Imposte sui redditi - Accertamento - Contrasto all'elusione - Fattispecie

Massima - Il diritto comunitario e nazionale accordano al contribuente piena autonomia negoziale al fine di esercitare la propria attività economica stabilendo altresì il divieto di perseguire quale unico scopo delle operazioni il conseguimento di un vantaggio fiscale altrimenti indebito. Ai fini dell'applicazione dell'art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973 in tema di attività elusive, la disposizione deve essere integralmente soddisfatta in ogni presupposto: carenza di valide ragioni economiche, aggiramento di disposizioni, illegittimo risparmio d'imposta) né la medesima costituisce fonte per l'irrogazione di sanzioni atteso che il disconoscimento degli effetti dei negozi nei confronti dell'Amministrazione finanziaria rappresenta essa medesima ammenda per il contegno del contribuente. Sono ammessi in deduzione i costi sostenuti in relazione ad operazioni poste in essere con soggetti residenti nei paesi aventi regime fiscale privilegiato laddove il contribuente abbia documentalmente soddisfatto l'onere di dimostrazione dell'effettiva attività svolta dall'operatore economico e dell'interesse alla conclusione delle operazioni.

Sent. n. 6 del 28 gennaio 2009 (ud. del 15 luglio 2008) della Comm. trib. prov. di Vicenza



- Leggi la sentenza integrale -

Sent. n. 6 del 28 gennaio 2009 (ud. del 15 luglio 2008) della Comm. trib. prov. di Vicenza, Sez. III - Pres. e Rel. Tomasselli Imposte sui redditi - Accertamento - Contrasto all’elusione - Fattispecie  - Operazioni straordinarie - Art. 37-bis, D.P.R. 29 settembre 1973, n.  600  - Abuso del diritto - Limiti Imposte sui redditi - Reddito d’impresa - Determinazione - Base imponibile - Componenti negativi  -  Deducibilità  -  Operazioni  economiche  -  Soggetti residenti in paesi aventi regime fiscale privilegiato - ex  76), D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - Condizioni     Massima - Il diritto comunitario e nazionale accordano  al  contribuente piena  autonomia  negoziale  al  fine  di  esercitare  la  propria  attività economica stabilendo altresì il divieto  di  perseguire  quale  unico  scopo delle  operazioni  il  conseguimento  di  un  vantaggio  fiscale  altrimenti indebito. Ai fini dell’applicazione dell’art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973  in tema  di  attività  elusive,  la  disposizione  deve  essere   integralmente soddisfatta in ogni  presupposto:  carenza  di  valide  ragioni  economiche, aggiramento di disposizioni, illegittimo risparmio d’imposta) né la medesima costituisce  fonte   per   l’irrogazione   di   sanzioni   atteso   che   il disconoscimento degli effetti dei negozi nei confronti  dell’Amministrazione finanziaria  rappresenta  essa  medesima  ammenda  per   il   contegno   del contribuente.     Sono ammessi in deduzione i costi sostenuti in relazione  ad  operazioni poste in essere con soggetti  residenti  nei  paesi  aventi  regime  fiscale privilegiato  laddove  il  contribuente  abbia  documentalmente  soddisfatto l’onere  di  dimostrazione  dell’effettiva  attività  svolta  dall’operatore economico e dell’interesse alla conclusione delle operazioni.
    Fatto - Con ricorso ritualmente  notificato  e  depositato  B.G.  S.p.A. (incorporante della C.M.  S.p.A.)  impugnava  l'avviso  di  accertamento  in materia IRPEG e IRAP emesso per l'anno  d'imposta  2003  dall'Agenzia  delle entrate.     L'Ufficio, a seguito di processo  verbale  del  21  ottobre  2005  della Guardia di Finanza e previa richiesta di chiarimenti ai sensi dell'art. 37 - bis del D.P.R. n. 600/1973, ha emesso l'avviso  impugnato,  evidenziando  il carattere elusivo dell'operazione di fusione  nelle  C.M.  e  di  successiva scissione della società P. S.p.A.     In particolare,  le  riprese  operate  dall'Amministrazione  finanziaria riguardavano l'omessa ricostituzione delle riserve in sospensione d'imposta, con recupero ad imposizione dei vantaggi conseguiti per  Euro  5.829.232,00, nonché l'indebita deduzione di  componenti  negativi  di  reddito  per  Euro 1.426.177,00.     A sostegno del gravame la ricorrente formulava una serie di osservazioni giuridiche, dalle quali si desume che gli atti in parola non  risulterebbero conformi alla vigente disciplina normativa, sostenendo di essere  del  tutto estranea rispetto ai comportamenti elusivi asseritamente addebitati.     L'Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio, controdeducendo  alle eccezioni di parte ricorrente e, conclusivamente, chiedendo il  rigetto  del ricorso.     All'udienza del 15 luglio 2008 la causa veniva trattenuta in decisione.       Motivi - Il ricorso appare parzialmente fondato.     1. Anzitutto, occorre rilevare, in fatto, che il G.M. nel corso del 2003 è  stato  interessato  da  alcune  operazioni  straordinarie  di  fusione  e scissione che ne hanno modificato la struttura finanziaria ed operativa.     Dette operazioni  si  sono  concretizzate  attraverso  una  fusione  per incorporazione in "C.S.V.  S.p.A."  (poi  C.M.  S.p.A.)  di  alcune  società controllate da quest'ultima (C. di T. S.p.A. C. di V.  S.p.A.  P.I.G.  e  C. S.p.A. e M.G.I. S.r.l.) ed una contestuale scissione  dei  rami  di  azienda legati all'attività t. e immobiliare (P.I.G. e C. S.p.A. LM.E. e  I.B.).  Il disegno organizzativo del G.M. era quello di concentrare in un unico polo le società del gruppo operanti nel settore  c.  ed  effettuare  successivamente l'integrazione con il G.B.     La scissione  dei  rami  d'azienda  c.t.  e  immobiliare  sarebbe  stata effettuata perché non erano interessati all'acquisizione da parte  della  B. S.p.A.     Con l'avviso di  accertamento  in  contestazione,  basato  sul  processo verbale di constatazione del  21  ottobre  2005  redatto  dalla  Guardia  di finanza - Nucleo regionale del  Veneto,  sono  stati  operati  due  rilievi: l'omessa ricostruzione  di  riserve  in  sospensione  di  imposta  per  Euro 5.929.232,00 e l'indebita deduzione di componenti negativi  di  reddito  per Euro 1.426.177,00.     In  particolare,  l'Ufficio  ha   riscontrato   il   carattere   elusivo dell'operazione di fusione per incorporazione in  C.S.V.  S.p.A.  (poi  C.M. S.p.A.) della P.I.G. e C.  e  contestuale  scissione  della  stessa  P.,  in quanto, ai sensi dell'art. 37 - bis del  D.P.R.  n.  600/1973,  risulterebbe effettuata senza validi fini economici ed allo scopo di ottenere riduzioni o rimborsi di imposte, aggirando obblighi  o  divieti  posti  dall'ordinamento tributario.     2.  Con  un  primo  ordine  di  censure  viene  contestata  la   pretesa dell'Ufficio, sulla  omessa  ricostituzione  delle  riserve  in  sospensione d'imposta, volta ad affermare la sussistenza e correttezza della fattispecie impositiva gravata.     2.1. Aspetti  elusivi,  secondo  l'Ufficio,  potrebbero  rilevare  nelle seguenti circostanze:     - nella stessa data 1° maggio 2003 sono state effettuate due  operazioni straordinarie (fusione e  scissione),  operazioni  che,  seppur  coincidenti nella data, hanno effetti esattamente contrari;     -  con  tali  operazioni  comunque  è  rimasta  invariata  la  posizione dell'incorporata - beneficiaria (P.I.G.), la quale, come unica  società  del gruppo operante nel settore g. e c., nella previsione dello stesso piano  di ristrutturazione, doveva  rimanere  indipendente  dalle  altre  società  del gruppo c.;     - la fusione di "P. S.p.A." e contestuale scissione si  è  concretizzata di fatto in un semplice passaggio di quote da "C.M.  S.p.A."  alla  "Holding G.M. S.p.A.".     Ad avviso dell'Ufficio, le descritte operazioni non  sarebbero  sorrette da valide ragioni economiche,  tali,  in  particolare,  da  giustificare  il ricorso a due attività complesse quali la fusione e la scissione, posto  che lo stesso risultato si sarebbe potuto ottenere  attraverso  istituti  tipici più lineari, quali il conferimento, lo  scambio  di  partecipazioni  con  la controllante o la cessione di quote.     Inoltre, il vantaggio economico realizzato attraverso  dette  operazioni si sarebbe concretizzato nell'utilizzo dell'avanzo da  annullamento  che  la fusione ha generato; avanzo, poi, interamente utilizzato per ricostituire le riserve indisponibili delle società incorporate, stabilendo, infatti, l'art. 123, comma 4,  del  T.U.I.R.,  l'obbligo  per  la  società  incorporante  di ricostituire le riserve in sospensione di imposta delle società fuse.     Secondo  i  verificatori  detta  ricostituzione  poteva  anche  avvenire attraverso l'utilizzo di strumenti alternativi (ad  esempio,  con  l'uso  di riserve disponibili dell'incorporante, oppure mediante versamenti  in  conto capitale dell'incorporante stessa,  oppure  vincolando  parte  del  capitale sociale).     In sostanza -  ad  avviso  dell'Ufficio  -  il  ricorso  a  tali  metodi alternativi  avrebbe  reso  indisponibili  le  poste  del  patrimonio  netto utilizzate e/o avrebbe costretto l'incorporante, in  ottemperanza  a  quanto stabilito dal comma 4 dello stesso  art.  123,  a  tassare  le  riserve  non ricostituite nel bilancio post - fusione.     2.2. L'assunto dell'Ufficio non appare condivisibile.     Osserva, anzitutto, il Collegio che la motivazione per cui le operazioni di fusione e di scissione, in alternativa ad altro genere (come per  es.  la cessione di quote sociali), sono state poste in essere rimane nell'ambito di quell'autonomia  negoziale  riconosciuta  dall'ordinamento,  per  quanto  la vicenda meriti approfondimento.     Ora, sulla base degli interventi  operati  in  materia  della  Corte  di giustizia comunitaria ed, in particolare,  secondo  la  sentenza  "Halifax", l'esistenza di una pratica abusiva  può  essere  riconosciuta,  allorché  le operazioni controverse  abbiano  il  risultato  di  procurare  un  vantaggio fiscale contrario all'obiettivo perseguito dalle disposizioni richiamate,  e allorché, dall'insieme degli elementi oggettivi emersi, risulti che lo scopo sia essenzialmente l'ottenimento  di  un  vantaggio  fiscale,  precluso,  di norma, dalla realtà economica dei negozi, se conclusi in modo  ortodosso,  e senza secondi fini.     Nell'ordinamento nazionale, affinché un'operazione possa  dirsi  elusiva ai sensi dell'art. 37 - bis del D.P.R. n.  600/1973,  si  devono  verificare puntualmente i presupposti richiesti dalla vista  disposizione  (assenza  di valide ragioni economiche, indebito risparmio d'imposta, aggiramento di  una norma).     Sul requisito dell'esistenza o meno  di  valide  ragioni  economiche  si osserva che l'operazione di fusione  -  scissione  è  stata  effettuata  per escludere dal piano organizzativo del G.M. le attività  della  P.,  che  non erano oggetto di integrazione con il G.B.     In particolare, si è proceduto ad incorporare la società P.,  in  quanto la fusione è stata comunque effettuata al chiaro scopo di riunire  nella  c. M. tutte le società c. del G.     Ragionevolmente, inoltre, in virtù delle partecipazioni  incrociate  tra le varie società del G.M. interessate alla fusione  (e  questo  è  anche  un coerente motivo per cui, con riferimento alla P.,  non  è  stata  effettuata un'operazione identica a quella svolta per altre  società  immobiliari,  non oggetto di integrazione con  il  G.B.)  ed  al  fine  di  non  procedere  ad ulteriori atti rispetto a quelli essenziali all'operazione in parola (quali, la cessione delle quote o un atto di conferimento con  costituzione  di  una nuova società, come ipotizzato dall'Ufficio), che  avrebbero  comportato  un aggravio di costi e di tempi (la perizia di stima del ramo aziendale  poteva in effetti richiedere tempi lunghi), si è ritenuto più semplice ed opportuno procedere con l'incorporazione della P.     Poi, come per le società immobiliari, si è scorporato il ramo  d'azienda della P. dal perimetro oggetto di integrazione, per attribuirlo alla holding gruppo M. S.p.A.     Lo scambio di partecipazioni con la  società  controllante  -  adombrato dall'Ufficio - non sarebbe, dunque, stato  possibile,  in  quanto,  oltre  a richiedere da parte della holding gruppo  M.  S.p.A.  l'acquisto  di  azioni proprie, avrebbe comportato che la cartiera M. sarebbe divenuta socio  della stessa holding, circostanza chiaramente non desiderata dalla ricorrente.     Quanto al risparmio d'imposta, non sembra significativamente rinvenibile una connotazione indebita dell'operazione  contestata,  anche  in  relazione alla insufficiente valenza probatoria della documentazione in atti.     Va premessa anzitutto un'osservazione  fondamentale,  ancora  una  volta ricavata  dalla  sentenza  "Halifax",  secondo  cui  l'imprenditore   o   il contribuente ha il diritto di scegliere la forma di  conduzione  dei  propri affari  che  gli  permette  di  limitare,  per  quanto  possibile,  la   sua contribuzione fiscale.     Al  riguardo,  si  osserva  che  le  riserve  in  sospensione  d'imposta ricostituite,  non  solo  sono  state  affrancate  ai  fini  IRPEG   pagando un'imposta sostitutiva del 19%, come consentito dalla legge, ma  sono  state anche distribuite nel 2003 e 2004, con il relativo pagamento dell'IRAP.  E', di conseguenza, palese che la società  non  aveva  alcun  interesse  a  fare emergere un avanzo per ottenere un importo maggiore di riserve disponibili.     In ipotesi, al contrario, che la ricorrente avesse vincolato il capitale sociale, come richiesto dall'Ufficio, la società avrebbe  avuto  addirittura maggiori riserve libere da distribuire, senza, tra  l'altro,  subire  alcuna imposizione, concretandosi il capitale in una posta indisponibile dal  punto di vista civilistico.     La società, pertanto, si è limitata a ricostituire nel proprio  bilancio post - fusione le riserve in sospensione, utilizzando le poste di patrimonio a sua disposizione, come richiesto dal  legislatore,  senza  eludere  alcuna norma.     Di qui l'infondatezza della ripresa a tassazione.     3. Con  un  secondo  ordine  di  censure  viene  contestata  la  pretesa dell'Ufficio sull'asserita indebita  deduzione  di  componenti  negativi  di reddito per Euro 1.426.177,00.     Al riguardo, l'Ufficio ritiene che siano stati indebitamente  dedotti  i costi sostenuti con soggetti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, in quanto,  in  sede  di  verifica  ed  in  risposta   all'apposita   richiesta dell'Ufficio, formulata ai sensi dell'art. 76, comma 7 - ter, del  T.U.I.R., la ricorrente non avrebbe fornito le esimenti di cui al  precitato  art.  76 (ora 110) del T.U.I.R.: di qui il  recupero  a  tassazione  e  l'irrogazione della sanzione di infedele dichiarazione.     Osserva il Collegio che, in relazione ai rapporti economici con Paesi  a fiscalità privilegiata, sui componenti negativi portati in  deduzione  grava l'onere documentale a carico del contribuente  di  fornire  la  prova  delle esimenti. Se la parte non dimostra tali esimenti, la ripresa operata risulta corretta.     Infatti, ai sensi dell'art. 76, comma 7 - bis, del D.P.R. cit.  (dal  1° gennaio 2004: art. 110 cit. ) "non sono ammessi in deduzione le spese e  gli altri componenti negativi derivanti da  operazioni  intercorse  tra  imprese residenti ed imprese  domiciliate  fiscalmente  in  Stati  o  territori  non appartenenti all'Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati".     Viene stabilito un principio generale di indeducibilità  delle  spese  e degli altri componenti  negativi  derivanti  da  operazioni  intercorse  con imprese domiciliate in Stati aventi regimi fiscali privilegiati.     A tale principio si può derogare solo allorquando le  imprese  residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva e  che  le  operazioni  rispondano  ad  un effettivo interesse economico e abbiano avuto concreta esecuzione.     3.1. La C.M. S.p.A. ha dedotto l'importo di  Euro  251.613  relativo  ad asserite prestazioni di consulenza ricevute da B.,  residente  a  Montecarlo (Principato di Monaco).     La ricorrente sostiene che B.  ha  prestato  servizi  di  consulenza  e, pertanto,  i  relativi  costi  non  rientrerebbero   nella   disciplina   di deducibilità di cui all'art. 76, comma 7 - bis, del T.U.I.R.     Il Collegio è, invece, portato a ritenere che le prestazioni rese da  B. siano qualificabili come  prestazioni  di  servizi  rese  nell'esercizio  di impresa e non da un professionista.     Sul punto, si ritiene  che  il  criterio  per  interpretare  la  volontà negoziale racchiusa negli atti,  ed  il  suo  inquadramento  in  uno  schema negoziale piuttosto che in un  altro,  non  possa  che  rifarsi  ai  criteri stabiliti dagli artt. 1362 ss., c.c.     Tanto  si  rileva,  infatti,  sia  dall'analisi   di   talune   clausole contrattuali (all. 12  di  parte  ricorrente),  sia  dal  tenore  di  alcune comunicazioni di B. alla M.G., laddove emerge come l'attività del B. non sia stata astrattamente di consulenza, ma sostanzialmente di  intermediazione  e di fatto assimilabile ad un rapporto di agenzia, così  come  definito  dalle norme del codice civile.     In proposito, se l'incarico conferito al B. era quello  di  divulgare  e pubblicizzare i prodotti della C. di S. S.p.A. e della C. di T. S.p.A.  (poi C.M. S.p.A.) presso alcuni grandi  gruppi  f.  (G.H.L.  e  G.H.F.),  occorre sottolineare che nello svolgimento dell'incarico il B. doveva individuare il personale in grado di determinare la  politica  di  acquisto  delle  ridette aziende, organizzare incontri diretti ad illustrare le  caratteristiche  del prodotto  M.,  redigere  relazioni  periodiche   sulla   propria   attività, illustrando  le  necessità  dei   clienti,   nonché   comunicare   eventuali contestazioni sulla qualità del prodotto fornito.     E sebbene al punto 2.2 del contratto stipulato tra il B. e la c.  di  S. in data 1° gennaio 1999  (all.  10  di  parte  ricorrente)  si  esclude  che l'incarico sia comprensivo della facoltà  della  trattazione  del  prezzo  e conseguentemente  dell'acquisizione  degli   ordini,   nelle   comunicazioni prodotte,  appare  evidente  come  l'attività  del  B.  fosse  rivolta  alla conclusione di contratti di vendita.     Invero,  B.  viene  definito  nella  contabilità  della   società   come "procacciatore" e il corrispettivo riconosciutogli  (art.  3  del  contratto sopra citato) viene calcolato quale provvigione sull'importo fatturato.     Si sottolinea, altresì, che - se gli elementi probatori di cui al  p.v.c redatto dalla Guardia di finanza godono di pubblica fede per i fatti  e  gli eventi rilevati in presenza dei verbalizzanti - gli  ulteriori  elementi  in esso contenuti, privi di rilevanza probatoria con  pubblica  fede,  possono, comunque, avere rilevanza probatoria di natura documentale o indiziaria.     In definitiva, per quanto concerne B., non pare trattarsi di un rapporto di consulenza (come vorrebbe la ricorrente, atteso che nel 2003  i  relativi costi non rientravano nella disciplina di deducibilità di cui  all'art.  76, comma 7 – bis cit. bensì di intermediazione e di fatto  assimilabile  ad  un rapporto  di  agenzia  (come  sostiene  fondatamente  l'Ufficio   e   quindi indeducibili, trattandosi di imprese domiciliate in Stati  della  cd.  black list). Quindi, del tutto corretto appare  il  recupero  ad  imposizione  del costo sostenuto di Euro 251.613,00.     3.2. La C.M. S.p.A. ha acquistato dalla società S.P.H.  (Hong  Kong)  c. per la produzione di c. per l'importo complessivo di Euro 1.174.564,00.     L'Ufficio ritiene che la documentazione fornita dalla parte al  fine  di richiedere la disapplicazione dell'art. 76, comma 7 cit.  permetta  solo  di dimostrare la mera esistenza formale di una società estera: essa non sarebbe tuttavia sufficiente  a  dimostrare  anche  lo  svolgimento  di  un'attività commerciale effettiva, ai sensi dell'art. 2195 c.c., tramite  una  struttura organizzativa   idonea.   La   documentazione   prodotta   sarebbe    dunque insufficiente sia ai fini  della  dimostrazione  della  concreta  esecuzione delle operazioni, sia dell'effettivo interesse economico perseguito.     Ai sensi dell'art. 76, comma 7 – ter cit. per la deducibilità dei  costi in esame è comunque richiesto che il contribuente fornisca la prova  che  le imprese estere svolgano prevalentemente un'attività commerciale effettiva  e che le operazioni rispondano ad un effettivo interesse economico  e  abbiano avuto concreta esecuzione.     Osserva il Collegio che, sul caso S.P.H. di Hong Kong la  ricorrente  ha provato entrambe le esimenti di cui all'art. 76, comma 7 - ter, al  fine  di richiedere la disapplicazione dell'art. 76, comma 7 - bis, cit..     Infatti, sono stati  esibiti  i  certificati  di  iscrizione  presso  il registro locale delle società (all. 21  di  parte  ricorrente)  ed  è  stato documentato che S. svolge prevalentemente un'attività commerciale  effettiva e che le operazioni poste in essere rispondono  ad  un  effettivo  interesse economico ed hanno avuto concreta esecuzione.     In particolare, sul secondo requisito sostanziale recato  dall'art.  110 del T.U.I.R., ovvero il fatto che le "operazioni poste in essere  rispondono ad un effettivo interesse economico e che le  stesse  hanno  avuto  concreta esecuzione", è stato osservato che le medesime operazioni rispondevano ad un preciso interesse delle C.M., in quanto si tratta  di  merce  reperibile  in quei mercati a prezzi particolarmente convenienti: e  sul  punto,  l'Ufficio nel proprio  avviso  di  accertamento  aveva  sostenuto  l'assenza  di  vari pagamenti, che risultano,  invece,  prodotti  nell'allegato  24  al  ricorso introduttivo.     E nella specie le  operazioni  di  compravendita  hanno  avuto  concreta esecuzione, attesa anche la inerente documentazione doganale  esibita  (all. 24 di parte ricorrente).     Pertanto, nel caso in esame può ritenersi soddisfatta la vista esimente.     4. Sulla presunta  violazione  dell'art.  10  dello  Statuto  (legge  n. 212/2000) e degli 17 del  D.Lgs.  n.  472/1997,  la  ricorrente sostiene che l'applicazione della norma antielusiva ex art.  37  -  bis  del D.P.R. n. 600/1973 non può essere causa di sanzioni vista la  liceità  della condotta posta in  essere,  asserendo  inoltre  che  il  disconoscimento  di vantaggi tributari sarebbe già di per sé una sanzione.     Osserva il Collegio che nella norma ex art. 37 -  bis  non  è  comminata alcuna sanzione, salvo il sussistere di un riferimento nel sesto  comma,  ma trattasi di un automatismo derivante dal richiamo all'art. 68 del D.Lgs.  n. 546/1992.     Del resto,  la  figura  della  sanzione  non  sarebbe  coerente  con  la fattispecie elusiva ove, in  sostanza,  si  realizza  un  aggiramento  delle norme, ma non la loro violazione, mentre il D.Lgs.  n.  472/1997,  applicato dall'Ufficio, attiene peculiarmente alle sanzioni connesse  alle  violazioni della normativa fiscale.     Dunque, il disconoscimento dei vantaggi tributari conseguiti rappresenta già in sé una sanzione sufficiente per un  comportamento  che,  per  aspetti diversi da quelli riferibili all'art. 37 - bis, appare lecito.     5. Per le suesposte considerazioni, il ricorso  va  quindi  parzialmente accolto, restando salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione.     Quanto al carico delle spese di giudizio, è avviso del Collegio  che  la particolarità della vicenda ben giustifichi la loro integrale  compensazione fra le parti in causa.       P.Q.M. - La Commissione tributaria provinciale  di  Vicenza,  Sez.  III, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui  in  epigrafe,  lo  accoglie parzialmente nei sensi di cui in motivazione.     Spese del giudizio interamente compensate.

INDICE
DELLA GUIDA IN Trasformazione

OPINIONI DEI CLIENTI

Vedi tutte

ONLINE ADESSO 2641 UTENTI