiano o meno del
defunto", l'evento non poteva essere qualificato come infortunio sul
lavoro.
Avverso questa sentenza la Usai ha proposto ricorso per
Cassazione, con un solo motivo.
L'Istituto ha resistito con
controricorso.
Motivi della decisione
Con un unico motivo la ricorrente, nel
denunciare unitamente a vizio di motivazione violazione dell'art. 2 d.P.R.
30 giugno 1965 n. 1124, critica la sentenza impugnata per avere negato
l'applicabilità della tutela assicurativa per l'artigiano, malgrado l'incidente
in questione si fosse verificato in occasione di lavoro. Quali che fossero le
situazioni in cui era accaduto il sinistro, sia se, in base alle dichiarazioni
della richiedente, il coniuge stesse percorrendo la strada per ragioni di
lavoro dovendo raggiungere un secondo cantiere edile dopo avere lavorato in un
altro, sia secondo la diversa prospettazione dell'Istituto, per rientrare a
casa per il pranzo, l'incidente, ad avviso della Usai, deve essere considerato
infortunio in itinere rientrante nella tutela assicurativa dell'Inail.
Il ricorso non è fondato. Il giudice del
merito ha accertato che il coniuge della odierna ricorrente, al momento
dell'incidente, non si spostava da un cantiere ad un altro per l'espletamento
della sua attività di artigiano edile, ma rincasava per il pranzo. La
ricostruzione del fatto in tali termini non è efficacemente contrastata dalla
ricorrente, la quale da un lato ha insistito nella propria tesi affermando che
si tratta di infortunio sul lavoro ("Anche a voler ammettere che nel caso
in esame ricorresse l'ipotesi di un infortunio in itinere e non un ordinario
infortunio è da dire ..." etc., v. inizio di pag. 7 del ricorso), senza
però specificare, malgrado il dedotto vizio di motivazione, quali gli errori
compiuti dalla sentenza impugnata nell'accertamento di fatto compiuto,
dall'altro ha sostenuto che in ogni caso l'incidente dovrebbe essere
indennizzato come infortunio in itinere, competendo la tutela assicurativa per
tale evento anche agli artigiani.
Di fronte a tale ultima affermazione,
occorre precisare che, secondo la dottrina e la giurisprudenza, alla cui
elaborazione deve farsi risalire l'istituto, l'infortunio in itinere è
l'incidente nel quale può incorrere il lavoratore nel percorso dalla propria
abitazione al luogo di lavoro e viceversa, sempre che il tragitto sia per il
lavoratore quello normale per raggiungere il posto di lavoro e per tornare alla
propria abitazione, sussista un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito
ed attività lavorativa, nel senso che il primo non sta percorso dal lavoratore
per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda, e vi sia la
necessità dell'uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il
collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, considerati i suoi orari di
lavoro e quelli dei pubblici servizi di trasporto (cfr. fra le più recenti
Cass. 23 aprile 2004 n. 7717).
Quindi escluso, in base a siffatto
accertamento, che al momento dell'incidente il lavoratore si stava spostando da
un cantiere all'altro per svolgere la sua attività di artigiano edile, va
negata la sussistenza dell'infortunio sul lavoro, anche a comprendere nella
tutela assicurativa prevista dal d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, in base alla più recente e prevalente giurisprudenza,
qui da ribadire, tutte le attività materiali, prodromiche o comunque inerenti
all'esecuzione di quella tipica e peculiare della prestazione artigianale, pure
se effettuate fuori dei locali dell'impresa, ma non quelle concernenti la
direzione e l'amministrazione dell'impresa medesima. In tal senso sono tutti i
precedenti giurisprudenziali richiamati dalla ricorrente, e precisamente Cass.
11 settembre 1997 n. 8919,
in fattispecie concernente le lesioni riportate da una
artigiana, socia di una lavanderia, uscita fuori strada con il proprio veicolo,
mentre rientrava in azienda dal laboratorio ove si era recata per la consegna
di capi di biancheria da stirare, incombente lavorativo commissionato alla sua
azienda e al quale non si era reso possibile provvedere direttamente per una
causa di forza maggiore; Cass. 24 aprile 1998 n. 4255, relativamente
all'incidente stradale accaduto ad un artigiano mentre si spostava, per motivi
diversi da quelli strettamente inerenti alla attività di produzione ma connessi
a questa, e cioè esposizione delle armi antiche da lui riprodotte, dai locali
della sua azienda nella zona della mostra;
Cass. 2 maggio 1998 n. 5099, in relazione alla
caduta dalla scale di un artigiano mentre era intento a riparare la copertura
del capannone adibito a deposito del materiale a lui occorrente per la
esplicazione della propria attività; Cass. 23 settembre 1998 n. 9515, che ha
ritenuto indennizzabile l'infortunio occorso all'artigiano, il quale aveva
riportato la rottura di un tendine mentre effettuava la misurazione delle
superfici di un edificio da pitturare; Cass. 2 ottobre 1998 n. 9796, in fattispecie
relativa a incidente stradale in cui era deceduto un artigiano edile, mentre,
trasportando un macchinario da riparare o da sostituire, ritornava presso il
deposito della ditta; Cass. 27 luglio 1999 n. 8150, sempre con riferimento a
incidente stradale, causa della morte di un artigiano mentre faceva ritorno al
laboratorio, dopo essersi recato da un fornitore di pezzi di ricambio per la
riparazione di un macchinario utilizzato nell'esercizio della propria attività.
Analogamente altre sentenze precedenti, tra cui Cass. 16 marzo 1992 n. 3196,
per un incidente stradale subito da un artigiano falegname che con la propria
vettura si era recato presso l'abitazione di un cliente per provvedere alla misurazione
delle opere commissionate; Cass. 19 aprile 1995 n. 4346, concernente
l'infortunio occorso all'istruttore di una scuola-guida durante il tragitto per
ritornare alla scuola dopo aver riaccompagnato un allievo al termine della
lezione, e altre successive a quelle menzionate dalla ricorrente, tra cui Cass.
7 maggio 2002 n. 7514, Cass. 9 gennaio 2002 n. 190.
Di conseguenza, gli accennati precedenti
giurisprudenziali non possono essere utilmente richiamati a sostenere la tesi
della indennizzabilità anche per l'artigiano dell'infortunio in itinere, il
quale, per la nozione innanzi delineata, non può evidentemente rientrare nella
esecuzione (o comunque essere ad essa ricollegata) di attività inerenti a
quella oggetto dell'impresa o alle necessità produttive di essa.
Nè alcun argomento a supporto
dell'assunto qui sostenuto dalla ricorrente può essere ricavato dalla
disciplina dell'istituto introdotta dal decreto legislativo 23 febbraio 2000
n. 38, che nel recepire i principi elaborati in proposito dalla
giurisprudenza si riferisce come risulta dal complessivo tenore dell'art. 12
soltanto al rapporto di lavoro subordinato.
Infine, la ricorrente, la quale nelle
fasi di merito aveva richiesto l'attribuzione della rendita ex art. 85 del d.P.R.
30 giugno 1965 n. 1124 per la morte del coniuge a seguito di infortunio sul
lavoro, non può introdurre in sede di legittimità una diversa questione, quella
cioè concernente la esistenza dell'infortunio in itinere, che non si basa sui
medesimi elementi di fatto ma richiede accertamenti diversi - in particolare
sulla necessità dell'uso del mezzo proprio, mai dedotta dinanzi al giudice del
merito - inammissibili in sede di legittimità.
In definitiva, anche se non va confermata
la statuizione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il decesso del
lavoratore che torna a casa per il pranzo non è mai indennizzabile come
infortunio sul lavoro, tanto valendo per l'artigiano e non anche, come da
giurisprudenza consolidata, per gli altri lavoratori subordinati compresi
nell'assicurazione a norma dell'art. 4 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, l'errore, essendo il dispositivo conforme a diritto,
non può dare luogo all'annullamento della sentenza impugnata, ma soltanto alla
correzione della motivazione nei termini sopra esposti, e il ricorso deve
essere rigettato.
Sebbene soccombente, la ricorrente resta
esonerata dal pagamento delle spese del giudizio di cassazione, ai sensi
dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ..
P.Q.M.
La
Corte
rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2005.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2005
Cassazione Civile Sent. n. 19940 del 06-10-2004
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Pisa
Carmignani Armando proponeva appello avverso la sentenza del Pretore di Pisa,
emessa nei confronti delle Ferrovie dello Stato, con la quale era stata
rigettata la sua domanda per il riconoscimento dell'infortunio in itinere da
lui subito in data 28/11/89, mentre rientrava dal lavoro, e quindi per la
costituzione della rendita per incapacità lavorativa nella misura del 45%.
Le Ferrovie contrastavano il gravame ed
il Tribunale, con sentenza del 13/6 - 14/7/01, lo rigettava sul rilievo che i
fatti di causa non erano contestati, mentre controversa ne era la
qualificazione.
L'occasione di lavoro doveva essere
esclusa, perchè non era provata nessuna relazione fra la necessità di uso del
mezzo privato e la prestazione lavorativa del giorno dopo: se il Carmignani non
si fosse recato a Pisa con la sua auto la mattina del giorno 28 per motivi
personali, non avrebbe avuto alcuna di necessità di riportare il mezzo a casa
per poterlo poi usare la mattina successiva per recarsi al lavoro. La carenza
di relazione fra l'uso del mezzo privato ed il lavoro era ancor più netta che
nel caso di un comportamento effettivamente strumentale nel quale si può anche
ravvisare una qualche relazione di necessità (come la riparazione della
vettura, che sia assolutamente necessaria per effettuare il percorso lavorativo
in mancanza di mezzi di trasporto meno pericolosi); nel caso in esame, invece,
era pacifico che il rientro alla abitazione con mezzo proprio era dovuto
esclusivamente al fatto di avere in precedenza portato la macchina a Pisa per
motivi personali.
La tesi prospettata in secondo grado
(secondo cui Fuso della macchina era necessario per il ritorno nella abitazione
nella stessa serata del 28/11/89 considerata la variabilità dell'orario di
uscita) non era attendibile, sia perchè in contrasto con quanto affermato in
primo grado (che la macchina era stata portata a Pisa per motivi personali
"pag. 2 del ricorso" e quindi che doveva essere riportata presso la
sua abitazione in vista del viaggio di andata al lavoro del giorno dopo) sia
perchè non risultava che la sera dell'incidente vi fosse stato un ritardo
imprevisto nella fine del turno di servizio ed in ogni caso perchè non erano
state proposte specifiche contestazioni circa l'insufficienza del servizio
pubblico in caso di uscita alle ore 20.18.
Avverso questa pronuncia propone ricorso
per Cassazione il Carmignani, fondato su un unico motivo. Resiste la Rete Ferroviaria
Italiana spa (già Ferrovie dello Stato spa) con controricorso, illustrato con
memoria.
Motivi della decisione
Lamentando violazione e falsa
applicazione dell'art. 2 DPR n. 1124/65 (art. 360 n. 3 CPC) deduce il
ricorrente che esatta è l'affermazione che i fatti sono pacifici in causa, ma
non la conclusione che ne trae il giudice d'appello, che debba cioè escludersi
l'occasione di lavoro: è pacifico il nesso eziologico sussistente tra il
percorso seguito e l'evento, posto che lo stesso costituisce l'iter normale per
i residenti in Marina di Pisa che intendano recarsi a Pisa. Tale tragitto è
stato percorso dall'istante quella sera, alle ore 20,18, non per ragioni
personali, ma perchè è la via più veloce per giungere a casa in tempo per il
necessario riposo dovendo prendere servizio la mattina successiva alle ore
4.45; la necessità dell'uso del mezzo privato è evidente ove si abbia riguardo
alla effettiva disponibilità dei mezzi pubblici la sera dell'infortunio, la
mancanza di una corsa di autobus utile per il turno della mattina del 28/11/89
e la conseguente necessità di riportare a casa la macchina, che si trovava a
Pisa, costituiscono elementi tali da giustificare la presenza del requisito di
un nesso di causalità. L'occasione di lavoro inizia nel momento in cui
l'istante terminato il turno di lavoro si trova costretto a condurre la propria
auto, che in quel momento era a Pisa, presso la propria abitazione per
utilizzarla la mattina successiva. Non sussiste invece il rischio elettivo
posto che la necessità di utilizzare l'auto non è una scelta personale, ma una
soluzione imposta dall'obbligo di prendere servizio la mattina successiva in
condizioni fisiche ottimali.
Il ricorso è infondato.
La
Corte ha
già avuto modo di affermare il principio di diritto secondo cui "l'ipotesi
dell'infortunio "in itinere", compreso nella tutela
dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, non può essere ravvisata
nel caso di incidente stradale subito dal lavoratore che si sia spostato con il
proprio automezzo dal luogo di lavoro ove l'uso del veicolo privato non
rappresenti una necessità, in assenza di soluzioni alternative, ma una libera
scelta del lavoratore (Cass. n. 806/93). Va considerato, infatti, che ai fini
dell'indennizzabilità di un infortunio occorso lungo il percorso tra il luogo
della propria dimora e il luogo di prestazione dell'attività lavorativa fuori
sede il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la
mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio
della strada; con la conseguenza che l'uso del mezzo privato può essere
consentito solo quando sia direttamente collegato con la prestazione lavorativa
ed è indispensabile per raggiungere il posto di lavoro o per tornare alla
propria abitazione.
Nel caso di specie, la macchina era stata
portata a Pisa la mattina del giorno 28 "per motivi personali" dice
lo stesso ricorrente, o meglio "per trattare una permuta del
veicolo", come risulta dalla sentenza. E' quindi pacifico in causa che il
viaggio di andata a Pisa con il mezzo proprio non era legato al lavoro che
doveva essere prestato nel turno pomeridiano; così come è pacifico che al
termine del turno lavorativo, alle ore 20,18, ben poteva essere utilizzato il
mezzo pubblico in partenza alle ore 20,35 con arrivo a Marina di Pisa alle ore
20,44, come precisa il controricorrente. In questo contesto logica e coerente è
la conclusione del giudice di merito secondo cui il viaggio di ritorno a casa
non è affetto legato alla prestazione lavorativa, ma è frutto di una libera
scelta del lavoratore e quindi di un rischio elettivo. La circostanza che la
macchina sarebbe servita la mattina successiva per recarsi al lavoro, in
relazione ad un turno lavorativo da iniziarsi alle ore 5,45 non è rilevante,
perchè costituirebbe, secondo la valutazione del giudice di merito un
"comportamento meramente prodromico" all'uso del mezzo privato per
uno scopo lavorativo. Simile valutazione è condivisibile perchè non possono
rientrare nel rischio protetto dalla copertura assicurativa dell'INAIL le
attività prodromiche all'uso del mezzo privato per fini lavorativi.
Il ricorso va quindi rigettato. Le spese
vanno regolate ai sensi dell'art. 152 disp. att. CPC nel testo anteriore a
quello di cui all'art. 42 del D.L. n. 269 del 30/9/03, nella specie
inapplicabile "ratione temporis"; in proposito va rilevato che il
ricorrente non ha mai contestato di avere portato la macchina a Pisa per motivi
non legati alla prestazione di lavoro, assolutamente personali, per trattare
cioè la pennuta della stessa vettura; nel corso del giudizio però ha aggiunto,
in appello, che l'uso della macchina era necessaria per il ritorno a casa in
considerazione della variabilità dell'orario di uscita (senza però allegare e
dimostrare i relativi presupposti di fatto, come si pone in evidenza nella
sentenza impugnata) ed in questa sede che l'uso del mezzo privato era
necessario per il ritorno a casa avuto "riguardo all'effettiva
disponibilità di mezzi pubblici la sera dell'infortunio" (senza poi
contestare l'affermazione del controricorrente in merito all'esistenza di un
mezzo pubblico in partenza per Marina di Pisa alle ore 20,35, con arrivo alle
ore 20,44, pienamente utilizzabile in caso di uscita alle ore 20,18, come
accertato in primo grado). Tale allegazione di nuovi fatti, non dimostrati, o
palesemente inammissibili, rende evidente non solo la manifesta infondatezza
della domanda, ma anche l'uso temerario del ricorso per Cassazione, per cui si
giustifica la condanna alle spese di lite, nella misura indicata in
dispositivo.
P.Q.M.
LA
CORTE Rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che
liquida in Euro 50,00 per spese, oltre ad Euro 1.500,00 per onorario.
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2004.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2004
Cassazione Civile Sent. n. 16613 del 23-08-2004
COMMENTO:
Termine di prescrizione per la domanda di riconoscimento della malattia professionale.
Il termine d prescrizione, ai fini del riconoscimento della malattia professionale decorre dalla conoscenza da parte del dipendente che tale patologie dipende ha nesso di causalità con l’attività svolta.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 3 aprile/5 maggio 2000
il Tribunale di Siracusa, accogliendo l'appello proposto dall'INAIL, rigettava
la domanda avanzata da Filippo Puglisi nei confronti dell'Istituto
previdenziale (domanda che, in primo grado, era stata accolta, con la condanna
alla corresponsione di una rendita per una inabilità del 27%).
I giudici di secondo grado ritenevano,
sulla scorta della consulenza tecnica espletata, che la componente
professionale della ipoacusia sofferta dall'appellato non si fosse aggravata
dopo la cessazione, nel 1975, della attività rumorosa.
Si era, pertanto, maturato il termine di
prescrizione.
Per la cassazione di tale decisione
ricorre, formulando tre motivi di censura, Filippo Puglisi.
L'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro
(INAIL) resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Va preliminarmente dichiarata la
tempestività del ricorso.
Lo stesso è stato notificato il 16
novembre 2000, nel mentre la sentenza impugnata era stata notificata al
ricorrente il 15 settembre 2000.
Dall'esame dell'originale del ricorso
risulta che lo stesso era stato consegnato agli ufficiali giudiziari di
Siracusa il 10 novembre 2000, con la richiesta di effettuare la notifica entro il
13 novembre.
Tale circostanza comporta la tempestività
della impugnazione, atteso che la Corte Costituzionale,
con sentenza n. 28 del 13/23 gennaio 2004, ha dichiarato non fondata la questione di
legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 139 e 148 c.p.c,
sollevata dal Tribunale di Milano, osservando che, a seguito delle sentenze n.
69/94, 358/96 e 4777/02, "risulta ormai presente nell'ordinamento
processuale civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il
principio secondo il quale -relativamente alla funzione che sul piano
processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è
destinata a svolgere per il notificante - il momento in cui la notifica si deve
considerare perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui si
perfeziona per il destinatario".
Il principio della distinzione fra i due
diversi momenti di perfezionamento delle notificazioni degli atti processuali,
chiaramente affermato dalla ricordata giurisprudenza additiva della Corte
Costituzionale, soprattutto con le sentenze n. 477/02 e n. 28/04, è stato poi
ribadito con le ordinanze nn. 97 e 132 del 2004.
Con i primi due motivi, denunciando
contraddittorietà della motivazione in relazione alla consulenza tecnica di
ufficio e violazione e falsa applicazione dell'art. 112 del D.P.R. 30 giugno
1965, n. 1124, la difesa del ricorrente deduce che il Tribunale ha male
interpretato le affermazioni del CTU. Afferma che questi aveva distinto la
percentuale di ipoacusia attribuibile al periodo di esposizione a rumore, dal
1947 al 1975, da quella imputabile ad altre cause, anche nel periodo 1975/82 e
1982/91.
Assume che la motivazione con la quale il
Tribunale ha ritenuto maturata la prescrizione è viziata dal falso presupposto
che, secondo il CTU, la ipoacusia non si sarebbe aggravata dal momento di
allontanamento dall'attività rumorosa, nel mentre il consulente aveva
riconosciuto un aggravamento successivo.
Richiama la giurisprudenza della Corte
sulla applicazione del principio di equivalenza causale, ove l'infermità derivi
da fattori concorrenti, di natura sia professionale che extraprofessionale
(Cass., 21 gennaio 1998 n. 535), e sulla decorrenza del termine prescrizionale.
Con il terzo motivo, denunciando ancora
contraddittorietà della motivazione, la difesa del ricorrente assume che il
Tribunale ha dato per scontato che dal 1975 al 1982 il lavoratore non fosse
stata addetto ad attività rumorose, per il fatto che era stato "assistente
per la gestione dei materiali" quale dipendente della Tecnimont.
Deduce che la esclusione del rischio
rumore era stato escluso dal CTU sulla scorta di una lettera raccomandata
spedita dalla Tecnimont.
Assume che il giudizio espresso
dall'impresa non poteva essere acriticamente recepito dal CTU (e quindi dal
Tribunale), atteso che, secondo l'orientamento di questa Corte, "in tema
di malattie professionali il giudizio negativo dell'attitudine della macchina a
produrre la sordità (...) deve essere fondato su un rigoroso accertamento che
tenga conto dell'esatto livello della rumorosità, calcolato in base a precisi
parametri acustici e non espresso mediante apprezzamento soggettivo, specie in
considerazione della mancanza di previsione di una soglia minima di rumore,
della variabilità della risposta individuale al fenomeno e della possibile
incidenza causale di questo nel determinismo dell'ipoacusia" (Cass., 6
marzo 1990 n. 1752).
Il ricorso non è fondato.
Il Tribunale, contrariamente a quanto
rileva il ricorrente, ha dato atto che il CTU aveva individuato nel 15% la
percentuale di ipoacusia dovuta ad esposizione a rumore di natura
professionale, nel mentre la residua parte, sul danno complessivo del 27%, era
imputabile a patologia comune.
Nell'affermare che "tale ipoacusia
non si è aggravata a decorrere dal momento in cui il Puglisi si allontanò
dall'attività rumorosa (1975)", i giudici di secondo grado si sono con
tutta evidenza riferiti alla ricordata componente professionale della
tecnopatia (il 15%), sulla scorta delle considerazione del CTU sull'andamento
delle ipoacusie da rumore.
Va qui ribadito che, nel caso di
ipoacusia, della quale sia stata accertata una percentuale dovuta a
causa-professionale ed una parte dovuta a fattori extraprofessionali, la
prescrizione, di cui agli artt. 111 e 112 del D.P.R. n. 1124 del 1965,
per l'esercizio dell'azione nei confronti dell'INAIL, per ottenere la rendita
per la inabilità derivante dalla componente professionale della tecnopatia,
decorre dal momento in cui la ipoacusia di origine professionale ha raggiunto
il minimo indennizzabile ed è conoscibile da parte dell'assicurato.
Il Tribunale ha ritenuto che nella
fattispecie in esame ciò sia avvenuto entro il 1975; con la conseguenza che la
domanda contenuta nel ricorso depositato il 20 ottobre 1992 era inaccoglibile
per la intervenuta prescrizione dell'azione.
La affermazione è corretta e avverso la stessa
non vengono mosse specifiche censure; non si censura, in particolare, la
quantificazione della componente professionale della ipoacusia riferita al
1975, nè la conoscibilità della stessa da parte del signor Puglisi (al quale
già nel 1950 era stata comunicata una ipoacusia, tale da comportare la dispensa
dal servizio militare), mentre si insiste su un aggravamento della ipoacusia
complessiva anche nel periodo successivo, fino al 1991; aggravamento che,
seppure esistente, diviene chiaramente irrilevante.
Per le stesse ragioni risulta
irrilevante, prima che infondata, la censura mossa con il terzo motivo.
La esclusione del rischio rumore nel
periodo 1975/1982, genericamente criticata dal ricorrente (senza neppure
l'indicazione delle concrete caratteristiche dell'attività svolta in tale
periodo), risulta comunque priva di rilievo al fine di contrastare la
decorrenza del termine prescrizionale fissata dai giudici di secondo grado nel
1975.
Per tutto quanto esposto il ricorso va
rigettato.
Il ricorrente non è tenuto al rimborso
delle spese processuali nei confronti dell'INAIL, non ricorrendo gli estremi
richiesti dall'art. 152 disp att. c.p.c., nel testo anteriore alla riforma del
2003.
P.Q.M.
La
Corte
rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2004.
Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2004