Anche se un ente a struttura societaria può assumere natura pubblicistica, non è prevista alcuna «apprezzabile deviazione» rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali.

Seppure anche un ente a struttura societaria possa assumere natura pubblicistica, qualora cio' sia espressamente previsto dalla legge (come, ad esempio, nel caso di cui alla Legge 22 dicembre 1984, n. 887, articolo 18, per l'AGE Contrai spa) ovvero ricorrano determinate condizioni (comportanti una consistente alterazione del modello societario tipico, come, ad esempio, per la Poste Italiane spa), normalmente la societa' per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perche' lo Stato o gli enti pubblici ne posseggano le azioni, in tutto o in parte, non assumendo rilievo alcuno, per le vicende della medesima, la persona dell'azionista, dato che tale societa', quale persona giuridica privata, opera nell'esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l'ente pubblico, tanto che il rapporto tra la societa' e l'ente locale e' di assoluta autonomia, sicche' non e' consentito al Comune incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull'attivita' della societa' per azioni mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali; infatti, come e' stato ulteriormente precisato, la legge non prevede alcuna apprezzabile deviazione, rispetto alla comune disciplina privatistica delle societa' di capitali, per le societa' miste incaricate della gestione di servizi pubblici istituiti dall'ente locale e la posizione dell'ente pubblico all'interno della societa' e' unicamente quella di socio di maggioranza, derivante dalla "prevalenza" del capitale da esso conferito, e soltanto in tale veste l'ente pubblico potra' influire sul funzionamento della societa', avvalendosi non gia' dei poteri pubblicistici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina pubblica presenti negli organi societari.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Sentenza 11 febbraio 2014, n. 3037



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido - Presidente

Dott. BANDINI Gianfranco - rel. Consigliere

Dott. BERRINO Umberto - Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa - Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 453/2011 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A. C.F. e P. IVA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), giusta otto delega in atti;

- ricorrente -

contro

I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS) in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) S.P.A. - (OMISSIS) I.N.P.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1180/2009 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 11/01/2010 R.G.N. 307/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/12/2013 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l'Avvocato (OMISSIS); udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso, in subordine per il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La (OMISSIS) spa (qui di seguito, per brevita', indicata anche come (OMISSIS)), con ricorso depositato il 25.10.2007, convenne in giudizio l'Inps, chiedendo venisse accertata l'insussistenza del suo obbligo di versamento dei contributi relativi alla Cassa Integrazione Guadagni ordinaria e straordinaria, con conseguente condanna dell'Istituto alla restituzione dei contributi gia' versati, invocando l'esonero previsto al riguardo dal D.Lgs.C.P.S. n. 869 del 1947, articolo 3, e la propria natura di "impresa pubblica", anche ai sensi del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, e del Decreto Legislativo n. 333 del 2003, atteso che il suo capitale era interamente posseduto dalla (OMISSIS) spa, a sua volta partecipata al 75% dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta.

Sulla resistenza dell'Inps, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) spa, il Giudice adito respinse il ricorso.

La Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 12.11.2009-11.1.2010, rigetto' il gravame proposto dalla (OMISSIS), rilevando l'inapplicabilita' delle discipline normative dettate in ambiti assolutamente settoriali e destinate ad avere valore solo in tali ambiti, la circostanza che comunque la Regione Autonoma Valle d'Aosta non era proprietaria della (OMISSIS) e neppure vi aveva una partecipazione finanziaria, la non ricorrenza nella fattispecie delle ipotesi contemplate dal Decreto Legislativo n. 267 del 2000.

Avverso tale sentenza della Corte territoriale, la (OMISSIS) spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi e illustrato con memoria.

L'Inps, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) spa, ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime norme di legge, nonche' vizio di motivazione, la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia considerato che, con delibera del 2.4.2001, la Giunta Regionale aveva deciso di conferire alla (OMISSIS) spa, ai sensi della Legge Regionale n. 16 del 1982, articolo 5, mandato senza rappresentanza, ai sensi dell'articolo 1703 c.c. e ss., per l'acquisizione delle quote di partecipazione, anche totalitaria, nelle societa' (OMISSIS) spa (ora (OMISSIS)) e (OMISSIS) spa, con la conseguenza che, stante il disposto dell'articolo 1706 c.c., comma 1, doveva ritenersi che la Regione mandante avesse acquistato direttamente i beni mobili (nella specie le azioni societarie) acquistati dalla mandataria in nome proprio.

Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia ritenuto che l'esonero dall'obbligo di versamento dei contributi de quibus sia stato mutuato dai Decreto Legislativo n. 163 del 2006, Decreto Legislativo n. 333 del 2003, e Decreto Legislativo n. 36 del 2006, tutti attuativi di direttive comunitarie, rinvenendosi in tali testi legislativi una definizione di impresa pubblica espressa in forma stereotipa, come tale confermativa della sua portata generale, anche in via di applicazione analogica.

Con il terzo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, la ricorrente premesso che avrebbe dovuto ritenersi acclarata "la portata generale della definizione di "impresa pubblica contenuta nelle norme di settore richiamate" e, pertanto, la validita' di tale nozione anche ai fini dell'interpretazione del D.Lgs.C.P.S. n. 869 del 1947, articolo 3, deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere, nel caso di specie, la natura pubblica di essa opponente, invocando altresi' il giudicato interno asseritamente formatosi sulla ricorrenza delle condizioni per ritenere la qualificazione di impresa pubblica ai sensi del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 3.

Con il quarto motivo, denunciando violazione di norma di legge, nonche' vizio di motivazione, la ricorrente si duole, subordinatamente, che la Corte territoriale abbia reso un'interpretazione formalista, piuttosto che sostanzialista, del D.Lgs.C.P.S. n. 869 del 1947, articolo 3, deducendo che dovrebbe ritenersi impresa pubblica non solo l'impresa gestita direttamente dallo Stato o da un ente pubblico, ma anche quella gestita da una societa' il cui capitale sia in mano pubblica.

2. In ordine al primo motivo deve rilevarsi che la Corte territoriale ha affermato in punto di fatto che la (OMISSIS) e' una societa' per azioni il cui capitale e' interamente detenuto da altra societa' per azioni, la (OMISSIS) spa, la quale, a sua volta, e' partecipata al 75% dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta.

Tali circostanze fattuali, che la Corte territoriale definisce pacifiche, si riferiscono ovviamente al contesto esistente al momento della proposizione della domanda.

Da cio' la Corte territoriale ha tratto il rilievo che la Regione Autonoma Valle d'Aosta non e' proprietaria della (OMISSIS) e non vi ha neppure una partecipazione finanziaria, appartenendo il 100% delle sue azioni alla (OMISSIS) spa.

2.1 L'assunto della ricorrente, che fa leva sul disposto dell'articolo 1706 c.c., comma 1, al fine di inferirne la proprieta' delle proprie azioni in capo alla Regione Autonoma Valle d'Aosta, involge una questione fattuale che, per quanto emerge dalla sentenza impugnata, non risulta conforme alle allegazioni svolte.

2.2 In ogni caso gli effetti che si vogliono trarre dalla norma codicistica anzidetta non possono trovare applicazione ai fini del decidere nel caso che ne occupa, dovendo venire coordinati con le disposizioni che concernono le societa' per azioni con unico socio, in base alle quali "Quando le azioni risultano appartenere ad una sola persona o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio" (articolo 2362 c.c., comma 1), con conseguente applicabilita' del disposto dell'articolo 2448 c.c., comma 1, secondo cui "Gli atti per i quali il codice prescrive l'iscrizione o il deposito nel registro delle imprese sono opponibili ai terzi soltanto dopo tale pubblicazione, a meno che la societa' provi che i terzi ne erano a conoscenza"; dal che discende che l'asserita proprieta' della totalita' delle azioni in capo alla Regione Autonoma della Valle d'Aosta, ove pure sussistente, non sarebbe opponibile al terzo Inps, non essendo stato neppure allegato - ne' tanto meno provato - che l'Inps ne fosse a conoscenza (il che, ovviamente, involge un accertamento di fatto neppure prospettabile in questa sede di legittimita').

2.3 Per completezza di motivazione deve comunque rilevarsi (oltre a quanto sara' esposto in prosieguo) che la censura all'esame, quand'anche fosse astrattamente accoglibile, non sarebbe conducente ai fini della questione agitata in causa, giusta l'orientamento espresso (ancorche' ad altri fini) dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr, Cass., SU, n. 7799/2005, nonche' le altre pronunce ivi richiamate); e' stato infatti rilevato che, seppure anche un ente a struttura societaria possa assumere natura pubblicistica, qualora cio' sia espressamente previsto dalla legge (come, ad esempio, nel caso di cui alla Legge 22 dicembre 1984, n. 887, articolo 18, per l'AGE Contrai spa) ovvero ricorrano determinate condizioni (comportanti una consistente alterazione del modello societario tipico, come, ad esempio, per la Poste Italiane spa), normalmente la societa' per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perche' lo Stato o gli enti pubblici ne posseggano le azioni, in tutto o in parte, non assumendo rilievo alcuno, per le vicende della medesima, la persona dell'azionista, dato che tale societa', quale persona giuridica privata, opera nell'esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l'ente pubblico, tanto che il rapporto tra la societa' e l'ente locale e' di assoluta autonomia, sicche' non e' consentito al Comune incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull'attivita' della societa' per azioni mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali; infatti, come e' stato ulteriormente precisato, la legge non prevede alcuna apprezzabile deviazione, rispetto alla comune disciplina privatistica delle societa' di capitali, per le societa' miste incaricate della gestione di servizi pubblici istituiti dall'ente locale e la posizione dell'ente pubblico all'interno della societa' e' unicamente quella di socio di maggioranza, derivante dalla "prevalenza" del capitale da esso conferito, e soltanto in tale veste l'ente pubblico potra' influire sul funzionamento della societa', avvalendosi non gia' dei poteri pubblicistici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina pubblica presenti negli organi societari.

2.4 Il motivo all'esame va pertanto disatteso.

3. I restanti motivi, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

3.1 La questione all'esame, inerente la debenza dei contributi per la cassa integrazione guadagni da parte delle societa' per azioni a prevalente capitale pubblico, e' gia' stata affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 14847/2009; 5816/2010; 11417/2013; 19087/2013) e le conclusioni che ne sono state tratte - e da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi - valgono a fortiori nel caso che ne occupa, ove per le ragioni gia' spiegate, neppure puo' parlarsi di una partecipazione azionaria da parte dell'Ente pubblico territoriale, stante la titolarita' delle azioni in capo ad un soggetto, la (OMISSIS) spa, a sua volta costituita in forma societaria privatistica.

3.2 La giurisprudenza di questa Corte ha in particolare osservato che la previsione secondo cui il perseguimento di interessi della collettivita' possa avvenire anche mediante la partecipazione pubblica a societa' di capitali, trova precisi riscontri nella disciplina comunitaria, e che, anzi, in relazione alle finalita' diversamente perseguite, ben puo' verificarsi che una societa' per azioni, con pacchetto azionario pubblico, possa definirsi "impresa pubblica", mentre la nozione di organismo di diritto pubblico puo' non essere riconosciuta, a determinati fini, ad un ente pubblico economico esercente attivita' industriale o commerciale, come avviene per la materia degli appalti pubblici di servizi in relazione alla direttiva 92/50/CEE; restando cosi' confermato che le conseguenze giuridiche derivanti da tale relazione dipendono, di volta in volta, dalle specifiche discipline normative (cfr, Cass., n. 5816/2010, cit.).

Appare dunque condivisibile il rilievo della sentenza impugnata secondo cui la nozione di "impresa pubblica" non puo' essere fatta derivare, quale nozione di carattere generale, dalle specifiche disposizioni settoriali che di volta in volta la definiscono, non essendo conducente il rilievo che tali definizioni, nei casi per cui sono state legislativamente previste, si atteggino in termini sostanzialmente analoghi.

Ne' ha fondamento l'assunto secondo cui una tale ricomprensione delle norme settoriali nell'ambito di una definizione di carattere generale dovrebbe essere attuata attraverso il ricorso all'analogia, essendo ravvisabile nell'ordinamento un complesso di disposizioni normative che, con riferimento alla questione che qui ne occupa, consentono di escludere la natura di impresa pubblica (salvo, si ripete, le diverse eventuali disposizioni di settore) in riferimento alle societa' a partecipazione pubblica.

3.3 Ed invero la giurisprudenza di questa Corte (cfr, Cass., n. 14847/2009, cit., richiamata dalla decisione impugnata) ha avuto modo di puntualizzare che:

- il Decreto Legislativo n. 869 del 1947, articolo 3, comma 1, come sostituito dalla Legge n. 270 del 1988, articolo 4, comma 1, prevede, per quanto qui specificamente rileva, che "Sono escluse dall'applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni degli operai dell'industria:...le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato";

- non trova alcun riferimento testuale nella norma teste' esaminata l'assunto secondo cui la locuzione "imprese industriali degli enti pubblici" farebbe riferimento a "un potere di controllo totale ed effettivo dell'impresa", laddove, piuttosto, l'equiparazione (soltanto) delle imprese "municipalizzate" (che enti pubblici non sono) a quelle "degli enti pubblici" sta ad indicare che il legislatore ha invece fatto riferimento alla natura pubblica dell'impresa industriale (siccome) svolta dall'ente pubblico;

- dalle disposizioni di cui alla Legge n. 142 del 1990, articolo 23, (poi riprodotte dal Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 114), che riconosce all'azienda speciale (di cui all'articolo 22, comma 3, lettera e)) natura di "ente strumentale dell'ente locale" e alla istituzione (di cui all'articolo 22, comma 3, lettera d)) natura di "organismo strumentale dell'ente locale", nulla al contrario prevedendo con riferimento alla societa' per azioni a prevalente capitale pubblico locale (di cui all'articolo 22, comma 3, lettera e)), discende che la gestione dei servizi pubblici da parte degli enti pubblici territoriali non e' di per se' determinativa della natura pubblica dell'organismo attraverso il quale tale gestione viene attuata.

Sulla scorta di tali assorbenti considerazioni deve dunque escludersi la fondatezza dei motivi all'esame, nei distinti profili in cui si articolano.

3.4 Per completezza di motivazione deve essere altresi' rilevata l'infondatezza dell'assunto secondo cui, nel caso di specie, sarebbe ravvisabile un giudicato interno in ordine alla ricorrenza delle condizioni per ritenere la qualificazione di impresa pubblica ai sensi del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 3.

Infatti, anche a prescindere dal considerare che tale rilievo sarebbe comunque privo di decisivita', una volta esclusa, per le ragioni gia' espresse, la ravvisabilita' di una nozione generale di impresa pubblica desumibile da particolari disposizioni settoriali (quali appunto quelle di cui al Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 3), deve negarsi che, al riguardo, si sia formato il dedotto giudicato interno, posto che l'affermazione della sentenza di prime cure, asseritamente coperta dal giudicato, non ha costituito antecedente logico giuridico del decisum, atteggiatosi infatti con il rigetto della domanda della odierna ricorrente (cio' in applicazione del noto principio secondo il quale il giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre non solo il dedotto ma anche il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioe' non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio, cioe' il giudicato esplicito, ma anche tutte quelle che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia, cosiddetto giudicato implicito: cfr, ex plurimis, Cass., n. 9544/2008).

4. In definitiva il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 25.100,00 (venticinquemilacento), di cui euro 25.000,00 (venticinquemila) per compenso, oltre accessori come per legge.

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