liquidazione società di persone assenza procedura imposta ex lege

Nelle società di persone (nella specie, società di fatto), il procedimento formale di liquidazione non è imposto dalla legge in modo assoluto, in quanto i soci possono evitarlo decidendo di pervenire alla estinzione dell'ente sociale con altre modalità, ed, eventualmente, con l'intervento di un giudice. L'esistenza di un tale accordo non è esclusa da semplici divergenze nella determinazione della entità delle quote, ma solo dal rifiuto - anche implicitamente manifestato - di addivenire alla definizione dei rapporti sociali secondo modalità diverse da quelle proprie del procedimento legale di liquidazione.

Cass. civ. Sez. I, 03-03-2000, n. 2376 Cass. civ. Sez. I, 03-03-2000, n. 2376



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Cass. civ. Sez. I, 03-03-2000, n. 2376

Nelle società di persone (nella specie, società di fatto), il procedimento formale di liquidazione non è imposto dalla legge in modo assoluto, in quanto i soci possono evitarlo decidendo di pervenire alla estinzione dell'ente sociale con altre modalità, ed, eventualmente, con l'intervento di un giudice. L'esistenza di un tale accordo non è esclusa da semplici divergenze nella determinazione della entità delle quote, ma solo dal rifiuto - anche implicitamente manifestato - di addivenire alla definizione dei rapporti sociali secondo modalità diverse da quelle proprie del procedimento legale di liquidazione.

Cass. civ. Sez. I, 03-03-2000, n. 2376
Manarin c. Manarin

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

1 - Con atto notificato il 26 ottobre 1987 Arduino Manarin conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Treviso il fratello Mario, chiedendone la condanna al pagamento di L. 49.088.435, quale liquidazione della quota a lui dovuta a seguito dello scioglimento della società di fatto tra di essi operante fino a tutto il 1983.

Il convenuto si opponeva all'accoglimento della domanda, assumendo di essere a sua volta creditore dell'attore della somma di L. 5.093.378, di cui chiedeva il pagamento in via riconvenzionale.

Il Tribunale di Treviso, accogliendo parzialmente la domanda attrice, condannava il convenuto al pagamento di L. 29.791.716, con interessi e rivalutazione.

Il convenuto proponeva appello, chiedendo che il credito della controparte fosse stabilito nella minor somma di L. 2.363.590. Il gravame era accolto dalla Corte territoriale che riformava la sentenza impugnata, dichiarando improponibile la domanda avanzata da Arduino Manarin, sul rilievo che, in mancanza di un diverso accordo dei soci, la liquidazione delle società personali deve essere effettuata secondo le modalità stabilite dall'art. 2275 c.c. e segg. e che, pertanto, in detta ipotesi i soci non possono adire direttamente l'autorità giudiziaria per la determinazione delle reciproche spettanze.

1.1 - Arduino Manarin chiede la cassazione di tale sentenza con tre motivi. L'intimato, al quale il ricorso risulta essere stato notificato l'11 maggio 1998, non resiste.

Motivi della decisione

2 - Il ricorrente - denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2275 c.c., anche in riferimento all'art. 360, n. 3 e n. 4, c.p.c. - censura la sentenza impugnata per aver dichiarato l'improponibilità della domanda, senza considerare:

a) che, non essendo il procedimento formale di liquidazione imposto in modo assoluto, i soci possono legittimamente optare

purché siano d'accordo, per la definizione dei loro rapporti secondo modalità diverse ed anche nelle forme di ordinario procedimento di cognizione;

b) che il disaccordo dei soci, quando riguardi solo la determinazione delle rispettive quote di liquidazione, non è di ostacolo all'adozione di un procedimento di liquidazione diverso da quello specificamente disciplinato dall'art. 2275 c.c. e segg.;

c) che la domanda proposta trovava fondamento in specifiche disposizioni di legge, le quali attribuiscono al socio il diritto di ottenere la liquidazione della quota in caso di scioglimento della società.

3 - Le doglianze, che possono essere congiuntamente esaminate, sono fondate.

Invero, il procedimento formale di liquidazione, disciplinato dall'art. 2275 c.c. e segg., non è imposto dalla legge in modo assoluto, in quanto i soci possono evitarlo, decidendo di pervenire alla definizione dei rapporti sociali con altre modalità ed, eventualmente, con l'intervento di un giudice (Cass., 27 gennaio 1992, n. 860; 20 dicembre 1985, n. 6525; 22 novembre 1980, n. 6212). L'esistenza di un accordo siffatto - desumibile anche dal contegno processuale tenuto in presenza di una domanda proposta da uno dei soci al fine di ottenere dal giudice la definizione dei rispettivi rapporti di dare e di avere (Cass., 4 marzo 1970, n. 511; 5 gennaio 1967, n. 22) - non è esclusa da (semplici) divergenze nella determinazione dell'entità delle quote, ma solo dal rifiuto (anche implicitamente manifestato) di addivenire alla definizione dei rapporti sociali secondo modalità diverse di quelle proprie del procedimento legale di liquidazione (Cass., 4 marzo 1970, n. 511).

Di ciò non ha tenuto conto la Corte di merito che ha dichiarato improponibile la domanda facendo genericamente al "disaccordo" dei soci, senza precisarne l'oggetto, come invece sarebbe stato necessario, dal momento che l'appellante, come si ricava dalla sentenza impugnata, si era limitato a contestare la determinazione della quota effettuata dai giudici di primo grado, senza opporsi alla praticabilità della via prescelta dalla controparte al fine di pervenire alla definizione dei rapporti sociali.

La doglianza puntualizzata dalla lettera c) del precedente paragrafo è conseguentemente assorbita.

4 - L'accoglimento del ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d'Appello di Venezia, che si atterrà ai principi di diritto specificati nel precedente paragrafo e provvederà, inoltre, alla liquidazione delle spese della precedente fase.

PQM

La Corte di cassazione accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'Appello di Venezia, anche per le spese.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1^ ottobre 1999.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 3 MARZO 2000.

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