In tema di class action, non si può ritenere che nel sistema fallimentare il curatore sia titolare di un potere di rappresentanza di tutti i creditori, indistinto e generalizzato

In tema di class action, non si può ritenere che nel sistema fallimentare il curatore sia titolare di un potere di rappresentanza di tutti i creditori, indistinto e generalizzato. Il sistema piuttosto prevede che la funzione del curatore sia diretta a conservare il patrimonio del debitore, garanzia del diritto del creditore, attraverso l’esercizio delle così dette azioni di massa, dirette ad ottenere, nell’interesse del creditore, la ricostituzione del patrimonio predetto, come avviene per l’appunto attraverso l’esercizio delle azioni revocatorie e surrogatorie, cui si possono aggiungere le azioni sociali di responsabilità per i danni arrecati indistintamente dall’amministratore alla società o ai creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (artt. 2393 e 2394 c.c., richiamati dall’art. 146 L. Fall.). Tale principio peraltro non è assoluto, ma va armonizzato con quello secondo il quale siffatta legittimazione ad agire, sostitutiva dei singoli creditori, non sussiste in presenza di azioni esercitabili individualmente in quanto dirette ad ottenere un vantaggio esclusivo e diretto del creditore nei confronti di soggetti diversi dal fallito (come avviene, ad esempio, mediante le azioni di cui agli artt. 2395 e 2449 c.c.). L’azione di massa è caratterizzata dal carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del suo esito positivo e, nell’immediato, perviene all’effetto di aumentare la massa attiva, quali che possano essere i limiti quantitativi entro i quali i creditori se ne avvantaggeranno, con ciò tendendo direttamente alla reintegrazione del patrimonio del debitore, inteso come sua garanzia generica, a prescindere da come esso sarà suddiviso attraverso il riparto. Non appartiene a tale novero di azioni ogni pretesa che richiede l’accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad uno o più creditori, né vi appartiene ogni azione che, per quanto diffusa possa essere una specifica pretesa, necessita pur sempre dell’esame di specifici rapporti e del loro svolgimento, non essendo sufficiente ad assicurarne l’eventuale beneficio la mera appartenenza ad un ceto.

Documento Massime e integrali Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 9 ottobre 2013, n. 22925



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo - Presidente

Dott. BERNABAI Renato - Consigliere

Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere

Dott. SCALDAFERRI Andrea - Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22405/2010 proposto da:

(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso e alla memoria;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

contro

(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

- intimati -

Nonche' da:

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

- controricorrenti e ricorrenti incidentali -

contro

(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso al ricorso incidentale;

- controricorrente al ricorso incidentale -

contro

(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

- intimati -

Nonche' da:

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) SOC. COOP. A R.L., in persona del Curatore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), nella qualita' di erede di (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso al ricorso incidentale;

- controricorrente al ricorso incidentale -

e contro

(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

- intimati -

avverso la sentenza n. 496/2010 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 08/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/07/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

udito, per il ricorrente principale, l'Avvocato MASSIMO FILIPPO MARZI che ha chiesto l'accoglimento del proprio ricorso;

udito, per i controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), l'Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali Ministeri, l'Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l'accoglimento del proprio ricorso;

udito, per il controricorrente al ricorso incidentale (OMISSIS), l'Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;

uditi, per il controricorrente e ricorrente incidentale Fallimento, gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) (con delega) che hanno chiesto l'accoglimento del proprio ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale ed il rigetto dei ricorsi incidentali.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 36251/2002, condanno' il Ministero del lavoro al risarcimento dei danni subiti da numerosi soci della (OMISSIS) a r.l. cui essi avevano affidato negli anni 1994-1996 la gestione di ingenti somme di denaro nella prospettiva, frustrata a seguito del fallimento della stessa, di ottenere un elevato rendimento, avendo il Ministero omesso di esercitare i poteri ispettivi e di vigilanza attribuitigli dalla legge che, se posti in essere, avrebbero evidenziato le violazioni commesse dalla Cooperativa nell'espletamento dell'attivita' e consentito agli ignari soci di evitare l'investimento compiuto. Il tribunale rigetto' la domanda risarcitoria di (OMISSIS) ritenendola sfornita di prova.

2.- La sentenza veniva appellata dai Ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico (subentrato al primo nelle funzioni di vigilanza sulle cooperative) e dal (OMISSIS). I Ministeri deducevano che gli attori non avevano indicato le circostanze che avrebbero dovuto indurre gli organi ispettivi del Ministero ad effettuare le ispezioni e ad adottare provvedimenti repressivi nei confronti della (OMISSIS); che non vi era prova che un'ispezione in quel periodo avrebbe potuto fare emergere irregolarita' nell'attivita' della societa', la quale era in regola con il pagamento dei contributi e la presentazione dei bilanci, tranne quello relativo al 1995; che il potere ispettivo previsto dal Decreto Legislativo n. 1577 del 1947, non costituiva un obbligo ma solo una facolta' di cui il Ministero poteva avvalersi compatibilmente con le scarse risorse umane a propria disposizione e, comunque, fino al 1996 non erano giunte segnalazioni di irregolarita' che avrebbero potuto indurre a compiere un'ispezione straordinaria; che il potere ispettivo non si estendeva alla valutazione della convenienza delle operazioni economiche compiute dalla cooperativa e non avrebbe potuto impedirle di proseguire nella sua attivita' e nella partecipazione, non vietata, nelle societa' (OMISSIS) e (OMISSIS); male aveva fatto il tribunale a colmare le carenza probatorie della domanda mediante l'espletamento di una c.t.u. esplorativa, le cui conclusioni erano criticabili quanto all'affermazione che le ispezioni, se compiute, avrebbero consentito di fare emergere irregolarita' che avrebbero dato luogo al commissariamento della cooperativa, cosi' evitando o interrompendo le iniziative di investimento dannose per i soci, dal momento che quelle irregolarita', ad avviso degli appellanti, sarebbero state sanabili e avrebbero indotto lo stesso Ministero a rivolgere alla cooperativa, al piu', una diffida ad eliminarle, senza provocare la nomina di un commissario governativo; in definitiva, dal mancato svolgimento delle ispezioni non poteva desumersi la colpa del Ministero, ne' la lesione di un diritto soggettivo su cui i soci potevano fondare una pretesa risarcitoria per responsabilita' extracontrattuale. Nel giudizio di appello interveniva il Fallimento (OMISSIS) che deduceva di essere l'unico soggetto legittimato ad agire per il risarcimento dei danni conseguenti al dissesto della (OMISSIS).

3.- La Corte di appello di Roma, con sentenza 8 febbraio 2010 n. 496, ha dichiarato inammissibile l'intervento in appello del Fallimento (OMISSIS) e rigettato gli appelli del Ministero del Lavoro e dello Sviluppo economico e del (OMISSIS).

Il Ministero del lavoro, ad avviso della corte, aveva l'obbligo di compiere ispezioni ordinarie "almeno una volta ogni due anni" e straordinarie "ogni volta che se ne presenti l'opportunita'" (Decreto Legislativo n. 1577 del 1947, articolo 2) e/o con cadenza annuale (articolo 15 della legge n. 59/1992), anche tramite indagini penetranti sul regolare svolgimento dell'attivita' della cooperativa, ne' il suo comportamento omissivo poteva essere giustificato per la penuria di organico del personale ispettivo a disposizione dell'Amministrazione; vi erano tutte le condizioni (tenuto conto del numero dei soci, della notevole articolazione territoriale della societa', della delicatezza dell'attivita' svolta di concessione di finanziamenti ai soci e del mancato deposito del bilancio al 31 dicembre 1988, anche alla luce delle indicazioni della circolare min. 4 marzo 1997 n. 505) che avrebbero dovuto indurre il Ministero a compiere le ispezioni; se queste fosse state compiute tempestivamente, sarebbero emerse le gravi e molteplici irregolarita' compiute dalla (OMISSIS), che esercitava abusivamente l'attivita' bancaria e finanziaria, e sarebbe stato "probabile in sommo grado" il suo commissariamento e, comunque, anche solo una semplice diffida avrebbe creato una situazione di allarme tra i potenziali soci che li avrebbe resi consapevoli, inducendoli ad astenersi dagli improvvidi investimenti di denaro; poiche' per aderire alla cooperativa si chiedeva null'altro che il pagamento di una modesta quota sociale, al fine di ottenere interessi elevati sulle somme depositate su libretti vincolati, era stato accertato che l'attivita' impropriamente svolta dalla cooperativa era di raccolta del risparmio presso il pubblico, in violazione dello statuto e della legge.

La corte ha condiviso le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio la quale aveva accertato operazioni di finanziamento senza idonee garanzie e di "pronto contro termine" (attivita' questa di offerta al pubblico di valori mobiliari, in mancanza delle condizioni previste dalla Legge n. 77 del 1983, articolo 12, e dal Decreto Legislativo n. 1 del 1991, articolo 1, lettera f), e senza disponibilita' dei titoli; raccolto, di ingenti somme (di oltre quindici miliardi di lire) per finanziamenti ad amministratori, sindaci e loro congiunti (tra i quali l'amministratore delegato (OMISSIS) e sua moglie (OMISSIS)) in violazione dell'articolo 2624 c.c.; perdite superiori al capitale sociale; mancata certificazione dei bilanci, ecc. In sostanza, ove il Ministero avesse esercitato la vigilanza cui era tenuto per legge nel periodo di attivita' della cooperativa (costituita nel 1988), avrebbe accertato le irregolarita' e, quindi, avrebbe potuto prevedere e prevenire la situazione di insolvenza in cui essa si sarebbe venuta a trovare, con la conseguenza che le perdite dei risparmi da parte degli investitori avrebbero potuto verosimilmente essere evitate. La corte ha poi condiviso il giudizio del tribunale di infondatezza della domanda del (OMISSIS) per carenza probatoria.

4.- Per la cassazione di questa sentenza ricorre il (OMISSIS) con tre motivi. I Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dello Sviluppo economico e il Fallimento (OMISSIS) resistono con controricorsi e propongono ricorsi incidentali, cui resistono (OMISSIS) e (OMISSIS) e (al ricorso del Fallimento) (OMISSIS), erede di (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Va esaminato il ricorso incidentale dei Ministeri che e' prioritario nell'ordine logico.

Nel primo motivo i Ministeri addebitano alla sentenza impugnata insufficienza motivazionale e numerose violazioni di legge in relazione a due profili, entrambi infondati.

1.1. Premesso che, al riscontro di gravi irregolarita' in sede ispettiva deve fare seguito necessariamente una diffida alla cooperativa perche' le elimini entro un dato termine (Decreto Legislativo n. 1577 del 1947, articolo 11), solo scaduto il quale e' possibile disporre la gestione commissariale, si contesta il convincimento espresso dai giudici di merito circa la inefficacia della diffida (al fine di eliminare le irregolarita' riscontrate) e, quindi, la irrilevanza della sua mancanza. Secondo i Ministeri ricorrenti, invece, la cooperativa se diffidata avrebbe potuto provvedere alla sua regolarizzazione formale e, in sostanza, proseguire nell'attivita', cosi' evitando quel commissariamento che avrebbe dovuto essere disposto se vi fossero state le ispezioni e che (secondo gli attori) avrebbe consentito a sua volta di evitare il dissesto.

1.1.1.- L'assunto, prima che infondato, e' poco intellegibile. Infatti, se la diffida avrebbe potuto essere efficace perche' avrebbe consentito di regolarizzare la societa' evitando il commissariamento, allora quella diffida sarebbe stata utile al fine di evitare la perdita degli investimenti da parte dei soci e il non averla fatta resta imputabile all'Amministrazione, in quanto responsabile delle omesse ispezioni che avevano impedito la diffida. Se invece questa non avrebbe comunque impedito alla societa' di continuare ad operare irregolarmente (perche' regolarizzata solo formalmente), allora si finisce per dare ragione alla corte di appello quando ha osservato che, data la gravita' e molteplicita' delle irregolarita', la strada del commissariamento restava l'unica possibile per evitare l'evento dannoso, ma non era stata percorsa per mancanza delle ispezioni. E comunque, poiche' la diffida va adottata solo quando sia "utile" a dar modo alla cooperativa di attuare le misure idonee a sanare le irregolarita' riscontrate (v. Cons. Stato, sez. 6, n. 118 e 166/1981), la dedotta violazione di legge non sussiste e il problema della rilevanza della sua mancanza (ai fini dell'eventuale interruzione del nesso di causalita' tra le mancate ispezioni e l'evento dannoso) si traduce in una critica della motivazione che e', invece, immune da vizi logici.

La corte di merito ha ulteriormente osservato che la diffida avrebbe comunque prodotto una vasta eco nella citta' di (OMISSIS) dove aveva sede la societa' e messo in allarme i potenziali soci che avrebbero evitato (o cessato) di versare somme alla societa'. E' questa una motivazione congrua e immune da vizi logici, non essendo condivisibile la critica basata sul fatto che l'ispettore "e' tenuto al segreto d'ufficio" durante il compimento delle indagini (Decreto Legislativo n. 1577 del 1947, articolo 10), non essendo prevista la segretezza dei risultati di quelle indagini e, in particolare, dei provvedimenti sanzionatori che avrebbero potuto essere emessi.

1.2.- Si imputa inoltre ai giudici di merito di avere sopravvalutato la rilevanza di talune riscontrate irregolarita', le quali o non avrebbero potuto essere riscontrate in sede ispettiva (i finanziamenti ai soci amministratori) o non avrebbero potuto esserlo in tempo utile (la mancata certificazione dei bilanci) o avrebbero potuto essere sanate previa diffida o invito alla regolarizzazione (ci si riferisce ai contratti "pronto termine senza la disponibilita' dei titoli", alla ricostituzione del capitale sociale e alla mancata certificazione dei bilanci). Essi inoltre non avrebbero considerato che la causa del dissesto era stata l'acquisizione di partecipazioni in societa' in stato di decozione come (OMISSIS) e (OMISSIS), circostanza questa priva di collegamento causale con le irregolarita' che potevano emergere in sede ispettiva e costituente un fatto imprevedibile idoneo ad interrompere il nesso causale tra le mancate ispezioni e il default.

1.2.1.- Si prospetta in tal modo una valutazione delle questioni di fatto o di diritto in senso difforme da quella operata dai giudici di merito, senza l'indicazione di affermazioni in diritto che si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie ne' lo svolgimento di argomentate critiche alla completezza e logicita' della motivazione, ma proponendo un preteso migliore e piu' appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti che si risolve, pero', in una inammissibile istanza di revisione di quella valutazione. La critica riguardante la possibilita' che le ispezioni, se pure fossero state compiute, non avrebbero potuto evitare il dissesto provocato dall'acquisizione di partecipazioni in societa' decotte, travisa la ratio decisoria della sentenza impugnata, secondo la quale quelle ispezioni, se fatte tempestivamente, avrebbero impedito in radice alla societa' di operare (essendone prevista la cancellazione in caso di gravi irregolarita': Decreto Legislativo n. 1577 del 1947, articolo 11) e, quindi, agli investitori di entrare in contatto con quella societa', la quale, pur apparendo come cooperativa, agiva in via di fatto come una banca o un intermediario finanziario, cosi' evitando gli investimenti compiuti, ben prima del dissesto (avvenuto, tra l'altro, secondo i controricorrenti, gia' nel 1993).

2.- Nel secondo motivo i Ministeri ritengono che i giudici di merito abbiano errato nell'interpretazione delle norme di legge sul nesso di causalita' e di quelle che disciplinano i poteri di controllo dei soci (articoli 2408 e 2422 c.c.), avendo escluso l'imputabilita' di una parte del danno agli stessi soci per non avere attivato gli strumenti di controllo sulla gestione sociale (mediante ispezione dei libri sociali, denuncia al collegio sindacale, impugnazione delle delibere ecc.) che avrebbero consentito di fare emergere le irregolarita' ed evitare il dissesto.

2.1.- Il motivo e' infondato. I poteri di controllo sulla gestione sociale costituiscono strumento di attuazione di un diritto attribuito ai soci, ma cio' non toglie che, da un lato, il controllo sulla "gestione sociale" e' affidato al collegio sindacale (v. Cass. pen. n. 7527/1997) e, dall'altro, la vigilanza compete agli enti istituzionali, non essendo attribuibile ai soci che ne sono vittime la responsabilita' per le conseguenze dannose causate da chi quella vigilanza ha omesso di esercitare. La corte territoriale, con motivazione congrua e incensurata, ha anche ritenuto che la perdurante mancanza di rilievi da parte degli organi pubblici di controllo nei confronti della cooperativa ingenerava, agli occhi non professionali di possibili soci aderenti, un alone di affidabilita' e una ragionevole presunzione di legittimita' della sua attivita', con conseguente esclusione di un concorso dei soci nella responsabilita' dell'Amministrazione pubblica.

3.- Nel terzo motivo i Ministeri addebitano alla sentenza impugnata l'omessa pronuncia sul motivo di appello con cui l'Amministrazione aveva dedotto che la domanda risarcitoria era infondata per mancata prova dell'esistenza del danno (si assume che non vi sarebbe prova che dal fallimento gli attori non abbiano ricevuto alcun rimborso).

3.1.- Il motivo e' inammissibile: la corte di merito ha deciso su quel motivo di appello rigettandolo e l'assunta erroneita' della decisione non e' censurabile ex articolo 112 c.p.c., e articolo 360 c.p.c., n. 4. Esso inoltre e' privo di specificita', poiche' non specifica se e da quale atto processuale risulti che rimborsi vi siano effettivamente stati e per quali importi.

4.- Venendo all'esame del ricorso incidentale del Fallimento (OMISSIS), e' contestata la ritenuta inammissibilita' del suo intervento in appello per mancanza delle condizioni di cui all'articolo 344 c.p.c., non essendo - ad avviso della corte territoriale l'accoglimento della domanda risarcitoria dei singoli soci danneggiati incompatibile con quella azionata dal Fallimento per la condanna dei Ministeri al risarcimento dei danni causati dall'omessa vigilanza sulla cooperativa in misura pari alla differenza tra l'attivo e il passivo fallimentare (domanda quest'ultima proposta in altro giudizio definito con sentenza del Tribunale di Roma n. 10422 del 2007, confermata in appello).

Il Fallimento censura la sentenza impugnata che ha dichiarato l'inammissibilita' del suo intervento in appello, mediante due motivi, deducendo di essere l'unico soggetto legittimato ad agire per il risarcimento dei danni conseguenti al dissesto della (OMISSIS), ivi compresi quelli subiti individualmente dai soci-creditori, la cui azione sarebbe sostanzialmente "di massa", sia per il carattere indistinto dei possibili beneficiari del suo esito, sia per la diretta ed esclusiva finalita' di reintegrare il patrimonio da attribuire ai creditori attraverso il successivo riparto.

Nel primo motivo il Fallimento assume la violazione degli articoli 105 e 267 c.p.c., in relazione all'articolo 81 c.p.c., L.F., articoli 51, 52, 64, 71, 92 e 146, e insufficienza e contraddittorieta' della motivazione.

Infondata sarebbe la tesi della corte di merito circa la legittimazione parallela dei singoli soci-creditori e della curatela, poiche' quest'ultima, rappresentando l'intera massa dei creditori della societa' fallita, sarebbe l'unico soggetto legittimato a tutelare l'interesse di tutti i creditori, assicurando un'equa ripartizione dell'attivo. Pertanto, il suo intervento in appello sarebbe "ammissibile e rilevante ai fini del decidere, in quanto astrattamente idoneo a provocare una pronuncia di difetto di legittimazione ad agire degli attori, la quale potrebbe essere resa anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo".

Il secondo motivo, nel quale si censura la sentenza impugnata per violazione di legge e insufficienza e contraddittorieta' della motivazione, e' corredato da un quesito diretto a dichiarare che "nel caso in cui una societa' cooperativa fallisca o sia in stato di dissesto a causa dell'illegittima gestione dei propri amministratori, e il danno conseguente sia ascrivibile sia a questi ultimi sia al Ministero che aveva l'obbligo di vigilare sulla societa' e nonostante cio' ha omesso ogni forma di controllo contribuendo in tal modo a provocare il pregiudizio, la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno, sia nei confronti degli amministratori sia verso il Ministero, spetta in via esclusiva alla Curatela del fallimento".

4.1.- Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

Com' e' noto, a norma dell'articolo 344 c.p.c., nel giudizio di appello e' ammesso soltanto l'intervento del terzo che sarebbe legittimato all'opposizione di cui all'articolo 404 c.p.c., in quanto titolare di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica accertata o costituita dalla sentenza di primo grado e che, pertanto, potrebbe subire un pregiudizio nel diritto medesimo in conseguenza della sentenza di appello. Questa Corte ha precisato che chi fa valere codesto diritto, in tanto e' legittimato all'opposizione, e quindi all'intervento, in quanto il diritto sia effettivamente incompatibile con quello vantato; ne consegue che la legittimazione si identifica con il motivo su cui si fonda la domanda d'intervento e cio' spiega perche' legittimazione e merito si confondono, in quanto la prima discende dall'effettiva titolarita' del diritto incompatibile vantato ed il secondo concerne proprio l'incompatibilita' tra quel diritto e la situazione giuridica accertata o costituita (Cass. n. 10590/2012, n. 1336/1962).

E' alla luce di tale principio che va valutata la correttezza giuridica della decisione impugnata che ha escluso l'ammissibilita' dell'intervento dei Ministeri in appello.

Il Fallimento fonda il suo diritto all'intervento ex articolo 344 c.p.c., sul presupposto che l'azione risarcitoria esercitata dai singoli soci danneggiati (e accolta dai giudici di merito) sia un'azione "di massa" esercitabile, invece, solo dalla curatela. I Ministeri replicano che il diritto azionato dal Fallimento sarebbe identico a quello azionato dai singoli soci danneggiati nel giudizio principale, e quindi non autonomo, con la conseguenza che il Fallimento non sarebbe legittimato a intervenire in appello.

Si deve quindi indagare sulla natura dell'azione promossa dai soci danneggiati, perche' se fosse un'azione di massa, in quanto tale esercitabile solo dalla curatela, sarebbe confermato che il diritto posto da quest'ultima a sostegno dell'intervento sarebbe incompatibile con quello azionato nel giudizio principale dai singoli soci (e' significativo che il Fallimento, contestando la titolarita' del credito risarcitorio fatto valere dai soci, assuma di essere l'unico soggetto legittimato a tutelarne i diritti pregiudicati dal comportamento omissivo dei Ministeri). Al contrario, se quell'azione non fosse di massa, benche' in tal senso qualificata dal Fallimento, non vi sarebbe quella effettiva (e non solo predicata) incompatibilita' che e' necessaria ai fini dell'ammissibilita' dell'intervento in appello.

4.2.- L'indagine sulla natura dell'azione promossa dai singoli soci danneggiati conferma che non si tratta di un'azione di massa.

Questa Corte (sez. un. n. 7029/2006) ha precisato che, in via di principio, non si puo' ritenere che nel sistema fallimentare il curatore sia titolare di un potere di rappresentanza di tutti i creditori, indistinto e generalizzato. Il sistema piuttosto prevede che la funzione del curatore sia diretta a conservare il patrimonio del debitore, garanzia del diritto del creditore, attraverso l'esercizio delle cosi' dette azioni di massa, dirette ad ottenere, nell'interesse del creditore, la ricostituzione del patrimonio predetto, come avviene per l'appunto attraverso l'esercizio delle azioni revocatorie e surrogatorie, cui si possono aggiungere le azioni sociali di responsabilita' per i danni arrecati indistintamente dall'amministratore alla societa' o ai creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrita' del patrimonio sociale (articoli 2393 e 2394 c.c., richiamati dalla L.F., articolo 146). Tale principio peraltro non e' assoluto, ma va armonizzato con quello secondo il quale siffatta legittimazione ad agire, sostitutiva dei singoli creditori, non sussiste in presenza di azioni esercitabili individualmente in quanto dirette ad ottenere un vantaggio esclusivo e diretto del creditore nei confronti di soggetti diversi dal fallito (come avviene, ad esempio, mediante le azioni di cui agli articoli 2395 e 2449 c.c.). L'azione di massa e' caratterizzata dal carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del suo esito positivo e, nell'immediato, perviene all'effetto di aumentare la massa attiva, quali che possano essere i limiti quantitativi entro i quali i creditori se ne avvantaggeranno, con cio' tendendo direttamente alla reintegrazione del patrimonio del debitore, inteso come sua garanzia generica, a prescindere da come esso sara' suddiviso attraverso il riparto. Non appartiene a tale novero di azioni ogni pretesa che richiede l'accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad uno o piu' creditori, ne' vi appartiene ogni azione che, per quanto diffusa possa essere una specifica pretesa, necessita pur sempre dell'esame di specifici rapporti e del loro svolgimento, non essendo sufficiente ad assicurarne l'eventuale beneficio la mera appartenenza ad un ceto.

L'azione risarcitoria proposta dai soci investitori per i danni da ciascuno di essi individualmente subiti a causa dell'omessa vigilanza sulla cooperativa (OMISSIS) da parte dell'Amministrazione, non e' quindi un'azione di massa, anche perche' il fallimento non ne costituisce il presupposto indefettibile. E' quindi conforme a diritto la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso una incompatibilita' tra l'azione del Fallimento a tutela della massa e quella dei soci, con conseguente inammissibilita' dell'intervento del Fallimento nel giudizio di appello.

Va pero' corretta, a norma dell'articolo 384 c.p.c., comma 4, la parte della motivazione in diritto con cui la corte territoriale, a conferma dell'inammissibilita' del suo intervento ex articolo 344 c.p.c., ha ritenuto che il Fallimento, avendo proposto, dinanzi al Tribunale di Roma, un'azione analoga di condanna dei Ministeri al risarcimento dei danni in misura pari al passivo fallimentare, finirebbe per ottenere quanto richiesto direttamente in appello, in violazione del principio del doppio grado di giurisdizione. La giurisprudenza di questa Corte e' infatti nel diverso senso che l'intervento del terzo in appello non trova ostacolo nell'eventualita' che il terzo stesso, a difesa del proprio diritto, abbia gia' instaurato una separata causa, tenendosi conto che tale intervento non mira (e non potrebbe mirare, in difetto di deroga al principio del doppio grado di giurisdizione) a conseguire una pronuncia nel rapporto fra l'interventore e le altre parti, ma si esaurisce in un inserimento nel dibattito fra gli originari contendenti, al fine di orientarne la definizione in senso conciliabile con le aspettative dell'istante (Cass. n. 6156/1994).

5.- Venendo all'esame del ricorso principale del (OMISSIS), nei primi due motivi egli deduce la violazione dell'articolo 345 c.p.c., comma 3, nel testo vigente ante riforma del 2009 e nell'interpretazione fornitane dalla Cassazione, essendogli stato impedito di produrre in appello la prova documentale dei versamenti effettuati alla (OMISSIS), tenuto conto che il vecchio testo dell'articolo 345 cit., non prevedeva limiti alla produzione di nuovi documenti in appello (primo motivo) e che si trattava di documenti ammissibili perche' indispensabili ai fini della decisione (secondo motivo). Entrambi sono infondati.

5.1.- Il primo si basa su un presupposto erroneo, cioe' che prima della novella del 2009 (che, alla Legge n. 69, articolo 46, comma 18, ha esplicitato, nel testo dell'articolo 345 c.p.c., comma 3, che "non possono essere prodotti nuovi documenti") vigesse il principio della libera producibilita' di nuovi documenti in appello. Tuttavia la giurisprudenza di legittimita' (citata dallo stesso ricorrente) si era gia' orientata nel senso che il principio generale era quello della inammissibilita' di mezzi di prova nuovi - cioe' non richiesti in precedenza - e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti e i requisiti che tali documenti devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame, requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilita' degli stessi per la decisione (Cass. n. 1370/2013 ha escluso che il predetto orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite, n. 8203/2005, abbia dato luogo ad una fattispecie di overruling, in quanto preceduto da decisioni dello stesso segno).

5.2.- Nel secondo motivo il ricorrente deduce, in sostanza, l'erroneita' del giudizio valutativo espresso dai giudici di merito in ordine alla imputabilita' della mancata produzione dei documenti in primo grado, lamentando che, al momento dell'introduzione del giudizio di primo grado, non ne aveva senza sua colpa la disponibilita'. Tuttavia, i giudici di merito hanno evidenziato l'incauto comportamento del (OMISSIS), il quale aveva affidato alla segreteria della cooperativa la custodia della documentazione in originale comprovante i conferimenti, senza conservarne una copia, e quindi hanno ritenuto che non possa attribuirsi ad impedimento cio' che e' il frutto di una scelta personale. E' questo un giudizio congruamente motivato che sfugge al sindacato di legittimita' affidato a questa Corte.

5.3.- Nel terzo motivo e' dedotta la violazione dell'articolo 345 c.p.c., comma 3, in relazione all'articolo 210 c.p.c., avendo il tribunale disatteso la sua richiesta di ordinare alla curatela l'acquisizione del fascicolo d'ufficio della procedura fallimentare contenente la predetta documentazione.

Il motivo e' inammissibile. A prescindere dal fatto che non e' chiaro di quali documenti si tratti in concreto (si accenna ad un assegno che, pero', non costituirebbe prova del versamento della relativa somma e della sua causale) e che non e' certo che essi fossero contenuti nel fascicolo fallimentare, si tratta di una questione nuova che avrebbe dovuto essere dedotta dal (OMISSIS) come motivo di appello e che, quindi, non puo' essere introdotta in sede di legittimita'. Inoltre, la valutazione concernente la ricorrenza dei presupposti che giustificano l'esibizione ex articolo 210 c.p.c., (strumento che, com'e' noto, non puo' avere finalita' meramente esplorative e puo' essere utilizzato solo se la prova del fatto non e' acquisibile aliunde) e' rimessa al giudice di merito e il mancato esercizio di tale potere discrezionale non e' sindacabile in sede di legittimita'.

6.- In conclusione, i ricorsi sono rigettati. Le spese processuali, che si liquidano in dispositivo, seguono la soccombenza nei rapporti tra i Ministeri e i resistenti (OMISSIS) e (OMISSIS). Sussistono giusti motivi per compensarle nei rapporti tra il (OMISSIS) e i Ministeri, tenuto conto della dimensione sostanziale della decisione, e tra il Fallimento (OMISSIS) e i resistenti Ministeri e (OMISSIS), tenuto conto della complessita' delle questioni giuridiche trattate.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi; condanna i Ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico alle spese del giudizio di legittimita' in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate per ciascuno in euro 4.200,00, di cui euro 4.000,00 per compensi; le compensa nei restanti rapporti processuali.
 

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