Il diritto ad ottenere un compenso per l'attività di mediazione prestata non nasce né dal conferimento formale dell'incarico di mediazione, né dal consenso implicito ad avvalersi dell'attività di un mediatore

Il diritto ad ottenere un compenso per l'attività di mediazione prestata non nasce né dal conferimento formale dell'incarico di mediazione, né dal consenso implicito ad avvalersi dell'attività di un mediatore. Quello che è necessario e sufficiente per la nascita del diritto a vedersi corrisposta la provvigione sull'affare è la mera conclusione dello stesso grazie all'intervento del mediatore - indipendentemente da una partecipazione attiva alle successive trattative - ed il fatto che le parti abbiano conoscenza della qualità di mediatore del soggetto che le mette in contatto e possano decidere se avvalersene oppure no. E' onere del mediatore, peraltro, provare di aver palesato la propria qualifica, prova che può essere fornita anche per presunzioni. (Tribunale Genova Sezione 3 Civile, Sentenza del 23 aprile 2008, n. 1734)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI GENOVA

SEZIONE TERZA CIVILE

in composizione monocratica, in persona della Dott.ssa Valentina VINELLI ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa promossa da Ro.Ro., residente in Genova ed ivi elettivamente domiciliato in Via (omissis), presso lo studio dell'Avv. Ma.Pa., che lo rappresenta e difende in giudizio come da mandato a margine dell'atto di citazione

- attore -

contro Gi.Va., residente in Genova ed ivi elettivamente domiciliata in Piazza (omissis), presso lo studio dell'Avv. Pi.Lu.Za., che la rappresenta e difende in giudizio come da mandato a margine della comparsa del 10/4/03

- convenuta -

e contro Gi.Da. e Pa.Ni., residenti in Genova ed ivi elettivamente domiciliati in Corso (omissis), presso lo studio dell'Avv. Ta., che li rappresenta e difende in giudizio come da mandato in calce agli atti di citazione notificati

- convenuti -

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atti di citazione notificati in data 29/01/2003 Ro.Ro. conveniva in giudizio Gi.Da. e Pa.Ni. esponendo:

- di essere titolare dell'Agenzia Immobiliare Azzurra;

- di avere saputo tramite il settimanale Le cose che era intenzione di Gi.Va. vendere l'immobile sito in Genova, viale (omissis);

- di avere contattato sul telefono portatile la proprietaria qualificandosi come titolare della suddetta agenzia immobiliare e di averle riferito di avere ricevuto in carico da alcuni clienti di reperire un immobile analogo a quello posto in vendita;

- di avere quindi ricevuto dalla stessa il numero del telefono fisso e l'autorizzazione ad occuparsi della vendita dell'immobile;

- di avere fatto visionare l'immobile a numerose persone, tra le quali i coniugi Pa., che si dimostravano interessati all'acquisto tanto da chiedere un incontro con la proprietaria ed il marito della stessa;

- di avere quindi ricevuto la comunicazione dalla venditrice che la stessa non era più intenzionata a procedere alla vendita dell'appartamento;

- di avere poi appreso dalla visura effettuata in conservatoria in data 28/2/2002 che l'immobile era stato compravenduto, proprio dai coniugi Pa. con atto rogato in data 14/3/2002 e presumibilmente per un corrispettivo di Lire 370.000.000 - 380.000.000.

Tanto premesso concludeva come in epigrafe chiedendo la condanna dei convenuti al pagamento delle provvigione o, in subordine, al risarcimento dei danni.

Si costituivano i convenuti Gi. e Pa., contestando gli assunti avversari e rilevando:

- di avere effettivamente appreso della vendita dell'immobile tramite annuncio sul (omissis) e di avere quindi contattato il sig. Ro., che aveva però fornito però scarse informazioni sull'immobile;

- di avere fissato un appuntamento per visionare l'immobile e di avere quindi sottoscritto il foglio di visita dello stesso;

- di non essersi presentato quale agente immobiliare ma di avere presentato gli esponenti quali "amici" e di avere solo in un secondo tempo ammesso la propria attività;

- di avere visionato l'immobile accompagnati dalla venditrice e di non avere ricevuto alcuna informazione dall'attore;

- di avere dato il numero di telefono alla venditrice e di non avere mai più visto il sig. Ro.;

- di avere svolto trattative con i comproprietari e i rispettivi legali, senza alcuna partecipazione dell'attore.

Tanto premesso concludevano come in epigrafe, chiedendo il rigetto della domanda avversaria.

Con comparsa depositata all'udienza del 10/3/2003 interveniva nel giudizio Gi.Va., eccependo - in via preliminare - la prescrizione delle avversarie pretese e nel merito rilevando:

- di non avere ricevuto la notifica dell'atto di citazione;

- di non avere conferito alcun mandato all'attore;

- di avere pubblicizzato la vendita dell'immobile, del quale era comproprietaria insieme al marito Li.Al., tramite il figlio Lu. sul settimanale (omissis), nel quale era indicato il numero di telefono dello stesso;

- di avere ricevuto la telefonata dell'attore, al quale il numero era stato dato dal figlio Lu., previa rassicurazione della qualità di privato e non di agente immobiliare;

- di avere fissato un appuntamento con l'attore che aveva dichiarato di voler fare visionare l'immobile ad alcuni parenti;

- di avere quindi fatto visionare l'immobile a tali persone;

- di avere nuovamente ricevuto la telefonata del Ro. che chiedeva nuovamente di poter far visionare l'immobile ad altri conoscenti;

- di essersi insospettita e di avere quindi nuovamente chiesto se l'attore era un agente immobiliare, ricevendo risposta negativa;

- di avere quindi fatto visionare l'immobile ai coniugi Pa., presentati dal Ro. e di avere dato loro il numero di telefono;

- di avere quindi solo successivamente appreso dal Ro. della sua qualità di mediatore e di essersi molto infuriata per questo;

- di avere concluso la vendita dell'immobile con i coniugi Pa. in data 14/3/02.

Con ordinanza del 10/4/2003 il giudice, rilevata l'inesistenza della notifica alla parte Gi.Va., ritenendo che l'intervento volontario non potesse esplicare sulla stessa alcuna effetto sanante, ne ordinava la rinnovazione.

La causa proseguiva quindi all'udienza ex art. 183 c.p.c., nella quale comparivano le parti personalmente.

Quindi, acquisiti i documenti prodotti ed assunte le prove tempestivamente indicate nelle memorie ex art. 184 la causa veniva rinviata all'udienza del 24/01/2008 e qui trattenuta in decisione con assegnazione dei termini massimi di legge per il deposito e lo scambio degli atti difensivi conclusivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I convenuti hanno in via preliminare eccepito la prescrizione delle avversarie pretese e, quanto alla convenuta Gi., il difetto di legittimazione passiva - per la quota del 50% di quanto ex adverso richiesto, atteso che l'immobile compravenduto era in comproprietà con il marito, Li.Al.

Nessuna di dette eccezioni merita accoglimento.

L'eccezione di prescrizione da parte dei coniugi Pa. è stata sollevata solo in sede di memorie ex art. 183 c. V c.p.c. e quindi oltre i termini di legge (ovvero le memorie ex art. 180 c.p.c.).

In ogni caso, secondo le allegazioni di parte Pa., il preliminare di vendita sarebbe stato sottoscritto in data 12/12/2001 (v. memoria ex art. 184 di parte Pa., pag. 1).

L'attore ha prodotto lettera interruttiva della prescrizione notificata agli attori in data 12/6/2002 e ha notificato nuovo atto di citazione in data 27/01/2003 ovvero prima del decorso di un anno.

L'eccezione sollevata da parte convenuta Gi. è tempestiva, perché formulata nella comparsa di risposta, ma infondata nel merito.

Parte convenuta Gi. nega che il doc. 3 (parte attrice) possa avere efficacia interruttiva per due ragioni: da un lato proviene da un soggetto privo, di legittimazione attiva non essendo stata provata l'esistenza di un mandato al legale che ha sottoscritto la missiva, antecedente alla stessa, dall'altro perché non precisa l'entità del credito richiesto.

Sotto il primo profilo va evidenziato che l'atto interruttivo della prescrizione, richiede effettivamente la forma scritta.

Analoga formalità tuttavia non è imposta per il conferimento della relativa procura, non operando in tale ipotesi il richiamo fatto dall'art. 1324 c.c. alla disciplina propria dei contratti per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale.

Pertanto l'esistenza di un potere rappresentativo, a detti fini può essere provato con qualsiasi mezzo di prova e, quindi anche per presunzioni (sic. Cass. 9046 del 16/4/2007).

Nel caso di specie l'indicazione nella missiva di avere ricevuto mandato dalla parte e la sottoscrizione dell'avvocato inducono a ritenere che, in detto momento, il legale fosse stato munito di potere rappresentativo.

Né sono state fornite prove atte ad elidere detta presunzione (nello stesso senso v. Cass. 6245/87 "la procura per il compimento di un atto giuridico non negoziale tendente a produrre l'effetto interruttivo della prescrizione, può anche essere conferita verbalmente e la prova di tale conferimento può essere data per presunzioni"; e ancora Cass. 1234/88 "l'abilitazione del legale del titolare del diritto a porre in essere atti stragiudiziali interrottivi della prescrizione può prescindere dal conferimento di un formale mandato ma richiede tuttavia la preesistenza di un concreto rapporto, desumibile anche dal contenuto dell'atto interruttivo tra i predetti soggetti").

Sotto il secondo profilo va rilevato come sia ben chiaro il diritto che l'attore intende far valere, ossia il diritto di provvigione relativo alla compravendita per cui è causa e come, l'esatto importo del credito sia indicato per relationem con riferimento da un lato all'affare concluso e, dall'altro, alla misura della provvigione normativamente prevista (ovvero nella misura prevista dagli usi).

Il documento prodotto sub 3 è quindi atto idoneo ad interrompere la prescrizione, con la conseguenza che la relativa eccezione non può essere accolta (non essendo decorso un anno né tra la conclusione del preliminare e l'atto interruttivo né tra quest'ultimo e la notifica dell'atto di citazione in rinnovazione).

La convenuta Gi. ha poi eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva per la quota del 50% della provvigione richiesta.

Anche detto rilievo non è condivisibile, trattandosi di obbligazione solidale che abilita quindi il condebitore non già ad eccepire il proprio difetto di legittimazione ma ad agire in regresso nei confronti del comproprietario, salvo diverso accordo tra le parti, non opponibile al mediatore.

Passando ai profili di merito, va rilevato che costituiscono dati certi in primo luogo che i convenuti Gi. e Pa. si sono conosciuti tramite l'intervento dell'attore ed in secondo luogo che la compravendita è stata effettivamente conclusa tra detti soggetti.

Parte attrice rileva di avere da subito manifestato la propria qualità, circostanza recisamente negata dalla convenuta Gi., ed al contrario pacifica con riferimento ai convenuti Pa. (e peraltro risultante documentalmente dal foglio di visita prodotto sub 1).

E' quindi necessario appurare in primo luogo se anche la prima fosse o meno a conoscenza di avvalersi dell'opera di un mediatore.

Solo in caso di risposta positiva è necessario verificare se detta opera abbia o meno avuto efficacia causale nell'affare concluso.

Laddove infatti il mediatore non evidenzi la propria qualità, non sussiste alcun diritto alla provvigione.

E' ben vero infatti che la mediazione codicistica non presuppone il conferimento di alcun incarico, essendo sufficiente la mera conclusione dell'affare grazie all'intervento del mediatore: tuttavia è necessario che le parti conoscano la qualità di mediatore del soggetto che le mette in contatto, e possano quindi decidere di avvalersene o meno.

Non è invece necessario appurare l'esistenza di un incarico (che, laddove presente, rende atipica la mediazione) né l'incontro delle volontà dei soggetti interessati, atteso che l'attività ed il diritto alla mediazione derivano dall'utile messa in contatto delle parti (sic. Cass. 7253/2002).

Era quindi onere dell'attore fornire la prova non già di avere ricevuto un incarico dai convenuti ma semplicemente di avere ragguagliato gli stessi in ordine alla qualità rivestita.

Tale prova, documentale rispetto ai convenuti Pa., risulta fornita anche rispetto alla convenuta Gi.

L'istruttoria compiuta ha effettivamente consentito di raggiungere la prova sia della consapevolezza dell'attrice della qualità dell'attore sia comunque di un consenso implicito ad avvalersi dell'attività dallo stesso svolta (consenso peraltro superfluo per la giurisprudenza più recente: v. Cass. 7253/2002).

In primo luogo è emerso che l'immobile è stato fatto visionare dall'attore a più persone, in più occasioni, dato questo che già induce ad escludere che la convenuta non conoscesse che il convenuto era un mediatore, essendo poco verosimile che un privato, non direttamente interessato all'acquisto, faccia visionare l'immobile ripetutamente a diversi soggetti.

Inoltre la consapevolezza da parte della convenuta Gi. della qualità di mediatore in capo all'attore risulta confermata dalle dichiarazioni rese dal teste Ma.Gi., che esplicitamente riferisce di ricordare che l'attore citofonò alla convenuta Gi. qualificandosi quale titolare dell'immobiliare azzurra.

Dello stesso tenore anche la deposizione del teste Ma.Lu. ("questi - ossia il sig. Ro. - ha citofonato alla sig. Gi., dicendo sono Ro. dell'immobiliare Az.").

Parte convenuta definisce detti testi inattendibili, senza tuttavia evidenziare elementi concreti atti ad inficiarne l'attendibilità.

In particolare non può essere idoneo a tale scopo la circostanza che i testi ricordino con precisioni gli eventi (dato peraltro che al contrario appare verosimile, non essendo evidentemente una condotta abituale quella di andare a visitare immobili) o il rilievo relativo al citofono.

In ordine a quest'ultimo punto secondo parte convenuta Gi. i testi di parte attrice avrebbero falsamente dichiarato che il citofono era funzionante; in ciò smentiti dal documento prodotto sub 2 (fattura del 28/3/06 attestante il ripristino di impianti citofonici di alcuni condominii, tra i quali quello ove è sito l'immobile di cui è causa).

Tale documento infatti (di ben 4 anni successivo ai fatti) non prova affatto che, nel periodo in oggetto, i citofoni fossero rotti.

Né tale assunto può ricavarsi dalla dichiarazione della parte Gi. che ha evidentemente un interesse analogo a quello dell'altra convenuta e contrario alle pretese attore né del teste De. (che, al contrario ha reso dichiarazioni favorevoli all'attore laddove ricorda che il Ro. ha utilizzato il citofono).

Le dichiarazioni dei testi di parte attrice non possono essere disattese da quanto dichiarato dai testi di parte convenuta Gi.

I primi infatti sono assolutamente attendibili in quanto svincolati dalle parti da rapporti di parentela o amicizia.

Al contrario i testi della Gi. sono rispettivamente figlio, ex marito e comproprietario dell'immobile compravenduto e fratello dell'attrice.

Il primo in ogni ha dichiarato di avere espressamente richiesto al Ro., prima di dargli il numero della madre, che questa non intendeva avvalersi di mediatori.

Tuttavia nulla sa, per non avervi assistito, delle vicende successive, onde la sua testimonianza, anche per tale motivo, non inficia quanto emerso dall'ulteriore istruttoria.

Il secondo riferisce come non sia stato dato alcun incarico all'attore, dato questo comunque irrilevante al fine del diritto del mediatore alla provvigione.

L'ultimo infine riferisce in ordine ad un unico episodio, evidentemente non sufficientemente significativo per delineare complessivamente la vicenda.

Dall'istruttoria compiuta si evince quindi che anche la convenuta Gi. era a conoscenza della qualità di mediatore in capo al Ro. e che accettò che i coniugi Pa. visitassero l'immobile accompagnati dallo stesso.

Tale conclusione è ulteriormente avvaloratala quanto dichiarato dalla teste Gr., secondo la quale l'attore aveva un mazzo di chiavi dell'immobile e aveva preventivamente informato i potenziali acquirenti delle caratteristiche dello stesso.

La consegna delle chiavi, così come pure le informazioni relative all'immobile sono state evidentemente fornite dalla Gi. e costituiscono indizi, muniti della necessaria gravità e concordanza, atti a far ritenere resistenza di un consenso ad avvalersi dell'attività mediatoria di parte attrice (consenso peraltro anche superfluo per la giurisprudenza che respinge la natura contrattuale della mediazione) o, comunque, di una accettazione dell'attività mediatoria prestata.

E' necessario valutare a questo punto quindi se l'affare concluso possa essere casualmente riconducibile all'attività svolta dall'attore.

In proposito la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "per il diritto del mediatore al compenso non è determinante un suo intervento in tutte le fasi delle trattative sino all'accordo definitivo, essendo sufficiente che la conclusione dell'affare possa ricollegarsi all'attività da lui svolta per l'avvicinamento dei contraenti".

Infatti, "se ai sensi dell'art. 1754 c.c. è mediatore colui che mette in relazione .. due o più parti per là conclusione di un affare, non rileva, per avere diritto alla provvigione, che il mediatore debba partecipare attivamente anche alle successive trattative"; pertanto "anche la semplice attività consistente nel reperimento e nella indicazione dell'affare legittima il diritto alla provvigione" (cass. 28231/2005).

La fattispecie esaminata dalla Suprema Corte è assolutamente similare a quella per cui è causa, nella quale è pacifico che i contraenti sono stati messi in contatto dall'attore.

Tale elemento è idoneo, in assenza di elementi contrari, per ravvisare in capo all'attore il diritto alla provvigione.

A fronte di tale elemento, era a questo punto onere dei convenuti fornire la prova che l'affare era stato concluso in forza di una serie causale autonoma, come nel caso di trattative particolarmente complesse intervenute a molta distanza di tempo rispetto all'iniziale messa in contatto dei soggetti.

Tale prova non è stata fornita: preliminare è stato concluso in data 12/12/2001, ossia in epoca molto vicina rispetto a quella della messa in contatto dei contraenti (15 o 16/11/01) e per un importo non molto diverso da quello iniziale (Lire 300.000.000 a fronte dei 370.000.000 richiesti inizialmente).

Sussiste quindi il diritto del mediatore alla provvigione, da calcolarsi, in mancanza di accordo tra le parti, nella misura prevista dall'art. 1755 c. 2, ossia secondo gli usi di settore, pari quindi al 3% del prezzo di vendita per parte.

Dall'istruttoria compiuta è emerso che l'immobile è stato venduto per Lire 300.000.000 (teste Ma. e Li.) : detto importo non è stato contestato dall'attore, onde la provvigione va calcolata su detta somma.

I convenuti vanno quindi condannati rispettivamente al pagamento di Lire 9.000.000, ossia Euro 4.648, oltre IVA.

Detto importo va maggiorato degli interessi al tasso legale calcolati dalla messa in mora (10/2/2002) al saldo.

Trattandosi di debito di valuta ed in assenza di prova del maggior danno non può essere computata la rivalutazione.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza: in accoglimento della domanda principale avanzata dall'attore:

a) dichiara Gi.Va. tenuta al pagamento della somma di Euro 4.648 oltre IVA e interessi legali e conseguentemente la condanna al pagamento di detto importo maggiorato degli interessi legali dal 10/2/02 al saldo in favore di Ro.Ro.;

b) dichiara Gi.Da. e Pa.Ni. tenuti al pagamento della somma di Euro 4.648 oltre IVA e interessi legali e conseguentemente li condanna al pagamento di detto importo maggiorato degli interessi legali dal 10/2/02 al saldo in favore di Ro.Ro.;

c) condanna i convenuti Gi. da un lato e Gi.Da. e Pa. dall'altro al pagamento in solido delle spese di lite in favore dell'attore, che si liquidano in complessivi Euro 175 per esborsi, Euro 2.500 per diritti, Euro 3.000 per onorari, oltre spese generali IVA e accessori di legge.

Così deciso in Genova il 22 aprile 2008.

Depositata in Cancelleria il 23 aprile 2008.

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