Se il curatore ha optato per lo scioglimento del contratto di leasing il concedente ha solo diritto alla restituzione del bene ed un diritto eventuale di insinuarsi nel passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato

Qualora il curatore opti per lo scioglimento del contratto di leasing, il concedente non ha alcun diritto alla restituzione dei canoni residui, che l'utilizzatore stesso avrebbe dovuto corrispondere nell'ipotesi di normale svolgimento del rapporto di locazione finanziaria; ha soltanto diritto alla restituzione del bene e un diritto eventuale di insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato, o meglio la minor somma ricavata rispetto a detto credito dalla nuova allocazione del bene. Pertanto, intervenuto lo scioglimento del contratto, il concedente non ha alcun potere di chiedere l'ammissione al passivo per una somma corrispondente all'importo dei canoni, che l'utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere in una situazione di normale svolgimento del contratto, trattandosi di un credito del quale, con la cessazione dell'utilizzazione del bene concesso in locazione finanziaria, viene meno l'esigibilità, subentrando al regolamento contrattuale un diverso assetto degli interessi delle parti regolato direttamente dalla legge, per cui residua al concedente il solo diritto di insinuarsi al passivo in un secondo momento qualora, allocato nuovamente il bene oggetto del contratto di leasing, dovesse verificarsi una differenza a suo favore fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato a seguito della nuova allocazione del bene.

Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 1 marzo 2010, n. 4862



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo - Presidente

Dott. FIORETTI Francesco Maria - rel. Consigliere

Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere

Dott. BERNABAI Renato - Consigliere

Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 2113-2008 proposto da:

LO. S.P.A. (c.f. (OMESSO)), in persona dell'Amministratore Delegato pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA SCROFA I 14, presso l'avvocato CAPRINO GAETANO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SAVASTA FIORE SIMONELLO, giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO DI CG. EL. S.R.L. (P.I. (OMESSO)), in persona del Curatore Dott.ssa BI. GI. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PACUVIO 34, presso l'avvocato ROMANELLI GUIDO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato SOLAVAGIONE SILVANA, giusta procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositato il 12/12/2007; n. 16778/07 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2009 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per la ricorrente, l'Avvocato FILIPPO DI PEIO, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l'Avvocato GUIDO ROMANELLI che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data (OMESSO) la Lo. s.p.a. acquistava dalla Im. Ge. In. s.r.l. per il prezzo di lire 1.350.000.000 - ora euro 697.217,00 - un immobile, sito in (OMESSO) - che poi, in forza di contratto di leasing, concedeva in locazione finanziaria alla C.G.S. El. per il canone di lire 10.152.000 mensili, ora euro 5.243,07.

Il Tribunale di Torino, con sentenza del 26 settembre 2006, dichiarava il fallimento della societa' utilizzatrice C.G.S. El. , a seguito del quale la Lo. s.p.a. chiedeva la restituzione ed immissione in possesso dell'immobile oggetto della locazione finanziaria e l'ammissione al passivo del fallimento per l'importo dei canoni scaduti e per l'intero valore residuo del bene.

Il giudice delegato ammetteva la istante al passivo in chirografo per la sola somma di euro 17.890,54, corrispondente all'importo dei canoni scaduti prima della sentenza dichiarativa di fallimento, accoglieva la istanza di restituzione dell'immobile, essendo intervenuta da parte del curatore, previo parere favorevole del comitato dei creditori, la dichiarazione di scioglimento dal contratto di leasing, con obbligo della Lo. s.p.a. di allocare il bene anche nell'interesse e senza pregiudizio del fallimento, comunicando allo stesso il ricavato della nuova allocazione e con obbligo di corrispondere al fallimento l'eventuale differenza ai sensi della L.F., articolo 72 quater, comma 2.

La Lo. s.p.a., ritenendo errato il provvedimento di accoglimento parziale della istanza di ammissione allo stato passivo per la sola somma di euro 17.890,54, pari all'ammontare dei canoni scaduti alla data del fallimento, proponeva opposizione al provvedimento di ammissione al passivo per il solo importo di detti canoni, chiedendo che fosse riconosciuto il maggiore suo credito da finanziamento nella misura di euro 465.794,09, in quanto corrispondente, unitamente alla somma di euro 17.890,54 per canoni scaduti e rimasti insoluti, all'intero credito residuale della societa' concedente risultante dal contratto di leasing.

Il Tribunale di Torino respingeva l'opposizione osservando che il concedente, avendo il curatore optato per lo scioglimento del contratto di leasing, aveva diritto alla restituzione del bene concesso in locazione finanziaria, ma non di insinuarsi al passivo del fallimento dell'utilizzatore per l'intero valore residuo del bene stesso, del quale era tenuto a curare la realizzazione per eventualmente corrispondere alla curatela la differenza in esubero del valore del bene rispetto all'ammontare del capitale residuo o chiedere la ammissione al passivo, qualora il ricavato dalla nuova allocazione fosse risultato inferiore all'importo del capitale residuo; che la societa' Lo. non aveva proposto opposizione avverso il provvedimento relativo alla restituzione del bene, che, quindi, risultava ormai incontestabile; che la domanda di ammissione al passivo del credito di euro 442.371,35, a titolo di importo capitale, residuo doveva ritenersi estranea ai principi stabiliti dalla nuova disciplina prevista dall'articolo 72 quater, L.F. (introdotta con il Decreto Legislativo n. 5 del 2006); che la societa' Lo. , in virtu' di tale disciplina, aveva soltanto il diritto (fino al momento dell'esaurimento di tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare) di insinuare al passivo l'eventuale credito ancora sussistente per capitale residuo, nella ipotesi in cui il ricavato dalla nuova allocazione del bene oggetto del leasing fosse risultato inferiore all'importo del capitale residuo.

Avverso detto decreto la Lo. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Il Fallimento di CG. el. s.r.l. ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico motivo la ricorrente denuncia violazione del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articoli 93, 72 e 72 quater in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3.

Deduce la ricorrente che il giudice a quo avrebbe errato nel limitare l'ammissione al passivo del credito della Lo. s.p.a. all'ammontare dei soli canoni rimasti insoluti, non avendo detto giudice considerato che l'ammissione allo stato passivo anche del credito finanziario esistente al momento della dichiarazione di fallimento, coincidente con la quota di finanziamento ancora non pagata, costituisce il presupposto necessario per la successiva determinazione finale delle rispettive posizioni residuali di debito e credito al fine dell'applicazione della L.F., articolo 72 quater.

Il Tribunale, nell'adottare la decisione censurata, avrebbe equivocato tra il diritto della societa' concedente ad insinuarsi allo stato passivo come previsto dalla L.F., articolo 72 quater, comma 3 ed il piu' generale diritto di qualsiasi creditore di veder riconosciuto il proprio credito nello stato passivo avvalendosi di quanto previsto dall'articolo 93, L.F..

La previsione dell'articolo 72 quater, comma 3 riguarderebbe soltanto l'ipotesi di perdita su cespite da parte della societa' finanziaria dopo la riallocazione o vendita del bene e non gia' l'unico mezzo per far valere il proprio credito, non potendo sostenersi che solo in tale ipotesi la societa' di leasing avrebbe la possibilita' di chiedere la insinuazione allo stato passivo dell'effettivo suo credito residuo, coincidente con il credito finanziario ancora esistente al momento della dichiarazione di fallimento. Conclusivamente la societa' ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: "Dica l'Ecc.ma Corte di Cassazione se la Societa' concedente in leasing abbia, in relazione a quanto disposto dall'articolo 72 quater, diritto ad insinuare immediatamente nel passivo fallimentare ai sensi dell'articolo 93, L.F. l'intero suo credito corrispondente alla quota residuale del finanziamento risultante impagata alla data della sentenza dichiarativa del fallimento dell'Utilizzatore, in aggiunta al credito eventualmente maturato per canoni scaduti ed impagati a tale data, ovvero possa far valere il proprio credito limitatamente a tale minor causale".

Il ricorso e' infondato.

La cassazione in numerosissime pronunce ha individuato due forme di leasing: il leasing cosiddetto di godimento, pattuito con funzione di finanziamento rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto (con conseguentemente marginalita' della eventuale opzione di acquisto) e dietro canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell'uso dei beni stessi; il leasing cosiddetto traslativo, pattuito con riferimento a beni atti a conservare alla scadenza del rapporto un valore residuo superiore all'importo convenuto per l'opzione di acquisto e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale) (cfr. per tutte Cass. n. 65 del 1993 resa a sezioni unite).

In tema di effetti del fallimento su preesistente rapporto di leasing e ai fini della disciplina delle conseguenze dell'eventuale scioglimento del relativo contratto (con riferimento a fattispecie verificatesi prima della entrata in vigore della riforma delle procedure concorsuali del 2006) questa Suprema Corte ha affermato che occorre distinguere l'ipotesi del leasing di godimento dalla ipotesi del leasing traslativo; e che nel primo caso, trattandosi di contratto ad esecuzione continuata o periodica, la risoluzione non incide retroattivamente sulle prestazioni gia' eseguite (articolo 1458 c.c., comma 1), per cui la societa' di leasing non e' tenuta a restituire al fallimento i canoni percepiti; che, nel secondo caso, invece si verifica tale retroattivita', per cui la societa' di leasing deve ritenersi tenuta alla restituzione dei pagamenti riscossi, salva la compensazione per il suo credito per l'equo compenso, che va riconosciuto in applicazione analogica del disposto di cui all'articolo 1526 cod. civ. (cfr. per tutte Cass. n. 8919 del 1993).

Il Decreto Legislativo n. 5 del 2006, che ha riformato la disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, all'articolo 72 quater non ha dato rilievo alla distinzione del contratto di leasing formulata dalla giurisprudenza di legittimita', ma ha dettato una identica disciplina della locazione finanziaria, valevole tanto per il cd. leasing di godimento che per il cd. leasing traslativo. Detta norma stabilisce che al contratto di locazione finanziaria, si applica, in caso di fallimento dell'utilizzatore, l'articolo 72, il quale, con riferimento ai rapporti pendenti, attribuisce al curatore una duplice facolta': 1) di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendone tutti i relativi obblighi; 2) di sciogliersi dal contratto medesimo. L'articolo 72 quater stabilisce altresi' che in caso di scioglimento del contratto (ed e' il caso di specie) il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed e' tenuto a versare alla curatela l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra allocazione del bene stesso rispetto al credito residuo in linea capitale e che per le somme gia' riscosse si applica l'articolo 67, comma 3, lettera a), vale a dire ne e' esclusa la revocabilita'; che il concedente ha diritto di insinuarsi nello stato passivo per la differenza del credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene.

In virtu' del Decreto Legislativo 12 settembre 2007, n. 169, articolo 4, comma 8, l"articolo 74 quater e' stato modificato stabilendo che la eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra allocazione del bene rispetto al credito residuo in linea capitale deve essere determinata con riferimento a vendite od allocazioni avvenute a valori di mercato.

La ricorrente sostiene di avere diritto, nonostante la nuova disciplina, di essere ammessa al passivo per l'importo del credito vantato alla data del fallimento, vale a dire per tutti i canoni ancora non corrisposti e che l'utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere qualora il contratto avesse avuto piena e completa esecuzione sulla base di quanto pattuito.

Tale tesi non e' condivisibile per le seguenti considerazioni.

Dalla norma in esame si evince chiaramente che il concedente, qualora il curatore opti per lo scioglimento del contratto, non ha alcun diritto alla restituzione dei canoni residui, che l'utilizzatore stesso avrebbe dovuto corrispondere nell'ipotesi di normale svolgimento del rapporto di locazione finanziaria; ha soltanto diritto alla restituzione del bene ed un diritto eventuale (per il quale vi e' incertezza sul se verra' ad esistenza e su quale eventualmente ne sara' il preciso ammontare) di insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato, o meglio la minore somma ricavata rispetto a detto credito dalla nuova allocazione del bene. Pertanto, intervenuto lo scioglimento del contratto, il concedente non ha alcun potere di chiedere l'ammissione al passivo per una somma corrispondente all'importo dei canoni, che l'utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere in una situazione di normale svolgimento del contratto, trattandosi di un credito del quale, con la cessazione della utilizzazione del bene concesso il locazione finanziaria, viene meno la esigibilita', subentrando al regolamento contrattuale un diverso assetto degli interessi delle parti regolato direttamente dalla legge, per cui residua al concedente il solo diritto di insinuarsi al passivo in un secondo momento qualora, allocato nuovamente il bene oggetto del contratto di leasing, dovesse verificarsi una differenza a suo favore fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato a seguito della nuova allocazione del bene.

Potrebbe verificarsi che il ricavato derivante dalla nuova allocazione del bene pareggi o addirittura risulti superiore alla entita' dei canoni residui.

In tal ultimo caso il concedente sarebbe tenuto addirittura a versare alla curatela l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale. Pertanto e' illegittima la pretesa del concedente di ottenere l'ammissione al passivo dell'intero importo dei canoni non ancora scaduti al momento della dichiarazione di fallimento, di canoni cioe' la cui maturazione presuppone il permanere della utilizzazione e, quindi, il godimento di un bene, che, invece, con lo scioglimento del contratto, viene restituito al concedente e rientra cosi' nella sua disponibilita', tant'e' vero che questi puo' immediatamente provvedere ad una nuova allocazione dello stesso. Per quanto precede il ricorso deve essere respinto e la societa' ricorrente deve essere condannata a rimborsare al Fallimento resistente le spese del giudizio di legittimita', che, tenuto conto del valore della controversia, appare giusto liquidare in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per spese vive, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 8.200,00 (ottomiladuecento), di cui euro 8.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

 

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