Deve ritenersi esclusa l'imponibilità Irap nel caso dell'avvocato che non si avvalga di una organizzione di mezzi autonoma

"L'I.R.A.P. va applicata nei casi in cui il lavoro autonomo - professionale si avvalga di una significativa o non trascurabile organizzazione di mezzi o uomini in grado di ampliarne i risultati a i fini del profitto, atteggiandosi come contesto potenzialmente autonomo rispetto all'apporto personale rivolto ad un ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo.
Lo svolgimento di una libera professione, come quella di medico, avvocato, commercialista, ragioniere, geometra, consulente etc. - secondo questa tesi - si collocherebbe al di fuori dell'area di applicazione dell'I.R.A.P. a condizione che il professionista operi con un minimo di mezzi materiali e senza l'ausilio di dipendenti, collaboratori e procuratori di ogni tipo, esterni od interni e consistenti beni strumentali".
Questo l'orientamento maturato da parte della giurisprudenza di legittimità che la Corte di Cassazione Sezione Tributaria Civile, con sentenza del 13 giugno 2007, n. 13810, ha ritenuto di dover condividere.



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sul ricorso proposto da:

AMMINISTRAZIONE DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Miniatro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma via DEI PORTOGHESI 12, presso L'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

contro

- ricorrente -

B.E., elettivamente domiciliato in ROMA VIA T. 41, presso lo studio dell'Avvocato G. P., che lo rappresenta e difende unitamente all'Avvocato B. N., giusta delega in calce;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 320/02 della Commissione Tributaria Regionale Sezione Distaccata di PARMA, depositata il 02/04/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/02/07 dal Consigliere Dott. MARIGLIANO Eugenia;

udito per il ricorrente l'Avvocato F., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l'Avvocato B., che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

B.E., esercente l'attività professionale di avvocato, proponeva ricorso avverso il silenzio rifiuto maturatosi sull'istanza presentata all'Ufficio delle entrate di Parma, per ottenere il rimborso di quanto pagato L. 6.140.000) a titolo I.R.A.P. per l'anno (OMISSIS).

La C.T .P. di quella citt? rigettava il ricorso, ritenendo infondate le eccezioni d'incostituzionalit? avanzate dal contribuente.

Su gravame dello stesso, la C.T .R. dell'Emilia Romagna riformava la sentenza di primo grado, ritenendo che gli avvocati non possono essere assoggettati all'I.R.A,P., in quanto, esercitando una "professione protetta", nel senso che per poterla svolgere è necessario superare un esame di abilitazione ed iscriversi ad un albo e che per l'esercizio della professione è indispensabile la presenza personale del professionista abilitato, la struttura organizzativa, da sola non potendo supplire alla sua assenza, diviene irrilevante.

Avverso detta decisione il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione, sulla base di unico motivo. Resiste con controricorso il contribuente, contrastando quanto dedotto da parte ricorrente.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3 , come modificati dal D.Lgs. n. 137 del 1998, nonchè insufficiente motivazione per avere la C.T .R. erroneamente ritenuto che la professione di avvocato, come tutte le altre professioni per le quali sia necessaria l'iscrizione all'albo, non sia soggetta ad I.R.A.P, in quanto essendo legata alla presenza ed all'attivit? del libero professionista, la struttura organizzativa eventualmente presente sarebbe irrilevante, obliterando così completamente il presupposto della legge che è costituito dallo svolgimento di attività autonomamente organizzate ed al fatto che tale elemento sia idoneo a produrre un valore aggiunto.

Occorre, preliminarmente, dichiarare l'inammissibilit? del ricorso proposto dal Ministero dell'economia e delle finanze in quanto lo stesso nel presente procedimento è privo di legittimazione processuale, non essendo stato parte in grado di appello, come è dato rilevare anche dall'epigrafe della sentenza impugnata, ove il gravame risulta proposto dall'Agenzia delle entrate, Ufficio di Parma, in data (OMISSIS).

A seguito della riforma dell'Amministrazione finanziaria ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999 , sono state, infatti, istituite le Agenzie fiscali e, pertanto, a partire dal (OMISSIS) (data d'inizio dell'operativit? di detti enti), la legittimazione processuale attiva e passiva nel contenzioso tributario compete a dette istituzioni, dotate di personalità giuridica, e non più al Ministero od agli uffici periferici dello stesso non più esistenti a seguito dell'intervenuta riforma.

Il ricorso è fondato.

La lettura della norma che si pretende violata, cosi come espressa dalla C.T.R., è sostanzialmente in contrasto con l'interpretazione datane dal giudice delle leggi, con la sentenza n. 156 del 2001, il quale ammette che l'I.R.A.P., imposta reale gravante non sul reddito ma sul valore aggiunto prodotto, in costanza di esercizio, dalle attività imprenditoriali o professionali autonomamente organizzate, colpisce non solo tutte le imprese, ma anche i liberi professionisti iscritti negli appositi albi, se svolgono la loro attivit? avvalendosi di "elementi di organizzazione", la cui esistenza ed entità debbono essere accertati in linea di fatto.

Il fatto che l'organizzazione autonoma sia requisito indefettibile per l'assoggettamento del reddito cos? prodotto all'I.R.A.P. si evince anche dall'inserimento postumo della corrispondente dizione nell'originario dettato normativo che richiamava tra i soggetti passivi del tributo gli esercenti le professioni intellettuali i quali, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 49, comma 1 ) possedessero il requisito della abitualità, senza operare alcuna distinzione tra attività non organizzata ed attività organizzata.

Il concetto di autonomia organizzativa è stato infatti introdotto con le disposizioni correttive ed integrative contenute nel D.Lgs. n, 137 del 1998 che - nell'intento di assicurare maggior chiarezza ai contribuenti nella fase di prima applicazione del tributo ed, al contempo, meglio precisarne la portata in rispondenza ai criteri indicati dal legislatore con la Legge DELEGA 23 dicembre 1996, n. 662 prevedenti la tassazione solo in relazione "all'esercizio di una attività organizzata per la produzione di beni o servizi" (comma 144) - ha inserito nel testo la specificazione che la attività doveva essere "autonomamente organizzata".

Il criterio dell'autonomia organizzativa deve, quindi, costituire regola generale da adottare al cospetto di ogni ipotesi di lavoro autonomo - professionale non esercitato in forma di impresa (poichè anche il professionista intellettuale o l'artista può diventare imprenditore a sensi e nei limiti indicati dall'art. 2238 c.c. ,) posto che - in coloro che quelle attività abitualmente svolgono e gestiscono - il fattore organizzativo non è connaturato - come nell'impresa - alla persona fisica.

La Corte Costituzionale sul concetto di autonoma organizzazione - presupposto impositivo ritenuto questione di fatto rimessa alla verifica del giudice del merito - non ha indicato cosa si debba realmente intendere con tale locuzione, in particolare nulla esprimendo sulla relazione che deve intercorrere con l'organizzatore e rinviando puramente alla nozione obbiettiva di un "coinvolgimento coordinato" di capitale o lavoro altrui da accertare di volta in volta nelle singole fattispecie.

Le Commissioni tributarie provinciali e regionali, investite di un contenzioso imponente sull'interpretazione di questo dato suscettibile - secondo il suo atteggiarsi - di legittimare o negare la pretesa fiscale, hanno sul punto creato un vero e proprio diritto vivente ancorchè non del tutto omogeneo.

Tre sono gli orientamenti principali che - pur con qualche sfumatura - si fronteggiano nel panorama giurisprudenziale italiano.

A) Un primo orientamento ritiene che l'I.R.A.P. sia sempre dovuta dal lavoratore autonomo (salvo nelle ipotesi espressamente escluse dal legislatore) perch? l'autonomia dell'organizzazione si identifica con l'abitualit? stessa della professione che non pu? prescindere dalla stabilità e programmazione nel tempo delle energie intellettuali impiegate per acquisire clientela, ottenere credito, competere sul mercato con legittime iniziative frutto di una personale organizzazione che non può mai mancare.

B) Un secondo orientamento esclude la assogettabilità ad I.R.A.P. per i professionisti esercenti una professione "protetta" che esige la iscrizione all'albo e non può mai spersonalizzarsi per il rapporto fiduciario (intuitus personae) che lega il prestatore al cliente ed impedisce che la predisposta struttura di risorse umane e materiali sia in grado di funzionare indipendentemente ed autonomamente dal suo intervento.

Per quanto valore e consistenza possa rivestire l'organizzazione dello studio nel potenziamento del lavoro professionale e dei profitti che ne conseguono, la prestazione d'opera intellettuale resterebbe - secondo questo indirizzo - infungibile ed insostituibile: dunque non si potrebbe mai parlare di autonomia organizzativa distinta dalla prestazione personale;

C) Un terzo orientamento - intermedio - ritiene che l'I.R.A.P. vada applicata nei casi in cui il lavoro autonomo - professionale si avvalga di una significativa o non trascurabile organizzazione di mezzi o uomini in grado di ampliarne i risultati a i fini del profitto, atteggiandosi come contesto potenzialmente autonomo rispetto all'apporto personale rivolto ad un ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo.

Lo svolgimento di una libera professione, come quella di medico, avvocato, commercialista, ragioniere, geometra, consulente etc. - secondo questa tesi - si collocherebbe al di fuori dell'area di applicazione dell'I.R.A.P. a condizione che il professionista operi con un minimo di mezzi materiali e senza l'ausilio di dipendenti, collaboratori e procuratori di ogni tipo, esterni od interni e consistenti beni strumentali.

Ritiene la Corte che sia quest'ultimo l'indirizzo che più si attaglia alla ratio impositiva alla luce del ricordato intervento costituzionale. Va, quindi, condivisa tale ultima tesi che legittima l'imposizione solo a cospetto di una struttura organizzativa "esterna" del lavoro autonomo e cio? quel complesso di fattori dei quali il professionista si avvale e che per numero, importanza e valore economico sono suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how.

Conclusivamente, è il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista nelle incombenze ordinarie ad essere interessato dall'imposizione che colpisce l'incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale.

Il tributo - in altre parole - colpisce una capacità produttiva "impersonale ed aggiuntiva" rispetto a quella propria del professionista perchè, se è innegabile che l'esercente una professione intellettuale concepisce il proprio lavoro con il contributo determinante della propria cultura e preparazione professionale, producendo in tal modo la maggior parte del reddito di lavoro autonomo, è altresì vero che quel reddito complessivo spesso scaturisce anche dalla parte aggiuntiva di profitto che deriva dal lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto ed indiretto etc. Circa l'individuazione degli elementi destinati ad assumere in concreto rilevanza nella definizione del contesto organizzativo ai fini dell'imposizione I.R.A.P., essi andranno per lo più rinvenuti in negativo escludendosi il requisito occorrente a far scattare la soggettività passiva imposta quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nella auto-organizzazione del professionista o comunque l'organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda necessit? di coordinamento (in genere pochi mobili d'ufficio, fotocopiatrice, fax, computer, cellulare, materiale di cancelleria, vettura).

Il giudice del merito può ricercare i dati di riscontro del presupposto impositivo attraverso l'auto dichiarazione del contribuente ovvero la certificazione dell'anagrafe tributaria in p ossesso dell'A.F., soffermandosi sul dettaglio riportato nelle pertinenti sezioni del quadro RE (riguardante la determinazione del reddito di lavoro autonomo ai fini I.R.Pe.F.) che specifica la composizione dei costi, riportando - tra gli altri - le quote di ammortamento dei beni strumentali (con tipologia ricavabile dal registro de i cespiti ammortizzabili o dal registro de i pagamenti), i canoni di locazione finanziaria e non le spese relative agli immobili, le spese per prestazioni di lavoro dipendente, per le collaborazioni ed i compensi comunque elargiti a terzi, gli interessi passivi, ecc. Si tratta di regola empirica che facilita l'onere probatorio in un processo caratterizzato da limitazioni istruttorie, quale quello tributario, sostanzialmente incentrato sulle produzioni documentali; fermo, comunque, restando che graver? sul contribuente che proponga domanda di ripetizione di indebito (contro il silenzio - rifiuto od il diniego espresso di rimborso) dimostrare il fatto costitutivo della sua pretesa, cioè la mancanza della causa (autonoma organizzazione) che giustifica il prelievo fiscale.

Di conseguenza, laddove non sia segnalata la presenza di dipendenti e/o collaboratori o l'impiego di beni strumentali ulteriori rispetto a quelli indispensabili alla professione e di normale corredo del lavoratore autonomo, la Commissione adita potrà ricavare un quadro affidabile di esercizio della professione che - secondo una valutazione di natura non soltanto logica ma anche socio - economica - induca a riscontrare l'assenza di una "organizzazione produttiva" tassabile ai fini I.R.A.P..

Nella specie, la sentenza impugnata che ha affermato la esclusione della imponibilità I.R.A.P. del professionista "protetto", enucleandola dalla iscrizione al proprio Albo professionale, ha eluso ogni accertamento in ordine alla sussistenza o meno di una struttura di supporto all'attività dello stesso, per cui va cassata, con rinvio degli atti ad altra Sezione della C.T.R. dell'Emilia Romagna, che dovrà stabilire se il resistente utilizzi, nell'esercizio della propria professione, beni strumentali o lavoro altrui e in quale misura tali fattori incidano sui costi e gli oneri esposti dal contribuente (per es., come sopra detto, attraverso l'analisi del quadro RE della dichiarazione dei redditi) in relazione all'esercizio della sua professione.

La stessa C.T.R. provvederà anche al governo delle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell'economia e delle finanze, accoglie quello dell'Agenzia delle entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della C.T.R. dell'Emilia Romagna.

Cos? deciso in Roma, nella Camera di consiglio della corte di Cassazione, il 8 febbraio 2007.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2007

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