In caso di stipula prima di un contratto preliminare di compravendita e poi di un contratto definitivo, i presupposti delll'azione revocatoria fallimentare devono essere valutati solo riguardo al secondo

Nel caso in cui siano stipulati prima un contratto preliminare di compravendita, poi il contratto definitivo, l'accertamento degli elementi e dei presupposti dell'azione revocatoria fallimentare, anche in riferimento alla conoscenza dell'insolvenza, secondo l'orientamento di questa Corte al quale va data continuità, deve essere compiuto con riguardo al secondo, quale negozio in virtù del quale si verifica il trasferimento definitivo del diritto di proprietà, non anche al contratto preliminare di vendita (Cass. n. 2967 del 1993; n. 3165 del 1994; n. 500 del 1992; n. 11798 del 1991; n. 264 del 1981). Infatti, è con il contratto definitivo che il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia della massa dei creditori, integrando così la fattispecie normativa in esame.
(Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 29 gennaio 2008, n. 2005)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MUSIS Rosario - Presidente

Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere

Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere

Dott. DEL CORE Sergio - Consigliere

Dott. SALVATO Luigi - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Fallimento di Ra. Gi., in persona del Curatore avv. Bu. Lu. - elettivamente domiciliato in ROMA, Largo Generale Gonzaga, 2, presso l'avv. prof. PAZZAGLIA Ludovico, dal quale e' rappresentato e difeso in virtu' di procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

Un. Se. e Lo. Ol. An. - elettivamente domiciliati in ROMA, via Germanico, 109 (studio avv. Giovanna Sebastio), presso l'avv. SEBASTIO Attilio, dal quale sono rappresentati e difesi in virtu' di procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controra correli te e ricorrente incidentale -

avverso la sentenza della Corte d'appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto, depositata il 30 ottobre 2003, notificata il 4 dicembre 2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 novembre 2007 dal Consigliere Dott. Luigi Salvato;

udito per il ricorrente l'avv. Cesari su delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso ed il rigetto del ricorso incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCHIAVON Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l'assorbimento del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Il Curatore del fallimento di Ra. Gi. (infra, Fallimento), con citazione del 18 settembre 1992, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Taranto Un.Se. e Lo. Ol. An. (di seguito, Acquirenti), chiedendo che fosse dichiarato inefficace, ai sensi della L.F., articolo 67, comma 2, e del comma 1, "ove occorra", il contratto di compravendita stipulato in data 22 novembre 1991, con atto per notaio Oliva, con il quale i convenuti avevano acquistato dal Ra., dichiarato fallito con sentenza del 17 dicembre 1991, un villino in (OMESSO).

I convenuti si costituivano in giudizio deducendo di avere stipulato il preliminare di vendita con persona diversa dal Ra., dichiaratasi proprietaria dell'immobile, di avere pagato integralmente il prezzo e, comunque, di ignorare lo stato di insolvenza e chiedevano il rigetto delle domande.

Il Tribunale di Taranto, con sentenza del 30 gennaio 2001, rigettava la domanda.

2.- Avverso detta sentenza proponeva appello il Fallimento, chiedendone la riforma.

Gli acquirenti si costituivano in giudizio, deducendo l'Infondatezza del gravame.

La Corte d'appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 30 ottobre 2003, rigettava l'appello, condannando il Fallimento alle spese del secondo grado.

Per quanto qui interessa, la sentenza:

a) affermava che l'appellante, in primo grado, aveva "precisato che la sua domanda era da intendersi formulata ai sensi della L.F., articolo 67, comma 2", quindi doveva ritenersi nuova, come tale inammissibile, la domanda fatta valere invocando la sproporzione delle prestazioni, percio' riferita al primo comma di detta norma;

b) escludeva che il Fallimento avesse provato la scientia decoctionis degli Acquirenti, ritenendo irrilevanti l'esistenza di procedure esecutive e protesti in danno del Ra., in quanto: i testimoni avevano "dimostrato che gli acquirenti non avevano mai saputo che il vero proprietario dell'immobile era il Ra., avendo sempre contrattato con colui che si era dichiarato tale, Pi. Gi., con cui avevano stipulato il preliminare (...) e al quale ne avevano pagato l'intero prezzo"; soltanto in occasione della stipula del contratto di compravendita gli Acquirenti avevano saputo che Ra. era il proprietario dell'immobile; non era possibile "pretendere nei convenuti la diligenza di consultare, vivendo a (OMESSO), le pandette, per verificare la situazione patrimoniale, in (OMESSO) e provincia, di Ra.Gi. "; l'affermazione degli Acquirenti in occasione della stipula del contratto definitivo, allorche' appresero chi fosse il vero proprietario della villetta, poteva essere interpretata come "sfogo preoccupato di chi, all'improvviso, apprende novita' gravi sulla titolarita' della proprieta' di qualcosa sostanzialmente gia' acquistata, pagata e goduta, senza tempo per riflettere, e fondatamente timorosa di perdere il denaro (...) per effetto della rivelazione" e, quindi, non aveva "valore indiziario serio" a conforto della tesi del fallimento.

3.- Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso il Fallimento, affidato a tre motivi, illustrati con memoria; hanno resistito con controricorso gli acquirenti, che hanno altresi' proposto ricorso incidentale condizionato articolato in un motivo, depositando, fuori termine, memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- I ricorsi, principale ed incidentale, avendo ad oggetto la stessa sentenza, devono essere riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia (articolo 335 c.p.c.).

2.- Il ricorrente principale, con il primo motivo, denuncia violazione degli articoli 112 e 306 c.p.c., e "dei principi in forza dei quali la rinuncia all'azione deve essere fatta dalla parte personalmente", nonche' omessa motivazione (articolo 360 c.p.c., n. 5).

A suo avviso, la Corte territoriale erroneamente non ha deciso la domanda di revoca L.F., ex articolo 67, comma 1, n. 1, in quanto non e' possibile "fondatamente sostenere (...) che, avanti il Tribunale, il difensore del fallimento avrebbe precisato che la domanda proposta era quella" formulata ai sensi del secondo comma di detta norma. In ogni caso, siffatta precisazione configurerebbe una rinuncia alla domanda e, se la rinuncia agli atti del giudizio deve essere effettuata dalla parte personalmente, a fortiori cio' deve ritenersi per la rinuncia all'azione. D'altronde, nel giudizio di primo grado era stata chiesta ed assunta c.t.u. sul valore dell'immobile, evidentemente in correlazione alla domanda proposta ai sensi della L.F., articolo 67, comma 1, ed anche in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado tale azione era stata richiamata, sicche' sarebbe "evidente la omissione di motivazione circa un punto decisivo della controversia".

2.1.- Il motivo e' infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la rinuncia alla domanda o ai suoi singoli capi, qualora si atteggi come espressione della facolta' della parte di modificare, ai sensi dell'articolo 184 c.p.c., le domande e le conclusioni precedentemente formulate, rientra fra i poteri del difensore, il quale, in tal modo, esercita la discrezionalita' tecnica che gli compete nell'impostazione della lite e che lo abilita a scegliere, in relazione anche agli sviluppi della causa, la condotta processuale da lui ritenuta piu' rispondente agli interessi del proprio rappresentato, quindi va distinta dalla rinunzia agli atti del giudizio, che puo' essere fatta solo dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale, nelle forme previste dall'articolo 306 c.p.c., e non produce effetto senza l'accettazione della controparte (Cass. n. 1439 del 2002; n. 3734 del 1998; n. 2572 del 1998).

Inoltre, qualora il difensore della parte, comparso all'udienza di precisazione delle conclusioni, abbia precisato le proprie in modo specifico, le domande e le eccezioni non riproposte, ove non si riconnettano strettamente con altre specificatamente riproposte - come accade nella specie, configurando le diverse previsioni contenute nei due commi dell'articolo 67, L.F., ipotesi differenti di revoca (Cass. n. 1079 del 2004) -, ovvero dalla condotta processuale della parte non risulti che questa abbia voluto tenerle ferme, devono presumersi abbandonate o rinunciate, cio' che, per quanto sopra precisato, rientra appunto nei poteri del difensore (Cass. n. 14964 del 2006; n. 1281 del 2003; n. 140 del 2002). Siffatta presunzione si fonda su un'interpretazione della volonta', riservata all'apprezzamento del giudice del merito, censurabile in questa sede esclusivamente per vizio di motivazione (Cass. n. 1281 del 2003; 26 ottobre 1994 n. 8784).

Nel quadro di questi principi, che vanno qui ribaditi, non avendo il Fallimento esposto ragioni che ne giustifichino la rimeditazione, occorre premettere che la sentenza ha affermato che "va anzitutto precisato che, avendo all'udienza del 23 maggio 1994 il procuratore costituito precisato che la sua domanda era da intendersi formulata ai sensi della L.F., articolo 67, comma 1", le deduzioni svolte sul punto con l'atto di appello dovevano ritenersi "domanda nuova". Pertanto, risulta palese che la Corte territoriale ha evidentemente ritenuto che la specificita' delle conclusioni rassegnate doveva essere interpretata come abbandono della domanda che, per quanto sopra puntualizzato rientrava nei poteri del difensore, con conseguente infondatezza della tesi del ricorrente.

La conclusione affermata dalla pronuncia impugnata era quindi denunciabile, come pure sopra e' stato sottolineato, esclusivamente per vizio della motivazione che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, richiede che il ricorrente offra la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicita' consistenti nell'attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l'indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioe' connotati dall'assoluta incompatibilita' razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento svolto dal Giudice del merito, quale risulta dalla sentenza (Cass. n. 20455 del 2006; n. 7846 del 2006; n. 18134 del 2004). Resta dunque escluso che con il vizio in esame la parte possa far valere il contrasto della ricostruzione con quella operata dal giudice del merito, non potendosi risolvere la doglianza in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate (Cass. n. 15096 del 2005; n. 996 del 2003; n. 3904 del 2000), occorrendo indicare, nell'osservanza del principio dell'autosufficienza, i brani degli atti difensivi, ovvero delle deduzioni svolte nel giudizio, che permettono di accertare le carenze, ovvero le incongruenze ed incoerenze logiche della motivazione.

Il Fallimento, non osservando detti principi, si e' invece limitato a prospettare che non "potevasi fondatamente sostenere, in contrario, che, avanti il tribunale, il difensore del fallimento avrebbe precisato che la domanda proposta era quella imperniata sulla disposizione della L.F., articolo 67, comma 2", con doglianza manifestamente inammissibile, siccome risolventesi in una assertiva deduzione dell'erroneita' dell'interpretazione e nella mera contrapposizione della sua esegesi rispetto a quella offerta dal Giudice del merito.

3.- Il Fallimento, con il secondo motivo, denuncia violazione della L.F., articolo 67, comma 2, e dei principi che governano la conoscibilita' dell'insolvenza.

A suo avviso, nella specie "era almeno conoscibile - e certamente conosciuto - dagli acquirenti che il villino" era di proprieta' del Ra., quindi, la scientia decoctionis era da ritenersi provata sulla scorta dei protesti e delle procedure esecutive a carico di questi. La conoscibilita' dell'insolvenza doveva, infatti, concernere "sia il reale proprietario sia le condizioni economico-finanziarie" del medesimo.

Con il terzo motivo, e' denunciata omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia (articolo 360 c.p.c., n. 5), in quanto la Corte territoriale non ha considerato che gli Acquirenti, dopo la stipula del contratto preliminare, erano stati immessi nel possesso dell'immobile, abitandovi per tre anni (dal 1988 al 1991) e che il villino confinava con altra proprieta' del Ra.. Pertanto, "non puo' credersi che le odierne controparti avessero ignorato chi fosse il reale proprietario".

Inoltre, in appello gli Acquirenti avevano dichiarato di avere pagato il prezzo al Ra., ma "su tale riconoscimento e' stata omessa ogni motivazione" e neppure e' stata presa in esame l'istanza di ammissione dell'interrogatorio che avrebbe potuto chiarire chi aveva ricevuto il pagamento del prezzo.

3.1.- I motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto logicamente e giuridicamente connessi, sono fondati entro i limiti precisati di seguito.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla quale va data continuita', la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore da parte del creditore, della cui dimostrazione e' onerata la curatela ai sensi della L.F., articolo 67, comma 2, deve essere effettiva, non potenziale, e, tuttavia, puo' essere provata anche attraverso indizi aventi i requisiti della gravita', precisione e concordanza, quindi fondata su elementi di fatto attinenti alla conoscibilita' dello stato di insolvenza, purche' idonei a fornire la prova per presunzioni della conoscenza effettiva. La relativa dimostrazione puo' dunque anche essere indiretta, e cioe' offerta mediante la logica concatenazione di circostanze che, in base al criterio di normalita', assunto a parametro di valutazione, consente appunto la prova presuntiva della scientia decoctionis (per tutte, Cass. n. 10208 del 2007; n. 26935 del 2006; 10800 del 2006; n. 19894 del 2005; n. 13646 del 2004). Questa prova si caratterizza per un intreccio tra il profilo oggettivo della insolvenza ed il profilo soggettivo della sua conoscenza e, non essendo possibile una prova diretta degli stati soggettivi, e' imprescindibile fare riferimento, mediante lo strumento delle presunzioni, alla esistenza di segni esteriori dell'insolvenza ed alla loro conoscibilita' da parte del convenuto in revocatoria avendo riguardo al parametro astratto del soggetto di ordinaria prudenza ed avvedutezza (Cass. n. 17214 del 2004), accompagnandosi a tale necessita', "quale portato dello strumento utilizzato, l'irrilevanza di tutte le manifestazioni di ingenuita', di sprovvedutezza, di soggettivi errori di percezione attraverso le quali il terzo volesse accreditare, contro ogni ragionevole valutazione delle circostanze e contro ogni evidenza di segno contrario, una condizione di buona fede" (Cass. n. 1719 del 2001). Peraltro, occorre qui ribadire che se, da un canto, nello schema della presunzione non esiste un presunto dovere di conoscere, dall'altro, questo schema permette di valorizzare "regole di esperienze storicamente accertate, e quindi pratiche individuali o collettive realmente seguite in determinati contesti", consentendo di desumere la conoscenza in presenza di "concreti collegamenti" tra i sintomi di conoscenza dell'insolvenza ed il terzo (Cass. n. 26935 del 2006; n. 13646 del 2004; n. 1719 del 2001; n. 3524 del 2000).

Nel caso in cui siano stipulati prima un contratto preliminare di compravendita, poi il contratto definitivo, l'accertamento degli elementi e dei presupposti dell'azione revocatoria fallimentare, anche in riferimento alla conoscenza dell'insolvenza, secondo l'orientamento di questa Corte al quale va data continuita', deve essere compiuto con riguardo al secondo, quale negozio in virtu' del quale si verifica il trasferimento definitivo del diritto di proprieta', non anche al contratto preliminare di vendita (Cass. n. 2967 del 1993; n. 3165 del 1994; n. 500 del 1992; n. 11798 del 1991; n. 264 del 1981). Infatti, e' con il contratto definitivo che il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia della massa dei creditori, integrando cosi' la fattispecie normativa in esame. D'altronde, neppure puo' sostenersi che il contratto preliminare renda dovuta, alle condizioni in precedenza stabilite, la disposizione patrimoniale, in quanto la disciplina dell'articolo 1461 c.c., e' applicabile al contratto preliminare e comprende anche il pericolo di vicende ablatorie connesse al dissesto della controparte, sicche' il promissario ha facolta' di non stipulare il contratto definitivo, qualora al momento della stipulazione sussista pericolo di revoca dell'acquisto per la sopravvenuta insolvenza del promittente venditore (Cass. n. 3165 del 1994).

Nella specie, e' incontroverso che il Fallimento ha appunto chiesto la dichiarazione di inefficacia del contratto definitivo. Inoltre, con i mezzi in esame, il ricorrente ha dedotto che era "almeno conoscibile - e certamente conosciuto - dagli acquirenti che il villino oggetto del contratto fosse di proprieta' del Ra. Gi. " e, quindi, "in base ai protesti ed alle esecuzioni mobiliari ed immobiliari era conoscibile" lo stato di insolvenza di "quest'ultimo, come venditore del villino" e la "conoscibilita' riguardava sia il reale proprietario sia le condizioni economico finanziarie" di questi.

Pertanto, poiche' le doglianze in esame concernono appunto l'erronea valutazione dei presupposti della domanda in riferimento ad un soggetto, e ad un atto, diverso da quello oggetto della domanda di revoca, risulta palese, alla luce dei succitati principi, che la sentenza non e' immune dalle censure svolte dal Fallimento in quanto la motivazione, in violazione dei principi sopra enunciati, e' completamente incentrata nel riferire la conoscibilita' dell'insolvenza alla situazione in cui versava il promittente venditore - il quale non era proprietario del bene - e, erroneamente, non ha motivato, in modo logico e coerente, in ordine alla sussistenza dei presupposti dell'azione con riferimento al contratto definitivo, stipulato con il Ra..

La Corte territoriale era chiamata appunto ad accertare se fosse conoscibile da parte degli acquirenti l'insolvenza non gia' del promittente venditore (e cio' indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla compatibilita' del convincimento avuto dai controricorrenti alla data del preliminare in ordine al reale proprietario con le regole di ordinaria diligenza, tenuto conto del sistema di pubblicita' immobiliare), bensi' di colui con il quale avevano stipulato il contratto definitivo (e cioe' il proprietario ed alienante, Ra.Gi.) alla data della sottoscrizione del medesimo, essendo questo l'atto da revocare. D'altronde, essi, ovviamente, avevano avuto contezza di avere stipulato il contratto di compravendita con il Ra. e che questi era l'alienante, sottolineando la stessa sentenza che avevano avuto uno "sfogo preoccupato", allorche' avevano appreso "novita' gravi sulla titolarita' della proprieta'" dell'immobile.

In conseguenza dell'accoglimento del profilo preliminare delle censure, resta assorbito il profilo concernente la mancata ammissione dell'interrogatorio formale.

4.- Gli Acquirenti, con l'unico motivo del ricorso incidentale condizionato, denunciano violazione o falsa applicazione dei principi in tema di legittimazione processuale, violazione e falsa applicazione degli articoli 1478, 1479 c.c., e L.F., articolo 67, (articolo 360 c.p.c., n. 3), deducendo che il promittente venditore aveva taciuto di non essere proprietario del villino.

A loro avviso, "quando il promittente alienante di cosa altrui si intende col vero proprietario per fargli trasferire direttamente il suo bene al promissario, adempie alla propria obbligazione, ma cio' non instaura un rapporto contrattuale tra promissario (acquirente) e vero proprietario", in virtu' di un principio che sarebbe stato in tal senso affermato da Cass. n. 15035 del 2001, di cui riportano alcuni brani.

Pertanto, nella specie non sarebbe stato stipulato alcun negozio tra il fallito e gli Acquirenti, che quindi non erano passivamente legittimati nel presente giudizio e di tanto sarebbe stato consapevole il Fallimento che, infatti, aveva dedotto che essi nulla avevano dato al Ra..

Sotto un diverso profilo, l'azione revocatoria sarebbe inammissibile, in quanto aveva ad oggetto un negozio mai stipulato e, comunque, essi ricorrenti sarebbero "subacquirenti", quindi, l'atto sarebbe stato revocabile soltanto provando che avevano acquistato l'immobile in mala fede, e cioe' nella consapevolezza dell'illecito intercorso tra il promittente venditore ed il proprietario dell'immobile.

4.1.- Il motivo e' infondato.

Le Sezioni Unite, componendo un contrasto sorto nella giurisprudenza di questa Corte in ordine alla modalita' di adempimento dell'obbligazione assunta dal promittente venditore di una cosa altrui, hanno enunciato il principio secondo il quale il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, puo' adempiere la propria obbligazione non solo acquistando il bene e ritrasferendolo al promittente acquirente, ma anche "procurando il trasferimento del bene direttamente dall'effettivo proprietario, senza necessita' di un doppio trapasso". Inoltre, hanno chiarito che all'affermazione del principio non osta la circostanza che l'identita' del venditore non e' indifferente per il compratore, dato che questi non risulta meno tutelato, relativamente all'evizione e ai vizi, tenuto conto che "la giurisprudenza si e' orientata nel senso che la conclusione del definitivo, per tali profili, non assorbe ne' esaurisce gli effetti del preliminare, il quale continua a regolare i rapporti tra le parti, sicche' il promittente alienante resta responsabile per le garanzie di cui si tratta" (Cass. S.U. n. 11624 del 2005, richiamando sul punto Cass. n. 15035 del 2001 che, a sua volta, si rifaceva a Cass. n. 1052 del 1986, entrambe citate dai ricorrenti incidentali).

La peculiarita' della fattispecie va colta quindi nella circostanza, gia' affermata dall'orientamento richiamato dai ricorrenti incidentali, che la scelta per questa modalita' di adempimento non libera il promittente venditore di cosa altrui dalla succitata responsabilita'. Tuttavia cio' non significa affatto, come sostengono gli istanti, che il vero proprietario non assuma alcun obbligo e non abbia alcun rapporto con il compratore, dato che con l'affermazione estrapolata dagli Acquirenti dalla sentenza n. 15035 del 2001, questa pronuncia ha in realta' precisato, condivisibilmente, che, qualora il proprietario non aderisca al preliminare, ovviamente, egli "non assume alcun obbligo diretto nei confronti del promittente acquirente", non gia' che non sussista alcun rapporto tra questi ed il promittente acquirente, qualora sia stipulato il contratto definitivo.

Pertanto, il richiamo alle modalita' con le quali, nel caso di preliminare di vendita di cosa altrui, il promittente acquirente puo' adempiere la propria obbligazione e' inconferente e, qualora sia scelta quella consistente nel trasferimento diretto del bene dal proprietario (che non era promittente venditore) al promittente acquirente, parti del contratto di compravendita sono appunto queste ultime - salva la responsabilita' del promittente venditore, nei termini e nei limiti sopra precisati - ed il titolo traslativo della proprieta' e' costituito appunto da questo contratto, che determina il trasferimento diretto del bene dal primo al secondo.

Ne consegue che e' priva di pregio la deduzione di inammissibilita' dell'azione revocatoria, in quanto avrebbe avuto ad oggetto un "negozio mai intercorso", essendo vero invece che l'unico atto produttivo dell'effetto traslativo, suscettibile di revoca, era appunto quello stipulato tra Ra.Gi. ed i ricorrenti incidentali, i quali neppure avevano la veste di subacquirenti.

5.- In conclusione, il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno rigettati; il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale vanno accolti e l'impugnata sentenza cassata, entro i limiti e nei termini sopra indicati, e la causa rinviata alla Corte d'appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto che, in diversa composizione, procedera' al riesame della controversia, attenendosi ai principi sopra enunciati, provvedendo anche sulle spese di questa fase (articolo 385 c.p.c., comma 3).

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale, accoglie i restanti due motivi del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, anche per le spese di questa fase.

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