Il contratto di fideiussione "omnibus", che contenga una clausola di reviviscenza dell'obbligazione di garanzia per il caso di revoca dei pagamenti effettuati dal debitore garantito, non è affetto da nullità

Il contratto di fideiussione "omnibus", che contenga una clausola di reviviscenza dell'obbligazione di garanzia per il caso di revoca dei pagamenti effettuati dal debitore garantito, non è affetto da nullità, nè è ammissibile per la predetta clausola un'interpretazione analogica del secondo comma dell'art. 1341 cod. civ., il quale ha carattere tassativo, nè ricorre, ai fini di un'interpretazione estensiva, identità di fattispecie con il caso espressamente previsto da tale norma (clausola di limitazione della facoltà di opporre eccezioni), potendo l'eccezione di pagamento essere dedotta solo dopo la revoca del medesimo. Principio espresso in fattispecie, per obbligazione principale sorta anteriormente alla vigenza della legge n. 154 del 1992 di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente eseguite in favore della banca dal debitore principale. (Corte di Cassazione Sezione 1 Civile
Sentenza del 8 febbraio 2008, n. 3011)





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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente

Dott. SCHIRO' Stefano - Consigliere

Dott. PETITTI Stefano - rel. Consigliere

Dott. SALVATO Luigi - Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ZA. RI., RI. IV., RI. PA., RI. RO., la prima in proprio, le altre quali eredi legittime del sig. Ri. Gi., elettivamente domiciliate in Roma, via Giangiacomo Porro n. 8, presso lo studio dell'Avvocato SCIUBBA Pietro, che le rappresenta e difende unitamente all'Avvocato Roberto De Nicolato per procura speciale a margine del ricorso;

- ricorrenti -

contro

CA. DI. RI. DI. PA. E. RO. s.p.a., in persona del presidente del Consiglio di amministrazione, appartenente al Gruppo Sa. Pa. IM., elettivamente domiciliata in Roma, via Confalonieri n. 5, presso lo studio dell'Avvocato MANZI Luigi, che la rappresenta e difende unitamente all'Avvocato Adriano Fornaro per procura speciale in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte d'appello di Venezia, depositata il 25 settembre 2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 ottobre 2007 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

udito per la controricorrente l'Avvocato Coglitore per delega, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 13 maggio 1997, il Tribunale di Padova dichiarava inefficaci, ai sensi della L.F., articolo 67, comma 2, le rimesse effettuate dal Ca. Le. di. Ri. Fr. Li. e. Lo., su un conto della Ca. di. Ri. di. Pa. e. Ro. per un importo complessivo di lire 59.224.354 e condannava la banca a restituire tale somma, con gli interessi di legge dal 25 maggio 1992 sulla somma di anno in anno rivalutata; condannava altresi' Ri. Gi. e Za. Ri., quali garanti, a corrispondere alla banca la somma suindicata con gli interessi legali. Rilevato che la somma complessiva era data da tre distinti tipi di operazioni (incasso di anticipazione sull'estero; ricavo di effetti; rimesse effettuate dopo la revoca del fido), il Tribunale riteneva sussistente la prova della scientia decoctionis perche' la banca era un soggetto qualificato e perche' tali operazioni erano successive alla revoca dei fidi. Quanto alla domanda di manie va, il Tribunale, premesso che si trattava di fideiussione omnibus, escludeva che la clausola, in forza della quale la fideiussione tornava a rivivere dopo la sua estinzione nell'ipotesi di revocatoria, fosse vessatoria ex articolo 1341 c.c., comma 2; riteneva poi che non potesse trovare applicazione la Legge n. 154 del 1992 posto che la stessa non era retroattiva, e che il comportamento della banca non fosse stato contrario a buona fede.

Proponevano distinti appelli, poi riuniti, la banca e i consorti Ri. - Za..

Con sentenza depositata il 25 settembre 2002, la Corte d'appello di Venezia rigettava entrambi gli appelli.

Quanto all'appello della banca, la Corte riteneva che le anticipazioni su operazioni estero e gli effetti presentati al dopo incasso non integrassero una cessione di credito in favore della banca, con liberazione della societa' fallita; disattendeva altresi' l'assunto della banca appellante, rilevando che dopo la revoca del fido il conto presentava solo movimentazioni al rientro, ad esclusione di alcune operazioni estero per le quali la banca era garantita dalla cessione di credito, sicche' le rimesse non avevano valore di ripristino della provvista ma solo l'effetto di estinzione di obbli-gazioni pregresse, in quanto tali revocabili.

Con riferimento alle censure di entrambi gli appellanti concernenti la prova della scientia decoctionis, la Corte riteneva che la prova fosse stata fornita, essendo sufficiente la manifestazione della volonta' della banca di chiudere il conto o revocare il fido. D'altro canto, lo stesso andamento del conto corrente successivamente alla revoca dimostrava come la banca non avesse consentito piu' prelevamenti e quindi non si fidasse piu' della solvibilita' del cliente.

Quanto ai restanti motivi dell'appello proposto dai garanti, la Corte escludeva innanzitutto la fondatezza di quello relativo all'assenza di mandato, posto che risultava apposta una specifica procura in calce all'atto di citazione per chiamata in causa. Rilevava poi che la clausola di reviviscenza rispondeva ad un principio generale proprio della garanzia che, in quanto tale, non comporta una limitazione alla possibilita' di proporre eccezioni. Tale clausola, inoltre, non poteva ritenersi nulla per violazione della Legge n. 154 del 1992 poiche' tale legge era entrata in vigore dopo la conclusione del contratto, dovendosi altresi' escludere che si trattasse di una nuova fideiussione, perche' in realta' quella che operava era sempre la fideiussione concordata dalle parti, e cio' in virtu' della clausola di reviviscenza. Da ultimo, la Corte escludeva la sussistenza di qualsiasi comportamento contrario a buona fede, perche' la banca, dopo la revoca del fido, non aveva piu' concesso credito ma aveva concesso solo operazioni al rientro.

Per la cassazione di questa sentenza ricorrono Za. Ri., Ri. Iv., Ri. Pa., Ri. Ro., la prima in proprio e le altre quali eredi legittime di Ri. Gi., sulla base di tre motivi; resiste, con controricorso, la Ca. di. Ri. di. Pa. e. Ro. s.p.a. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell'articolo 84 c.p.c.; vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto la sussistenza di una specifica procura al difensore costituito in calce all'atto di citazione per chiamata in causa; articolo 111 Cost.. In proposito, le ricorrenti rilevano che dall'atto di chiamata in causa emergeva che l'Avv. Alessandra Calogero ripeteva il proprio mandato difensivo non direttamente dalla parte, ma dall'Avv. Adriano Fornaro, procuratore generale alle liti di Ca. di. Ri. di. Pa. e. Ro. s.p.a., per atto in data 27 dicembre 1991 Notaio Todeschini di Padova. La mancata produzione della procura generale non aveva consentito di verificare ne' se essa conferisse il potere di chiamata al procuratore generale, ne', nell'eventualita', se tale potere egli potesse a sua volta conferire a procuratori speciali ad litem, ne', infine, se la banca avesse inteso autorizzare i propri procuratori a rappresentarla anche nel giudizio da promuovere mediante chiamata in garanzia. E il mandato conferito all'Avv. Calogero menzionava solamente, quali facolta' esorbitanti quelle liberamente esercitabili dal difensore ex articolo 84 c.p.c., quelle di rinunciare agli atti e di farsi sostituire. Difettava, quindi, un'apposita ed espressa procura dei difensori ad effettuare la chiamata in causa dei garanti, trattandosi di potere espressamente riservato alla parte.

Con il secondo motivo, le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli articoli 1939, 1956, 2881 c.c., e articolo 1341 c.c., comma 2, e vizio di motivazione circa la ritenuta natura non vessatoria della clausola di reviviscenza della fideiussione di cui alla lettera b), dei contratti di fideiussione sottoscritti dai garanti. Posto che la Corte d'appello ha desunto la non vessatorieta' della clausola in questione dal rilievo che la norma contrattuale, in quanto espressione di un principio generale proprio della garanzia, non avrebbe comportato limiti alla facolta' di proporre eccezione, e posto che, tuttavi'a, la medesima Corte non ha enunciato quel principio generale, le ricorrenti ritengono che la negazione della natura vessatoria della clausola derivi dall'adesione della Corte d'appello alla tesi della reviviscenza ex lege della fideiussione; tesi, questa, per la quale esisterebbe nell'ordinamento un principio generale desumibile dall'articolo 2881 c.c., applicabile in tutte le ipotesi in cui sia concretamente venuto meno il pagamento e la mancata soddisfazione del creditore dipenda dall'avvenuta restituzione di quanto incassato ovvero dal positivo esercizio dell'azione revocatoria.

In contrario, le ricorrenti osservano che la norma citata sarebbe del tutto inidonea a fondare il richiamato principio, riferendosi essa ad una garanzia reale e non ad una personale e contemplando espressamente l'ipotesi che la causa estintiva dell'obbligazione sia dichiarata nulla o non sussistente dall'origine. E l'azione revocatoria non ha radici in una ipotesi di invalidita', posto che l'atto revocato, pur essendo inefficace nei confronti della massa, rimane estintivo dell'obbligazione. Anzi, osservano le ricorrenti, il principio vigente sarebbe quello, opposto, per il quale l'estinzione di un credito travolge il rapporto accessorio, cioe' la garanzia, come si desume dall'articolo 1939 c.c., e dall'articolo 1276 c.c..

La Corte d'appello avrebbe poi errato nel non pronunciarsi sulla questione della validita' della clausola di cui alla lettera b) dei contratti di fideiussione sottoscritti dai garanti, pur avendo ritenuto detta clausola operativa. I contratti di fideiussione, infatti, altro non sarebbero che la riproduzione delle norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI, sicche' le clausole in essi contenute, che avevano natura di condizioni generali dirette a regolare in modo uniforme i rapporti tra le banche e i clienti, avrebbero dovuto essere soggette alla disciplina degli articoli 1341 e 1342 c.c.. In particolare, la clausola in questione, in quanto comportante una deroga al principio di non reviviscenza dell'obbligazione di garanzia, avrebbe dovuto essere riprodotta tra quelle da approvare e sottoscrivere separatamente, stante il suo carattere vessatorio, perche' integrante una limitazione alla facolta' di opporre eccezioni, e tra queste quella di adempimento del debito principale. Nel caso di specie, invece, la clausola in questione non risulta essere stata separatamente e specificamente approvata per iscritto, con conseguente nullita' per difetto di forma ad substantiam.

Con il terzo motivo, le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli articoli 13939, 1945, 1956, 1175 e 1375 c.c., nonche' vizio di motivazione. articolo 111 Cost.. La censura si riferisce alla questione dell'autonomia della obbligazione di garanzia e alla permanenza dell'obbligazione del garante in forza della originaria fideiussione, con esclusione della nullita' per violazione della Legge n. 154 del 1992 e di qualsiasi comportamento della banca contrario a buona fede. In proposito, le ricorrenti osservano che la clausola a prima richiesta non e' idonea a configurare l'autonomia della garanzia ne' ad esimere la banca dal provare l'esistenza del credito anche nei confronti del fideiussore perche' essa non prevede ne' la rinuncia da parte del fideiussore ad eccepire l'eventuale adempimento del debitore garantito, ne' una diversa disciplina dell'onere probatorio. In sostanza, tale clausola, pur se inserita in un contratto di fideiussione omnibus, non elimina l'accessorieta' perche' il presupposto della garanzia resta pur sempre l'esistenza del rapporto di debito principale, in assenza del quale l'obbligazione accessoria di garanzia viene a cessare. Tale clausola, quindi, non deroga l'articolo 1945 c.c., cosicche' anche nella fideiussione omnibus l'obbligazione fideiussoria attira nella sua sfera tutte le eccezioni che riguardano l'obbligazione garantita. Se dunque la revocatoria non determina la nullita' dell'atto, avendo essa la funzione di ripristinare l'integrita' della garanzia patrimoniale attraverso la dichiarazione di inefficacia, nei confronti dei soli creditori, di un atto che resta perfettamente valido tra le parti, la revoca del pagamento eseguito dal debitore principale non puo' far rivivere l'obbligazione del garante, in quanto tale pagamento, inefficace nei confronti dei soli creditori, ha gia' irrimediabilmente provocato l'estinzione dell'obbligazione di garanzia. Secondo le ricorrenti, deve altresi' escludersi che al rivivere di un credito si accompagni il diritto ad ottenere nuovamente le garanzie che lo assistevano. L'esclusione della reviviscenza della garanzia del pagamento revocato risponde poi anche al piu' generale principio della certezza dei rapporti giuridici, che trova fondamento specifico, per la fideiussione, nell'articolo 1957 c.c..

Da ultimo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto il comportamento della banca conforme a buona fede, posto che dalla documentazione in atti emerge che la banca, a totale insaputa dei fideiussori, concesse alla societa' anticipazioni per oltre lire 11.000.000 anche successivamente alla chiusura dei fidi (15 aprile 1987).

Il primo motivo di ricorso e' inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte - che in questa sede non puo' non trovare ulteriore conferma non valendo in contrario l'isolato precedente citato dalle ricorrenti nella memoria ex articolo 378 c.p.c., - e' consolidata nell'affermare che il terzo che, pur essendo stato chiamato in causa da un difensore sfornito della procura a proporre istanze eccedenti l'ambito originario della lite, si costituisce giudizio e, invece di eccepire la nullita' dell'atto di chiamata, accetti il contraddittorio sul merito, non puo' piu' dedurre tale nullita' (ne' la stessa puo' essere rilevata d'ufficio dal Giudice) nell'ulteriore corso del procedimento (Cass., n. 7984 del 1990; Cass., n. 12293 del 2001).

In altri termini, in senso opposto rispetto a quanto invocato dalle ricorrenti, deve ribadirsi, ulteriormente, che se la parte nei cui confronti e' stata proposta domanda di garanzia - sia essa gia' costituita in giudizio in relazione ad altra domanda o si costituisca in relazione alla domanda di garanzia - non eccepisce la nullita' di questa perche' proposta da difensore sfornito di procura per istanze eccedenti l'ambito originario della lite, ma accetti il contraddittorio nel merito, non puo' piu' dedurre tale nullita' nell'ulteriore corso del procedimento (Cass., n. 2929 del 1992; Cass., n. 4623 del 1995; Cass., n. 59083 del 1998; Cass., n. 5817 del 2006).

Il secondo motivo di ricorso e' infondato.

Prive di concludenza sono, in primo luogo, le argomentazioni delle ricorrenti in ordine alla inesistenza nell'ordinamento di un principio di reviviscenza dell'obbligazione di garanzia allorquando venga meno la causa estintiva dell'obbligazione principale. Dalla sentenza impugnata, ma la circostanza non e' controversa tra le parti, emerge infatti che la reviviscenza dell'obbligazione di garanzia non e' stata affermata dalla Corte d'appello in astratto, per effetto di un principio generale applicabile anche in caso di mancata previsione esplicita delle parti in tal senso, ma in forza di una specifica clausola contrattuale che prevedeva, appunto, la reviviscenza della fideiussione in caso di dichiarazione di inefficacia del pagamento effettuato dal debitore principale.

Non e' quindi pertinente il richiamo alla sentenza n. 18156 del 2002, giacche' nel caso esaminato in quel giudizio non esisteva una clausola di reviviscenza espressamente pattuita tra le parti, ma si pretendeva affermare la reviviscenza della fideiussione a seguito della revoca del pagamento effettuato dal debitore principale in ragione del principio di accessorieta' della fideiussione. In proposito, si e' osservato che il principio di accessorieta' implica soltanto che, con l'estinzione del rapporto principale, resta travolto anche quello accessorio, ma non anche che, simmetricamente, alla reviviscenza del rapporto principale si accompagni il ripristino della precedente garanzia, non potendo all'uopo invocarsi il disposto dell'articolo 2881 c.c., dettato, in via eccezionale, con riferimento alla sola ipoteca. Analoghe considerazioni valgono con riferimento a quanto affermato da Cass., n. 21585 del 2004, dal momento che anche nel caso deciso da detta sentenza non esisteva una clausola espressa di reviviscenza della garanzia fideiussoria.

Il problema va dunque esaminato con riferimento non ad un supposto principio generale comportante la reviviscenza della fideiussione, ma alla clausola rilevante nella specie. E sul punto, benche' la Corte d'appello abbia escluso la vessatorieta' della clausola desumendola dalla sua conformita' ad un principio generale, la statuizione di rigetto recata nella sentenza impugnata merita di essere confermata per le seguenti ragioni.

Innanzitutto, deve qui ricordarsi che questa Corte ha gia' avuto modo di affermare (Cass., n. 4738 del 1984) e di ribadire (Cass., n. 5720 del 2004) che non e' nullo il contratto di fideiussione ed. omnibus in cui sia sancita la sopravvivenza dell'obbligazione principale e che preveda la reviviscenza dell'obbligazione fideiussoria in caso di invalidita' o revoca di pagamenti da parte del debitore garantito.

La nullita', peraltro, non puo' essere affermata neanche per effetto della Legge n. 154 del 1992 poiche', come esattamente rilevato nella sentenza impugnata, "Nella controversia inerente alla validita' ed alla efficacia di una fideiussione prestata in favore di un istituto di credito per tutte le obbligazioni derivanti da future operazioni con il terzo fideiubente (cosiddette fideiussione omnibus) non puo' avere rilievo la sopravvenienza della Legge 17 febbraio 1992, n. 154, avendo il legislatore espressamente escluso l'efficacia retroattiva della nuova disposizione (articolo 11, Legge cit.); la disciplina precedente continua pertanto ad operare per le obbligazioni principali gia' sorte alla data di entrata in vigore della nuova legge" (ex plurimis, Cass., n. 18234 del 2003; Cass., n. 5950 del 2000).

Ma neanche la natura vessatoria di una clausola siffatta puo' essere sostenuta, come preteso dalle ricorrenti, sul rilievo che si tratterebbe di una clausola che, predisposta dalla banca, introdurrebbe limitazioni alla possibilita' dell'altro contraente di proporre eccezioni, e in particolare l'eccezione di pagamento, e, in quanto tale, avrebbe richiesto la specifica approvazione per iscritto, nella specie mancante.

L'articolo 1341 c.c., dispone che non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilita', facolta' di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze, limitazioni alla facolta' di opporre eccezioni, restrizioni alla liberta' contrattuale nei rapporti con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorita' giudiziaria.

Orbene, premesso che l'elencazione contenuta nell'articolo 1341 c.c., ora riportata deve ritenersi tassativa (ex plurimis, Cass., n. 9646 del 2006; Cass., n. 14912 del 2001) e che l'interpretazione estensiva e' ammessa solo allorche' il caso non previsto sia uguale a quello disciplinato (Cass., S.U., n. 5777 del 1990), deve escludersi che cio' si verifichi con riferimento alla clausola di reviviscenza. In proposito, e' sufficiente rilevare che l'intervenuta revoca del pagamento effettuato dal debitore principale determina, da un lato, l'inefficacia del pagamento stesso e, dall'altro, la reviviscenza della garanzia fideiussoria. E' evidente pertanto che, ponendosi il problema della escussione della garanzia fideiussoria in forza della clausola di reviviscenza solo dopo la revoca del pagamento, e' a tale momento che occorre avere riguardo per verificare se l'eccezione di pagamento poteva essere opposta o no, con la conseguenza che non solo non sussiste identita' tra il caso previsto (clausola di limitazione della facolta' di opporre eccezioni) e quello non espressamente considerato dal legislatore (clausola di reviviscenza della garanzia fideiussoria), ma quest'ultima e' destinata ad operare allorquando il pagamento sia stato dichiarato inefficace, e quindi opera su un piano affatto diverso rispetto a quello della limitazione alla proposizione della eccezione di pagamento. Ne resta, quindi, esclusa la possibilita' di qualificare come vessatoria la clausola di reviviscenza in forza di interpretazione estensiva.

Il terzo motivo di ricorso e' in parte infondato e in parte inammissibile.

Le censure sviluppate in tale motivo sono infondate per la parte in cui ripropongono, sotto diverso profilo, una questione - quella della inesistenza del principio di reviviscenza della garanzia fideiussoria e della nullita' della clausola che detta reviviscenza preveda - la cui fondatezza si e' appena esclusa.

Sono inammissibili, nella parte in cui censurano l'apprezzamento di fatto della Corte d'appello, confermativo di quello del Tribunale, in ordine alla insussistenza di comportamenti della banca contrari ai principi di correttezza e buona fede. Infatti, nel mentre il giudice del merito ha ritenuto che la banca, dopo la revoca del fido, ha consentito solo operazioni al rientro, le ricorrenti ripropongono la questione gia' fatta valere dinnanzi alla Corte d'appello senza addurre specifiche censure alla ratio in base alla quale il relativo motivo di gravame e' stato disatteso, limitandosi, nella sostanza, a sollecitare un apprezzamento delle medesime operazioni bancarie diverso da quello affermato dal giudice del merito (sulla inammissibilita' di siffatte censure, v., di recente, Cass., n. 15489 del 2007).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e, conseguentemente, le ricorrenti, in solido tra loro, devono essere condannate al pagamento delle spese del giudizio di legittimita', nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese del giudizio di legittimita', che liquida in euro 4.100,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.

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