Irpeg società liquidazione responsabilità amministratori

La responsabilità per il mancato pagamento delle imposte con le attività della liquidazione grava non soltanto sul liquidatore ovvero, in caso di mancata nomina del liquidatore, sull'amministratore in carica all'atto dello scioglimento della società od ente, ma anche sull'amministratore che abbia in atti compiuto attività di liquidazione, anche prima del formale instaurarsi della liquidazione medesima e della nomina di altri come liquidatore. Circa la sussitenza delle responsabilità degli altri amministratori spetta agli stessi fornire la prova della loro mancanza di responsabilità

Sent. n. 3617 del 7 agosto 1989 (ud. dell'8 luglio 1989) della Corte Cass.



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  Sent. n. 3617 del 7 agosto 1989 (ud. dell'8 luglio 1989) della Corte Cass. - Irpeg - Società - Responsabilità dell'amministratore - - Prescrizione per l'esercizio dell'azione - Termine decennale - Applicabilità. ° Irpeg - Società - Liquidazione - Di fatto da parte dell'amministratore  - Responsabilità ex art. 265, T.U. n. 645/1958 - Sussiste. ° Irpeg - Società - Responsabilità ex art. 265 T.U. n. 645/1958 - Prova contraria - É a carico dell'amministratore. ° Irpeg - Società - Liquidazione - Responsabilità dei liquidatori ex art. 265, T.U. n. 645/1958 - Condizioni - Preventiva escussione della società - Necessità - Non sussiste. (D.P.R. n. 602/1973, Art. 36)                                (Commentata)   Massime - In vigenza del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645, la responsabilità degli amministratori di una società tassabile in base al bilancio per l'impiego di attività patrimoniali per fini diversi dal pagamento debiti d'imposta della società stessa "configura una responsabilità per debito proprio che trova la sua fonte diretta ed immediata nella legge, nascendo proprio dal precetto del citato art. 265 del testo unico 645/1958". Di conseguenza ad essa può applicarsi, in difetto di una specifica disposizione derogatrice, l'ordinaria prescrizione decennale prevista dall'art. 2946 del codice civile.     La responsabilità per il mancato pagamento delle imposte con le attività della liquidazione grava non soltanto sul liquidatore ovvero, in caso di mancata nomina del liquidatore, sull'amministratore in carica all'atto dello scioglimento della società od ente, ma anche sull'amministratore che abbia in atti compiuto attività di liquidazione, anche prima del formale instaurarsi della liquidazione medesima e della nomina di altri come liquidatore.     Circa la sussistenza o meno della responsabilità degli amministratori per il mancato pagamento delle imposte facenti capo alla società, spetta all'obbligato, in quanto attore nell'azione di accertamento negativo contro la pretesa del Fisco, di fornire la prova dell'insussistenza dei presupposti della sua responsabilità.     L'art. 265 del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645 chiama a rispondere in proprio i liquidatori che abbiano esaurito, in tutto o in parte, le attività della liquidazione senza provvedere al pagamento delle imposte, e non subordina ad alcuna altra condizione, quale ad esempio la previa escussione della società da parte dell'Amministrazione, la proponibilità della relativa azione del Fisco.
Fatto - Con avviso notificato il 16 novembre 1976, l'ufficio distrettuale delle imposte dirette di Roma comunicò ad A.R., già amministratore della società R.C., posta in liquidazione il 29 febbraio 1968, di ritenerlo personalmente responsabile, ai sensi dell'art. 265 del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645, del mancato pagamento di imposte varie, per complessive lire 85.920.158, dovute dalla società per gli anni dal 1964 al 1967, pur avendo realizzato il patrimonio sociale nel corso dell'esercizio 1967.     Contro l'accertamento il A.R. propose ricorso alle Commissioni tributarie, deducendo il difetto delle condizioni di applicabilità nei suoi confronti dell'art. 265 del testo unico n. 645/1958, ed eccependo la prescrizione del diritto dell'Amministrazione.     Respinto il ricorso dai giudici tributari sia in primo che in secondo grado, A.R. adì la Corte d'Appello di Roma ai sensi dell'art. 40 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, chiedendo che fosse dichiarata prescritta e comunque illegittima la pretesa dell'Amministrazione.     La Corte ha rigettato l'impugnazione considerando: a) che la responsabilità ex art. 265 del testo unico n. 645/1958 non può inquadrarsi nello schema né della responsabilità degli amministrato riverso i creditori sociali ex art. 2394 del codice civile, né della responsabilità aquiliana ex art. 2043 del codice civile, ma integra un'autonoma e distinta figura di responsabilità che si caratterizza per la natura del debito in relazione al quale sorge e per propri specifici presupposti, e ad essa quindi non può applicarsi la prescrizione breve ma l'ordinaria prescrizione decennale che, dovendo farsi decorrere dal momento in cui nel corso del 1967 si era verificata la distrazione delle attività sociali, non si era compiuta alla data del 16 novembre 1976 quando fu notificato l'avviso di accertamento; b) che la detta responsabilità faceva carico anche agli amministratori che avessero compiuto sostanziale attività di liquidazione, pur se si era poi provveduto alla nomina dei liquidatori; c) che non era necessaria la preventiva escussione della società; d) che nella specie la detta responsabilità sussisteva essendo stati alienati i terreni della società ed il ricavato non era stato destinato al pagamento delle imposte.     Contro la sentenza il R. ricorre per tre motivi. L'Amministrazione resiste con controricorso. Diritto - Con il primo motivo del ricorso, il R. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 (rectius: 2394) e 2949, comma 2 del codice civile, assumendo che la responsabilità ex art. 265 del testo unico n. 645/1958 ha carattere speciale rispetto a quella stabilita dall'art. 2394 del codice civile a carico degli amministratori verso i creditori sociali, e ad essa quindi si applicherebbe la prescrizione breve quinquennale di cui all'art. 2949, comma 2, del codice civile, e non quella ordinaria decennale.     La censura non è fondata.     La responsabilità dei liquidatori ed amministratori di un soggetto tassabile in base al bilancio per il mancato pagamento delle imposte dirette dovute da tale soggetto, così come delineata dall'art. 265 del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645, si collega ad un autonoma obbligazione facente capo direttamente all'amministratore o liquidatore e fondata su propri, specifici presupposti, costituiti dall'esistenza, all'attivo della società, di somme, in tutto o in parte, sufficienti per il pagamento dei debiti d'imposta della società stessa, e dalla mancata destinazione o dal mancato accantonamento di tali somme per il pagamento di quei precisi debiti fiscali, quali che ne siano le ragioni, anche se non dolose o colpose, che abbiano determinato un tale comportamento.     La detta responsabilità, cioè, non ha origine da una coobbligazione nel debito tributario della società, ma configura una responsabilità per debito proprio, che trova la sua fonte diretta ed immediata nella legge, nascendo proprio dal precetto del citato art. 265 del testo unico n. 645/1958, il quale pone a carico diretto e personale degli amministratori o liquidatori di un soggetto tassabile in base a bilancio uno specifico obbligo nei confronti del Fisco, di provvedere, nella loro qualità, al pagamento delle imposte con l'attivo sociale; né a tale obbligo gli amministratori o liquidatori hanno possibilità di sottrarsi, nemmeno per il pagamento di crediti con grado poziore rispetto a quello della finanza, non rimanendo ad essi altra scelta, in caso di insufficienza delle somme necessarie per il pagamento dei debiti d'imposta, al fine di evitare la responsabilità personale discendente dalla norma anzidetta, che quella di chiedere il fallimento della società (cfr. Cass. 2822/85, 3270/80, 1273/78, 3257/74).     L'obbligazione in discorso, pertanto, per la sua origine e per i suoi peculiari, specifici connotati, e non essendo fondata propriamente sul dolo o sulla colpa ma sui soli elementi obiettivi dell'esistenza di attività nel patrimonio della società in liquidazione e del loro impiego per fini diversi dal pagamento delle imposte, non può farsi rientrare nella generale responsabilità degli amministratori (art. art. 2456 del codice civile) verso i creditori sociali, e nemmeno nella più generale responsabilità per fatto illecito (art. 2043 del codice civile), di conseguenza ad essa non può applicarsi la prescrizione breve quinquennale, né sotto il profilo della responsabilità per fatto illecito (art. 2947 del codice civile), né per quello della responsabilità verso i creditori sociali (art. 2949 del codice civile), ma può applicarsi soltanto, in difetto di una specifica disposizione derogatrice, l'ordinaria prescrizione decennale, prevista in linea generale dell'art. 2946 del codice civile (cfr. Cass. 2972/77).     Il primo motivo del ricorso deve essere pertanto rigettato.     Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 265 del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645, deducendo che, poiché nella specie si era provveduto alla nomina del liquidatore della società R.C., non avrebbe potuto essere affermata la responsabilità dell'ex amministratore per il mancato pagamento dei debiti fiscali della società, tale responsabilità, secondo la corretta interpretazione letterale e logica della norma predetta, potendo configurarsi solo nel caso in cui, al momento dello scioglimento della società, non sia stato nominato un liquidatore.     La censura non può essere accolta.     Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte è fermo il principio, a confutazione del quale non vengono progettati nuovi decisivi argomenti, che la responsabilità per il mancato pagamento, con le attività della liquidazione, delle imposte dovute da società od enti tassabili in base a bilancio, prevista dall'art. 265 del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645 a carico dei liquidatori, ovvero degli amministratori in carica all'atto dello scioglimento della società o dell'ente, opera ogni qual volta la società o l'ente entrino di fatto nella fase di liquidazione, diretta alla realizzazione integrale delle loro attività per il pagamento della passività e la distribuzione dell'eventuale residuo agli aventi diritto, e sussiste a carico di tutti coloro che, anche a prescindere da una formale investitura, si siano concretamente occupati di tali operazioni, essa pertanto grava non soltanto su chi venga nominato liquidatore, ovvero, in caso di mancata nomina del liquidatore, se chi sia amministratore in carica all'atto dello scioglimento, ma anche sull'amministratore che abbia in effetti compiuto attività di liquidazione, anche prima del formale instaurarsi della liquidazione medesima e della nomina di altri come liquidatore (cfr. Cass. 2145/85, 1761/84, 6403/81, 3685/81, 1703/81, 549/81, 3593/80 e numerose altre).     Con il terzo motivo del ricorso, il R.  deduce che erroneamente ed immotivatamente la Corte d'Appello avrebbe ritenuto sussistenti i presupposti e gli elementi integrativi della responsabilità dell'a amministratore a norma dell'art. 265 del testo unico n. 645/1958, in particolare non considerando: a) che, come risultava dalla documentazione prodotta, sussisteva ancora una consistenza patrimoniale della società a garanzia del Fisco; b) che ciò da un lato dimostrava che non vi era stata liquidazione dell'intero patrimonio sociale, dall'altro importava la necessità che fosse previamente escussa la società; c) che le vendite immobiliari compiute dall'a amministratore non potevano considerarsi operazioni di liquidazione, rientrando nell'oggetto proprio della società.  Deduce ancora che si sarebbe dovuto tener conto, in ordine al quantum, della domanda di condono intanto presentata dalla società ai sensi dell'art. 24 del D.L. 10 luglio 1982, n. 429.     Anche quest'ultimo motivo va disatteso.     In primo luogo, il fatto che, atteso l'oggetto della società, le vendite immobiliari effettuate dall'amministratore nel 1967 potessero astrattamente rientrare nella normale gestione non esclude che esse costituissero, invece, atti di liquidazione, dovendo accettarsi in concreto se esse rientrassero nell'una o nell'altra categoria, a seconda delle finalità per le quali furono compiute, riconoscibili appunto, come ha esattamente rilevato la Corte d'Appello, della destinazione data al ricavato delle vendite stesse, se cioè diretta al reimpiego nell'ulteriore svolgimento dell'attività sociale, ovvero al realizzo totale del patrimonio della società per il pagamento delle passività e la distribuzione del residuo tra gli aventi diritto.     La Corte d'Appello, valutati gli elementi di causa, ha ritenuto che le vendite in questione avessero avuto finalità liquidatoria, e questo costituisce un apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede di legittimità, non avendo il ricorrente esposto o indicato alcun elemento o circostanza, prospettato al giudice del merito e da questi pretermesso o trascurato nel suo esame, che avrebbe potuto dimostrare il carattere non liquidatorio delle vendite stesse; che anzi, proprio l'attuale ricorrente, nell'atto di impugnazione davanti alla Corte d'Appello, aveva messo in evidenza come la società da lui amministrata non potesse più perseguire l'oggetto sociale a causa dell'enorme passivo accumulato, tanto che il 29 febbraio 1968, vale a dire subito dopo l'effettuazione delle vendite, era stata posta formalmente in liquidazione.     É pacifico inoltre che il ricavato delle vendite non fu destinato al pagamento delle imposte dovute alla società, né fu accantonato per il detto fine.     E non rileva che residuasse ancora una consistenza patrimoniale della società, poiché, una volta che questa era entrata, anche se di fatto, nella fase della liquidazione, la responsabilità degli amministratori o liquidatori per il mancato pagamento delle imposte dirette facenti capo alla società stessa, ai sensi dell'art. 265 del T.U. n. 645/1958 sussiste per il solo fatto che vi sia stata distrazione di qualche attività sociale per fini diversi, a prescindere dalla sua entità (cfr. Cass. n. 1273/78); e spettava comunque all'obbligato, in quanto attore nell'azione di accertamento negativo contro la pretesa del Fisco, di fornire la prova della insussistenza dei presupposti della sua responsabilità (cfr. Cass. n. 2925/78) ed in particolare che l'avvenuta distrazione di attività sociali non aveva recato danno alle ragioni della Finanza, per l'esistenza di altre disponibilità patrimoniali sicuramente sufficienti a soddisfarle, anche in relazione all'esistenza o inesistenza di altri crediti di grado poziore.     Fuori di ogni previsione legale è poi l'assunto che l'Amministrazione dovesse previamente escutere la società, atteso che il citato art. 265 del testo unico del 1958 chiama a rispondere in proprio i liquidatori (anche di fatto) che abbiano esaurito, in tutto o in parte, le attività della liquidazione senza provvedere al pagamento delle imposte, e non subordina ad alcuna altra condizione la proponibilità della relativa azione del Fisco.     Costituisce infine questione del tutto nuova, non prospettata in sede di merito e che, non dipendendo da jus superveniens, non può essere esaminata in questa sede, quella che si riferisce agli effetti di un'asserita domanda di definizione proposta dalla società ai sensi del D.L. n. 429/1982. Va qui solo osservato che la responsabilità dell'amministratore o liquidatore ex citato art. 265, pur essendo per debito proprio, è pur sempre correlata e delimitata dal debito tributario della società.     Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. - La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in lire ......... di cui lire 2.000.000 per onorario, oltre le spese prenotate a debito.          

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