Casa:
Agente ed indennità di cessazione del rapporto
Pubblicata il 26/02/2008
- Leggi la sentenza integrale -
Con sentenza n. 3086 del 2001 il Tribunale - Giudice del Lavoro di Milano accoglieva parzialmente le domande proposta da Ba. Gi. con la condanna della convenuta 3. M. IT. S.p.A. al pagamento della somma di lire 8.149.000, (pari ad euro 4.208,61) a titolo di indennita' di preavviso per riduzione della zona assegnata, nonche' al pagamento di lire 6.000.000, (pari ad euro 3.098,74) a titolo di indennita' per scioglimento del rapporto di agenzia, oltre interessi e rivalutazione.
Il Ba. con ricorso del 23.02.2000, premesso di avere svolto dal 18.08.1992 al 1.03.1998 attivita' di agente per conto della 3. M. IT. S.p.A., aveva chiesto il pagamento di importi per provvigioni sul fatturato realizzato dalla convenuta per contratti conclusi direttamente da quest'ultima nella zona affidata al ricorrente tra il 1.07.1994 e la cessazione del rapporto, per indennita' di sostitutiva del preavviso in relazione alla riduzione della zona in data 28.12.1994 e della gamma dei prodotti da commercializzare con decorrenza dal 20.3.1995, per le provvigioni sulle vendite effettuate a Ne. S.p.A. tra il 1.1.1995 e la cessazione del rapporto, per differenza di indennita' sostitutiva dovuta a seguito del computo della stessa su sei mesi anziche' su quattro, per indennita' di fine rapporto ai sensi dell'articolo 1751 c.c..
Tale decisione, a seguito di appello della 3. M. IT. S.p.A., e' stata parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 403 del 2004, che ha rigettato la domanda relativa all'indennita' sostitutiva di preavviso, con conferma delle statuizioni relative all'indennita' di scioglimento del rapporto.
La Corte territoriale ha accolto il motivo concernente l'indennita' sostitutiva di preavviso, osservando che la modifica riduttiva della zona era stata discussa tra le parti e il Ba. aveva finito per accettarla.
La stessa Corte ha ribadito, come gia' detto, la condanna della societa' al pagamento dell'importo relativa all'indennita' di scioglimento del rapporto di agenzia, osservando che il Giudice di primo grado aveva proceduto - rispettando i criteri di cui all'articolo 1751 c.c., come da ultimo novellato - alla liquidazione dell'anzidetta indennita' nella misura equa del 70 % del fatturato dell'ultimo anno, e cio' in base all'andamento del fatturato sempre crescente per i primi tre anni del rapporto e successivamente dal gennaio 1995 in base alla riduzione della zona.
La 3. M. IT. S.p.A. ricorre per cassazione con unico articolato motivo.
Il Ba. resiste con controricorso, contenente ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato rispettiva memoria ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare va disposta la riunione dei ricorsi ex articolo 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni contro la stessa sentenza.
2.1. Con l'unico motivo del ricorso principale la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 1751 c.c., (articolo 360 c.p.c., n. 3).
La ricorrente, premesso un ampio excursus circa i modelli di liquidazione dell'indennita' di scioglimento del rapporto di agenzia adottati in sede europea ed argomentato che la Direttiva n. 653 del 1986 non sarebbe direttamente applicabile nell'ordinamento italiano e quindi sarebbe derogabile da parte del legislatore nazionale, propende per l'interpretazione dell'articolo 1751 c.c., coma da ultimo novellato, nel senso che, contrariamente a quanto assunto dai giudici di merito, la contrattazione collettiva possa fornire il proprio apporto ai fini della quantificazione dell'anzidetta indennita'.
Da parte sua il controricorrente Ba. contesta le avverse deduzioni sostenendo che gli argomenti della controparte conducono ad una sostanziale irrilevanza dell'intervento legislativo e dell'introduzione della specifica previsione di spettanza di un trattamento "meritocratico" a favore dell'agente, al termine del rapporto. Lo stesso ricorrente aggiunge che nel nuovo quadro legislativo non puo' essere recuperato un preesistente istituto di accordo collettivo, connotato da criteri altri e diversi ed insorto per altri e diversi scopi.
2.2. Il motivo esposto e' privo di pregio e va disatteso per le seguenti considerazioni.
L'articolo 1751 c.c., cosi' recita:
"All'atto della cessazione del rapporto, il preponente e' tenuto a corrispondere all'agente una indennita' se ricorrono le seguenti condizioni:
- l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
- il pagamento di tale indennita' sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti".
Lo stesso articolo prevede che "L'importo dell'indennita' non puo' superare una cifra equivalente ad una indennita' annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dagli agenti negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione".
Lo stesso articolo 1751 c.c., al penultimo comma dispone che le disposizioni ivi contenute "sono inderogabili a svantaggio dell'agente".
Il testo attualmente vigente della richiamata norma rappresenta il risultato di successivi interventi del legislatore, che, modificata l'originaria norma del codice con il Decreto Legislativo 10 settembre 1991 n. 303 (emanato in attuazione della Direttiva 86/653/CEE relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti), a seguito di procedura di infrazione avviata dalla Commissione delle Comunita' Europee, ha ancora innovato tale disciplina con il Decreto Legislativo 15 febbraio 1999 n. 65, allo scopo di dare piu' fedele attuazione alla direttiva comunitaria in materia, come stabilito dalla Legge Delega 24 aprile 1998 n. 128.
2.3. In giurisprudenza si e' posta la questione del rapporto tra la disciplina dettata dal codice civile dopo la modifica del 1991 e gli accordi economici collettivi stipulati dalle organizzazioni di categoria nell'anno 1992, che prevedono - indipendentemente dai presupposti inerenti all'attivita' dell'agente richiesti dall'articolo 1751 c.c., la corresponsione di una indennita' determinata senza alcun riferimento specifico all'incremento degli affari procurato dall'agente, secondo percentuali dei compensi ricevuti nel corso del rapporto.
Secondo un primo indirizzo (cfr. Cass. 29 luglio 2002 n. 11189) la disciplina legale posta dall'articolo 1751 c.c., in quanto fa riferimento al criterio dell'equita' non solo per determinare quando l'indennita' deve essere erogata, ma anche per la determinazione dell'indennita' stessa, deve ritenersi prevalente sulla contrattazione collettiva tutte le volte che l'applicazione del criterio stabilito dalla legge conduca ad un trattamento in concreto piu' favorevole all'agente, restando irrilevante una valutazione ex ante della maggiore convenienza della regolamentazione pattizia rispetto a quella legale. Altro indirizzo, che puo' considerarsi maggioritario (Cass. n. 11402 del 2000; Cass. n. 15726 del 2003; Cass. n. 2383 del 2004; Cass. n. 6162 del 2004), afferma che, essendo consentita dalla legge la deroga non pregiudizievole per l'agente, la valuta-zione circa il carattere di maggior favore, o non, del trattamento di fine rapporto previsto dagli accordi collettivi deve essere effettuata, non in concreto e sulla base della misura dell'indennita' ritenuta liquidabile dal giudice, ma ex ante, sulla base di confronto tra la regolamentazione legale e quella contrattuale; e cio' anche in considerazione del fatto che concettualmente la nozione di derogabilita' presuppone un raffronto tra norme e non di risultati della loro applicazione.
2.4. Con ordinanza 18 ottobre 2004 n. 20410 questa Corte ha ritenuto necessario investire la Corte di Giustizia delle Comunita' Europee della questione pregiudiziale relativa all'interpretazione degli articoli 17 e 19, della Direttiva 86/653 del Consiglio del 18 dicembre 1986; apparendo necessario chiarire, in particolare, se, con riguardo alle finalita' dell'articolo 17, il successivo articolo 19 della medesima direttiva sia interpretabile nel senso che la normativa nazionale possa consentire che un accordo economico collettivo preveda, invece che un'indennita' dovuta all'agente nel concorso delle condizioni previste dal paragrafo n. 2 dell'articolo 17, e liquidabile secondo i criteri desumibile dal medesimo, una indennita' che sia determinata senza alcun riferimento specifico all'incremento degli affari procurato dall'agente, sulla base di determinate percentuali dei compensi ricevuti nel corso del rapporto, sicche' la stessa indennita', anche in presenza della misura massima dei presupposti cui la direttiva collega il diritto all'indennita', in molti casi sia liquidata in misura inferiore a quella massima prevista dalla direttiva.
Con sentenza 23 marzo 2006, in causa C - 465 - 04, la Corte di Giustizia delle Comunita' Europee ha deciso sulla domanda pregiudiziale statuendo che :
- l'articolo 19 della direttiva 86/653/CEE deve essere interpretato nel senso che l'indennita' di cessazione del rapporto, che risulta dall'applicazione dell'articolo 17 n. 2 di tale direttiva, non puo' essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da, un'indennita' determinata secondo criteri diversi da quest'ultima disposizione, a meno che non sia provato che l'applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all'agente commerciale un'indennita' pari o superiore a quella che risulterebbe dall'applicazione della detta disposizione;
- all'interno dell'ambito fissato dall'articolo 17, n. 2 dell'anzidetta direttiva, gli Stati membri godono di un potere discrezionale che sono liberi di esercitare, in particolare, con riferimento, al criterio dell'equita'.
La decisione contiene in particolare le seguenti proposizioni.
L'articolo 19 della direttiva prevede la possibilita' per le parti di derogare alle disposizioni dell'articolo 17 prima della scadenza del contratto, a condizione che la deroga prevista non sia sfavorevole all'agente commerciale. E' quindi giocoforza constatare che la natura sfavorevole della detta deroga deve essere valutata al momento in cui le parti la prevedano. Queste ultime non possono convenire una deroga di cui esse ignorano se si rivelera', alla cessazione del contratto, a favore ovvero a scapito dell'agente commerciale (n. (OMESSO)).
L'articolo 19 va, pertanto, interpretato nel senso che una deroga alle disposizioni dell'articolo 17 puo' essere ammessa solo se, ex ante, e' escluso che essa risultera', alla cessazione del contratto, a detrimento dell'agente commerciale (n. (OMESSO)).
Cio' si verificherebbe, per quanto riguarda l'accorpo economico collettivo del 1992, nell'ipotesi in cui potesse essere dimostrato che l'applicazione di tale accordo non e' mai sfavorevole all'agente commerciale, in quanto esso garantirebbe sistematicamente, alla luce di tutti i rapporti giuridici che possono essere instaurati tra le parti di un contratto di agenzia commerciale, un'indennita' superiore a quella che risulterebbe dall'applicazione dell'articolo 17 della direttiva (n. 28).
Il solo fatto che detto accordo possa essere favorevole all'agente commerciale nel caso in cui quest'ultimo abbia diritto, in applicazione dei criteri di cui all'articolo 17 n. 2 della direttiva, solo ad un'indennita' molto ridotta, non puo' bastare a dimostrare che esso non deroga alle disposizioni degli articoli 17 e 18 della direttiva a detrimento dell'agente commerciale (n. 29).
L'interpretazione della Corte europea comporta che l'indennita' contemplata dall'accordo economico collettivo del 1992 deve rappresentare per l'agente un trattamento minimo garantito, che puo' essere considerato di maggior favore soltanto nel caso che, in concreto, non spetti all'agente l'indennita' in misura superiore. Le norme del trattato istitutivo dell'Unione Europea obbligano i Giudici nazionali ad interpretare la norma interna, ove risulti suscettibile di piu' opzioni interpretative, in modo che risulti conforme al diritto comunitario, operando del resto l'obbligo di interpretare l'articolo 1751 c.c., in modo conforme alla Costituzione.
2.5. L'esposto contrasto giurisprudenziale risulta di recente (in particolare Cass. sentenza n. 9358 del 23 aprile 1997; Cass. n. 21109 del 3 ottobre 2006) superato - in considerazione anche di 4 quanto deciso dalla Corte di Giustizia- con l'abbandono dell'indirizzo maggioritario e l'affermazione del seguente principio di diritto: "L'articolo 1751 c.c., comma 6, si interpreta nel senso che il Giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all'agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilita' a svantaggio dell'agente comporta che l'importo determinato dal Giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive".
Questo Collegio ritiene di aderire a tale indirizzo, il quale richiama la necessita' che la valutazione del carattere di maggiore favore, o non, del trattamento di fine rapporto - previsto dagli accordi collettivi - rispetto alla disciplina legale, sia effettuata in concreto ed ex post, ma non ex ante.
2.6. Tutto cio' premesso e puntualizzato, puo' dirsi che la decisione del Giudice di appello, che si colloca nell'alveo dell'orientamento giurisprudenziale da ultimo esposto, sia immune da vizi logici e giuridici, atteso che l'indennita' di fine rapporto per l'agente e' stata determinata, in relazione alle concrete vicende del rapporto, alla stregua dei criteri fissati dall'articolo 1751 c.c., in tal modo assicurandosi allo stesso agente un trattamento piu' favorevole rispetto a quello derivante dall'accordo economico collettivo.
3. Da parte sua il Ba. con il ricorso incidentale lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 1375, 1749 e 1362 c.c., nonche' vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c. nn. 3 e 5.
Il Ba. critica la sentenza impugnata nel punto in cui, traendo il convincimento dall'esistenza di una "discussione" tra le parti e dall'accettazione per fatto concludente di esso agente della determinazione aziendale, disconosce il diritto dell'agente all'indennita' di mancato preavviso per riduzione della zona conseguenti a variazioni, che avrebbero potuto essere realizzate previa comunicazione scritta all'agente ai sensi dell'articolo 2 dell'AEC.
Il ricorso e' infondato.
La Corte territoriale ha proceduto ad un esame puntuale delle circostanze di fatto ed e' giunta alla conclusione dell'insussistenza del diritto dell'agente ad ottenere l'indennita' per mancato preavviso, valutando il comportamento delle parti, le quali, come gia' detto, discussero tra loro la modifica della zona; prendendo in considerazione la lettera 28 dicembre 1994, con la quale la societa' preponente proponeva tale riduzione ed invitava l'agente a sottoscrivere la stessa lettera e a restituirne copia debitamente firmata per accettazione; ponendo in evidenza il fatto che la richiesta dell'indennita' in questione era intervenuta dopo circa tre anni, nel contesto di pretese successive alla risoluzione del rapporto.
Trattasi in sostanza di un accertamento di fatto, adeguatamente motivato, contro cui il Ba. oppone un diverso apprezzamento, non consentito in sede di legittimita'.
4. In conclusione entrambi i ricorsi sono destituiti di fondamento e vanno rigettati.
Ricorrono giusti motivi, in relazione alla parziale reciproca soccombenza, per dichiarare compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.