La nozione di insufficienza patrimoniale - cui si ricollega la responsabilità degli amministratori e dei sindaci della società verso i creditori - si desume dalla lettere dell'articolo 2394 del Cc e deve essere individuata nell'eccedenza delle passiv

La nozione di insufficienza patrimoniale - cui si ricollega la responsabilità degli amministratori e dei sindaci della società verso i creditori - si desume dalla lettere dell'articolo 2394 del Cc e deve essere individuata nell'eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell'impresa, ovverossia in una situazione in cui l'attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, sia insufficiente al loro soddisfacimento. Tale concetto si differenzia anche dall'eventualità della perdita integrale del capitale sociale, dal momento che questa ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo perché tutti i beni sono assorbiti dall'importo dei debiti e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della società. L'insufficienza patrimoniale, infine, è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, indicata dall'articolo 5 della legge fallimentare come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una società trovare nell'impossibilità di fare fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro, così come potrebbe accadere l'opposto, vale a dire che l'impresa possa presentare una eccedenza del passivo sull'attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste (per esempio ricorrendo a ulteriore indebitamento). . (Corte di Cassazione Sezione 1 Civile
Sentenza del 25 luglio 2008, n. 20476)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo - Presidente

Dott. RORDORF Renato - Consigliere

Dott. BERNABAI Renato - Consigliere

Dott. PANZANI Luciano - Consigliere

Dott. DEL CORE Sergio - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ET. DI. AS. GE. S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona dei Commissari Liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II 308, presso l'avvocato RUFFOLO UGO, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio dott. ssa PAOLA LANZO di ROMA - Rep. n. 23461 dell'11.06.04;

- ricorrente -

contro

CE. GI., AL. DO., BO. MA., DI. TH. SI., PA. NE., NA. GI., PE. LU.;

- intimati -

e sul 2 ricorso n 20145/04 proposto da:

BO. MA., DI. TH. SI., elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEL SEMINARIO 85, presso l'avvocato SRUBEK TOMASSY CARLO, che li rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale condizionato;

- controricorrenti e ricorrenti incidentali -

contro

ET. DI. AS. GE. S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, AL. DO., PA. NE., PE. LU., CE. GI., NA. GI.;

- intimati -

o sul 3 ricorso n 21737/04 proposto da:

PA. NE., nella qualita' di erede di VE. RA., elettivamente domiciliata in ROMA VIA BELLUNO 16, presso l'avvocato MATONTI ANTONIO, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso notificato;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

ET. DI. AS. GE. S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, AL. DO., BO. MA., DI. TH. SI., PE. LU., CE. GI., NA. GI.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 2654/03 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 05/06/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2008 dal Consigliere Dott. DEL CORE Sergio;

udito, per la ricorrente, l'Avvocato CARTONI MOSCATELLI PIERA, per delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali BO. e DI. TH., l'Avvocato SRUBEK TOMASSY CARLO, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento di quello incidentale;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale PA., l'Avvocato MATONTI ANTONIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento di quello incidentale della stessa;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale assorbiti i ricorsi incidentali condizionati.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazioni notificate a partire dall'ottobre 1990, il commissario liquidatore di Et. di. As. Ge. s.p.a., posta in liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale del 15 ottobre 1985, convenne in giudizio Ce.Gi., Ga. Fe., So.Fr., Cu.Wa., Al.Do., Na.Gi., Bo.Ma., Gi.El. quale erede di Ro.Ro., Di. Th.Si., gli eredi di Ve. Ra., Al.Fr. e Pe.Lu., gia' amministratori e sindaci pro tempore della Et. dopo il 1978, chiedendone la condanna ex articoli 2393 e 2394 c.c., per una serie di atti gestori posti in essere dal Ce., con la colposa acquiescenza degli altri convenuti, da cui era derivato alla societa' una perdita accertata, alla data della liquidazione, di lire 19.104.624.862.

Ga.Fe., Cu.Wa. e Pe.Lu. rimasero contumaci. Gli altri convenuti eccepirono la prescrizione dell'azione e la sua infondatezza nel merito. Il processo fu dichiarato interrotto per la morte di Al.Fr. e in seguito riassunto dall'attrice salvo che nei confronti di So. Fr..

All'esito della compiuta istruttoria, l'adito tribunale di Roma riconobbe Ce.Gi. responsabile per cinque degli addebiti mossigli, condannandolo al risarcimento dei danni per due di essi in solido con Ga.Fe. e per uno in solido con Al.Do., Bo.Ma., Pe.Lu., Cu. Wa., Di. Th.Si. e Pa.Ne. (quale erede di Ve.Ra.). Respinse la domanda nei confronti di Gi. El. (quale erede di Ro.Ro.), Na.Gi., Na. Al.Ra. (quale erede di Al. Fr.) e So.Fr..

Proposero appello Pa.Ne., Al.Do., Bo. Ma., Pe.Lu., Di. Th.Si. e la Et. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa. Delle altre parti del giudizio di primo grado si costitui' solo Na. Al.Ra..

La corte distrettuale, accogliendone gli appelli, rigetto' la domanda proposta nei confronti di Pa.Ne., vedova Ve., Na. Al. Ra., Bo.Ma., Di. Th.Si., Al. Do. e Pe.Lu.. Respinse, invece, l'appello proposto dalla Et. s.p.a. di As. Ge. in l.c.a. Sui temi ancora controversi osservo' quanto segue. La mancata riassunzione del giudizio nei confronti degli eredi di So.Fr. aveva causato l'estinzione del solo rapporto processuale relativo alla parte deceduta, cui non era attribuibile la qualita' di litisconsorte necessario, essendo stato convenuto quale obbligato solidale degli altri amministratori e sindaci. Bene il primo Giudice aveva ravvisato l'autorizzazione al promuovimento dell'azione di responsabilita' contro amministratori e sindaci della Et. s.p.a. nella nota apposta dal presidente dell'I.S.V.A.P. in calce alla comunicazione del commissario liquidatore di aver conferito l'incarico di agire in giudizio all'avvocato Fr.Gi.; e cio' non essendo revocabile in dubbio che la "presa d'atto" da parte dell'organo cui spettava di consentire o vietare l'azione giudiziale abbia avuto il significato di manifestazione di consenso, validamente espresso perche' non vincolato a particolari forme di esternazione. Era, invece, fondata l'eccezione di prescrizione ex articolo 2949 c.c., dell'azione promossa contro i convenuti appellanti. Per vero, nella stessa citazione introduttiva del giudizio, la cui prima notificazione risaliva all'ottobre 1990, l'attrice aveva affermato che nel bilancio al 31 dicembre 1984 redatto dall'amministratore subentrato al Ce. il 5 febbraio 1985 erano emerse perdite per lire 13.592.475.452 (che, nel successivo bilancio compilato dal commissario straordinario erano risultate notevolmente superiori).

Per la cassazione di tale sentenza ricorre con due motivi poi illustrati con memoria la Et. di. As. Ge. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa.

Resistono con controricorso e ricorso incidentale condizionato con un unico motivo Bo.Ma. e Di. Th.Si..

Resiste altresi' con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale condizionato per quattro motivi Pa.Ne., quale erede di Ve.Ra..

MOTIVI DELLA DECISIONE

I tre ricorsi vanno preliminarmente riuniti, ai sensi dell'articolo 335 c.p.c., poiche' diretti contro la medesima sentenza.

Con il primo motivo, la Et. di. As. Ge. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa denunzia "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione" su di un punto decisivo della controversia risultante dagli atti di causa (articolo 360 c.p.c., n. 5), in relazione alle condizioni patrimoniali della societa' al momento del commissariamento, della successiva messa in liquidazione coatta amministrativa e della ancor posteriore dichiarazione di insolvenza. Nell'accogliere l'eccezione di prescrizione, la Corte capitolina fa proprio testualmente un rilievo "peregrino" delle difese dell'appellante Pa., vedova Ve., senza un minimo di valutazione e analisi delle risultanze di fatto e della documentazione acquisita agli atti di causa. L'emergere di perdite, per la cifra su riportata, in un bilancio al 31 dicembre 1984 non era spia della insufficienza del patrimonio sociale della Et., che all'epoca vantava un capitale sociale interamente versato pari a lire 7.000.000.000, numerosi immobili in patrimonio, appostati in bilancio per un valore di svariati miliardi di lire, e un portafoglio di polizze pari a circa lire 18 miliardi, godendo anche di buon credito presso il sistema bancario - finanziario. Sono stati inoltre obliterati dalla corte del merito la diversita' ontologica tra insufficienza del capitale sociale e insufficienza del patrimonio sociale, e i presupposti del provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa, che nella specie fu adottato nell'ottobre 1985, laddove lo stato di insolvenza fu dichiarato solo con sentenza n. 889 del 12 luglio 1986, intuitivamente a seguito del vaglio, da parte dei commissari liquidatori, dello stato patrimoniale dell'ente. Non erano, al contrario, significative, per diversita' di natura e di presupposti, ai fini della sussistenza della insufficienza patrimoniale di cui all'articolo 2394 c.c., le ammesse perdite di esercizio al 31/12/1984. L'avere riportato in citazione siffatta circostanza non costituiva affatto confessione giudiziale non risultando ammessa" e per cio' stesso pacifica, l'insufficienza, gia' a quella data, del patrimonio sociale.

Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., in relazione al combinato disposto della L.F., articolo 206, e articoli 2393, 2394 e 2949 c.c.. I convenuti non avevano offerto alcun concreto elemento per ritenere che, al tempo del riscontro delle irregolarita' giustificanti la rimozione degli organi di gestione e di controllo, il patrimonio sociale fosse insufficiente al soddisfacimento dei creditori sociali, l'unico elemento certo essendo costituito dal decreto di assoggettamento della societa' a liquidazione coatta amministrativa del 15 ottobre 1985: solo da tale momento e' iniziata a decorrere la prescrizione. Anziche', in applicazione dell'ordinario principio dell'onere della prova, far carico a coloro che avevano eccepito la prescrizione di provare il momento, anteriore a quello affermato dal creditore, di relativa decorrenza, la corte ha ritenuto assolto tale onere sulla base di presunte ammissioni del debitore, che, viceversa, nulla provavano in ordine al presupposto in contestazione. In fin dei conti, la corte avrebbe dovuto ritenere non provata la decorrenza della prescrizione dell'azione da data anteriore a quella di pubblicazione del decreto di messa in liquidazione coatta amministrativa della societa'.

il primo motivo del ricorso di Pa.Ne. e l'unico motivo del ricorso di Bo.Ma. e Di. Th.Si. denunziano, con argomentazioni uguali perfino sotto il profilo letterale, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 112, 113 e 115 c.p.c.. La corte territoriale non ha valutato che la prescrizione era maturata anche ad ancorarne la decorrenza alla data di liquidazione coatta amministrativa della Et., vale a dire al 15 ottobre 1985; la notificazione dell'atto di citazione introduttivo del giudizio non venne eseguita nei confronti del Ce. (ovvero nel confronti di uno del pretesi corresponsabili in solido) il 7 ottobre 1990, bensi' in data 17 ottobre 1990, come facilmente riscontrabile dagli atti di causa.

Con il secondo motivo del suo ricorso, la Pa. denuncia violazione e/o falsa applicazione della L.F., articolo 206, lamentando il rigetto della eccezione di improcedibilita' dell'azione di responsabilita' per difetto di autorizzazione al commissario liquidatore, tale non potendo definirsi la formula "visto si prende atto", apposta dall'autorita' di vigilanza in calce a un atto non qualificabile come vera e propria richiesta di preventiva autorizzazione L.F., ex articolo 206, e per di piu' non protocollato. Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del disposto di cui all'articolo 2697 c.c.. Il tribunale aveva condannato i componenti del consiglio di amministrazione e i sindaci convenuti in giudizio, sul presupposto della responsabilita' oggettiva per il solo fatto di avere rivestito quelle cariche, omettendo ogni qualsiasi valutazione riguardo la sussistenza delle riferite doglianze, rimettendo in discussione il giudicato formatosi sugli stessi fatti in esito al procedimento penale definito con sentenza pienamente assolutoria in data 31 ottobre 1991 e senza aver previamente dimostrato la successione nel tempo delle persone chiamate a svolgere gli incarichi di amministratore e sindaco.

Con l'ultimo motivo, denuncia nullita' del giudizio di merito per violazione del disposto di cui all'articolo 305 c.p.c., il processo "di appello" fu dichiarato interrotto per la morte di alcuni appellati. La Et. ha chiesto la riassunzione, ma ha omesso la notifica del ricorso e del pedissequo decreto agli eredi. Si e' cosi provocata la estinzione del giudizio ex articolo 305 c.p.c., non potendo valere quanto osservato al riguardo dalla corte romana secondo cui la mancata riassunzione nei confronti di alcuni soggetti opera solamente rispetto a essi, unici legittimati ad eccepirla.

Vanno esaminati con priorita' assoluta, in quanto concernenti questioni pregiudiziali rilevabili d'ufficio, il quarto e il secondo motivo del ricorso incidentale della Pa., pur se proposto condizionatamente all'accoglimento del ricorso principale (cfr. Cass. Sez. un. n. 212/2001 e, da ultimo, Cass. n. 1582/2008).

Del quarto motivo, che precede nell'ordine logico, va rilevata la infondatezza alla luce del principio (ignorato dalla ricorrente), secondo cui in tema di adempimento delle obbligazioni solidali passive, quale quella configurabile a carico dei convenuti nel presente giudizio, sussiste fra i coobbligati un'ipotesi di litisconsorzio non necessario, ma meramente facoltativo e, pertanto, il creditore, come e' libero di agire in giudizio contro uno qualsiasi dei condebitori, cosi' e' altrettanto libero di riassumere 11 processo, istaurato nei confronti di tutti i coobbligati e successivamente interrotto, nei confronti di uno soltanto di essi (cfr. Cass. nn. 4296/1987, 6186/1980, 4532/1978, 3835/1975, 971/1974, 2683/1970, 2689/1968). Di vero, la solidarieta' a carico di piu' soggetti comportando la responsabilita', di fronte al creditore, di ciascuno degli obbligati per l'intero, non da mai luogo a quella situazione di diritto sostanziale che renderebbe inutiliter data la sentenza emessa nei confronti di uno solo degli obbligati in solido. Per la stessa ragione, non si rende necessaria l'integrazione del contraddittorio nel giudizio d'impugnazione, ai sensi dell'articolo 331 c.p.c., ove la sentenza emessa contro piu' obbligati solidali sia stata impugnata nei confronti di uno solo dei medesimi.

In altre parole, l'obbligazione solidale passiva non comporta, sul piano processuale, l'inscindibilita' delle cause e non da luogo a litisconsorzio necessario in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per l'intero nei confronti di ogni debitore, e' sempre possibile la scissione del rapporto processuale, il quale puo' utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo del coobbligati, con la conseguenza che se sia uno solo di essi a proporre appello (o questo sia formulato solo nel confronti di uno solo di essi), il giudizio puo' legittimamente proseguire senza dover estendere necessariamente il contraddittorio nei confronti degli altri, non rientrandosi in una delle ipotesi previste dall'articolo 331 c.p.c., (cosi' Cass. n. 24680/2006).

Nella specie, non v'e' dubbio che si versi in una ipotesi di litisconsorzio facoltativo improprio in quanto la responsabilita' di amministratori e sindaci per fatti di mala gestio configura un'ipotesi di obbligazione solidale in presenza della quale non sussiste litisconsorzio necessario (cfr. Cass. nn. 1760/1981, 5341/1981) di guisa che il creditore, contrariamente a quanto osservato dalla ricorrente, e' sempre libero, proprio in forza del principio della solidarieta', di scegliersi il convenuto e di limitare la domanda soltanto a taluno degli obbligati, salva in ogni caso la facolta' del convenuto prescelto di chiamare in causa ex articolo 106 c.p.c., i coobbligati o agire separatamente in regresso contro di loro ai sensi dell'articolo 1299 c.c.. La responsabilita' solidale, quale e' quella prevista a carico di amministratori e sindaci dagli articoli 2392 e 2407 c.c., da quindi luogo a un procedimento che e' soltanto formalmente unico, poiche' alla pluralita' di parti che agiscono o sono convenute corrisponde una pluralita' di rapporti processuali tra loro scindibili, che pertanto rimangono indipendenti, di modo che le vicende proprie di ciascuno di essi non possono comunicarsi agli altri. Ne consegue che, se si verifica una causa di estinzione con riguardo a uno dei predetti rapporti processuali, questa deve essere dichiarata unicamente con riferimento a quel rapporto e non si estende all'intero processo (cfr. Cass. 4924/1984, 2298/1995).

Non ricorrendo una situazione di litisconsorzio necessario, il rilevato difetto di contraddittorio nei riguardi degli eredi di Francesco Soprano non ha inciso sulla prosecuzione del giudizio nei confronti degli altri convenuti, ai quali l'atto di riassunzione e' stato correttamente notificato.

Invero, l'atto riassuntivo deve essere notificato a tutti i soggetti nei confronti dei quali si e' costituito originariamente il rapporto processuale soltanto nella ipotesi di litisconsorzio necessario e, nel caso in cui non lo sia stato, il Giudice deve ordinare la integrazione del contraddittorio nei confronti di quei soggetti verso i quali la riassunzione non sia avvenuta. In ipotesi di litisconsorzio facoltativo, invece, il fatto che l'atto riassuntivo sia stato notificato a taluni soltanto dei litisconsorti, da un lato, consente che il processo prosegua nei confronti di costoro e, dall'altro, come bene rilevato dalla corte capitolina, non ne impedisce l'estinzione nei confronti di quei litisconsorti verso i quali la riassunzione non sia stata operata (cfr. Cass. 2329/1964, 2689/1968, 2079/1975, 1946/1981, 2938/1989, 7323/1994, 1752/1997). Quanto detto a proposito della natura facoltativa del litisconsorzio verificatosi nella specie e della conseguente scindibilita' dei singoli rapporti processuali, vale altresi' per gli eredi di Ga.Fe. nei cui confronti non e' stato notificato l'appello incidentale della Et. s.p.a., se (anche) a cio' intende riferirsi la ricorrente con la doglianza in esame, che per la sua palese genericita' assume pure rilevanti profili di inammissibilita'. il secondo motivo esprime censure per piu' versi inammissibili.

Come accennato in istorico, la corte capitolina ha condiviso il giudizio del tribunale per il quale l'autorizzazione al promuovimento dell'azione di responsabilita' contro amministratori e si'ndaci della Et. di. As. Ge. s.p.a. andava ravvisata nella nota apposta dal presidente dell'I.S.V.A.P. in calce alla comunicazione del commissario liquidatore di aver conferito l'incarico di agire in giudizio all'avvocato Pronticelli Giovanni. Cio' in quanto non poteva contestarsi che "la presa d'atto" da parte dell'organo cui spettava di consentire o vietare l'azione giudiziale abbia avuto il significato di manifestazione di consenso validamente espresso perche' non vincolato a particolari forme di esternazione. I giudici del merito hanno dunque ravvisato la concessione dell'autorizzazione al promovimento dell'azione di responsabilita' contro amministratori e sindaci nel visto, con presa d'atto, apposto dall'autorita' di vigilanza sulla nota con la quale il commissario liquidatore comunicava di avere gia' conferito a quel fine procura a un legale. Si e', all'evidenza, di fronte alla valutazione di un fatto, che costituisce operazione tipicamente riservata al giudice di merito e che, in quanto sufficientemente motivata, e' incensurabile in questa sede di legittimita'.

Della diversa questione concernente la sussistenza di una vera e propria richiesta di autorizzazione, nulla e' detto in sentenza, ne' nelle conclusioni ivi epigrafate (dove, anzi, la difesa della Pa. reitera l'eccezione di improcedibilita' dell'azione "per difetto di autorizzazione dell'Autorita' di Vigilanza"). In un simile contesto, sarebbe stato onere della ricorrente indicare in quale scritto difensivo o atto del processo l'ha sollevata. Non avendo minimamente assolto tale onere, la questione va considerata come inammissibilmente posta per la prima volta in questa sede di legittimita'.

Puo' a questo punto passarsi all'esame del ricorso principale.

I due motivi in cui detta impugnazione si compendia possono essere trattati congiuntamente, attesa la complementarieta' delle relative censure, tutte vertenti sull'accertamento della data iniziale di decorrenza del termine di prescrizione dell'azione proposta in giudizio.

Essi si rivelano infondati.

Anzitutto, la ricorrente censura alcuni argomenti, in realta', non addotti dalla sentenza qui impugnata, ma, semmai, dalle difese della Pa.. Cosi', per quanto riguarda la pretesa confusione tra i concetti di (insufficienza del) capitale sociale e (insufficienza del) patrimonio sociale nonche' l'asserito travisamento delle ragioni sottese al provvedimento di commissariamento della Etnisca s.p.a., non essendovi traccia in sentenza ne' dell'una ne' all'altra tematica.

Per il resto, diversamente da quanto opinato dalla amministrazione ricorrente, la corte territoriale ha premesso che l'insufficienza del patrimonio a soddisfare le ragioni dei creditori non necessariamente coincide con la dichiarazione dello stato di insolvenza ne' era nella specie implicita nel provvedimento ministeriale che dispose lo scioglimento degli organi ordinari della societa'; ha specificato che la prova del momento in cui si era manifestata l'insufficienza del patrimonio della Et. s.p.a. a soddisfare le ragioni dei creditori incombeva sui convenuti eccipienti la prescrizione. Alla luce di tali corretti principi, lo stesso Giudice ha ritenuto raggiunta la prova che l'insufficienza patrimoniale si era verificata ben prima dei cinque anni anteriori all'esperimento dell'azione, in quanto nella stessa citazione introduttiva del giudizio l'attrice aveva affermato che nel bilancio al 31 dicembre 1984 (1994 in sentenza, per un mero lapsus calami) redatto dall'amministratore subentrato al Ce. il 5 febbraio 1985 (1995 in sentenza, per altro evidente errore materiale) erano emerse perdite per lire 13.592.475.452; ha soggiunto il Giudice a quo che nel successivo bilancio compilato dal commissario straordinario tali perdite erano risultate notevolmente superiori. Ne ha concluso che nell'ottobre 1990, quando fu effettuata la prima notificazione della citazione, il quinquennio di prescrizione era dunque trascorso.

Tale essendo il discorso giustificativo della sentenza impugnata non e' dato comprendere, anzitutto, come vi si possano ravvisare le denunciate violazioni di legge. In particolare, non si vede in base a quali specifiche ragioni la corte del merito sia incorsa nella denunziata violazione dell'articolo 2394 c.c., e delle regole che presiedono alla distribuzione dell'onere della prova. Il Giudice a quo ha ritenuto che, stante la consistente perdita, pari al doppio del capitale sociale, riportata nel bilancio relativo all'esercizio chiuso al 31 dicembre 1984, era gia' evidente l'insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i creditori.

Ora, secondo il consolidato orientamento di questa suprema Corte, la responsabilita' degli amministratori e dei sindaci della societa' verso i creditori si ricollega a un'insufficienza del patrimonio sociale, imputabile a colpa degli stessi. Per l'accertamento del dies a quo del termine di prescrizione, che decorre dal giorno in cui il diritto puo' essere fatto valere (articolo 2935), deve tenersi conto del secondo comma dell'articolo 2394 c.c., per il quale l'azione puo' essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.

La nozione di insufficienza patrimoniale si desume dalla lettera dell'articolo 2394, ed e' comunemente individuata nella eccedenza delle passivita' sulle attivita' del patrimonio netto dell'impresa, ovverosia in una situazione in cui l'attivo sociale, raffrontato ai debiti della societa', sia insufficiente al loro soddisfacimento. Ugualmente pacifica e' la differenziazione di tale concetto dall'eventualita' della perdita integrale del capitale sociale, dal momento che quest'ultima evenienza puo' verificarsi anche quando vi e' un pareggio tra attivo e passivo perche' tutti i beni sono assorbiti dall'importo dei debiti e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della societa'. L'insufficienza patrimoniale e' una condizione piu' grave e definitiva della mera insolvenza, indicata dall'articolo 5 del r.d. 16 marzo 1992, n. 267 come incapacita' di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una societa' trovare nell'impossibilita' di far fronte ai propri debiti ancorche' il patrimonio sia integro; cosi' come potrebbe accadere l'opposto, vale a dire che l'impresa possa presentare un'eccedenza del passivo sull'attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidita' e di credito richieste (per esempio ricorrendo ad ulteriore indebitamento). L'insolvenza, in sostanza, connota uno stato di salute dell'impresa meno grave del vero e proprio deficit patrimoniale, dal momento che anche in caso di patrimonio netto negativo la societa' potrebbe adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni (ad esempio, grazie alle disponibilita' creditizie di cui gode) e che, d'altra parte, un imprenditore puo' essere insolvente anche quando l'attivo prevale sul passivo (come avviene tipicamente nell'ipotesi in cui le poste attive siano difficilmente liquidabili nel breve periodo, a fronte di debiti pur di minore entita', ma immediatamente esigibili).

Il momento in cui si verifica l'insufficienza del patrimonio, dunque, non coincidendo con il determinarsi dello stato di insolvenza, puo' essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento o all'assoggettamento dell'impresa alla liquidazione coatta amministrativa (per tutte, vedi Cass. n. 10937/1997).

L'orientamento da tempo affermatosi nella giurisprudenza, e largamente seguito in dottrina, ritiene che la prescrizione dell'azione esc. articolo 2394 c.c., debba iniziare a decorrere dal momento in cui l'insufficienza patrimoniale divenga oggettivamente conoscibile dai creditori (cfr. Cass. nn. 5241/1981, 10937/1997 cit., 5287/1998, 9815/2002, 941/2005). Con tale interpretazione il termine "risultare" contenuto nella citata disposizione normativa ("l'azione puo' essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti") viene letto in chiave oggettiva, come sinonimo di "manifestarsi", e cio' essenzialmente per la ragione che, fino a quando i creditori non sono in grado di venire a conoscenza della situazione da cui potrebbe derivare loro un pregiudizio, essi non sono nella condizione di esperire l'azione posta a loro tutela e non avrebbe quindi senso far decorrere la prescrizione fino a che tale condizione non si realizzi. E', in altri termini, piu' appropriato, rispetto al significato proprio delle parole, ritenere che la manifestazione della insufficienza patrimoniale richieda soltanto una situazione oggettivamente conoscibile.

Nell'ambito di tale interpretazione, il nodo problematico riguarda la ricerca di criteri e parametri di riferimento che consentano l'esatta determinazione del momento in cui l'insufficienza patrimoniale puo' manifestarsi. A questo scopo un primo, comune punto di partenza e' costituito dal costante riferimento al momento della dichiarazione di fallimento (o dell'assoggettamento a liquidazione coatta amministrativa) : essendo, infatti, nella pratica il fallimento (o l'altra procedura concorsuale) la sede normale in cui l'azione contemplata dall'articolo 2394 c.c., viene esercitata (per lo meno per le societa' aventi un oggetto commerciale), torna utile servirsi di tale momento come primo possibile punto di riferimento rispetto al quale collocare nel tempo la manifestazione dell'insufficienza patrimoniale.

Quindi, il punto di emersione della situazione di insufficienza patrimoniale puo' coincidere con la data di dichiarazione del fallimento (o di apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa) : nella sentenza dichiarativa di fallimento (o con il decreto di messa in l.c.a.) puo' risultare conoscibile per la prima volta il preesistente stato di eccedenza delle passivita' in cui si trova la societa'. In questo caso, dunque, la prescrizione decorrerebbe dalla medesima data. In tale prospettiva, in alcune sentenze si e' espressamente affermata una presunzione (di carattere, comunque, relativo) di coincidenza tra data di dichiarazione di fallimento e giorno di inizio della prescrizione dell'azione dei creditori, salva la possibilita' di dare prova dell'emersione dello stato di insufficienza patrimoniale in un momento diverso. Come si e' sopra sottolineato, infatti, la predetta coincidenza non e' affatto automatica, avendo la dichiarazione del Giudice ad oggetto non lo stato di insufficienza patrimoniale, ma la diversa situazione dell'insolvenza.

Altrettanto semplice e' l'ipotesi in cui l'insufficienza patrimoniale si manifesti successivamente alla sentenza dichiarativa del fallimento; lo sbilancio patrimoniale negativo potrebbe essere scoperto soltanto nel corso della procedura fallimentare, o, addirittura, potrebbe verificarsi (e manifestarsi) proprio durante le operazioni di realizzo delle poste attive del patrimonio (le quali, nel corso della procedura, potrebbero perdere drasticamente di valore in virtu' della mutata prospettiva dell'impresa). In questo caso, la prescrizione quinquennale decorrerebbe dal deposito del bilancio finale di liquidazione o, con maggiore certezza, dalla data della cancellazione della societa'.

Piu' problematica e' l'individuazione del momento di esteriorizzazione dell'insufficienza patrimoniale antecedentemente al fallimento o alla messa in liquidazione coatta amministrativa. Non essendo stato, finora, individuato un qualche criterio generale significativo per determinare quando possa ritenersi esistente l'oggettiva conoscibilita' dello stato di insufficienza patrimoniale, la funzione orientativa e' svolta dalla sola casistica giurisprudenziale.

In proposito, non possono sussistere dubbi circa l'idoneita' di un bilancio di esercizio, che segnali una situazione patrimoniale in negativo, a costituire il modo con cui lo stato di incapienza diventi manifesto. E' noto che il bilancio ha natura pubblica e, a seguito del deposito, consente ai terzi di conoscere la consistenza patrimoniale della societa'. Altrettanto indubbia e' la sua opponibilita' erga omnea e la capacita' di operatori, anche non particolarmente qualificati, di leggerlo adeguatamente (o comunque di evincerne uno sbilancio del patrimonio netto). Del resto, questa Corte ha espressamente affermato che l'insufficienza patrimoniale costituisce una situazione oggettivamente conoscibile, che si verifica, oltre che nell'ipotesi di infruttuosa esecuzione da parte di tutti i creditori e di proposte di concordato giudiziale e stragiudiziale remissorio, anche con riferimento alle risultanze del bilancio finale di liquidazione e del bilancio di esercizio, quando non vi siano poste suscettibili di sottovalutazione (vedi Cass. n. 9815/2002, cit.).

Nella specie, con incontestato giudizio di fatto, la corte territoriale ha accertato che l'approvazione del bilancio relativo all'esercizio chiuso al 31 dicembre 1984 aveva evidenziato una notevole eccedenza delle passivita' sulle attivita' patrimoniali, escludendo implicitamente proprio quel margine di solvibilita' di cui parla la ricorrente. Ne ha tratto la conclusione, in difetto di concreti elementi contrari, di una conclamata situazione di insufficienza patrimoniale.

Peraltro, la restrizione della possibilita', per i creditori, di esercitare l'azione di responsabilita' contro amministratori e sindaci della societa' debitrice nel momento in cui l'insufficienza risulti da un bilancio approvato e' contrastata dalla ricorrente con riferimento a petizioni di principio e senza alcuna allegazione di circostanze concretamente provate in giudizio, valevoli a escludere che, nonostante il consistente squilibrio finanziario, il patrimonio delle Et. s.p.a. fosse incapiente.

Del resto, la tesi della ricorrente, volta a scartare quali momenti di percepibilita' dell'insufficienza patrimoniale quelli legati a prescritte formalita', non pare conforme alla ratio sottesa alla norma generale di cui all'articolo 2394 c.c., ravvisatile nell'esigenza di garantire la possibilita' di esercitare il diritto in presenza di elementi ritenuti inidonei a dare un'oggettiva e ragionevole certezza di conoscenza della situazione economica del debitore.

Il contesto motivazionale che emerge dalla sentenza si appalesa coerente con il quadro normativo e in linea con la elaborazione giurisprudenziale sul tema. L'insufficienza patrimoniale e' stata desunta dal fatto che la societa' aveva subito perdite pari al doppio del capitale sociale e, quindi, tali, tra l'altro, da richiedere la convocazione urgente dell'assemblea per l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 2447 c.c.. Seppure conciso, il ragionamento decisorio risulta insindacabile in sede di legittimita', in quanto intrinsecamente logico; va, d'altronde, considerato che la valutazione delle emergenze probatorie e la scelta di quelle piu' idonee a sorreggere la motivazione sono attivita' istituzionalmente proprie del giudice di merito. A parte la sovrabbondanza della relativa rubrica (una motivazione omessa, e cioe' non resa in alcun modo, ne' bene ne' male, non puo' essere viziata per insufficienza, ovvero per contraddizione), i rilievi della ricorrente si rivelano inammissibili, tendendo palesemente a una nuova e diversa valutazione, in questa sede, dell'apprezzamento di fatto compiutamente espresso, nell'ambito della sua esclusiva attribuzione istituzionale, dal giudice del merito.

In definitiva, il ricorso principale va respinto.

Gli altri motivi del ricorso incidentale, sia pure condizionato, della Pa. e il coincidente motivo del ricorso incidentale condizionato del Bo. e del Di. Th. sono inammissibili, attenendo a questioni chiaramente ritenute assorbite dalla pronuncia qui impugnata, sicche' l'eventuale accoglimento del ricorso non ne avrebbe impedito il riesame ad opera del Giudice del rinvio (cfr., solo per citare le piu' recenti, Cass. nn. 3796/2008, 4787/2007, 17631/2007, 22346/2006, 10848/2006).

Devono, quindi, essere rigettate anche le impugnazioni incidentali. La reciproca soccombenza costituisce di per se' giusto motivo di compensazione delle spese del presente giudizio di legittimita'.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta e compensa le spese del giudizio di cassazione.

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