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Commette il reato di frode fiscale il professionista che sposta i suoi capitali (derivanti dall'esercizio della professione) in un cd. paradiso fiscale

Commette il reato di frode fiscale il professionista che sposta i suoi capitali (derivanti dall'esercizio della professione) in un cd. paradiso fiscale.
E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sesta Sezione Penale con sentenza n. 27.02.2008, n. 8743. Secondo la S.C. per il reato ex art. 3 d. lvo n. 74/2000 ricorrono sia l'azione esecutiva che la soggettività richieste dalla norma incriminatrice, a nulla valendo la pretesa facilità con cui gli inquirenti hanno potuto 'parzialmente' ricostruire i movimenti contabili ed i sottesi profili di frode, avuto riguardo ai sistematici ed integrati mezzi fraudolenti, posti in essere dai ricorrenti: quali l'avere fatto versare le somme di denaro, relative all'attività professionale di odontoiatra […], in conto bancario intestato a […]; l'avere spostato i capitali all'estero; l'avere la […] trasferito la propria residenza nel Principato di Monaco e, più di recente, nell'avere costituito una società denominata […] s.r.l. con sede a […], con l'intento di deviare su di essa l'attività economica per eludere i controlli dell'Autorità, e con ciò rendere difficoltoso l'accertamento fiscale.



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio Felice - Presidente

Dott. SERPICO Francesco - Consigliere

Dott. LANZA Luigi - Consigliere

Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere

Dott. CONTI Giovanni - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AL. Pi. Lu., nato il (OMESSO), CO. Wa. nato il (OMESSO), CO. Ro., nata il (OMESSO);

avverso l'ordinanza 14 giugno 2007 del Tribunale di Sassari, sezione per il riesame delle misure cautelari reali che ha rigettato la richiesta di riesame dell'ordinanza applicativa di sequestro preventivo 21 maggio 2007 del G.I.P. di Sassari.

Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso.

Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Luigi Lanza.

Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GALATI Giovanni, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi ed i difensori avv.ti Gaito prof. Alfredo e Franco Luigi Satta che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso stesso.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Il Pubblico ministero ha chiesto al G.I.P. del Tribunale di Sassari, nel maggio 2007, l'applicazione di misure cautelari e personali nei confronti degli odierni ricorrenti, in relazione alle seguenti imputazioni:

a) delitto di cui all'articolo 416 c.p. perche' si associavano allo scopo di commettere piu' delitti di frode fiscale e di infedelta' nella dichiarazione riguardanti le imposte dirette, commessi come da capo b), oltre che delitti collegati e finalizzati all'occultamento ditale attivita' illecita come da capi c) e d), avendo tutti predisposto che i proventi non dichiarati dell'attivita' lavorativa dell'Al., medico odontoiatra, venissero convogliati dai clienti su conti bancari intestati a Co. Wa., padre della moglie Co. Ro., e da qui spostati su conti non rintracciabili ovvero utilizzati per l'acquisto di beni di grande valore. In Sassari dal 2001 fino a data odierna.

b) delitto di cui agli articoli 81 cpv., 110 c.p., Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 3 per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, Al. e Co. Ro., con il concorso materiale e morale di Co. Wa. nell'ambito dell'associazione di cui al capo a), al fine di evadere le imposte sui redditi, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie (in parte occultate come da capo c) ed avvalendosi di mezzi fraudolenti, quali l'avere fatto versare ai suoi clienti somme di danaro relative all'attivita' professionale di odontoiatra in conto bancario intestato a Co. Wa., avere spostato capitali all'estero, avere la Co. R. spostato la propria residenza nel (OMESSO) e, piu' di recente, nell'avere costituito una societa' denominata AL. s.r.l. con sede a Milano con l'intento di spostare su di essa l'attivita' economica per eludere i controlli dell'Autorita', nell'avere commesso i fatti di cui ai capi c) e d) in modo tale da rendere difficoltoso l'accertamento fiscale, indicato nelle due dichiarazioni annuali per gli anni 2003, 2004 e 2005 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello reale, in particolare (sul complessivo reddito dei tre) : nel 2003 euro 88.127,00 a fronte di euro 2.309.195.00 con aliquota 45%; nel 2004 euro 105.224,00 a fronte di euro 516.170,00 con aliquota 45% e nel 2005 euro 124.655,00 a fronte di euro 1.099.453,00 con aliquota 43%. In Sassari nelle date corrispondenti alle dichiarazioni.

c) delitto di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10 per avere, in concorso fra loro come da capo b), al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto e di eseguire il delitto sub b) e lo scopo del delitto di cui al capo a), occultato o distrutto tutte le scritture contabili obbligatorie e tutta la documentazione di cui e' obbligatoria la conservazione ai fini fiscali. In Sassari o altra localita' in data antecedente al 4.3.2007.

d) delitto di cui all'articolo 110 c.p., articolo 61 c.p., n. 2, articolo 367 c.p. per avere, in concorso fra loro, al fine di eseguire o comunque di ottenere il profitto e l'impunita' per i delitti sopra indicati, personalmente Al. presentato alla Stazione Carabinieri di Cagliari S. Avendrace una denuncia di furto, in cui si affermava falsamente che in tale localita' in data 3.3.2007 gli era stata sottratta un'autovettura Ford Fiesta tg. (OMESSO) che conteneva all'interno tutti i libri contabili del periodo 1997/2006 e le cartelle cliniche e radiografie dei suoi pazienti. In Cagliari il 4.3.2007.

Il G.I.P. del Tribunale di Sassari, il 21 maggio 2007, provvedeva all'applicazione di misure cautelari personali agli odierni ricorrenti, ordinando ex articolo 321 c.p.p. il sequestro di beni immobili e mobili, ed il Tribunale di Sassari, decidendo sulla richiesta di riesame ex articolo 324 c.p.p., con ordinanza 14 giugno 2007, ha rigettato il ricorso.

Con un primo motivo di impugnazione, avverso la predetta ordinanza del Tribunale del riesame, la ricorrente difesa deduce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000 articolo 3 e articolo 416 c.p..

Con un secondo motivo di impugnazione si deduce inosservanza della legge processuale penale, integrante violazione di legge, sui presupposti della misura cautelare reale in punto di sequestro preventivo degli immobili ex articolo 321 c.p.p..

Con memoria di udienza, l'avv. Satta, ad ulteriore sostegno dei motivi proposti dal prof. Gaito, contesta la ritenuta sussistenza della associazione per delinquere e la pertinenza dei beni, rispetto al programma dell'associazione stessa.

Tanto premesso, ritiene il Collegio, a fronte delle plurime doglianze proposte dai difensori degli accusati, di ribadire gli ambiti ed i limiti dell'intervento della Corte regolatrice.

E' sufficiente al riguardo ricordare - in via di principio - che in tema di sequestro preventivo la verifica delle condizioni di legittimita' della misura cautelare, da parte del tribunale del riesame (e di questa Corte), non puo' tradursi in anticipata decisione della questione di merito, concernente la responsabilita' del soggetto indagato in ordine ai reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilita' tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria della antigiuridicita' penale del fatto (Sez. U, Sentenza n. 7/2000, 23 febbraio-4 maggio 2000 Pres. Viola, est. Sciuto, imputato Mariano e S.U. 7 novembre 1992, Midolini).

Le condizioni generali per l'applicabilita' delle misure cautelari personali, indicate nell'articolo 273 c.p.p., non sono estensibili, per la loro peculiarita', alle misure cautelari reali, e da cio' deriva che, ai fini della verifica in ordine alla legittimita' del provvedimento mediante il quale sia stato ordinato il sequestro preventivo di un bene pertinente ad uno o piu' reati, e' preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravita' di essi e alla colpevolezza dell'indagato (cfr. S.U. 23 aprile 1993, Gifuni).

Diversamente, si finirebbe con l'utilizzare surrettiziamente la procedura incidentale di riesame per una preventiva verifica del fondamento dell'accusa, con evidente usurpazione di poteri che sono per legge riservati al giudice del procedimento principale (cfr. in termini, da ultimo: Sez. 2, Sentenza n. 12906 del 14/02/2007 Cc. dep. 29/03/2007 Rv. 236386 Presidente: Cosentino GM. Estensore: Esposito A. Imputato: P.M. in proc. Mazreku ed ancora: Cass. 6, 4 febbraio 1993, Francesconi; Cass. 3, 14 ottobre 1994, Petriccione; Cass. 3, 26 aprile 1996, Beltrami, ex plurimis).

Se quindi, in tema di riesame avverso i provvedimenti cautelari reali, in particolare avverso il provvedimento di sequestro preventivo, il tribunale deve limitare l'esame alla verifica della corrispondenza tra il fatto per il quale si procede e la fattispecie criminosa, e non puo' estenderlo alle valutazioni di merito circa la fondatezza degli elementi di fatto addotti dall'accusa, si tratta di verificare se tale regola sia stata rispettata nell'ordinanza impugnata.

Orbene, il tribunale nella specie risulta aver correttamente assolto al compito di controllo di compatibilita' tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata ad esso devoluto, senza incorrere in alcuna violazione dei richiamati principi, posto che ha soppesato su di un piano di astrattezza l'antigiuridicita' dei fatti sostanzianti l'accusa, limitandosi alla verifica di compatibilita' tra la enunciata ipotesi accusatoria e le emergenze esistenti, nonche' alla attribuibilita' dei prospettati illeciti agli indagati, ed ha ragionevolmente risposto alle doglianze delle parti, le quali ripropongono in questa sede una diversa ed inammissibile rivalutazione dei dati probatori.

Rilevano i ricorrenti che, secondo l'ordinanza impugnata, gli indagati sarebbero responsabili del delitto previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000 articolo 3 per essere ricorsi a mezzi fraudolenti nella tenuta delle scritture contabili inerenti l'attivita' professionale di odontoiatra dell'Al. al fine di indicare nelle dichiarazioni dei redditi di quest'ultimo elementi attivi inferiori a quelli effettivamente conseguiti. In particolare, i mezzi fraudolenti sarebbero consistiti nella tenuta di una contabilita' volutamente "lacunosa", tale da non consentire la individuazione della intensa attivita' medica prestata dall'Al. a favore di dipendenti EN., nonche' nell'aver versato i proventi delle prestazioni professionali sul conto corrente bancario intestato a Co. Wa., suocero dell'odontoiatra.

Per la ricorrente difesa la sussistenza del reato contestato sarebbe stata tratta da una disinvolta lettura della norma incriminatrice, proposta dal Ministero delle Finanze con la Circolare n. (OMESSO), che al punto 2.2 aveva rilevato come "...la semplice violazione degli obblighi di fatturazione e registrazione, pur se finalizzata ad evadere le imposte, non e' sufficiente di per se' ad integrare il delitto in esame, dovendosi verificare, nel caso concreto, se essa, per le modalita' di realizzazione, presenti un grado di insidiosita' tale da ostacolare l'attivita' di accertamento dell'amministrazione finanziaria. Al riguardo, puo' essere decisiva la presenza di violazioni sistematiche e continue o la tenuta di una contabilita' in nero o l'utilizzo di conti correnti bancari per le operazioni destinate a non essere contabilizzate...".

Osserva ancora il ricorso che l'approccio argomentativo dell'organo amministrativo non sembra essere stato, nel suo contesto, confermato dalla successiva interpretazione di questa S.C., quanto meno in tema di successione di leggi nel tempo, tant'e' che lo stesso Ministero si e' visto costretto ad emanare una successiva circolare, la n. (OMESSO) del 27/12/2002, che in doveroso ossequio alle sentenze a Sezioni Unite "Di Mauro" (n. 27/2000) e "Sagone" (n. 35/2001) ha dovuto "modificare" le iniziali indicazioni a suo tempo fornite.

Sta di fatto, comunque - sempre ad avviso dei ricorrenti - che le condotte integratrici dei mezzi fraudolenti indicate nella contestazione provvisoria non sono idonee a ricondurre la vicenda nell'ambito della norma incriminatrice in quanto:

a) l'articolo 3 prevede che il mezzo fraudolento debba essere utilizzato nell'ambito della redazione delle scritture contabili obbligatorie, o comunque in maniera tale da ostacolare l'accertamento dell'imposta evasa;

b) come rilevato dallo stesso g.i.p. nell'ordinanza applicativa, recepita tout court dal giudice del riesame, Al. aveva diligentemente emesso i documenti fiscali in base ai quali i suoi clienti ottenevano il rimborso per le cure dentistiche da parte del FISDE, che poi provvedevano a trasferire al professionista mediante assegni di conto corrente, sovente intestati al suocero Co. Wa.;

c) per tali ragioni e' pacifico che la Guardia di finanza ha potuto agevolmente individuare l'entita' dei corrispettivi corrisposti al ricorrente mediante la semplice consultazione dei prospetti da questi predisposti, comparati con i dati in possesso della FISDE;

d) in ogni caso si tratta di cautele successive alla tenuta della contabilita' e quindi di condotta post-fattuale e estranea all'azione esecutiva dell'articolo 3.

Da cio', per i ricorrenti, l'assenza di insidiosita' quale richiesta dalla norma incriminatrice.

Quanto alla simulazione del furto della documentazione contabile, al fine di impedire la esatta ricostruzione dei suoi incassi, si rileva che cio' dimostrerebbe che la contabilita' era stata tenuta in maniera tale da rispecchiare fedelmente il reale incasso delle fatture, donde la necessita' di occultarla agli organi preposti all'accertamento.

Come che sia, osservano i difensori, resta il rilievo, desumibile dalla stessa lettera normativa, che l'elemento costitutivo del reato contestato deve necessariamente attenere alla tenuta della contabilita', e non gia' a successive cautele adottate dal contribuente al fine di frapporre ostacoli al recupero forzoso dell'imposta evasa, condotta questa palesemente postfattuale, ed in quanto tale non sussumibile nell'ambito della fatti-specie incriminatrice descritta dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000 articolo 3.

Tanto premesso, ritiene la Corte, a seguito di una valutazione analitica e di sintesi, che le critiche, pur autorevolmente proposte, non consentano di superare il quadro argomentativo del giudice della misura cautelare, considerato che i reati de quo - alla luce delle ragionevoli considerazioni del G.I.P. e del Tribunale del riesame - non solo appaiono astrattamente configurabili, ma le concrete risultanze processuali, non smentibili dalle parti private, evidenziano (con la sufficiente adeguatezza richiesta per questa fase, processuale) resistenza del "fumus commissi delicti", argomentato con una motivazione adeguata, senza contraddittorieta' o manifeste illogicita'.

Infatti, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto puo' essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'articolo 325 c.p.p., comma 1, rientrano la totale mancanza di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicita' o la incompletezza di motivazione le quali non possono denunciarsi nel giudizio di legittimita' nemmeno tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e), posto che questo richiede la "mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita'" della motivazione (Cass. Penale sez. 5, Sentenza n. 8434 del 11/01/2007 Co. dep. 28/02/2007 Rv. 236255 Presidente: Pizzuti G. Estensore: Dubolino P Imputato: Ladiana ed altro. Massime precedenti Conformi: 5302/2004, Rv. 227095, 5876/2004 rv. 226710).

Invero, quanto al reato Decreto Legislativo n. 74 del 2000 ex articolo 3, nella specie ricorrono sia l'azione esecutiva che la soggettivita' richieste dalla norma incriminatrice, a nulla valendo la pretesa facilita' con cui gli inquirenti hanno potuto "parzialmente" ricostruire i movimenti contabili ed i sottesi profili di frode, avuto riguardo ai sistematici ed integrati mezzi fraudolenti, posti in essere dai ricorrenti: quali l'avere fatto versare le somme di danaro, relative all'attivita' professionale di odontoiatra dell'Al., in conto bancario intestato a Co. Wa.; l'avere spostato capitali all'estero; l'avere la Co. trasferito la propria residenza nel (OMESSO) e, piu' di recente, nell'avere costituito una societa' denominata AL. s.r.l. con sede a Milano, con l'intento di deviare su di essa l'attivita' economica per eludere i controlli dell'Autorita', e con cio' rendere difficoltoso l'accertamento fiscale; nell'aver ancora indicato nelle due dichiarazioni annuali per gli anni 2003, 2004 e 2005 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello reale, in particolare (sul complessivo reddito dei tre) : nel 2003 euro 88.127,00 a fronte di euro 2.309.195.00 con aliquota 45%; nel 2004 euro 105.224,00 a fronte di euro 516.170,00 con aliquota 45% e nel 2005 euro 124.655,00 a fronte di euro 1.099.453,00 con aliquota 43%. In Sassari nelle date corrispondenti alle dichiarazioni.

Circa la prospettata pretesa facilita' di accertamento degli inquirenti, prova secondo i ricorrenti dell'assenza di artifizi e raggiri nella tenuta della contabilita', va osservato in fatto e "ex adverso" che il Nucleo tributario della Guardia di finanza ha impiegato piu' di un anno per giungere ad una quantificazione esatta del giro di affari degli indagati.

Per cio' che attiene poi al reato associativo, che vuole la congrega criminale costituita ed organizzata per commettere i reati di infedele presentazione di dichiarazione dei redditi e di distruzione di scritture contabili (capi B e C), i ricorrenti rilevano l'incompatibilita' logica-giuridica con il reato tributario, classicamente monosoggettivo di natura omissiva: sul punto si lamenta la carenza di motivazione non avendo il primo giudice chiarito in che consista il quid pluris rispetto alla commissione dei singoli reati.

Con memoria di udienza, l'avv. Satta ad ulteriore sostegno dei motivi proposti dal prof. Gaito, contesta la ritenuta sussistenza della associazione per delinquere e la pertinenza dei beni, rispetto al programma dell'associazione stessa.

Anche per questi profili, a giudizio della Corte, valgono le considerazioni di limite dianzi espresse, considerato, quanto alla associazione, che per la sua sussistenza si richiede la presenza di almeno tre persone, ma non anche di un numero notevole di persone e, tanto meno, di una precisa distinzione fra coloro che esercitano il ruolo organizzativo e gli esecutori materiali poiche' e' tipica della fattispecie criminosa di cui all'articolo 416 c.p., proprio la disponibilita' ad attivarsi con varie forme e modi per la realizzazione del programma criminale.

Cio' che caratterizza il reato associativo e ne costituisce l'elemento indispensabile e' infatti (anche secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, vds. in termini: Cass. Pen. sez. 1, sent. 34043/2006, 22 settembre-11 ottobre 2006, Pres. Bardovagni, est. Corradini, in ric. D'Attis), specie nelle associazioni per delinquere quale quella odierna (connotata da un modesto organigramma di natura para-familiare), il vincolo continuativo a causa della consapevolezza di ciascun associato di fare parte del sodalizio e di partecipare con contributo causale alla realizzazione di un duraturo programma criminale, al di la' della interscambiabilita' dei ruoli che costituisce la regola nelle associazioni costituite da un numero modesto di sodali.

Va poi sul punto ribadito che per la prova di tale elemento riveste essenziale importanza la esistenza di una struttura organizzata piu' o meno complessa con la predisposizione dei mezzi necessari per la attuazione del programma comune a tutti gli associati, che puo' essere anche preesistente alla ideazione criminosa e gia' adibita a finalita' lecite (nella specie va rammentato che Co.Wa. aveva rilasciato procura ad operare nel conto corrente al genero Al. in epoca antecedente alle contestate violazioni tributarie), costituendo proprio la esistenza della struttura l'elemento che consente di distinguere fra il concorso di persone nel reato continuato e la associazione per delinquere in cui il vincolo e la struttura permangono anche oltre la commissione di un numero limitato di reati specificamente programmati.

Correttamente l'ordinanza impugnata ha sottolineato che si trattava di un reato associativo in quanto esistevano la struttura di preparazione ed un'osmosi operativa costante ed abitudinaria tra le parti: "Senza ricorrere a citare gli apporti dei prevenuti in occasione dalla consumazione del reato di simulazione del furto dell'autovettura (il suocero di AL. ha messo a disposizione l'autovettura che fino a quel momento era nella sua disponibilita', e la coniuge era presente al fatto evidentemente per contribuirci se non per realizzarlo materialmente insieme al coniuge), puo' ricordarsi che AL. ha realizzato materialmente l'evasione fiscale, fondamentale obiettivo della associazione; CO. Wa., ultrasettantenne titolare di auto sportive di gran pregio economico, era titolare del conto corrente cassaforte della associazione, disponendo dello stesso per le operazioni di conversione del denaro in investimenti; CO. RO., la quale aveva la procura per agire sul citato conto corrente, ha proceduto all'acquisto degli immobili intestandoli anche a se stessa e ha spostato la residenza nel (OMESSO) con l'evidente scopo di rendere maggiormente agevole il fine della associazione per delinquere ossia quello di completare il progetto di evadere le tasse investendo i proventi criminosi in appartamenti e autovetture di lusso".

Deve quindi ritenersi corretta la valutazione del Tribunale, laddove ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati in ordine al reato associativo, finalizzato alla perpetrazione di reati fiscali in genere, e comunque delle violazioni contestate, avendo tale giudice fatta applicazione della giurisprudenza consolidata sulla base di una ricostruzione dei fatti conforme al parametro normativo ed insindacabile in sede di legittimita'.

Nel caso in esame, risulta infatti che i tre indagati hanno realizzato un vero e proprio sistema organizzato che ha consentito loro di occultare i proventi della loro attivita' lavorativa e di beneficiare del profitto; cio' e' avvenuto come rilevano i provvedimenti impugnati:

a) dando sistematiche indicazioni ai clienti provenienti dal FISDE di versare soldi su un conto non intestato all'Al., ma al suocero; emettendo documenti fiscali (necessari per avere le liquidazioni dallo stesso FISDE) che non venivano conservati, come non venivano conservate le ulteriori decine di fatture relative alle altre prestazioni lavorative dell'Al.;

b) reinvestendo i profitti mediante acquisti di beni immobili o mobili registrati di rilevante valore;

c) spostando i profitti e le modalita' del loro godimento all'estero, con fittizi cambi di residenza verso il (OMESSO);

d) architettando, come pronta risposta alle azioni degli accertatori, rapidi prosciugamenti del conto corrente (con prelevamenti di un milione di euro in contanti) e sparizioni fraudolente di tutta la documentazione da cui si poteva risalire all'effettivo giro di affari.

Tale predisposizione di strumenti attuativi - come ribadito in atti -non e' stata occasionale, fatta cioe' di volta in volta, ne' estemporanea, ma fa parte, con tutta evidenza, di un piano preordinato, che ha trovato alcuni passaggi esecutivi precedenti alla realizzazione dei reati-fine (ad es., il fatto che sul conto corrente intestato a Co. Wa. avessero potere di firma gli altri due).

I ricorrenti, di contro, inammissibilmente propongono, al riguardo una serie di questioni che in concreto involgono il merito del giudizio in quanto estendono sostanzialmente il tema del decidere alla fondatezza della pretesa punitiva, di per se' esulante dai limiti del procedimento incidentale di cui trattasi.

Quanto al secondo motivo di impugnazione, in cui si deduce inosservanza della legge processuale penale, integrante violazione di legge, sui presupposti della misura cautelare reale in punto di sequestro preventivo degli immobili ex articolo 321 c.p.p., anche per questo le conclusioni non possono che essere nel senso dell'inammissibilita', attesa la compiutezza della motivazione del Tribunale e spettando comunque ai giudici di merito oli ulteriori rigorosi approfondimenti e la compiuta ed attenta verifica della sussistenza delle ipotesi delittuose contestate.

Ne' puo' sostenersi che nella specie il giudice del riesame ed il G.I.P. abbiano confuso il sequestro preventivo con quello conservativo, solo perche' la Guardia di finanza ha erroneamente richiesto la trascrizione del provvedimento cautelare sui registri immobiliari, trattandosi di formalita' che esula dalle previsioni normative che disciplinano l'istituto (Cass. Penale sez. 6, sentenza 3028/2001, 27 novembre 2000-11 gennaio 2001, Pres. Sansone, est. De Roberto, in ricorso Patini; Sez. 6, Sentenza n. 3148 del 15/10/1996 Cc. dep. 10/12/1996 Rv. 206496 Presidente: Trojano P. Estensore: Di Noto L. Imputato: Coscia).

Infatti entrambi i giudici hanno puntualmente motivato sulla ricorrenza dei presupposti tipici e qualificanti il sequestro preventivo stesso.

Risulta in particolare (cfr. fg. 384 ordinanza 21 maggio 2007) che il provvedimento cautelare ha ritenuto un'inequivoca corrispondenza fra il prodotto del reato ed i beni posseduti, precisando che, solo con i proventi dell'attivita' delittuosa gli indagati hanno potuto acquistare il detto rilevantissimo patrimonio, e realizzare l'immediata trasformazione dei profitti, sufficiente per qualificare i beni acquisiti come discrezionalmente soggetti a confisca, avuto riguardo alla permanenza del vincolo associativo e considerato altresi' che la libera disponibilita' delle cose pertinenti al reato, consente, giusta condivisibile assunto del Pubblico ministero richiedente, non solo il godimento dei frutti di un reato, ma anche la moltiplicazione dei proventi stessi, con immanente pericolo di finanziamento di ulteriori attivita' illecite correlate alla gestione dei detti beni.

Quanto al vincolo di pertinenzialita' va osservato che il riferimento alla "pertinenza della cosa al reato", mentre ha un significato ben preciso in tema di sequestro probatorio, tende invece a perdere di significato rigoroso nel sequestro preventivo il quale, come nella specie, puo' essere adottato in funzione della prevenzione di un pericolo (cfr. in termini: Cass. Penale sez. 3, Giorgietti, mass. 218713).

In buona sostanza e correttamente (fg. 383) si e' quindi sostenuto -agli effetti dell'articolo 321 c.p.p. - che il reinvestimento ed il conseguimento da parte dei sodali di un alto tenore di vita ha determinato un effetto moltiplicatore interno dei proventi dei reati-fine; pertanto, il "prodotto-profitto diretto" del reato di evasione continuata, stimato in 1 milione ed 800 mila euro. circa, laddove lasciato nella libera disponibilita' degli associati stessi, integra pacificamente il pericolo, concreto (e non diversamente ovviabile se non con l'applicazione della specifica misura cautelare) dell'agevolazione della commissione di ulteriori reati tributari che costituiscono l'obbiettivo finale del sodalizio.

Nel ricorso infine, sempre sul tema della misura cautelare reale, si richiama piu' volte la "memoria illustrativa a sostegno della richiesta di riesame" per dimostrare che tutti gli acquisti immobiliari a favore degli indagati erano antecedenti all'anno 2003 per dolersi, tra l'altro, della mancata risposta del Tribunale sul punto e del travisamento dei fatti.

A tale riguardo, osserva la Corte che deve essere recepita ed applicata anche in sede penale la regola della cosiddetta "autosufficienza del ricorso" costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile, con la conseguenza che, quando - come nella odierna vicenda - si lamenti la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, e' onere del ricorrente suffragare la validita' del suo assunto, mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era gia' stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimita' il loro esame diretto, a meno che, e non e' il caso di specie, il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso.

In ogni caso, risulta corretta e va condivisa la considerazione del Tribunale del giudizio cautelare che gli acquisti sono stati effettuati (salvo prova contraria), in concomitanza con l'evasione fiscale dell'Al., in epoca coeva al permanere dell'attivita' delittuosa dell'associazione ed in stretto e reciproco rapporto economico-funzionale.

I ricorsi vanno quindi dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti in solido e al pagamento delle spese processuali e ciascuno alla somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, determinata in considerazione del contenuto dell'impugnazione.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti i solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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