Giurisprudenza sulle pensioni ai superstiti
Cassazione Civile Sent. n. 19835 del 04-10-2004
COMMENTO:
Requisiti contributi dell’erede per ottenere la pensione di reversibilità
La Corte ha stabilito che nessun requisito contributivo è richiesto all’erede per ottenere il riconoscimento della pensione di riversibilità, E’ necessaria solo l’esistenza del vincolo di parentela con il de cuis.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 6 settembre 2001 la Corte d'appello di Roma
confermava la statuizione resa dal locale Tribunale il 29 novembre 1999, con
cui era stata rigettata la domanda proposta da Sanino Rosa Pignotti per
ottenere dall'inps le differenze dei ratei di pensione di reversibilità erogata
in regime internazionale, con decorrenza successiva al primo gennaio 1991. La Corte territoriale rilevava
che con l'art. 7 primo comma della legge 407/90 era stato disposto il
diritto al trattamento minimo anche nei confronti dei titolari di pensione in
regime internazionale, sottoponendolo però alla condizione, a partire dal primo
gennaio 1991, che rassicurato potesse far valere una anzianità contributiva, in
costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia, non inferiore ad un anno; indi
con il terzo comma del medesimo articolo era stata introdotta una disciplina
transitoria, per cui le pensioni erogate, ai pensionati residenti all'estero,
liquidate con il regime della totalizzazione sulla base di anzianità
contributiva in Italia inferiore all'anno, restavano confermate nell'importo in
pagamento al primo gennaio 1991. Indi la Corte affermava che - fermo restando il diritto
del titolare della pensione di reversibilità a conseguire il 60% della pensione
del dante causa, comprensiva anche dell'integrazione al minimo, secondo la
sentenza della Corte Costituzionale 495/93 - nel caso di decorrenza della
pensione diretta anteriore al primo gennaio 1991, si doveva verificare se il
dante causa avesse o no un anno di contribuzione in Italia, perchè in caso
positivo il titolare della reversibilità avrebbe diritto al 60% della pensione
del de cuius integrata al minimo, mentre nel caso negativo, avrebbe diritto
allo stesso trattamento, ma congelando l'integrazione al minimo nell'importo
conseguito al primo gennaio 1991. Una volta effettuato questo calcolo,
accertato cioè l'importo della integrazione al minimo del dante causa, occorre
verificare altresì, con un procedimento logicamente distinto, se la pensione di
reversibilità possa essere a sua volta, ed autonomamente, integrata. A questo
punto la Corte
di Roma, escludeva il diritto all'autonoma integrazione della pensione di reversibilità
per il fatto che il titolare della reversibilità, con decorrenza successiva al
primo gennaio 1991, non era munito del requisito prescritto dal comma 1
dell'art. 7, ossia dell'anno di contribuzione in Italia.
Avverso detta sentenza la soccombente ha
proposto ricorso affidato ad un unico complesso motivo.
L'Inps ha depositato procura.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo si denunzia violazione
e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 407 del 1990, dell'art.
13 RDL n. 636 del 1939, e degli artt. 3 e 38 Costituzione Premesso che
essa ricorrente, residente a San Paolo del Brasile aveva chiesto in primo grado
che la pensione di reversibilità (decorrente dal 1994 e liquidata dall'Inps a
calcolo), fosse integrata nella misura del trattamento minimo
"congelato" spettante, al dante causa al primo gennaio 1991, si
lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto applicabile anche alle
pensioni di reversibilità il primo comma dell'art. 7 citato, e quindi abbia
escluso anche su queste la integrazione al minimo, mentre la legge istitutiva
delle pensioni di reversibilità non richiede al beneficiario alcun requisito
assicurativo, nè contributivo per il conseguimento del diritto, il quale viene
trasmesso nella medesima consistenza che aveva in capo al de cuius.
Il ricorso è fondato, giacchè è errata
l'interpretazione data dalla sentenza impugnata all'art. 7 primo comma della legge
407/90, laddove richiede, per il diritto all'integrazione al minimo, che il
titolare della reversibilità sia in possesso del requisito di un anno di
contribuzione in Italia. E' necessario analizzare la disciplina introdotta dal
detta legge. a) La pensione diretta.
1) Va premesso che l'art. 7 della legge
407/90 non introduce nessun cambiamento nei confronti dei titolari della
pensione diretta e della pensione di reversibilità, quando la prestazione sia
stata conseguita - ancorchè mediante il cumulo di periodi lavorativi prestati
presso stati diversi - con una anzianità contributiva, per il lavoro svolto in
Italia, pari o superiore ad un anno. In tal caso sia il titolare del
trattamento diretto, sia il titolare del trattamento di reversibilità godranno
come prima della integrazione al minimo, qualunque sia la data di conseguimento
del diritto.
Nella specie la ricorrente sostiene che
il dante causa era in possesso di 293 contributi settimanali versati in Italia,
per cui, se così fosse, resterebbe ferma, la previgente disciplina.
2) Il primo comma dell'art 7 citato
subordina il diritto all'integrazione al minimo - nel caso in cui la
prestazione sia stata conseguita con il cumulo di periodi assicurativi previsto
da accordi internazionali - alla condizione che rassicurato possa far valere
una anzianità contributiva in costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia
non inferiore ad un anno. La norma modifica espressamente la disciplina
precedente, ossia l'art. 8 della legge 30 aprile 1969 n. 153 che, per i
medesimi soggetti, non sottoponeva ad alcuna condizione il diritto alla
integrazione al minimo. La disposizione opera in relazione alle pensioni aventi
decorrenza "dopo" l'entrata in vigore della nuova legge (salva
l'applicazione per le pensioni decorrenti "prima", del meccanismo
della cristallizzazione di cui al terzo comma del medesimo art. 7, per i ratei
maturati dal primo gennaio 1991
in poi, questione che non riguarda la presente causa).
3) Poichè il quarto comma dell'art. 7
rimanda ad un decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di
concerto con altri Ministri, di emanare le norme regolamentari di attuazione
della disposizione di cui al primo comma, è stato emanato, con il decreto del
30 dicembre 1992 n. 577 il "Regolamento recante norme sui trattamenti
pensionistici per attività svolte all'estero e per i residenti
all'estero". L'art. 3 del decreto intitolato "Garanzia del
trattamento minimo" recita come segue: "Qualora il titolare di
pensione residente in Italia abbia acquisito il diritto in virtù del cumulo dei
periodi assicurativi e contributivi previsto da regolamenti della Comunità
Economica Europea o da accordi internazionali in materia di sicurezza sociale che
stabiliscano l'obbligo, per l'istituzione del paese di residenza, di garantire
sul proprio territorio l'importo del trattamento minimo, fissato dalla legge
nazionale, quest'ultimo viene concesso, ferma restando la sussistenza degli
altri requisiti, anche in assenza del requisito di cui all'art. 7 comma 1 della
legge 29 dicembre 1990 n. 407".
Ossia, quando lo Stato Italiano si sia
assunto in sede internazionale l'obbligo di erogare l'integrazione al minimo ai
pensionati residenti in Italia, il diritto all'integrazione sorge anche se il
titolare della pensione diretta abbia versamenti contributivi in Italia
inferiori ad un anno.
4) Non vi è dubbio - contrariamente a
quanto ha affermato la sentenza impugnata -che la disposizione di cui al primo
comma dell'art. 7 si riferisca esclusivamente alle pensioni dirette, perchè il
richiamo all'anno di lavoro compiuto in Italia non può che riferirsi alla
posizione del titolare, e non già a quella del beneficiario del trattamento di
reversibilità, poichè per godere delle prestazioni ai superstiti non è
necessario, secondo i principi generali, alcun requisito contributivo nè
lavorativo, essendo sufficiente il rapporto di parentela ed il conseguimento
del diritto da parte del dante causa. Lo conferma ulteriormente il rilievo che
la disposizione citata modifica, come si è detto, l'art. 8 della legge 153/69,
che non si riferiva alla pensione ai superstiti. Inoltre sarebbe incongruo
ipotizzare l'applicazione del requisito dell'anno di lavoro svolto in Italia ad
alcuni dei titolari del trattamento di reversibilità, come i figli minori ed i
figli inabili al lavoro.
La sentenza impugnata va dunque cassata,
essendo affetta, come detto, dal preliminare errore di interpretazione del
primo comma della legge del 1990. La causa va quindi rimessa ad altro giudice,
che si designa nella Corte d'appello di Roma, la quale accerterà
preliminarmente se il dante causa fosse o no in possesso del requisito di un
anno di contribuzione versato in Italia. Il Giudice del rinvio provvederà anche
per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La
Corte
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese,
alla Corte d'appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 13 aprile 2004.
Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2004