Convivenza more uxorio, assegno

Il carattere precario del rapporto di convivenza more uxorio consente di considerare gli eventuali benefici economici che ne derivino idonei ad incidere unicamente sulla misura dell'assegno in quanto, proprio in considerazione di detta precarietà, è destinato ad influire solo su quella parte dell'assegno volto ad assicurare quelle condizioni minime di autonomia giuridicamente garantite che l'art. 5 della legge sul divorzio ha inteso tutelare finché l'avente diritto non contragga un nuovo matrimonio. Né la nascita di una figlia può considerarsi idonea a mutarne, sotto il profilo giuridico, la natura, potendo solo di fatto cementare l'unione ma non dar luogo all'insorgenza di diritti ed obblighi in quanto il soggetto economicamente più debole non acquisisce quel grado di tutela necessario a giustificare la perdita dei diritti di carattere economico derivanti dal matrimonio.

Cassazione civile , sez. I, sentenza 22.01.2010 n° 1096



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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 28 settembre 2009 - 22 gennaio 2010, n. 1096

(Presidente Luccioli - Relatore Panebianco)

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bari con decreto del 3.1.2007, in accoglimento del ricorso proposto da G. C.,

modificava le condizioni di carattere patrimoniale disposte con la sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, negando alla ex moglie G. M. il diritto all’assegno divorzile che le era stato liquidato nella misura di euro 1.082,97.

La M. proponeva reclamo ed all’esito del giudizio, nel quale si costituiva il C. chiedendone il rigetto, la Corte d’Appello di Bari con decreto del 6-14.11.2007 riduceva l’assegno divorzile in euro 500,00.

Dopo aver precisato che in sede di revisione possono prendersi in considerazione solo le circostanze sopravvenute e che in tale ambito non rientravano nel caso in esame né la relazione extraconiugale intrattenuta dalla M. né la nascita di una figlia nata da tale relazione in quanto entrambe precedenti alla pronuncia di divorzio, senza che possa assumere rilievo l’ignoranza dedotta al riguardo dal C. sia perché il giudicato copre il dedotto e il deducibile e sia perché l’affermazione non risulta provata in un contesto in cui è difficile ipotizzare la dispersione di tutti i rapporti parentali ed amichevoli, rilevava la Corte d’Appello che gli unici elementi sopravvenuti erano costituiti dal mutamento di residenza della M. avvenuto in data omissis con il trasferimento da omissis a omissis nella stessa abitazione del padre della bambina (omissis B. G.) e dalla realizzazione da parte della medesima M. di alcuni acquisti immobiliari.

Quanto a quest’ultima circostanza, prendeva atto dell’acquisto della casa facente parte del complesso balneare omissis che, seppure limitato ad un uso stagionale, consente tuttavia di godere di una sistemazione turistica con risparmio di spesa, nonché dell’acquisto di un’abitazione destinata ai genitori.

Per quanto riguarda il mutamento della residenza anagrafica, ne riconosceva la rilevanza, precisando però che, pur essendo esso indice di un rapporto non estemporaneo, l’unione non potrebbe ancora considerarsi definitiva in assenza di un nuovo matrimonio.

Riteneva quindi che non sussistevano le condizioni per escludere il diritto all’assegno divorzile, ma solo per operarne una riduzione. Al riguardo sottolineava che sia il C. che il G. svolgevano la stessa professione di omissis ed anche se quest’ultimo era dedito pure ad un’attività complementare (che il Tribunale aveva definito artistica), dagli introiti però incerti, la nuova coppia doveva provvedere al mantenimento della figlia.

Avverso tale decreto propone ricorso per cassazione G. C. che deduce tre motivi di censura.

Resiste con controricorso, illustrato anche con memoria, G. M. che eccepisce sotto vari profili l’inammissibilità del ricorso (impugnabilità del decreto solo ai sensi dell’art. 111 Cost. e quindi unicamente per violazione di legge; prospettazione del quesito senza la formulazione della “regula iuris” applicabile; riproposizione di questioni non deducibili in sede di revisione in quanto coperte dal giudicato).

Motivi della decisione

Prioritario è l’esame delle tre questioni pregiudiziali sollevate dalla controricorrente a sostegno della richiesta di inammissibilità del ricorso.

Quanto alla prima - con cui si deduce che il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d’Appello pronunciato in sede di reclamo in tema di modifica delle condizioni patrimoniali stabilite con la sentenza divorzile può essere proposto solo per violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost. - ben due ordini di considerazioni ne rilevano l’infondatezza.

In primo luogo non considera la difesa della M. che tutte le censure, articolate in tre distinti motivi di ricorso, riguardano pretese violazioni di legge.

Ma, soprattutto, non tiene conto della formulazione dell’art. 360 C.P.C., come introdotto dall’art. 2 D.Lgs. n. 40 del 2006 applicabile “ratione temporis” al caso in esame (vedi la norma transitoria di cui all’art. 27 di detto D.Lgs. al comma 1), il quale all’ultimo comma prevede la possibilità, anche per i provvedimenti diversi dalla sentenza, di ricorrere per tutti i motivi previsti dal primo comma.

Anche il secondo motivo di inammissibilità - riguardante la formulazione dei quesiti di diritto richiesti dall’art. 366 bis C.P.C. che ad avviso della controricorrente si risolverebbero in una enunciazione di questioni di fatto - è infondato, ben potendosi individuare una chiara sintesi logico-giuridica delle questioni sottoposte alla valutazione del giudice di legittimità con espresso riferimento ai punti controversi ed alle norme che si considerano violate. Indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla dedotta fondatezza dei motivi del ricorso, di cui si parlerà a breve, la lettura dei quesiti mostra all’evidenza la loro stretta correlazione, espressa in termini chiari e sintetici, con il motivo cui ciascuno si riferisce e con le particolari circostanze del caso concreto.

Con il primo motivo di ricorso G. C. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della Legge 898/70, come modificato dall’art. 13 della Legge n. 74 del 1987, nonché dagli artt. 2697 comma 2 e 115 C.P.C.. Lamenta che la Corte d’Appello abbia ritenuto non valorizzabili ai fini della revisione una parte delle circostanze dedotte, vale a dire la relazione extraconiugale intrattenuta dalla M. e la nascita della figlia nata da questa relazione, senza considerare che egli non aveva fatto riferimento ad una mera relazione extraconiugale ma ad una convivenza “more uxorio”, la quale è qualcosa di ben diverso, in quanto indice di stabilità, unitamente alla nascita della bambina avvenuta in data omissis, vale a dire poco dopo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio di divorzio (omissis) e poco prima del deposito della sentenza di divorzio (omissis). Deduce altresì che erroneamente la Corte d’Appello ha ritenuto che incombesse a lui l’onere di provare la mancata conoscenza di tali accadimenti all’epoca del divorzio, non avendo considerato, da una parte, che tali circostanze configurassero delle eccezioni il cui onere della prova incombeva a chi le aveva sollevate e, dall’altra, la perdita totale dei contatti a seguito del trasferimento della M. in altra città ed in mancanza di una prole comune.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 9 e 5 della Legge 898/70, come modificati, nonché dell’art. 2697 C.C. e degli artt. 115 e 116 C.P.C.. Lamenta che la Corte d’Appello, nell’apprezzare sebbene in maniera riduttiva la stabilizzazione della nuova coppia, abbia considerato solo una delle fonti di reddito del G., non avendo adeguatamente tenuto conto della sua seconda attività artistica pluriennale sia come omissis che come omissis, come il omissis, oltre che come omissis (omissis), ed omettendo qualsiasi accertamento al riguardo anche mediante informazioni presso la S.I.A.E., come era stato richiesto, nonché di tener conto del reddito di euro omissis risultante dalla dichiarazione dei redditi della M. e della durata minima del matrimonio (omissis mesi).

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 5 della Legge 898/70 come modificato dall’art. 10 della legge n. 74 del 1987, dell’art. 2697 comma 2 C.C. e degli artt. 115 e 116 C.P.C., nonché carenza di motivazione. Lamenta che la Corte d’Appello, nel comparare i redditi delle parti con riferimento anche a quelli del G., abbia ritenuto di valorizzare i costi che la presenza della bambina comporta nell’economia della nuova coppia, omettendo però di considerare che anch’egli ha due figlie a carico, come documentalmente provato.

Le esposte censure, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione logica e giuridica, sono infondate.

In punto di fatto, le circostanze che nel caso in esame la Corte d’Appello ha considerato sopravvenute e, come tale, valutabili nel giudizio di revisione per il disconoscimento dell’assegno divorzile, sono costituite dal mutamento della residenza della M. da omissis a omissis presso l’abitazione del omissis R. G. in data omissis, con cui la medesima ha stabilito quindi un rapporto di convivenza more uxorio e non già di semplice relazione extraconiugale, nonché da alcuni acquisti immobiliari.

Quanto alla prima circostanza, non v’è ragione da parte del ricorrente di dolersi in ordine alla corretta individuazione di un tale rapporto, avendo la Corte d’Appello dedotto dall’avvenuto trasferimento a omissis della M. la sussistenza di un effettivo rapporto di convivenza, come si sostiene in ricorso e come si desume del resto dalla giurisprudenza richiamata dalla Corte d’Appello che a rapporti di tale natura fa riferimento.

Il tentativo poi operato dal ricorrente di includere tra le circostanze sopravvenute anche la nascita da tale rapporto di una bambina urta contro gli accertamenti, insindacabili in questa sede, della Corte d’Appello basati su precisi riferimenti temporali e sul rilievo che è rimasto privo di prova l’assunto della mancata tempestiva conoscenza di un tale evento da parte del ricorrente medesimo.

In ogni caso le considerazioni di carattere giuridico espresse dalla sentenza impugnata in ordine al riconoscimento dell’assegno divorzile e che questa Corte condivide rendono superfluo ogni riferimento al riguardo.

La Corte d’Appello infatti, richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 24056/06), ha sottolineato che il carattere precario del rapporto di convivenza more uxorio consente di considerare gli eventuali benefici economici che ne derivino idonei ad incidere unicamente sulla misura dell’assegno in quanto, proprio in considerazione di detta precarietà, è destinato ad influire solo su quella parte dell’assegno volto ad assicurare quelle condizioni minime di autonomia giuridicamente garantite che l’art. 5 della legge sul divorzio ha inteso tutelare finché l’avente diritto non contragga un nuovo matrimonio.

Il collegio intende dare continuità a tale principio, condividendone il contenuto in quanto non si potrebbe dubitare del carattere precario del rapporto di convivenza, privo di qualsiasi tutela giuridica nei confronti del soggetto economicamente più debole.

Né la nascita di una figlia può considerarsi idonea a mutarne, sotto il profilo giuridico, la natura, potendo solo di fatto cementare l’unione ma non dar luogo all’insorgenza di diritti ed obblighi in quanto il soggetto economicamente più debole non acquisisce quel grado di tutela necessario a giustificare la perdita dei diritti di carattere economico derivanti dal matrimonio.

Anche sul piano strettamente giuridico quindi correttamente la Corte d’Appello non ha tenuto conto di tale evento ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno, mentre altrettanto correttamente ha valutato la complessiva situazione venutasi a creare (unitamente alle disponibilità dimostrate dalla M. a seguito di alcuni acquisti immobiliari) assicurando solo quella parte dell’assegno volta a superare le condizioni minime di autonomia garantite dai benefici economici derivanti dalla convivenza.

Tali considerazioni valgono ovviamente anche in relazione alla circostanza relativa alla dedotta migliore condizione economica che il omisssis G. fruirebbe in relazione alla sua attività artistica esercitata in aggiunta a quella di omissis, cui è addetto invece in esclusiva il omissis C.

Quanto infine al terzo motivo, riguardante la incidenza che la Corte d’Appello, nella comparazione delle rispettive condizioni economiche, ha riconosciuto in termini di costi alla nascita della bambina dal nuovo rapporto, dimenticando di considerare che anche il ricorrente nel frattempo era divenuto padre di due bambine, il rilievo della Corte d’Appello non è certamente corretto, basandosi solo su una parte degli elementi di valutazione, ma la circostanza non è decisiva sia per la notevole riduzione, pari al 50%, già operata rispetto alla liquidazione dell’assegno disposta dal Tribunale e sia, soprattutto, perché un eventuale difetto di motivazione sul punto, prospettabile al riguardo, non potrebbe desumersi unicamente da tale rilievo ma avrebbe richiesto pur sempre, per valutarne l’incidenza, il suo inserimento nell’ambito della complessiva valutazione compiuta dal giudice di merito.

Il ricorso va pertanto rigettato.

La peculiarità della fattispecie giustifica la totale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio di legittimità.


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