Casa:
Successione quote S.A.S.
Caduta in successione di quote del socio accomandante di una s.a.s., per la quota del 25%
Ambito di indagine.
La S.a.s. è una delle figure tipiche di società di persone in cui si sovrappongono due regimi differenti di responsabilità patrimoniale: una responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, attribuite ai soci accomandatari che hanno anche la gestione della società, essendo per legge amministratori della stessa; ed una responsabilità limitata al capitale conferito attribuita ai soci accomandanti.
La problematica da affrontare è quella del mutamento della compagine sociale, nelle ipotesi di cessione del rapporto sociale limitatamente ad un socio, rappresentato nel caso di morte, esclusione e recesso.
In uno dei tre casi, nelle società di persone, al contrario di quanto avviene nelle società di capitale, la prosecuzione della conduzione societaria in capo a chi subentra non è affatto pacifico, anzi è rimesso o alle decisioni sancite nell'atto costitutivo e nello statuto, oppure è rimesso ad un apprezzamento "postumo" dell'unanimità dei soci superstiti. Questo per la tutela all'intuitu personae che caratterizza le società di persone rispetto a quelle di capitale in cui prevale l'elemento patrimoniale e non quello personale. Nel caso che ci riguarda sicuramente la prosecuzione della società è stata voluta, e sono state soddisfatte tutte le condizioni di legge.
Comportamento in caso di cessazione del vincolo sociale rispetto ad un socio.
Quando si verifica la cessazione del vincolo sociale rispetto ad un solo socio, il c.c. all'art. 2289, prevede l'obbligo di redigere un bilancio straordinario in cui dovranno confluire sia gli elementi patrimoniali che economici della società, nonché le risultanze delle operazioni in corso alla data dell'evento, e l'indicazione dell'avviamento, in quanto elemento caratterizzante la capacità produttiva della società.
Anche in caso di morte, e subentro automatico degli eredi, è necessario procedere a questo adempimento avallato non solo dalla chiarezza espositiva della norma (art. 2284 c.c.), ma anche dal parere concorde di dottrina e giurisprudenza ( ).
Quanto alla stima da dare all'avviamento, la giurisprudenza civile che ha avuto modo di confrontarsi sul problema ha affermato che tale stima deve essere tale da indicare una redditività che si fondi su risultati economici delle passate gestioni e su prudenti previsioni dei rendimenti futuri (Cass. 10 luglio 1993, n. 7595). A tale orientamento si è accostato altresì il Ministero delle Finanze che, con al RM del 23 marzo 1976 ha affermato chiaramente che, nella dichiarazione di successione, la quota deve essere indicata non al valore nominale, bensì sulla base del valore netto della stessa.
D'altro canto, la continuazione della società in capo agli eredi, avviene non iure successionis, bensì quale continuazione per "atto tra vivi" ( ).
Quanto alla metodologia utilizzata per la quantificazione dell'avviamento, si ricorda che dovrà ricorrere a quanto indicato dall'art. 2 comma 6 del DPR 31 luglio 1986 n. 460, il quale prevede che "… il valore dell'avviamento è determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d'imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicato per tre. La percentuale di redditività non può essere inferiore al rapporto tra il reddito d'impresa e i ricavi accertati, o in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte e nel medesimo periodo".
Problematica fiscale
Nella dichiarazione di successione, dovrà essere indicato quindi il valore effettivo della quota in capo ai nudi proprietari, e l'indicazione, anche nel registro delle imprese, dei soggetti usufruttuari.
La differenza tra valore nominale della quota e valore effettivo potrà far nascere plusvalenze in capo direttamente agli usufruttuari (soggetti che hanno materialmente in mano le sorti della società). Tali plusvalenze, non sono tassabili in ragione dell'imposta di successione, vista l'abrogazione della stessa con la manovra cd. "dei 100 giorni", bensì solo in ragione del trasferimento successivo, ricadendo nella disciplina dei "capital gain". In particolare:
· Se il beneficiario cede i valori entro i 5 anni successivi, è tenuto al pagamento dell'imposta sostitutiva ( ) come se la successione non si fosse mai verificata;
· Se la cessione è avvenuta dopo i 5 anni, il beneficiario sarà tenuto al pagamento dell'imposta sostitutiva calcolata sul valore dichiarato in successione.
Si resta a disposizione per ogni chiarimento.