L'artigiano va considerato un normale imprenditore commerciale, come tale sottoposto alle procedure concorsuali

L'artigiano va considerato un normale imprenditore commerciale, come tale sottoposto alle procedure concorsuali, allorche' abbia organizzato la sua attivita' in guisa da costituire una base di intermediazione speculativa e da far assumere al suo guadagno i connotati del profitto, avendo in tal modo organizzato una vera e propria struttura economica a carattere industriale con un'autonoma capacita' produttiva, sicche' l'opera di esso titolare non sia piu' ne' essenziale ne' principale (cfr. Cass. 22 dicembre 2000, n. 16157; Cass 12487/05). In tale ambito ai fini di accertare la ricorrenza della qualita' di piccolo imprenditore occorre valutare alcuni criteri tra cui l'attivita' svolta, il capitale impiegato, l'entita' dell'impresa, il numero dei lavoratori, l'entita' e qualita' della produzione, i finanziamenti ottenuti e tutti quegli elementi atti a verificare se l'attivita' venga svolta con la prevalenza del lavoro dell'imprenditore e della propria famiglia.

Corte di Cassazione, Sezione U civile, Sentenza 20 marzo 2015, n. 5685



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio - Primo Presidente f.f.

Dott. CICALA Mario - Presidente di Sez.

Dott. RORDORF Renato - Presidente di Sez.

Dott. RAGONESI Vittorio - rel. Consigliere

Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere

Dott. DI IASI Camilla - Consigliere

Dott. PETITTI Stefano - Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21470-2012 proposto da:

(OMISSIS) ditta individuale, in persona del titolare (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), per delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO (OMISSIS), in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), per delega in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso il decreto n. 4 4/2012 del TRIBUNALE di VERONA, depositato il 17/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/03/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

uditi gli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) per delega dell'avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La ditta (OMISSIS) presentava insinuazione al passivo del fallimento della ditta (OMISSIS), in base ad un decreto ingiuntivo ottenuto per diverse fatture emesse a fronte di lavori effettuati negli anni 2000/2007 a favore della Societa' fallita.

Nell'istanza dell'insinuazione la ditta, odierna ricorrente, chiedeva il riconoscimento del privilegio sul proprio credito complessivo, pari ad euro 362.802,79, essendo essa ditta artigiana e pertanto privilegiata ai sensi dell'articolo 2751 bis c.c., n. 5.

Veniva prodotta documentazione relativa al credito (fatture ed il decreto ingiuntivo esecutivo e definitivo) ed alla natura artigiana dell'impresa (iscrizione all'Albo speciale tenuto presso la CCAA di Verona, dichiarazioni di redditi dai quali emergeva, tra l'altro, l'assenza di qualunque personale dipendente).

Il Tribunale ammetteva il credito nell'importo richiesto, ma ne escludeva la natura privilegiata.

Veniva dalla ditta ricorrente proposta opposizione allo stato passivo, insistendo per il riconoscimento del privilegio, rimarcando la preponderanza dell'apporto di lavoro personale del titolare sig. (OMISSIS) rispetto ai modesti apporti di capitale impiegati nell'azienda.

La Curatela fallimentare non si costituiva nel procedimento di opposizione, rimanendo contumace.

Il Tribunale di Verona, con decreto in data 17.4.2012, confermava il non riconoscimento del privilegio artigiano.

Il decreto motivava il mancato riconoscimento del richiesto privilegio sulla base del fatto che il ricorrente avesse superato, negli anni di imposta 2007 e 2009 il limite previsto dall'articolo 1, comma 2, lettera b) L.F. avendo avuto un giro d'affari superiore sia pure di poco ai duecentomila euro.

Avverso il detto provvedimento ricorre per cassazione la (OMISSIS) sulla base di due motivi, illustrati con memoria, cui resiste la curatela fallimentare.

La causa e' stata assegnata a queste Sezioni Unite in accoglimento dell'istanza del ricorrente.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ditta ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 2751 bis c.c., n. 5, cosi' come novellato dal Decreto Legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con Legge n. 35 del 2012.

In particolare, la ricorrente contesta il provvedimento impugnato laddove, al fine di accertare la natura di impresa artigiana, ha fatto applicazione dei criteri di cui all'articolo 1 della L.F. ed all'articolo 2083 c.c..

Secondo la ricorrente, invece, la natura artigiana dell'impresa andrebbe valutata esclusivamente in base alla legislazione speciale in materia contenuta nella Legge Quadro n. 443 del 1985.

Con il secondo motivo contesta l'assunto della sentenza secondo cui il solo fatto che l'impresa avesse superato i limiti di fatturato di cui all'articolo 1 L.F. la rendeva fallibile onde per tale fatto non poteva considerarsi artigiana.

Il primo motivo appare infondato e per certi versi inammissibile.

Va innanzi tutto esaminata la questione della retroattivita' della nuova versione dell'articolo 2751 bis c.c., n. 5 a seguito della modifica normativa operata dal Decreto Legge 9 febbraio 2012, n. 5, articolo 36, entrata in vigore il 10.2.12, dovendosi rilevare che la costante giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che la nuova norma conseguente alla modifica citata, laddove accorda il privilegio ai crediti dell'impresa artigiana "definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti", non ha natura interpretativa e valore retroattivo, facendo difetto sia l'espressa previsione nel senso dell'interpretazione autentica, sia i presupposti di incertezza applicativa che ne avrebbero giustificato l'adozione. Pertanto, riguardo al periodo anteriore all'entrata in vigore della novella, resta fermo che riscrizione all'albo delle imprese artigiane Legge n. 443 del 1985, ex articolo 5 non spiega alcuna influenza sul riconoscimento del privilegio, dovendosi ricavare la nozione di "impresa artigiana" dai criteri generali dell'articolo 2083 cod. civ. (Cass 11154/12; Cass 11024/13; Cass 18966/13; Cass 1166/14). Nel caso di specie va rilevato che lo stato passivo della (OMISSIS) s.n.c. e' stato depositato in cancelleria il 28 ottobre 2011, mentre il suo fallimento e' stato dichiarato con sentenza del Tribunale di Verona del 28 settembre 2010, prima dunque della citata modifica normativa con la conseguenza che deve trovare applicazione l'articolo 2751 bis c.c., comma 1, n. 5 antecedente alla modifica piu' volte citata.

In tal senso si rivela erroneo l'assunto della societa' ricorrente secondo cui il tribunale di Verona avrebbe dovuto applicare la novella del 2012 in quanto entrata in vigore quattro mesi prima della emanazione del decreto impugnato.

Va infatti rilevato che le norme sui privilegi sono disposizioni di diritto civile che attengono alla qualita' di alcuni crediti, consistente nella loro prelazione rispetto ad altri, per cui trova applicazione, salvo espressa deroga normativa, che nel caso di specie non sussiste, il principio generale di cui all'articolo 11 preleggi, secondo cui le leggi non sono retroattive. Ne consegue che la modifica legislativa, che abbia introdotto un nuovo privilegio o abbia introdotto modifiche ad uno gia' esistente, si applica solo se il credito sia sorto nello stesso giorno o in un giorno successivo rispetto al momento in cui la legge entra in vigore e pertanto la gradazione dei crediti si individua avendo riguardo al momento in cui il credito sorge e non quando viene fatto valere.

In tal senso, e' appena il caso di soggiungere, che, non trattandosi nel caso di specie di norme processuali, le stesse non sono suscettibili di applicazione come ius superveniens ai giudizi in corso.

Cio' posto, dovendosi dunque applicare la norma dell'articolo 2751-bis c.c., comma 1, n. 5, secondo il vecchio testo antecedente alla modifica dal Decreto Legge n. 5 del 2012, articolo 36, conv. in Legge n. 35 del 2012, occorre rilevare che la unanime giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ripetuto che in tema di impresa artigiana, il coordinamento tra la disciplina codicistica e quella contenuta nella legge speciale (Legge n. 443 del 1985) deve essere realizzato (tenuto conto che, alla luce delle rispettive normative, un'impresa puo' avere i requisiti previsti dalla Legge n. 443 del 1985, e non essere purtuttavia conforme al modello delineato dall'articolo 2083 cod. civ.) ritenendo che i criteri richiesti dall'articolo 2083 cod. civ., ed in genere dal codice civile, valgano per la identificazione dell'impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre quelli posti dalla legge speciale siano, invece, necessari per fruire delle provvidenza previste dalla legislazione (regionale) di sostegno, con la conseguenza che l'iscrizione all'albo di un'impresa artigiana, legittimamente effettuata ai sensi della ricordata Legge n. 443 del 1985, articolo 5, pur avendo natura costitutiva, nei limiti sopra indicati, non spiega alcuna influenza, "ex se" - neppure quale presunzione "iuris tantum" della natura artigiana dell'impresa- ai fini dell'applicazione dell'articolo 2751 bis c.c., n. 5, dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati, in via generale, dall'articolo 2083 cod. civ. (ex plurimis Cass 7366/98 Cass 19508/05; Cass 11154/12.)

Tale interpretazione ha avuto anche l'avallo della Corte Costituzionale che ha rilevato che "le norme impugnate vadano interpretate nel senso di riconoscere che l'iscrizione all'albo delle imprese artigiane, anche nell'ambito delle Regioni a statuto speciale o Province autonome, costituisce il presupposto per fruire delle agevolazioni previste dalla legge-quadro o da altre disposizioni, ma non vale a far sorgere una presunzione assoluta circa la qualifica artigiana dell'impresa stessa ai fini del riconoscimento del privilegio generale sui mobili previsto dal codice civile; al contrario, e' consentito al giudice di sindacare la reale consistenza dell'impresa creditrice,....(omissis) (C. Cost 24 luglio 1996 n. 307).

Venendo all'esame del secondo motivo di ricorso, lo stesso appare fondato.

Va infatti rammentato che questa Corte di cassazione ha chiarito che il Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 1, comma 2, nel testo modificato dal Decreto Legislativo 12 settembre 2007, n. 169, che stabilisce,ai fini della dichiarazione di fallimento, la necessita' del superamento di alcuni parametri dimensionali, esclude la possibilita' di ricorrere al criterio sancito nella norma sostanziale contenuta nell'articolo 2083 cod. civ., che ormai ai fini della fallibilita' non spiega alcuna rilevanza.

Il regime concorsuale riformato ha infatti tratteggiato la figura dell' imprenditore fallibile affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, i quali prescindono del tutto da quello, canonizzato nel regime civilistico, della prevalenza del lavoro personale rispetto all'organizzazione aziendale fondata sul capitale e sull'altrui lavoro. (Cass 13086/10; Cass 23052/10). Dunque il collegamento effettuato nel decreto tra la condizione di piccolo imprenditore ed i criterio di cui all'articolo 1 L.F. appare del tutto improprio non sussistendo piu' alcun rapporto tra la condizione di piccolo imprenditore e la condizione di fallibilita'. Da cio', a maggior ragione, si deve escludere ogni rapporto tra le disposizioni dell'articolo 1 L.F. in tema di requisiti di fallibilita' con la tutt'affatto diversa questione della sussistenza della natura di impresa artigiana, desumibile, in base alla normativa ratione temporis applicabile di cui si e' dianzi detto, in ragione dei criteri stabiliti per l'individuazione del piccolo imprenditore.

Cio' posto, si osserva che il decreto ha escluso la natura artigiana della impresa sulla base del suo volume di affari di oltre 200 mila euro per l'anno 2007 e per quello successivo.

A tal proposito l'articolo 2083 c.c. definisce piccolo imprenditore l'artigiano che esercita un'attivita' professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.

L'artigiano peraltro va considerato un normale imprenditore commerciale, come tale sottoposto alle procedure concorsuali, allorche' abbia organizzato la sua attivita' in guisa da costituire una base di intermediazione speculativa e da far assumere al suo guadagno i connotati del profitto, avendo in tal modo organizzato una vera e propria struttura economica a carattere industriale con un'autonoma capacita' produttiva, sicche' l'opera di esso titolare non sia piu' ne' essenziale ne' principale (cfr. Cass. 22 dicembre 2000, n. 16157; Cass 12487/05).

In tale ambito ai fini di accertare la ricorrenza della qualita' di piccolo imprenditore occorre valutare alcuni criteri tra cui l'attivita' svolta, il capitale impiegato, l'entita' dell'impresa, il numero dei lavoratori, l'entita' e qualita' della produzione, i finanziamenti ottenuti e tutti quegli elementi atti a verificare se l'attivita' venga svolta con la prevalenza del lavoro dell'imprenditore e della propria famiglia. La sentenza impugnata non si e' attenuta ai criteri dianzi indicati. La stessa, infatti, si e' limitata ad affermare che la natura artigiana della impresa doveva escludersi sulla base del suo volume di affari per l'anno 2007 e per quello successivo di oltre 200 mila euro. Premesso che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 20, in materia di IVA, che e' l'unica norma che da una definizione del volume d'affari, viene definito tale "l'ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate, registrate o soggette a registrazione con riferimento ad un anno solare" e' agevole osservare che tale criterio di per se' solo non appare sufficiente per riscontrare od escludere la natura artigiana di un impresa.

Quest'ultima va individuata, ai sensi dell'articolo 2083 c.c., applicabile come detto ratione temporis, nella prevalenza del lavoro del titolare dell'impresa e della sua famiglia rispetto al capitale ed all'altrui lavoro.

Tale accertamento necessita necessariamente il riferimento ad altri parametri che nel loro complesso possono portare ad una adeguata valutazione.

In primo luogo sarebbe necessario accertare l'incidenza del lavoro del titolare dell'impresa ed eventualmente dei suoi familiari nello svolgimento dell'attivita' imprenditoriale in relazione ai dipendenti utilizzati.

In tal senso occorrerebbe conoscere quanti questi ultimi siano. E' infatti evidente che un imprenditore che abbia alle sue dipendenze un grande numero di lavoratori non potrebbe comunque essere considerato artigiano poiche' un consistente apporto esterno di forza lavoro comporterebbe l'esistenza di una organizzazione dell'impresa di dimensioni tali che farebbe escludere la prevalenza della attivita' lavorativa del solo titolare.

In secondo luogo, sarebbe necessario accertare il capitale investito nell'impresa sia in termini di strutture e macchinari che di materie prime poiche' anche in tal caso un capitale di rilevante entita' porterebbe ad escludere una prevalenza del lavoro umano del solo titolare dell'impresa.

Nessuno dei sovraindicati elementi si rinviene nel provvedimento impugnato.

In assenza di tali dati di riferimento, il solo elemento dell'ammontare del volume d'affari si presenta di per se' equivoco e,come tale, inidoneo ad accertare di per se' solo la natura artigiana o meno dell'impresa.

In primo luogo nell'ambito del volume d'affari occorrerebbe valutare il costo delle materie prime e del materiale utilizzato per produrre i beni.

Come correttamente osservato dal ricorrente, ad esempio, e' evidente che un artigiano orafo,che per creare i propri gioielli utilizzi metalli e pietre preziose, avra' un volume d'affari di un certo rilievo dovuto al valore intrinseco degli oggetti creati e successivamente venduti, derivante dalle materie prime utilizzate anche se abbia svolto la propria attivita' di persona e senza dipendenti.

Il costo delle materiale utilizzato e successivamente ceduto ai clienti sarebbe indispensabile inoltre per valutare il guadagno effettivo dell'imprenditore che ovviamente a fronte di costi elevati di acquisto risulterebbe solo una parte limitata del volume d'affari non assurgendo cosi' al livello di un vero e proprio profitto d'impresa.

Nel caso di specie non si rinviene nel provvedimento impugnato neppure una analisi di questo tipo.

In conclusione dunque la motivazione fornita dal Tribunale non appare conforme ai criteri stabiliti dall'articolo 2083 c.c., onde il motivo va accolto.

Il decreto impugnato va di conseguenza cassato in relazione al motivo accolto con rinvio al Tribunale di Verona, in diversa composizione che si atterra' nel decidere al principio di diritto dianzi enunciato e che provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione,cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese al Tribunale di Verona in diversa composizione.
 

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