Sull'indennità suppletiva di clientela

L’indennità suppletiva viene corrisposta dal proponente e deve essere agguagliata alle provvigioni relative agli affari conclusi ed è soggetta a particolari regole e limitazioni, previste dagli accordi economici collettivi succedutisi nel tempo, che non trovano corrispondenza nella disciplina legale della indennità di fine rapporto. Nello specifico essa ha origine e disciplina esclusivamente collettiva, ed è dovuta solo se il contratto a tempo indeterminato si scioglie ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all'agente.



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Svolgimento del processo
La società indicata in epigrafe impugnava dinanzi alla Ctp di Torino l'avviso di accertamento
Irpeg ed Ilor anno 1991 con il quale il competente Ufficio recuperava a tassazione, tra l'altro e
per quello che in questa sede interessa, l'importo di lire 79.638.000 relativo
all'accantonamento per indennità suppletiva di clientela degli agenti ritenendone
1'indeducibilità non trattandosi di costi espressamente previsti e indicati in tra quelli deducibili
dalla legge. Sosteneva parte ricorrente l'illegittimità si tale recupero in quanto
l'accantonamento per l'indennità suppletiva di clientela per gli agenti doveva considerarsi
ricompresso a tutti gli effetti nella previsione di cui all'art. 70, comma 3°,' del DPR 917/86
laddove si fa espresso riferimento alle indennità di cui alla lettera D) del comma 1° dell'art. 16
che disciplina il trattamento delle indennità per cessazione del rapporto di agenzia.
L'adita Ctp accoglieva il ricorso.
La Ctr del Piemonte con sentenza n. 55/29/00 rigettava l'appello dell'Ufficio sul rilevo, e che
all'indennità non può essere disconosciuto il carattere d'indennità di fine rapporto, e che
trattandosi di grandezza che matura nel tempo deve essere annoverata, nel rispetto del
principio di competenza economica, tra i costi di produzione del reddito e dedotta dal reddito
imponibile, altrimenti si configurerebbe, con il recupero a tassazione, una violazione del criterio
di determinazione del reddito in base al principio di competenza.
Avverso tale sentenza l'Amministrazione delle finanze proponeva ricorso per cassazione
sostenuto da un unico motivo di censura.
Parte intimata si costituiva e resisteva al gravame.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo di ricorso parte ricorrente, deduce "violazione e falsa applicazione dell'art.
70, comma 3° del DPR 917/86; omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della
controversia". Sostiene al riguardo l'erroneità della sentenza impugnata in quanto: il
denunciato art. 70 non menziona, nell'elencazione tassativa dei fondi per i quali è ammissibile
la deducibilità, la c.d. indennità suppletiva di clientela. Rileva la contraddittorietà della
motivazione perché prima riconosce l'episodicità della corresponsione e poi conclude per la
deducibilità della quota di accantonamento. Allega poi che a norma dell'art. 75 DPR 917/86 il
principio di competenza subisce una deroga rilevante in quanto nel caso in cui i costi , proventi
ecc. la cui esistenza non sia ancora certa ed il cui ammontare non sia determinabile in modo
oggettivo alla chiusura dell'esercizio a cui fa riferimento il periodo d'imposta, l'imputazione
deve essere fatta all'esercizio in cui i requisiti di certezza e determinabilità vengono acquisiti
effettivamente. Erronea, conclude parte ricorrente, inoltre è la sentenza impugnata in quanto
nella specie non sussiste nell'an e nel quantum la certezza e la determinabilità della
componente in discorso. Il ricorso è fondato alla luce del principio fissato dalla sentenza n.
24973/06 di questa Suprema Corte secondo il quale in tema di imposte sui redditi, e con
riferimento alla determinazione del reddito d'impresa, l'art. 70, comma terzo, del d.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917, che estende agli accantonamenti relativi alle indennità di cui all'art.
16, comma primo, lettere c), d) ed f ) le disposizioni riguardanti quelli per l'indennità di fine
rapporto, non è applicabile all'indennità suppletiva di clientela, prevista dagli accordi economici
collettivi che disciplinano i rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale, la quale,
essendo dovuta soltanto in caso di scioglimento del contratto a tempo indeterminato ad
iniziativa del proponente per fatto non imputabile all'agente, costituisce, in pendenza del
rapporto, un costo meramente eventuale sia nell'"an" che nel "quantum", onde i relativi
accantonamenti non sono deducibili nei limiti delle quote maturate nell'esercizio, come previsto
dal primo comma dell'art. 70 cit., senza che assuma alcun rilievo la funzione di tale indennità,
volta a compensare il mancato reddito derivante dalla cessazione del rapporto, in quanto il
relativo diritto non matura in costanza di rapporto, ma ha la sua fonte in un evento futuro ed
incerto.
Questa Suprema Corte nella sentenza sopra richiamata, pienamente condivisa dal Collegio, ha
così motivato:"Il D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986, art. 70, (TUIR) , per quanto interessa la
decisione del gravame, dispone testualmente : "1. Gli accantonamenti ai fondi per le indennità
di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente sono deducibili nei limiti delle
quote maturate nell'esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che
regolano il rapporto di lavoro dei singoli dipendenti.
2. (omissis).
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 valgono anche per gli accantonamenti relativi alle indennità
di fine rapporto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. e), d) e f ) ". B. In
ordine alla deducibilità, oggetto specifico della controversia, dal reddito di impresa, ai sensi di
tale norma, della c.d. "indennità suppletiva di clientela prevista dagli accordi economici
collettivi che disciplinano i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale", invero, in
carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria (che non si rinviene nelle
considerazioni svolte dalla contribuente nel proprio controricorso), va ribadito il principio
secondo cui (Cass., trib., 16 maggio 2003 n. 7690 e 18 novembre 2005 n. 24448) , poichè
"l'indennità... suppletiva di clientela, che ha origine e disciplina esclusivamente collettiva, è
dovuta solo se "il contratto a tempo indeterminato si scioglie ad iniziativa della casa mandante
per fatto non imputabile all'agente", viene corrisposta dal proponente, è ragguagliata alle
provvigioni relative agli affari conclusi ed è soggetta a particolari regole e limitazioni, previste
dagli accordi economici collettivi succedutisi nel tempo, che non trovano corrispondenza nella
disciplina legale della indennità di fine rapporto", "l'indennità in questione - in quanto
connotata, per la disciplina collettiva che la regola, dall'incertezza dell'obbligo del proponente
alla sua corresponsione - costituisce, in pendenza del rapporto di agenzia, un costo meramente
eventuale sia nell'an che nel quantum e, come tale, (non accantonabile fiscalmente e, quindi)
non deducibile dal reddito d'impresa, manifestando, invece, la qualità di componente negativo
deducibile solo nell'esercizio in cui venga concretamente corrisposta". C. Non può, di contro,
condividersi (e, quindi, ribadirsi) la diversa tesi (Cass., trib., 27 giugno 2003 n. 10221)
secondo la quale: "il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 70, comma 3, che prevede che sono
deducibili gli accantonamenti di fine rapporto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma
1, lett. d) , si riferisce alle indennità percepite per la cessazione del rapporto di agenzia delle
persone fisiche, tra le quali rientra indennità suppletiva di clientela. In contrario non vale
rilevare che dal contratto collettivo che disciplina detta indennità suppletiva risulta che essa
non viene corrisposta sempre ma soltanto nelle ipotesi di scioglimento di un contratto a tempo
indeterminato per fatto non imputabile all'agente.
La natura aleatoria dell'indennità, infatti, non consentiva all'Ufficio di contestare in radice la
legittimità dell'accantonamento ma solo di determinare il "quantum" di quest'ultimo sulla base
di criteri statistici che tenessero conto delle probabilità di cessazione del rapporto di agenzia
per fatto imputabile all'agente.
Tale questione, l'unica rilevante ai fini della deduzione dell'accantonamento in oggetto, è
invece rimasta del tutto estranea alla materia del contendere"..
La tesi, invero, non considera che il primo comma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 70,
consente la deducibilità soltanto delle "quote maturate nell'esercizio" e che l'indennità in
questione -diversamente dall'indennità di fine rapporto in ordine alla quale la cessazione del
rapporto di lavoro costituisce solo una condizione di esigibilità (Cass., lav., 10 agosto 2005
n. 16826) del relativo trattamento - non matura affatto in costanza di rapporto di lavoro
perché il relativo diritto trova la sua fonte genetica soltanto nella (eventuale) illegittimità (per
non imputabilità all'agente o rappresentante della causa dello stesso) dello scioglimento del
rapporto di agenzia per cui il consentire l'accantonamento di somme in vista dell'eventuale
futuro sorgere della corrispondente obbligazione (incerta, quindi, al momento
dell'accantonamento, non solo nel quando (come sostenuto dalla contribuente in ricorso) ma,
soprattutto, nell'an debeatur) si traduce:
- se ragguagliata a tutti i rapporti in essere, nella sottrazione dell'accantonamento alla
tassazione per la parte dello stesso che non sarà mai utilizzato per corrispondere l'indennità in
questione, non essendo questa dovuta per la sola e semplice risoluzione del rapporto ma,
come detto, per il verificarsi di un evento futuro ("iniziativa della casa mandante per fatto non
imputabile all'agente"), insussistente al momento dell'accantonamento;
- se ragguagliata (come suggerito dalla richiamata Cass. 10221/03) a meri "criteri statistici",
in una inammissibile forma di assicurazione del rischio dato dall'eventuale verificarsi della
specifica fattispecie {non imputabilità all'agente del fatto che determina la risoluzione del
rapporto) unicamente in presenza del quale la contrattazione collettiva prevede l'erogazione
dell'indennità de qua agitur.
D. Le argomentazioni esposte non trovano nessun motivo di riconsiderazione neppure nella
diversa opinione espressa dalla Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell'Agenzia delle
Entrate nella risoluzione 9 aprile 2004 n. 59 (richiamata dalla contribuente nel corso della
discussione orale) secondo la quale per l'indennità in questione "sarà fiscalmente deducibile
l'importo, calcolato anno per anno ipotizzando la cessazione di tutti i rapporti di agenzia in
essere per causa non imputabile all'agente o rappresentate" atteso che siffatta tesi: urta
contro il chiaro ed univoco disposto normativo richiamato per il quale, come detto, la "natura
aleatoria" dell'erogazione in questione (riconosciuta dalla stessa risoluzione invocata) esclude
la possibilità di considerare come "maturata" nell'anno una qualche quota della stessa; non
trova conforto nella "funzione" ("sostituire il mancato reddito derivante dalla cessazione del
rapporto") che si assume svolta dall'indennità de qua atteso che il problema giuridico è dato
sempre e solo dalla individuazione, anche al fine di determinare l'esercizio (fiscale) di
competenza, del momento di "maturazione" dell'emolumento e tale momento può coincidere
unicamente con il sorgere del diritto, quindi con la cessazione del rapporto. È appena il caso,
infine, di evidenziare l'ambivalenza conclusiva della "risoluzione" dell'Agenzia in esame in
ordine al definitivo trattamento fiscale dell'"effettiva erogazione dell'indennità" per evidenziare
che la stessa, da un lato ammette sia l'ipotesi della deduzione "nei precedenti esercizi" che
quella "in cui gli accantonamenti degli esercizi precedenti non sono stati dedotti fiscalmente",
e, dall'altro, introduce, per la prima, un meccanismo di verifica ("se l'indennità liquidata risulta
maggiore di quella accantonata, la differenza sarà dedotta dal reddito; nel caso in cui, invece,
l'indennità liquidata risulta minore di quella accantonata, la differenza genera una
sopravvenienza attiva da assoggettare a tassazione") che, in definitiva, conferma la non
inerenza di quanto accantonato in vista dell'eventuale futura corresponsione".
La sentenza impugnata, in virtù del sopra esposto principio, al quale il collegio intende dare
continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene, deve essere, pertanto, cassata sul
punto perché fondata su di una erronea interpretazione delle norme legislative e la causa, non
essendo necessario nessun ulteriore accertamento di fatto, deve essere decisa nel merito con il
rigetto del ricorso della contribuente relativamente alla ripresa a tassazione delle somme dalla
stessa accantonate nel fondo per la corresponsione dell'indennità suppletiva di clientela ai
propri agenti alla cessazione del rapporto di agenzia, ferme restando le altre statuizioni anche
in ordine alla disposta compensazione delle spese del giudizio di merito che in considerazione
della particolarità delle questioni affrontate e il contrasto sulle stesse registrato anche in seno a
questo giudice di legittimità vanno compensate anche con riguardo al presente giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata limitatamente al rigetto dell'appello
dell'Ufficio in punto di ripresa a tassazione delle somme accantonate nel fondo per la
corresponsione dell'indennità suppletiva di clientela e decidendo nel merito rigetta su tale
punto il ricorso introduttivo di parte contribuente e compensa le spese del giudizio di merito e
di legittimità.

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