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Imposte sui redditi - Accertamento - Contrasto all'elusione - Fattispecie
Pubblicata il 26/09/2010
Sent. n. 6 del 28 gennaio 2009 (ud. del 15 luglio 2008) della Comm. trib. prov. di Vicenza
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Fatto - Con ricorso ritualmente notificato e depositato B.G. S.p.A. (incorporante della C.M. S.p.A.) impugnava l'avviso di accertamento in materia IRPEG e IRAP emesso per l'anno d'imposta 2003 dall'Agenzia delle entrate. L'Ufficio, a seguito di processo verbale del 21 ottobre 2005 della Guardia di Finanza e previa richiesta di chiarimenti ai sensi dell'art. 37 - bis del D.P.R. n. 600/1973, ha emesso l'avviso impugnato, evidenziando il carattere elusivo dell'operazione di fusione nelle C.M. e di successiva scissione della società P. S.p.A. In particolare, le riprese operate dall'Amministrazione finanziaria riguardavano l'omessa ricostituzione delle riserve in sospensione d'imposta, con recupero ad imposizione dei vantaggi conseguiti per Euro 5.829.232,00, nonché l'indebita deduzione di componenti negativi di reddito per Euro 1.426.177,00. A sostegno del gravame la ricorrente formulava una serie di osservazioni giuridiche, dalle quali si desume che gli atti in parola non risulterebbero conformi alla vigente disciplina normativa, sostenendo di essere del tutto estranea rispetto ai comportamenti elusivi asseritamente addebitati. L'Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio, controdeducendo alle eccezioni di parte ricorrente e, conclusivamente, chiedendo il rigetto del ricorso. All'udienza del 15 luglio 2008 la causa veniva trattenuta in decisione. Motivi - Il ricorso appare parzialmente fondato. 1. Anzitutto, occorre rilevare, in fatto, che il G.M. nel corso del 2003 è stato interessato da alcune operazioni straordinarie di fusione e scissione che ne hanno modificato la struttura finanziaria ed operativa. Dette operazioni si sono concretizzate attraverso una fusione per incorporazione in "C.S.V. S.p.A." (poi C.M. S.p.A.) di alcune società controllate da quest'ultima (C. di T. S.p.A. C. di V. S.p.A. P.I.G. e C. S.p.A. e M.G.I. S.r.l.) ed una contestuale scissione dei rami di azienda legati all'attività t. e immobiliare (P.I.G. e C. S.p.A. LM.E. e I.B.). Il disegno organizzativo del G.M. era quello di concentrare in un unico polo le società del gruppo operanti nel settore c. ed effettuare successivamente l'integrazione con il G.B. La scissione dei rami d'azienda c.t. e immobiliare sarebbe stata effettuata perché non erano interessati all'acquisizione da parte della B. S.p.A. Con l'avviso di accertamento in contestazione, basato sul processo verbale di constatazione del 21 ottobre 2005 redatto dalla Guardia di finanza - Nucleo regionale del Veneto, sono stati operati due rilievi: l'omessa ricostruzione di riserve in sospensione di imposta per Euro 5.929.232,00 e l'indebita deduzione di componenti negativi di reddito per Euro 1.426.177,00. In particolare, l'Ufficio ha riscontrato il carattere elusivo dell'operazione di fusione per incorporazione in C.S.V. S.p.A. (poi C.M. S.p.A.) della P.I.G. e C. e contestuale scissione della stessa P., in quanto, ai sensi dell'art. 37 - bis del D.P.R. n. 600/1973, risulterebbe effettuata senza validi fini economici ed allo scopo di ottenere riduzioni o rimborsi di imposte, aggirando obblighi o divieti posti dall'ordinamento tributario. 2. Con un primo ordine di censure viene contestata la pretesa dell'Ufficio, sulla omessa ricostituzione delle riserve in sospensione d'imposta, volta ad affermare la sussistenza e correttezza della fattispecie impositiva gravata. 2.1. Aspetti elusivi, secondo l'Ufficio, potrebbero rilevare nelle seguenti circostanze: - nella stessa data 1° maggio 2003 sono state effettuate due operazioni straordinarie (fusione e scissione), operazioni che, seppur coincidenti nella data, hanno effetti esattamente contrari; - con tali operazioni comunque è rimasta invariata la posizione dell'incorporata - beneficiaria (P.I.G.), la quale, come unica società del gruppo operante nel settore g. e c., nella previsione dello stesso piano di ristrutturazione, doveva rimanere indipendente dalle altre società del gruppo c.; - la fusione di "P. S.p.A." e contestuale scissione si è concretizzata di fatto in un semplice passaggio di quote da "C.M. S.p.A." alla "Holding G.M. S.p.A.". Ad avviso dell'Ufficio, le descritte operazioni non sarebbero sorrette da valide ragioni economiche, tali, in particolare, da giustificare il ricorso a due attività complesse quali la fusione e la scissione, posto che lo stesso risultato si sarebbe potuto ottenere attraverso istituti tipici più lineari, quali il conferimento, lo scambio di partecipazioni con la controllante o la cessione di quote. Inoltre, il vantaggio economico realizzato attraverso dette operazioni si sarebbe concretizzato nell'utilizzo dell'avanzo da annullamento che la fusione ha generato; avanzo, poi, interamente utilizzato per ricostituire le riserve indisponibili delle società incorporate, stabilendo, infatti, l'art. 123, comma 4, del T.U.I.R., l'obbligo per la società incorporante di ricostituire le riserve in sospensione di imposta delle società fuse. Secondo i verificatori detta ricostituzione poteva anche avvenire attraverso l'utilizzo di strumenti alternativi (ad esempio, con l'uso di riserve disponibili dell'incorporante, oppure mediante versamenti in conto capitale dell'incorporante stessa, oppure vincolando parte del capitale sociale). In sostanza - ad avviso dell'Ufficio - il ricorso a tali metodi alternativi avrebbe reso indisponibili le poste del patrimonio netto utilizzate e/o avrebbe costretto l'incorporante, in ottemperanza a quanto stabilito dal comma 4 dello stesso art. 123, a tassare le riserve non ricostituite nel bilancio post - fusione. 2.2. L'assunto dell'Ufficio non appare condivisibile. Osserva, anzitutto, il Collegio che la motivazione per cui le operazioni di fusione e di scissione, in alternativa ad altro genere (come per es. la cessione di quote sociali), sono state poste in essere rimane nell'ambito di quell'autonomia negoziale riconosciuta dall'ordinamento, per quanto la vicenda meriti approfondimento. Ora, sulla base degli interventi operati in materia della Corte di giustizia comunitaria ed, in particolare, secondo la sentenza "Halifax", l'esistenza di una pratica abusiva può essere riconosciuta, allorché le operazioni controverse abbiano il risultato di procurare un vantaggio fiscale contrario all'obiettivo perseguito dalle disposizioni richiamate, e allorché, dall'insieme degli elementi oggettivi emersi, risulti che lo scopo sia essenzialmente l'ottenimento di un vantaggio fiscale, precluso, di norma, dalla realtà economica dei negozi, se conclusi in modo ortodosso, e senza secondi fini. Nell'ordinamento nazionale, affinché un'operazione possa dirsi elusiva ai sensi dell'art. 37 - bis del D.P.R. n. 600/1973, si devono verificare puntualmente i presupposti richiesti dalla vista disposizione (assenza di valide ragioni economiche, indebito risparmio d'imposta, aggiramento di una norma). Sul requisito dell'esistenza o meno di valide ragioni economiche si osserva che l'operazione di fusione - scissione è stata effettuata per escludere dal piano organizzativo del G.M. le attività della P., che non erano oggetto di integrazione con il G.B. In particolare, si è proceduto ad incorporare la società P., in quanto la fusione è stata comunque effettuata al chiaro scopo di riunire nella c. M. tutte le società c. del G. Ragionevolmente, inoltre, in virtù delle partecipazioni incrociate tra le varie società del G.M. interessate alla fusione (e questo è anche un coerente motivo per cui, con riferimento alla P., non è stata effettuata un'operazione identica a quella svolta per altre società immobiliari, non oggetto di integrazione con il G.B.) ed al fine di non procedere ad ulteriori atti rispetto a quelli essenziali all'operazione in parola (quali, la cessione delle quote o un atto di conferimento con costituzione di una nuova società, come ipotizzato dall'Ufficio), che avrebbero comportato un aggravio di costi e di tempi (la perizia di stima del ramo aziendale poteva in effetti richiedere tempi lunghi), si è ritenuto più semplice ed opportuno procedere con l'incorporazione della P. Poi, come per le società immobiliari, si è scorporato il ramo d'azienda della P. dal perimetro oggetto di integrazione, per attribuirlo alla holding gruppo M. S.p.A. Lo scambio di partecipazioni con la società controllante - adombrato dall'Ufficio - non sarebbe, dunque, stato possibile, in quanto, oltre a richiedere da parte della holding gruppo M. S.p.A. l'acquisto di azioni proprie, avrebbe comportato che la cartiera M. sarebbe divenuta socio della stessa holding, circostanza chiaramente non desiderata dalla ricorrente. Quanto al risparmio d'imposta, non sembra significativamente rinvenibile una connotazione indebita dell'operazione contestata, anche in relazione alla insufficiente valenza probatoria della documentazione in atti. Va premessa anzitutto un'osservazione fondamentale, ancora una volta ricavata dalla sentenza "Halifax", secondo cui l'imprenditore o il contribuente ha il diritto di scegliere la forma di conduzione dei propri affari che gli permette di limitare, per quanto possibile, la sua contribuzione fiscale. Al riguardo, si osserva che le riserve in sospensione d'imposta ricostituite, non solo sono state affrancate ai fini IRPEG pagando un'imposta sostitutiva del 19%, come consentito dalla legge, ma sono state anche distribuite nel 2003 e 2004, con il relativo pagamento dell'IRAP. E', di conseguenza, palese che la società non aveva alcun interesse a fare emergere un avanzo per ottenere un importo maggiore di riserve disponibili. In ipotesi, al contrario, che la ricorrente avesse vincolato il capitale sociale, come richiesto dall'Ufficio, la società avrebbe avuto addirittura maggiori riserve libere da distribuire, senza, tra l'altro, subire alcuna imposizione, concretandosi il capitale in una posta indisponibile dal punto di vista civilistico. La società, pertanto, si è limitata a ricostituire nel proprio bilancio post - fusione le riserve in sospensione, utilizzando le poste di patrimonio a sua disposizione, come richiesto dal legislatore, senza eludere alcuna norma. Di qui l'infondatezza della ripresa a tassazione. 3. Con un secondo ordine di censure viene contestata la pretesa dell'Ufficio sull'asserita indebita deduzione di componenti negativi di reddito per Euro 1.426.177,00. Al riguardo, l'Ufficio ritiene che siano stati indebitamente dedotti i costi sostenuti con soggetti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, in quanto, in sede di verifica ed in risposta all'apposita richiesta dell'Ufficio, formulata ai sensi dell'art. 76, comma 7 - ter, del T.U.I.R., la ricorrente non avrebbe fornito le esimenti di cui al precitato art. 76 (ora 110) del T.U.I.R.: di qui il recupero a tassazione e l'irrogazione della sanzione di infedele dichiarazione. Osserva il Collegio che, in relazione ai rapporti economici con Paesi a fiscalità privilegiata, sui componenti negativi portati in deduzione grava l'onere documentale a carico del contribuente di fornire la prova delle esimenti. Se la parte non dimostra tali esimenti, la ripresa operata risulta corretta. Infatti, ai sensi dell'art. 76, comma 7 - bis, del D.P.R. cit. (dal 1° gennaio 2004: art. 110 cit. ) "non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all'Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati". Viene stabilito un principio generale di indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate in Stati aventi regimi fiscali privilegiati. A tale principio si può derogare solo allorquando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva e che le operazioni rispondano ad un effettivo interesse economico e abbiano avuto concreta esecuzione. 3.1. La C.M. S.p.A. ha dedotto l'importo di Euro 251.613 relativo ad asserite prestazioni di consulenza ricevute da B., residente a Montecarlo (Principato di Monaco). La ricorrente sostiene che B. ha prestato servizi di consulenza e, pertanto, i relativi costi non rientrerebbero nella disciplina di deducibilità di cui all'art. 76, comma 7 - bis, del T.U.I.R. Il Collegio è, invece, portato a ritenere che le prestazioni rese da B. siano qualificabili come prestazioni di servizi rese nell'esercizio di impresa e non da un professionista. Sul punto, si ritiene che il criterio per interpretare la volontà negoziale racchiusa negli atti, ed il suo inquadramento in uno schema negoziale piuttosto che in un altro, non possa che rifarsi ai criteri stabiliti dagli artt. 1362 ss., c.c. Tanto si rileva, infatti, sia dall'analisi di talune clausole contrattuali (all. 12 di parte ricorrente), sia dal tenore di alcune comunicazioni di B. alla M.G., laddove emerge come l'attività del B. non sia stata astrattamente di consulenza, ma sostanzialmente di intermediazione e di fatto assimilabile ad un rapporto di agenzia, così come definito dalle norme del codice civile. In proposito, se l'incarico conferito al B. era quello di divulgare e pubblicizzare i prodotti della C. di S. S.p.A. e della C. di T. S.p.A. (poi C.M. S.p.A.) presso alcuni grandi gruppi f. (G.H.L. e G.H.F.), occorre sottolineare che nello svolgimento dell'incarico il B. doveva individuare il personale in grado di determinare la politica di acquisto delle ridette aziende, organizzare incontri diretti ad illustrare le caratteristiche del prodotto M., redigere relazioni periodiche sulla propria attività, illustrando le necessità dei clienti, nonché comunicare eventuali contestazioni sulla qualità del prodotto fornito. E sebbene al punto 2.2 del contratto stipulato tra il B. e la c. di S. in data 1° gennaio 1999 (all. 10 di parte ricorrente) si esclude che l'incarico sia comprensivo della facoltà della trattazione del prezzo e conseguentemente dell'acquisizione degli ordini, nelle comunicazioni prodotte, appare evidente come l'attività del B. fosse rivolta alla conclusione di contratti di vendita. Invero, B. viene definito nella contabilità della società come "procacciatore" e il corrispettivo riconosciutogli (art. 3 del contratto sopra citato) viene calcolato quale provvigione sull'importo fatturato. Si sottolinea, altresì, che - se gli elementi probatori di cui al p.v.c redatto dalla Guardia di finanza godono di pubblica fede per i fatti e gli eventi rilevati in presenza dei verbalizzanti - gli ulteriori elementi in esso contenuti, privi di rilevanza probatoria con pubblica fede, possono, comunque, avere rilevanza probatoria di natura documentale o indiziaria. In definitiva, per quanto concerne B., non pare trattarsi di un rapporto di consulenza (come vorrebbe la ricorrente, atteso che nel 2003 i relativi costi non rientravano nella disciplina di deducibilità di cui all'art. 76, comma 7 – bis cit. bensì di intermediazione e di fatto assimilabile ad un rapporto di agenzia (come sostiene fondatamente l'Ufficio e quindi indeducibili, trattandosi di imprese domiciliate in Stati della cd. black list). Quindi, del tutto corretto appare il recupero ad imposizione del costo sostenuto di Euro 251.613,00. 3.2. La C.M. S.p.A. ha acquistato dalla società S.P.H. (Hong Kong) c. per la produzione di c. per l'importo complessivo di Euro 1.174.564,00. L'Ufficio ritiene che la documentazione fornita dalla parte al fine di richiedere la disapplicazione dell'art. 76, comma 7 cit. permetta solo di dimostrare la mera esistenza formale di una società estera: essa non sarebbe tuttavia sufficiente a dimostrare anche lo svolgimento di un'attività commerciale effettiva, ai sensi dell'art. 2195 c.c., tramite una struttura organizzativa idonea. La documentazione prodotta sarebbe dunque insufficiente sia ai fini della dimostrazione della concreta esecuzione delle operazioni, sia dell'effettivo interesse economico perseguito. Ai sensi dell'art. 76, comma 7 – ter cit. per la deducibilità dei costi in esame è comunque richiesto che il contribuente fornisca la prova che le imprese estere svolgano prevalentemente un'attività commerciale effettiva e che le operazioni rispondano ad un effettivo interesse economico e abbiano avuto concreta esecuzione. Osserva il Collegio che, sul caso S.P.H. di Hong Kong la ricorrente ha provato entrambe le esimenti di cui all'art. 76, comma 7 - ter, al fine di richiedere la disapplicazione dell'art. 76, comma 7 - bis, cit.. Infatti, sono stati esibiti i certificati di iscrizione presso il registro locale delle società (all. 21 di parte ricorrente) ed è stato documentato che S. svolge prevalentemente un'attività commerciale effettiva e che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico ed hanno avuto concreta esecuzione. In particolare, sul secondo requisito sostanziale recato dall'art. 110 del T.U.I.R., ovvero il fatto che le "operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione", è stato osservato che le medesime operazioni rispondevano ad un preciso interesse delle C.M., in quanto si tratta di merce reperibile in quei mercati a prezzi particolarmente convenienti: e sul punto, l'Ufficio nel proprio avviso di accertamento aveva sostenuto l'assenza di vari pagamenti, che risultano, invece, prodotti nell'allegato 24 al ricorso introduttivo. E nella specie le operazioni di compravendita hanno avuto concreta esecuzione, attesa anche la inerente documentazione doganale esibita (all. 24 di parte ricorrente). Pertanto, nel caso in esame può ritenersi soddisfatta la vista esimente. 4. Sulla presunta violazione dell'art. 10 dello Statuto (legge n. 212/2000) e degli 17 del D.Lgs. n. 472/1997, la ricorrente sostiene che l'applicazione della norma antielusiva ex art. 37 - bis del D.P.R. n. 600/1973 non può essere causa di sanzioni vista la liceità della condotta posta in essere, asserendo inoltre che il disconoscimento di vantaggi tributari sarebbe già di per sé una sanzione. Osserva il Collegio che nella norma ex art. 37 - bis non è comminata alcuna sanzione, salvo il sussistere di un riferimento nel sesto comma, ma trattasi di un automatismo derivante dal richiamo all'art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992. Del resto, la figura della sanzione non sarebbe coerente con la fattispecie elusiva ove, in sostanza, si realizza un aggiramento delle norme, ma non la loro violazione, mentre il D.Lgs. n. 472/1997, applicato dall'Ufficio, attiene peculiarmente alle sanzioni connesse alle violazioni della normativa fiscale. Dunque, il disconoscimento dei vantaggi tributari conseguiti rappresenta già in sé una sanzione sufficiente per un comportamento che, per aspetti diversi da quelli riferibili all'art. 37 - bis, appare lecito. 5. Per le suesposte considerazioni, il ricorso va quindi parzialmente accolto, restando salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione. Quanto al carico delle spese di giudizio, è avviso del Collegio che la particolarità della vicenda ben giustifichi la loro integrale compensazione fra le parti in causa. P.Q.M. - La Commissione tributaria provinciale di Vicenza, Sez. III, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie parzialmente nei sensi di cui in motivazione. Spese del giudizio interamente compensate.