Casa:
In tema di provvedimento con cui il giudice delegato liquida i compensi per l'opera prestata dagli incaricati a favore del fallimento, il parere del curatore consiste in una mera dichiarazione di scienza senza alcun valore certificatorio
Pubblicata il 19/03/2008
Sentenza del 29 gennaio 2008, n. 2004)
- Leggi la sentenza integrale -
sul ricorso proposto da:
CA. AN. elettivamente domiciliato in ROMA VIA ALFREDO FUSCO 104, presso il proprio studio rappresentato e difeso da se' medesimo;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO DELLA S.R.L. VI. SU. -. IN. CA. AL., in persona della Curatrice Avv. D'. SA., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA MAZZINI 27, presso l'avvocato PASTORE FRANCO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del
controricorso;
- controricorrente -
avverso il provvedimento del Tribunale di ROMA, depositato il 13/11/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/11/2007 dal Consigliere Dott. Sergio DEL CORE;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato CA. AN. che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per il resistente, l'Avvocato FRANCO PASTOSE che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCHIAVON Giovanni, che ha concluso per il rigetto del primo motivo di ricorso e per l'accoglimento per quanto di ragione del secondo motivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'avv. Ca.An. propose reclamo L.F., ex articolo 26, al tribunale di Roma avverso il decreto emesso il 1 luglio 2003 con il quale il giudice delegato al fallimento della Vi. Su. In. Ca. Al. s.r.l. gli aveva liquidato in complessivi euro 25.000,00, a fronte di una richiesta di euro 40.235,88, i compensi (diritti e onorari) relativi alle prestazioni professionali svolte in varie cause civili a favore della procedura concorsuale.
Con decreto 19 novembre 2003 l'adito tribunale accolse il proposto gravame limitatamente alla lamentata mancata liquidazione delle spese generali dovute e riconosciute nella misura del 10% dell'importo liquidato per diritti e onorari. Sulle doglianze disattese, il tribunale osservo' che: il parere del curatore, favorevole alla liquidazione chiesta dal legale, non era vincolante per il giudice delegato e non esentava l'istante dall'onere di provare lo svolgimento delle attivita', non potendo attribuirsi valore confessorio alle dichiarazioni del predetto organo concorsuale, il quale non puo' disporre dei diritti della massa; il reclamo non conteneva alcuna censura in merito al fatto che il decreto liquidativo indicava una somma unitaria, comprensiva di competenze e onorari, e non consentiva alcuna verifica della correttezza della liquidazione per nessuna delle due voci; del vizio denunziato al riguardo il reclamante non aveva, quindi, fornito prova alcuna; in particolare, non erano state dimostrate le attivita' descritte dalle singole voci delle competenze, non tutte rilevabili dagli atti depositati in copia, ne' era stato indicato il livello minimo degli onorari complessivamente spettanti.
Di tale provvedimento l'avv. Ca. ha chiesto la cassazione con ricorso basato su due motivi.
Resiste con controricorso il fallimento Vi. Su. In. Ca. Al. s.r.l., che ha anche depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione della L.F., articolo 23, articolo 25, n. 7, articolo 30, articolo 38, comma 1, in relazione agli articoli 2730 e 2731 c.c.. Contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, il giudice delegato non puo' disattendere le attestazioni del curatore, quale pubblico ufficiale, relative ad attivita' svolte e a fatti accaduti; pertanto, dando parere favorevole all'istanza di liquidazione di un compenso (L.F., articolo 25, n. 7), il curatore non esprime un'opinione soggettiva, ma assevera - previa verifica dei fatti dedotti con la istanza - il concreto svolgimento dell'attivita' da parte del professionista, peraltro, nella specie dimostrata non solo dai documenti allegati, ma anche da quelli trasmessi all'organo della procedura. Ha errato, quindi, il tribunale a ritenere che non sarebbe possibile far discendere dal predetto parere la prova dello svolgimento dell'attivita', sul presupposto che non sarebbe consentito attribuire valore confessorio alle dichiarazioni della curatela. Il potere determinativo del giudice delegato concerne solo la valutazione dell'attivita' espletata mentre, al contrario, il riscontro dello svolgimento di essa non puo' che essere compiuto dal curatore, sicche', qualora questi confermi l'espletamento dell'incarico in relazione alle competenze, analiticamente riportate nei preavvisi di nota, il giudice delegato non puo' disconoscerne l'efficacia.
Il motivo e' privo di giuridico fondamento.
Va anzitutto rimarcata la correttezza della tesi racchiusa nel provvedimento impugnato secondo cui il parere espresso dal curatore non vincola il Giudice delegato il quale, ove non lo condivida e dubiti della rispondenza al vero delle dichiarazioni di scienza in esso contenute, puo' liberamente e insindacabilmente discostarsene. Nei casi previsti dalla L.F., articolo 25, n. 7, il provvedimento determinativo del giudice delegato tende ad accertare la prestazione dell'opera svolta, a valutarne l'entita' e il risultato (Cass. n. 189/1976); accertamento che la legge affida alla sua competenza esclusiva, secondo un principio generale desumile dal sistema fallimentare in base al quale la liquidazione dei compensi spetta all'organo giudiziario che ha provveduto alla nomina (Cass. n. 3804/1983). Egli deve autonomamente convincersi che le prestazioni alle quali si riferisce il richiesto compenso siano state in concreto effettuate. Nella soggetta materia, il curatore ha un ruolo informativo e il parere da lui espresso e' frutto di una valutazione della realta' priva di contenuto certificatorio, dalla quale il giudice delegato non e' minimamente condizionato. E, come correttamente osserva il fallimento controricorrente, se il giudice delegato non e' vincolato dal parere del curatore, ancor meno puo' esserlo, in sede contenziosa e decisoria, il tribunale investito del reclamo.
Tanto precisato, per il resto il motivo impinge, all'evidenza, in una valutazione del materiale probatorio effettuata dal tribunale, secondo cui non vi era prova delle prestazioni professionali svolte dal reclamante a favore della curatela. Trattasi, ovviamente, di apprezzamento delle prove che, in quanto supportato da motivazione sufficiente, si sottrae al controllo di legittimita'.
Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della Legge n. 794 del 1942, articolo 24 del Decreto Ministeriale 24 novembre 1990, n. 392, e degli articoli 101 e 112 c.p.c., nonche' omessa motivazione su punto decisivo della controversia. Il tribunale non ha disposto l'acquisizione dei documenti gia' trasmessi al curatore e comprovanti l'attivita' professionale svolta e, pur avendo riconosciuto che il decreto del giudice delegato era censurabile poiche' indicava una somma unitaria comprensiva di competenze e onorari, ha addebitato al reclamante la mancata formulazione di censure specifiche avverso le singole voci riportate nei diversi preavvisi di nota, avvalendosi di tale argomento per respingere il reclamo. Considerato il parere favorevole espresso dal curatore a seguito di verifica degli atti rimessigli, le competenze, alla stregua della misura fissa prevista dalla tariffa professionale, erano dovute in ragione della somma richiesta di euro 14.972,11; detraendo tale importo dalla operata liquidazione, il tribunale si sarebbe dovuto avvedere che il giudice delegato aveva determinato gli onorari in euro 10.027,89, ovverosia in misura inferiore alla determinazione (euro 11.051,21) operatane dai giudici nelle sentenze allegate all'istanza.
Il motivo esprime censure inammissibili.
La doglianza concernente la mancata acquisizione dei documenti trasmessi al curatore e comprovanti l'attivita' professionale svolta e' del tutto generica, a fronte dell'assunto del tribunale che gli atti prodotti dal reclamante non dimostravano l'opera prestata per la quale si erano chiesti i compensi. Il ricorrente non ha neanche dedotto l'esistenza (nel fascicolo fallimentare) di documenti ulteriori pretermessi dal tribunale, ne' tampoco specificato il relativo contenuto. D'altra parte, il tribunale non era tenuto per legge in sede di reclamo a colmare ex officio eventuali lacune istruttorie: la lettura tradizionale della L.F., articolo 26, e' invero nel senso di equiparare il reclamo a una vera e propria impugnazione in senso tecnico. Solo con la recente riforma fallimentare la procedura ex articolo 26 (vedi, in particolare, comma 9) e' stata conformata al modello camerale delineato dall'articolo 738 c.p.c., comma 3, riconoscendosi espressamente al collegio un potere integrativo di tipo inquisitorio.
L'affermazione del tribunale secondo cui il provvedimento del giudice delegato, non avendo distinto le competenze e gli onorari, era viziato e, tuttavia, di tale vizio non poteva tenersi conto mancando la relativa impugnazione del reclamante, e' in effetti errata, investendo il reclamo l'intera liquidazione; eppero' tale errore, a parte quanto si dira' in seguito sempre sul difetto di interesse del ricorrente a denunziarlo, non inficia il provvedimento che ne potrebbe prescindere, fondandosi sulla precedente ratio (mancata prova delle prestazioni professionali) non efficacemente censurata in ricorso.
In altri termini, il ricorrente sembra obliterare che il tribunale ha respinto il reclamo per difetto di prova in ordine all'attivita' professionale svolta. L'argomento e' tranciante nell'impianto del provvedimento e rende superflua, anche nell'ottica del tribunale, l'indagine sulla dedotta violazione dei minimi tariffar.
Per dimostrare la violazione dei minimi tariffari previsti per gli onorari, il Ca. da, poi, per scontata la liquidazione di una certa cifra per diritti di procuratore, prendendo a parametro gli importi indicati nelle proprie notule. Ha e' proprio questo l'equivoco che si annida dietro il ragionamento del ricorrente, dacche' anche la liquidazione in una certa cifra delle competenze e' tutt'altro che pacifica. Di vero, il tribunale ha rimarcato che il reclamante non aveva provato le attivita' descritte dalle singole voci delle competenze procuratorie, non tutte rilevabili dagli atti depositati in copia, ne' indicato il livello minimo degli onorari complessivamente spettanti, "per dare in tal modo dimostrazione della avvenuta lesione di tali minimi, ferma restando anche per questi l'ovvia necessita' istruttoria".
E dalla mancata dimostrazione dell'attivita' prestata dal reclamante, il tribunale ha rilevato, con deduzione logica neanche censurata dal ricorrente, come non fosse possibile inferire che il giudice delegato, nel liquidare la somma di euro 25.000,00, abbia inteso liquidare per intero le competenze richieste; sicche', cadendo tale assunto, viene meno specularmente anche la conseguenza che nel decreto reclamato gli onorari sarebbero stati liquidati in misura tale da non soddisfare il requisito del rispetto dei minimi tariffari.
Ne' al ricorrente giova il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte circa l'obbligo del giudice, nella liquidazione delle spese processuali, di mettere le parti in condizione di versificare l'osservanza dei minimi tariffari; e tal fine di indicare, accanto all'importo complessivo (di esborsi, competenze procuratorie e onorari), il distinto ammontare degli onorari d'avvocato, consentendo cosi alla parte interessata di effettuare, per esclusione, un controllo adeguato sul quantum delle voci residue. Siffatto principio, enunciato con riferimento al giudice della controversia, non e' certo estensibile tout court al giudice delegato che ha nominato il difensore alla curatela e in ogni caso presuppone, per come e' ovvio, il puntuale riscontro della ricorrenza effettiva delle prestazioni - ov-verosia tanto dell'opera di patrocinio quanto dell'attivita' procuratoria - e la rispondenza di queste agli importi tariffari.
Di conseguenza, non avendo dato prova dell'attivita' prestata, il ricorrente non ha interesse a censurare il vizio consistito nella liquidazione delle spese processuali in modo globale, senza specificazione degli onorari di avvocato, e il preteso errore in cui e' incorso il tribunale nel non sanzionarlo. Per vero, ai fini dell'impugnazione del provvedimento liquidativo che non rispetti i corretti criteri di liquidazione dei compensi, deve pur sempre ricorrere un interesse giuridicamente tutelato in favore della parte, nel senso che questa deve poter conseguire una concreta utilita' e rimuovere un danno effettivo e non limitarsi alla declamazione di teoriche esigenze di esattezza giuridica. Ne deriva che e' inammissibile, per carenza d'interesse, una impugnazione in cui la parte non provi specificamente il pregiudizio subito per la liquidazione globale, siccome attributiva di una somma inferiore ai minimi inderogabili (cosi' Cass. nn. 5318/2007, 1619/1998). E nella specie, come piu' volte sottolineato, non avendo il Ca. dimostrato l'attivita' prestata, e quindi l'ammontare dei diritti e degli onorari spettantigli, sia il reclamo sia il ricorso non risultano sviluppati in modo da far concretamente emergere il pregiudizio che quella liquidazione globale in concreto ha determinato.
Peraltro, dagli atti del procedimento, direttamente compulsabili da questa Corte attesa la natura di uno dei vizi denunziati (articolo 112 c.p.c.), si evince che l'odierno ricorrente presento' al giudice delegato delle note nelle quali venivano indicate le spese e le "competenze" senza alcuna distinzione fra opera di patrocinio ed attivita' procuratoria; nelle ridette notule gli importi delle "competenze" risultano, per di piu', maggiorati rispetto a quanto in alcune cause era stato gia' liquidato dai vari giudici a titolo di onorari e diritti di procuratore. In presenza, quindi, di note spese non specifiche, in cui competenze di procuratore e onorari d'avvocato furono richiesti in un'unica somma, non puo' certo escludersi che il giudice delegato abbia inteso procedere ad una proporzionale riduzione dei compensi (globalmente determinati) in ragione di quanto ritenuto rispettivamente provato, anziche', come in via di mera supposizione affermato dal ricorrente, per far risaltare il mancato rispetto dei minimi tarif-fari previsti per gli onorari d'avvocato, liquidare interamente i diritti di procuratore enucleabili dalle notule e, solo con la somma residua, gli onorari predetti.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del suo proponente alle spese del presente giudizio di legittimita'.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in euro 2.600,00 di cui euro 2.500,00 per onorari d'avvocato, oltre spese generali e accessori di legge.