Il regime doganale del Traffico di Perfezionamento Passivo
Come conseguenza delle note dinamiche di internazionalizzazione, molte aziende
hanno decentrato all’estero parte della lavorazione dei loro prodotti. In altri
casi, quando non si tratta di casi di vera internazionalizzazione, si ricade in
quello di lavorazione conto terzi eseguita in Paesi extra-Ce. Spesso escono
materie prime o semilavorati dall’Italia per subire lavorazioni dirette in
Paesi caratterizzati da bassi costi di produzione. Una volta trasformati
rientrano in Italia per essere immessi in libera pratica, oppure per essere
esportati in altri mercati. Tutto ciò crea ingenti problemi sotto il profilo
dazi ed Iva. Se le materie prime o semilavorati vengono esportati per poi
essere reimportati come prodotto finito, alla loro reintroduzione nel
territorio doganale comunitario dovranno scontare i diritti doganali (dazi e
Iva) sul valore complessivo della merce.
Per evitare questi problemi si fa ricorso al regime di perfezionamento passivo,
come previsto dal Codice Doganale. Si tratta di un regime doganale, non
obbligatorio, previsto per agevolare l’operatore economico nella sua attività
con l’estero.
Le operazioni a cui vengono sottoposte le merci, possono riguardare la
lavorazione, la trasformazione, ma anche la semplice riparazione, la messa a
punto o la manutenzione.
Consente di esportare le merci senza oneri e di reintrodurre il prodotto finito
(prodotto compensatore) pagando dazi e Iva (diritti doganali) esclusivamente
sulla lavorazione subita nel Paese extra-Ce. La base imponibile che verrà presa
in considerazione sarà ricavata dalla differenza tra il valore dei prodotti
compensatori e il valore delle materie prime/semilavorati temporaneamente
esportati. Con l’immissione in libera pratica dei prodotti compensatori la
dogana procederà all’appuramento del regime di perfezionamento passivo.
L' immissione in libera pratica comporterà, a seconda dei casi, l' esonero
totale o parziale dei dazi a seconda del risultato della detrazione: dazi
gravanti sui prodotti compensatori, meno dazi che sarebbero dovuti sulle
materie prime/semilavorati temporaneamente esportati. Per quanto riguarda
l’aspetto la preferenza daziaria: il dazio che viene applicato al prodotto
compensatore, se è prevista l’applicazione a merci similari, lo stesso dazio
verrà applicato ai fini del calcolo dei dazi da detrarre, anche per le merci
che sono state fatte oggetto della temporanea esportazione. In ogni caso
esistono delle deroghe a tale principio. Se l’operazione consiste in una
riparazione/messa a punto a titolo gratuito, come nel caso dei prodotti in
garanzia, è l’immissione in libera pratica prevede la franchigia dei dazi.
Qualora le stesse operazioni vengano effettuate, invece, a titolo oneroso, non
si utilizza il metodo di calcolo sopra esposto, ma i dazi verranno calcolati
sul valore dei costi che verranno addebitati.
Il regime del perfezionamento passivo non è, comunque esente da alcuni aspetti
negativi. Innanzi tutto c’è la possibilità che la valutazione relativa
all’esportazione e alla successiva importazione venga svolta da due dogane
differenti e che quindi la valutazione delle merci prima e dopo la
trasformazione possa creare dei problemi per il soggetto promotore
dell’operazione. Inoltre esistono Paesi che non riconoscono la possibilità di
usufruire di operazioni così strutturate. Da queste due considerazioni deriva
la scelta di alcuni operatori economici di utilizzare l’esportazione definitiva
e relativa importazione oppure l’esportazione senza passaggio di proprietà.
Accenniamo solamente per puro scrupolo che, nel caso dell’esportazione senza
passaggio di proprietà non potrà essere emessa fattura, ma al suo posto
troveremo un documento denominato fattura pro-forma oppure una lista
valorizzata. Citiamo a tale proposito la sentenza della Commissione Tributaria
Provinciale di Treviso n.26/02/02 in cui l’esportatore, che aveva lo status di
“esportatore abituale”, in un caso di lavorazione di materie prime in un Paese
extra-Ce, emetteva fattura in art.8 D.p.r. 633/72 e a suo carico è stata
conseguentemente accertata una violazione della normativa interna in materia di
Iva.
Se l’operatore vuole usufruire del regime deve ottenere un’autorizzazione
dall’autorità doganale. In tale istanza di autorizzazione, oltre ai dati
dell’azienda, dovranno essere esplicitati i parametri dell’operazione. Dovranno
essere spiegate le lavorazioni a cui verranno sottoposte la merce e gli scarti
che sono previsti.
Affinché il regime di perfezionamento passivo possa essere messo in pratica
l’operazione non dovrà arrecare pregiudizio agli interessi degli operatori del
settore merceologico (cosiddetti trasformatori), residenti nella Comunità. In
realtà il vincolo posto dall’autorità è facilmente superato per il fatto che
l’operazione di perfezionamento non sarà considerata lesiva per gli interessi
degli operatori del settore.
Va chiarito che il traffico di perfezionamento passivo è un regime doganale non
obbligatorio; il che significa che le Aziende possono farvi ricorso per
effettuare le loro operazioni se lo ritengono conveniente, e che possono non
utilizzarlo ricorrendo ad altri strumenti per eseguire all’estero le loro
attività di lavorazione. In tal caso si sente spesso parlare di
“perfezionamento passivo non autorizzato”; tecnicamente, si tratta di
un’operazione di esportazione senza passaggio della proprietà, ammessa
dall’autorità doganale, che viene scortata da fattura proforma al momento
dell’uscita delle merci dal territorio doganale comunitario. Questa operazione
non realizza un’esportazione, e pertanto non è idonea alla costituzione del
plafond IVA (la relativa dicitura è riportata comunque sulla fattura proforma
stessa, con apposito timbro). Naturalmente l’operazione comporta che sulle
merci oggetto di lavorazione all’estero vengano applicate tutte le misure di
politica tariffaria previste per le merci importate; quindi vengono persi i
vantaggi in termini di minori costi fiscali normalmente connessi alle
operazioni di perfezionamento passivo c.d. “autorizzato”.