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Riscossione - Liquidatori di società - Responsabilità ex art. 36, D.P.R. 602/1973
Pubblicata il 29/10/2010
Sent. n. 12546 del 15 ottobre 2001 (ud. del 27 marzo 2001) della Corte Cass., Sez. tributaria
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Fatto - Con avviso notificato il 31 dicembre 1981 l'ufficio II.DD. di Roma recuperava a tassazione ricavi per lire 1:172.995.350, derivanti dalla vendita negli anni 1975 e 1976 di due lotti di terreno in agro di Cerveteri alla S.Coop. R.l. G.A., dei quali era stata omessa la dichiarazione da parte della proprietaria S.r.l. F.M.B.C. ed irrogava le relative sanzioni. L'accertamento diveniva definitivo il 23 aprile 1983 a seguito della mancata impugnazione del rigetto del ricorso proposto avverso lo stesso alla Commissione tributaria di primo grado e L'Amministrazione finanziaria il 16 settembre 1992, all'esito della procedura di fallimento della società, conclusasi il 13 gennaio 1991 con il pagamento parziale delle sole spese prededucibili, emetteva, nei limiti dei ricavi recuperati a tassazione, avviso di accertamento nei confronti di M.S., nella qualità di amministratore che di fatto aveva proceduto alla liquidazione della società per responsabilità personale nel mancato pagamento di imposte relative agli esercizi sociali 1971, 1972, 1973 e 1975. Il ricorso dal S. avverso l'accertamento, rigettato nei primi due gradi di giudizio dalle Commissioni tributarie, veniva accolto dalla Commissione tributaria centrale, che l'8 aprile-5 maggio 1997 annullava la decisione di secondo grado sul rilievo dell'invalidità dell'accertamento, in quanto fondato su controlli estranei alla sfera giuridica del ricorrente e su un giudicato a lui non opponibile, e dell'intervenuta prescrizione del credito erariale nel novembre 1992, giacché l'inizio della decorrenza del relativo termine, stante la natura personale ed autonoma dell'obbligazione dell'amministratore, non poteva essere individuato nel momento in cui era stata accertata con il fallimento la morosità-insolvenza della società. Avverso la decisione il 27 gennaio 1998 l'Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi, il S. notificava il 9 marzo 1998 controricorso e ricorso incidentale condizionato e la ricorrente principale, a sua volta, notificava il 16 aprile 1998 controricorso al ricorso incidentale. Diritto - A norma dell'art. 335, del codice di procedura civile, va disposta la riunione dei ricorsi proposti in via principale dal Ministero delle finanze ed in via incidentale dal S. È infondata l'eccezione, con la quale il resistente ha denunciato la inammissibilità dell'impugnazione notificata presso la sua residenza e non nel domicilio eletto presso il proprio difensore all'atto della costituzione nel giudizio, atteso che un tale vizio non determinerebbe l'inesistenza giuridica, ma una nullità delle notifica del ricorso per cassazione (cfr.: Cass. civ., Sez. II, sent. 7 aprile 2000), e che, essendo il medesimo emendabile, ex tunc, ai sensi dell'art. 291, primo comma, del codice di procedura civile, con la rinnovazione dell'atto, l nullità stessa sarebbe stata sanata, in ogni caso, dalla spontanea e tempestiva costituzione nel grado di legittimità della parte citata (cfr.: Cass. civ., Sez. III, sent. 23 giugno 1997, n. 5575). Con il primo motivo la ricorrente principale ha denunciato l'omissione e l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia, poiché la mancata indicazione da parte dei giudici del termine iniziale del periodo di prescrizione del diritto non consentirebbe di comprendere l'iter logico posto a fondamento dell'affermazione dell'intervenuta estinzione del credito vantato dall'Amministrazione finanziaria nei confronti del liquidatore di fatto della società. La denuncia è inammissibile. Le decisioni rese dalla Commissione tributaria centrale nel regime del contenzioso tributario previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sono impugnabili per cassazione col ricorso straordinario previsto dall'art. 111, secondo comma Cost., e, essendo tale rimedio consentito soltanto per il vizio di violazione di legge, il ricorso stesso, fuori del caso di asserita radicale carenza della motivazione ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee per la loro mera apparenza o contraddittorietà a rivelare la ratio decidendi, non può sollecitare una indagine sulla sufficienza od adeguatezza della motivazione medesima in relazione all'apprezzamento da parte del giudice di questioni di fatto poste a fondamento della sua decisione (cfr.: Cass. civ., Sez. I, sent. 11 febbraio 1999, n. 1147; Cass. civ., Sez. I, sent. 28 aprile 1998, n. 4312; Cass. civ., Sez. I, sent. 10 aprile 1998, n. 3719). Sotto il profilo sollevato dalla ricorrente la sentenza impugnata si sottrae, quindi, all'invocato sindacato di legittimità, nonostante la genericità del richiamo, quale fondamento della prescrizione del diritto, alla notifica dell'avviso di accertamento per responsabilità dell'amministratore dopo il decorso di circa venti anni dal momento in cui il credito nei suoi confronti era divenuto certo, liquido ed esigibile. Siffatta genericità non assume, invero, alcun rilievo, da un lato, sull'identificabilità della specifica ragione della pronuncia nella non condivisione dell'assunto dell'Amministrazione finanziaria, secondo il quale il credito erariale nei confronti del liquidatore di fatto non sarebbe stato esigibile in epoca anteriore alla dichiarazione del fallimento, che avrebbe comportato soltanto nell'anno 1984 l'accertamento della morosità-insolvenza della società contribuente, e, dall'altro, sulla compiutezza della motivazione censurata, la quale ha dato conto con quel richiamo del non essersi verificato nel decennio anteriore alla notifica dell'avviso di accertamento alcun evento ostativo all'esercizio del diritto. Con il secondo motivo d'impugnazione l'Amministrazione finanziaria ha lamentato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2935 del codice civile e dell'art. 36, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in riferimento agli artt. 360, primo comma, n. 3 e 62, primo comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonchè l'insufficienza ed illogicità della motivazione della sentenza relativamente all'asserzione che l'azione del fisco nei confronti del liquidatore di beni sociali, il quale aveva pregiudicato con il proprio comportamento le garanzie patrimoniali dello Stato, avrebbe potuto essere esercitata anche anteriormente all'evidenziazione dello stato d'insolvenza della società contribuente. Non avrebbe considerato la Commissione tributaria centrale, in particolare, che, cominciando a decorrere la prescrizione dal momento in cui un diritto può essere fatto valere e presupponendo la responsabilità dell'amministratore-liquidatore di fatto il previo accertamento sia dei crediti dell'erario verso la società, le cui attività siano state assoggettate a liquidazione, e sia il mancato soddisfacimento degli stessi con l'attivo realizzato, nessuna possibilità sussisteva per l'Amministrazione finanziaria di invocare una tale responsabilità prima della definitività dell'accertamento stesso e dell'acquisizione della certezza dell'impossibilità che la pretesa tributaria fosse soddisfatta dalla contribuente. La doglianza, inammissibile analogamente alla prima censura quanto ai dedotti vizi di motivazione, è, invece, ammissibile, facendo puntuale riferimento ad una delle ragioni della decisione, e fondata nella prospettata violazione e falsa applicazione delle norme di diritto menzionate. L'azione di responsabilità nei confronti del liquidatore di una società con riguardo ai crediti per imposta sul reddito delle persone giuridiche, i cui presupposti si siano verificati a carico della stessa, ancorchè accertati successivamente, che l'art. 36, del D.P.R. n. 602/1973, al pari dell'abrogato art. 265, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, riconosce all'Amministrazione finanziaria nel caso che questi abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al loro pagamento, è esercitabile alla duplice condizione che i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e che sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima (cfr.: Cass. civ., Sez. Un., sent. 6 maggio 1985, n. 2820; Cass. civ., Sez. I, sent. 7 giugno 1989, n. 2768; Cass. civ. Sez. I, sent. 14 settembre 1995, n. 9688). Il carattere proprio di tale obbligazione, che deriva dall'inosservanza da parte del liquidatore di uno specifico obbligo di legge su lui gravante, comporta, inoltre, che una tale responsabilità possa essere invocata dall'Amministrazione finanziaria, una volta realizzatesi le due condizioni, nell'ordinario termine decennale di prescrizione, non essendo la stessa equiparabile a quella derivante dalla responsabilità verso i creditori, di cui agli 2456 del codice civile, nè qualificabile come coobligazione dei debiti tributari (cfr.: Cass. civ., Sez. Un., sent. 4 maggio 1989, n. 2079), ma riconducibile alle norme degli artt. 1176 e 1218, del codice civile. Corollario dell'autonomia e distinzione della relativa pretesa e della sua natura non tributaria (cfr.: Cass. civ., Sez. Un., sent. 4 maggio 1989, n. 2079), è anche, dunque, la non condivisibilità del ricorso incidentale, con il quale il S. ha riproposto la questione di decadenza dell'Amministrazione finanziaria dal diritto all'accertamento della responsabilità del liquidatore, richiamandosi all'attribuzione della controversia al giudice designato alla trattazione della materia fiscale e desumendo dal rinvio contenuto nell'art. 36, quinto comma, del D.P.R. n. 602/1973, alle modalità di notificazione dell'atto previste con norma generale dell'art. 60, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l'applicabilità ulteriore degli 43 di quest'ultimo decreto, che disciplinano, invece, la fattispecie del tutto diversa dell'accertamento di imponibili soggetti ad obbligo di dichiarazione. Con il terzo motivo di ricorso l'Amministrazione finanziaria ha censurato la seconda argomentazione a sostegno della decisione impugnata ed ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell'art. 46, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, dell'art. 2697 e ss., del codice civile, e degli 39, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e la contraddittorietà della motivazione in ordine all'asserita illegittimità dell'accertamento compiuto nei confronti della contribuente ed alla rilevanza di questa in ordine alla responsabilità del liquidatore, il quale risponderebbe dell'avere pregiudicato con il proprio comportamento le garanzie patrimoniali dell'erario. Tale ultimo motivo, anche esso inammissibile nella parte in cui investe la motivazione della decisione, è fondato nella denuncia della violazione di legge. La responsabilità del liquidatore, o dell'amministratore-liquidatore di fatto, prevista dall'art. 36, del D.P.R. n. 602/1973, come già ricordato, trova la sua fonte in una autonoma obbligazione legale, che insorge quando ricorrono gli elementi obiettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società in liquidazione e della distrazione di tali attività a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute. La natura e l'oggetto di tale responsabilità comportano, quindi, che, pur dipendendo l'attualità della stessa dalla conseguita certezza e definitività del debito tributario, l'obbligato è del tutto estraneo al procedimento diretto all'accertamento del medesimo e che, conseguentemente, eventuali ragioni d'invalidità di tale procedimento non possono essere opposte dal liquidatore od amministratore-liquidatore di fatto e rilevate dal giudici. Vanno dichiarate manifestamente infondate, infine, per carenza del relativo interesse le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dal S. sotto il profilo della violazione del divieto di creazione di una giurisdizione speciale per l'accertamento della responsabilità prevista dall'art. 36, del D.P.R. n. 602/1973, della disparità di trattamento dei soggetti in relazione all'epoca di insorgenza della relativa controversia, dell'elusione della giurisdizione esclusiva degli organi della giustizia amministrativa e dell'eccesso legislativo rispetto alla delega concessa con la L. 9 ottobre 1971, n. 825. L'avvenuto riconoscimento della legittimità costituzionale dell'istituzione delle Commissioni tributarie (cfr.: Corte Cost., sent. 3 agosto 1976, n. 215; Corte Cost., sent. 24 novembre 1982, n. 1982), riconduce, infatti, ad una scelta discrezionale del legislatore lo stabilire se risponda ai principi della buona amministrazione della cosa pubblica deferire la soluzione di determinate controversie alle Commissioni tributarie o ad altro organo (cfr.: Corte Cost., sent. 17 novembre 1982, art. 10, n. 14, L. 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria) non è rinvenibile alcuna norma ostativa all'attribuzione al giudice tributario delle controversie previste dall'art. 36, del D.P.R. n. 602/1973, che sono in ogni caso legate al profilo fiscale della gestione delle società. P.Q.M. - Riuniti i ricorsi, accoglie per quanto di ragione quello principale, rigetta quello incidentale e cassa in relazione al motivo accolto. Rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio anche per le spese.