Non è né illogica né irragionevole la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al militare appartenente alla Guardia di Finanza il quale risulti aver fatto uso di una sostanza stupefacente

Incontestata l'ampia discrezionalità che connota le valutazioni dell'amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da infliggere a fronte delle condotte accertate, non è né illogica né irragionevole la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al militare appartenente alla Guardia di Finanza il quale risulti aver fatto uso di una sostanza stupefacente, tenuto conto in primo luogo che l'appartenenza a un Corpo che è istituzionalmente preposto - fra l'altro - al contrasto allo spaccio e alla diffusione degli stupefacenti impone di valutare la condotta ascritta con la dovuta severità.

Consiglio di Stato, Sezione 4, Sentenza 15 marzo 2012, n. 1452



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7904 del 2011, proposto da:

Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comando Generale della Guardia di Finanza, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma;

contro

An.Mo., rappresentato e difeso dall'avv. An.Fi.Ta., con domicilio eletto presso An.Fi.Ta. in Roma;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II n. 03560/2011, resa tra le parti, concernente SANZIONE PERDITA DEL GRADO PER RIMOZIONE

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di An.Mo.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2012 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati An.Fi.Ta. e An.Gr. (avv. St.);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza 26 aprile 2011, n. 3560, il T.A.R. per il Lazio, Sez. II, accoglieva il ricorso proposto dal signor An.Mo. contro il provvedimento del 11 ottobre 2003 con il quale il Comando generale della Guardia di Finanza – in relazione al possesso di sostanze stupefacenti, accertato da militari dello stesso Corpo in Messina in data 27 settembre 2002 e non contestato dal ricorrente – aveva disposto la sanzione della perdita del grado per rimozione. Il Tribunale regionale riteneva l'impugnata sanzione illegittima in quanto non adeguatamente motivata, irragionevole e sproporzionata considerati il carattere occasionale dell'uso, la spontanea ammissione da parte del ricorrente, i favorevoli precedenti di carriera.

L'Amministrazione proponeva appello, insistendo per l'annullamento della sentenza di primo grado, previa sospensione dell'esecutività.

Il Mo. resisteva al ricorso costituendosi in giudizio con appello incidentale, chiedendo il rigetto dell'impugnazione proposta e, in subordine, rinnovando gli ulteriori motivi di gravame, già proposti in primo grado e dichiarati assorbiti in quella sede.

Contro il provvedimento sanzionatorio il Mo. esponeva quattro motivi di doglianza, il primo dei quali ritenuto fondato dal Giudice di primo grado. Tali motivi possono sinteticamente riassumersi nei termini seguenti:

1. eccesso di potere, per avere l'Amministrazione irrogato una sanzione – la perdita del grado per rimozione – non ragionevole e adeguata al fatto commesso, travisando le modalità della vicenda e senza tenere conto della occasionalità dell'episodio, dell'irrilevanza penale del fatto stesso, della mancanza di dolo del militare in ordine alla detenzione dello stupefacente, del suo comportamento al momento del fatto, dei precedenti dell'incolpato e della sua successiva condotta, dell'assenza di risonanza pubblica dell'accaduto;

2. violazione di legge ed eccesso di potere, in relazione al disposto dell'art. 109, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 2010, n. 309 (che prevede, per il militare in servizio assuntore di droga, la conservazione del posto di lavoro e il recupero sociale), nonché del combinato disposto della citata norma e dell'art. 6, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737 (riferito al recupero sociale dei militari e degli appartenenti alle Forze di Polizia che abbiano fatto uso di sostanze stupefacenti);

3. eccesso di potere per perplessità e contraddittorietà nell'azione amministrativa, per essere l'impugnata sanzione disciplinare in contrasto con i giudizi resi dall'Amministrazione medesima nei confronti del Mo. sia prima che dopo il fatto;

4. violazione di legge, in relazione all'art. 120 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e all'art. 21 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, per essersi il procedimento disciplinare concluso - con la notifica dell'atto all'interessato - quando era ormai perenta l'azione disciplinare per il decorso del termine di legge.

Nella camera di consiglio del 4 novembre 2011 l'Amministrazione non insisteva nella domanda cautelare, in vista di una sollecita definizione della causa nel merito.

All'udienza pubblica del 14 febbraio 2012, l'appello veniva chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. L'appello è fondato e va perciò accolto.

2. Non è contestato il fatto storico. Nel corso di un controllo effettuato dai militari della compagnia della Guardia di Finanza di Messina in data 27 settembre 2002, con l'ausilio di una unità cinofila, il militare Antonio Mo. consegnava spontaneamente un pacchetto di sigarette nel quale erano contenuti circa 3,22 grammi di marijuana e 7,13 grammi di hashish. Sottoposto in pari data a esame tossicologico, veniva riscontrato positivo ai cannabinoidi.

Come detto in narrativa, il sig. Mo. censura invece la congruità della sanzione a lui irrogata in dipendenza del fatto addebitato – vale a dire la perdita del grado per rimozione – e allega svariati profili dell'eccesso di potere nonché diverse violazioni di legge, da cui discenderebbe la illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado.

3. Quanto al primo motivo del ricorso, va richiamato il consolidato orientamento – dal quale il Collegio non ravvisa particolari ragioni per discostarsi – secondo cui, incontestata l'ampia discrezionalità che connota le valutazioni dell'Amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da infliggere a fronte delle condotte accertate, non è né illogica né irragionevole la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al militare appartenente alla Guardia di Finanza il quale risulti aver fatto uso di una sostanza stupefacente, tenuto conto in primo luogo che l'appartenenza a un Corpo che è istituzionalmente preposto – fra l'altro– al contrasto allo spaccio ed alla diffusione degli stupefacenti impone di valutare la condotta ascritta all'appellante con la dovuta severità (cfr. ex plurimis, da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2010, n, 2927; Id., 4 maggio 2010, n. 2548; Id., 13 maggio 2010, n. 2927; Id., 26 ottobre 2010, n. 8352; Id., 30 novembre 2010, n. 8352; Id., 18 novembre 2011, n. 6096; Id., 18 novembre 2011, n. 6099. Può anche rammentarsi il successivo revirement dello stesso Giudice di primo grado: T.A.R. Lazio, Sez. II, 1° agosto 2011, n. 6877).

Infatti la condotta rimproverata è del tutto inammissibile per un appartenente al Corpo della Guardia di Finanza perché, ponendosi in conflitto con uno specifico dovere istituzionale, costituisce una violazione con gli obblighi assunti con il giuramento di appartenenza e rende del tutto irrilevante qualunque considerazione circa l'irrilevanza penale del fatto, l'asserita mancanza di ripercussione sociale, i positivi precedenti dell'incolpato, ma giustifica la sanzione espulsiva ai sensi dell'art. 40, n. 6, della legge 3 agosto 1961, n. 833, a detta del quale il militare di truppa incorre nella perdita del grado quando è stato rimosso "per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità del Corpo o alle esigenze di sicurezza dello Stato, previo giudizio di una Commissione di disciplina".

Né può ritenersi che la gravità del comportamento del militare incolpato debba o possa influire sulla misura della sanzione in essa contemplata. Come ha più volte affermato il Consiglio di Stato, la perdita del grado è infatti "sanzione unica ed indivisibile", non essendo suscettibile di essere regolata tra un minimo e un massimo entro i quali all'Amministrazione spetti di esercitare il potere sanzionatorio.

Pertanto non può ritenersi illegittima, in quanto affetta da un supposto difetto di ragionevolezza e di proporzionalità, la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione inflitta al finanziere che abbia consumato, anche episodicamente, sostanze stupefacenti, dovendosi ricondurre tale comportamento alla violazione del giuramento e alla contrarietà con le finalità del Corpo, alla luce dei compiti istituzionali del Corpo stesso (fra i quali, come si è ricordato, rientra proprio il contrasto al contrabbando e al traffico di stupefacenti) e per la necessaria contiguità con soggetti operanti nell'illegalità che l'assunzione di stupefacenti inevitabilmente comporta. Nel caso di specie, risultando dal procedimento disciplinare che il fatto contestato all'incolpato è stato in modo argomentato ricondotto alla violazione del giuramento ed alla contrarietà con le finalità del Corpo, non solo non sussiste alcuna illegittimità per difetto di ragionevolezza o di proporzionalità della sanzione applicata, ma neppure per difetto della motivazione. Infatti, una volta accertato il venir meno delle doti morali necessarie per l'appartenenza alla Guardia di Finanza, la continuazione del rapporto di impiego ne risulta preclusa.

Tenuto conto dell'oggettiva gravità della condotta ascritta all'odierno appellato, non mette neppur conto indagare se la documentazione in atti deponga per il carattere del tutto isolato dell'episodio in contestazione, ovvero denoti nel Militierno una qualità di assuntore pur occasionale di sostanze stupefacenti (qualità peraltro che, come è noto, è praticamente impossibile da riscontrare clinicamente con riguardo al consumo di sostanze "leggere" del tipo di quelle di che trattasi in questo caso). Non occorre dunque valutare la ricostruzione degli eventi offerta dal militare (secondo cui le sostanze stupefacenti gli sarebbero state date, nello stesso treno in cui l'accertamento è avvenuto, da persone rimaste sconosciute), che appare comunque scarsamente attendibile, anche in considerazione della quantità di sostanza attiva rinvenuta, superiore ai 10 grammi.

4. Il secondo motivo del ricorso richiama specifiche normative volte a privilegiare il recupero sociale di militari e appartenenti alle Forze di polizia che siano assuntori di sostanze stupefacenti. Si tratta di normative di settore, che esauriscono la propria applicabilità dell'ambito dei Corpi espressamente indicati e non possono in particolare trovare applicazione alla Guardia di finanza, in considerazione del particolare ruolo istituzionale - prima richiamato - che questa assolve.

5. Il terzo motivo dell'impugnazione, che lamenta il contrasto tra il provvedimento adottato e i giudizi resi dall'Amministrazione in merito al Mo. sia prima che dopo il fatto, è per un verso manifestazione specifica del primo motivo – nella parte in cui si riferisce alle valutazioni precedenti – e come tale è già stato respinto. Per quanto concerne le valutazioni successive è del pari infondato, in quanto trascura l'evidente calo di giudizio che – come ammette la stessa parte privata– si riscontra nelle note di valutazione redatte in epoca posteriore ai fatti oggetto del procedimento disciplinare. E ciò, in disparte la questione generale del se, ed eventualmente in che misura, la condotta posteriore al fatto possa incidere sull'apprezzamento dell'illecito da parte dell'Amministrazione.

6. E' del pari senza fondamento il quarto motivo dell'appello.

La decisione della Commissione di disciplina è presa il 17 luglio 2003; il provvedimento espulsivo che ne segue reca la data del successivo 11 ottobre ed è portato a conoscenza del Mi. il giorno 22 dello stesso mese.

Per costante giurisprudenza di questo Consiglio, ai fini del computo dell'intervallo di 90 giorni tra due successivi atti, il superamento del quale – a norma dell'art. 120 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 – comporta l'estinzione del procedimento disciplinare, occorre avere riguardo al momento di adozione degli atti del procedimento sanzionatorio e non al momento della notifica. Questa, infatti, attiene al momento dell'efficacia e non a quello del perfezionamento del provvedimento amministrativo cui, invece, deve intendersi logicamente riferito il disposto del suddetto art. 120 (cfr. da ultimo ex plurimis Sez. IV, 30 giugno 2010, n. 4163; Id., ord. 30 novembre 2011, n. 5262).

Sotto il profilo in questione neppure ha rilievo la disposizione dell'art. 21 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, che allo stesso modo attiene al ciclo dell'efficacia e non a quello del perfezionamento, dato che testualmente si riferisce al momento dell'acquisto dell'efficacia da parte del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati.

L'argomento della intervenuta estinzione del procedimento disciplinare va perciò rigettato.

7. Dalle considerazioni che precedono discende che l'appello dell'Amministrazione è fondato.

Sussistono peraltro giustificate ragioni per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla la sentenza impugnata.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Gaetano Trotta - Presidente

Raffaele Greco - Consigliere

Fabio Taormina - Consigliere

Andrea Migliozzi - Consigliere

Giuseppe Castiglia - Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 15 marzo 2012.

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