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E' illecito il contratto simulato dalle parti per conseguire indebitamente vantaggi fiscali

In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nel principio costituzionale di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione. (Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile,Sentenza del 26 giugno 2009, n. 15029)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VINCENZO CARBONE - Primo Presidente -

Dott. PAOLO VITTORIA - Presidente di sezione -

Dott. ROBERTO PREDEN - Presidente di sezione -

Dott. ANTONIO MERONE - Rel. Consigliere -

Dott. FRANCESCO MARIA FlORETTl - Consigliere -

Dott. MARIO FINOCCHIARO - Consigliere -

Dott. LUCIO MAZIOTTI DI CELSO - Consigliere -

Dott. UMBERTO GOLDONI - Consigliere -

Dott. ANIELLO NAPPI - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 20530-2007 proposto da:

Azienda Agricola Za.Gi., Re., Gi., Gi. e Gi. ((...)), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Ro., Via F.Co. (...), presso lo studio dell'avvocato Ma.An., che la rappresento e difende unitamente all'avvocato Sa.Ca., giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore, domiciliata in Ro., Via De.Po. (...), presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 154/2006 della Commissione Tributaria Regionale di Milano - sezione distaccata di BRESCIA, depositata il 18/12/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/04/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

uditi gli avvocati Ca.Al. per deroga dell'avvocato Lu.Ma., Gi.Al. dell'Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. VINCENZO NARDI che ha concluso per il dichiararsi la giurisdizione del giudice tributario; nel merito rigetto del ricorso.

Fatto

L'Azienda Agricola Za.Gi., Re., Gi., Gi. e Gi. ha impugnato, dinanzi al giudice tributario, un avviso di rettifica parziale della dichiarazione iva relativa all'anno 1996, con il quale il competente ufficio finanziario contestava l'omessa fatturazione di latte vaccino prodotto nel periodo 1° aprile - 30 novembre 1996, che veniva fatturato invece dalla Azienda Agricola Pi., sulla base di un contratto di comodato di stalla e di bovini stipulato tra le due aziende, contratto ritenuto simulato. Secondo l'ufficio l'Azienda ricorrente avrebbe avuto necessità di ricorrere alla simulazione in quanto deficitaria di quote latte; per cui, la commercializzazione e fatturazione del latte prodotto in eccedenza era stata effettuata con la interposizione della Azienda "comodataria".

La commissione tributaria provinciale adita in primo grado ha accolto il ricorso della Azienda, ritenendo che non fosse provata la simulazione e che comunque non l'erario non avesse subito alcun danno.

Di segno totalmente contrario la decisione della commissione tributaria regionale, la quale ha ritenuto provata la simulazione e la sussistenza del danno e, conseguentemente, ha accolto l'appello dell'ufficio ed ha rigettato il ricorso introduttivo della Azienda.

Avverso questa decisione l'Azienda ricorre per cassazione sulla base di tre motivi. L'Amministrazione finanziaria resiste con controricorso.

Diritto

Il ricorso non può trovare accoglimento.

Con il primo motivo, la parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1803 e 1344 c.c. e vizi di motivazione.

Quanto ai vizi di motivazione, la censura è inammissibile perché non autonomamente formulata e, comunque, perché non accompagnata dal necessario "momento di sintesi che ne circoscriva i limiti" entro i quali la Corte è chiamata a pronunciarsi (Cass. 2652/2008). A parte la considerazione che la censura lamenta la omessa valutazione di elementi probatori (che, peraltro, avrebbe dovuto essere denunciata come violazione dell'art. 112 c.p.c.) in relazione ai quali manca il requisito dell'autosufficienza.

Quanto alla violazione di legge, la difesa della parte ricorrente eccepisce che erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto che un contratto stipulato per eludere disposizioni fiscali e/o comunitarie possa ricadere nello schema del contratto in frode alla legge, ai sensi dell'art. 1344 c.c., in quanto le norme comunitarie e fiscali non sarebbero norme imperative. La tesi è destituita di fondamento e la giurisprudenza citata a conforto della stessa (Cass. 11351/2001) è stata ampiamente superata dalle più recenti pronunce di questa Corte, secondo le quali l'amministrazione finanziaria "è legittimata a dedurre (prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa} la simulazione assoluta o relativa dei contratti stipulati dal contribuente, o la loro nullità per frode alla legge, ivi compresa la legge tributaria (art. 1344 cod. civ.)" (Cass. 20816/2005). A conclusione di un percorso evolutivo che trae spunto proprio dalla giurisprudenza comunitaria (v. Cass. 20398/2005, 22932/2005, 21221/2006) le SS.UU. di questa Corte hanno affermato che "In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali. Esso comporta l'inopponibilità del negozio all'Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall'operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell'operazione" (Cass. 30055/2008). Quanto alla nullità degli accordi per contrarietà a disposizioni comunitarie, si veda Cass. 7287/1997.

Con il secondo motivo di ricorso, denunciando la violazione dell'art. 2 del d.Igs. 546/1992, la parte ricorrente lamenta che il giudice tributario non aveva competenza ad accertare in via incidentale la natura di atto simulato del contratto di comodato e cita, a conforto della propria tesi, Cass. 6631/2003. Il motivo appare infondato, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, nel processo tributario, in forza dell'art. 2, comma 3, del d.lgs. 54 6/1992, che è espressione di un principio generale vigente anche prima che la disposizione venisse introdotta, il giudice può sempre "rilevare d'ufficio eventuali cause di nullità di contratti, la cui validità ed opponibilità all'Amministrazione abbia costituito oggetto dell'attività assertoria del ricorrente" (Cass. 20398/2005). A parte la considerazione che nella fattispecie esaminata in Cass. 6631/2003, è stata escluso il potere di accertamento incidentale del giudice tributario sul rilievo che nella specie la questione non rivestiva carattere incidentale.

Con il terzo motivo, vengono denunciati vizi di motivazione ed alcuni profili di ultrapetizione. Quanto a quest'ultima censura, essa è priva di riferimenti normativi e, comunque, carente di quesito conclusivo. In relazione ai vizi di motivazione, la censura è formulata con riferimento al merito della causa e comunque in maniera non autosufficiente. Inoltre è anche priva della richiesta sintesi ex art. 366 bis, secondo comma, c.p.c. (v. Cass. 2652/2008).

Conseguentemente, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.200,00 (guattromiladuecento/00), di cui Euro quattromila per onorari, oltre alle spese generali ed accessori di legge.


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