Il lavoratore extracomunitario privo di permesso di soggiorno ha diritto a retribuzione e contributi

In tema di prestazioni lavorative rese dal lavoratore extracomunitario privo del permesso di soggiorno, l'illegittimità del contratto per la violazione di norme imperative (articolo 22 del testo unico immigrazione) poste a tutela del prestatore di lavoro (articolo 2126 del Cc), sempre che la prestazione lavorativa sia lecita, non esclude l'obbligazione retributiva e contributiva a carico del datore di lavoro in coerenza con la razionalità complessiva del sistema che vedrebbe altrimenti alterate le regole del mercato e della concorrenza ove si consentisse a chi viola la legge sull'immigrazione di fruire di condizioni più vantaggiose rispetto a quelle cui è soggetto il datore di lavoro che rispetti la disciplina in tema di immigrazione.

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 5 novembre 2010, n. 22559



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente

Dott. LA TERZA Maura - Consigliere

Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere

Dott. NOBILE Vittorio - rel. Consigliere

Dott. ZAPPIA Pietro - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 10218-2007 proposto da:

RO. GI. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OPPIDO MAMERTINA 4, presso lo studio dell'avvocato NEGRETTI GIANDOMENICO, rappresentato e difeso dall'avvocato MARINO GIORGIO, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrete -

contro

I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, MARITATO LELIO, giusta delega in calce alla copia notificata del controricorso;

- resistente con mandato -

avverso la sentenza n. 4 916/2006 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 23/10/2006 R.G.N. 5495/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/10/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 10-6-2002 Ro.Gi. conveniva in giudizio l'Inps per sentire annullare e/o revocare i verbali di accertamento impugnati e i connessi contenuti provvedi mentali e sanzionatori, in quanto lesivi di diritti soggettivi perfetti, del tutto privi di giustificazione e palesemente illegittimi perche' assunti "in travisamento di fatto ed in violazione di norme e principi di diritto ed in palese straripamento di potere".

A sostegno della domanda il ricorrente deduceva: che con verbale del 21-2-2002 l'INPS aveva richiesto il pagamento della somma di euro 82.311,35 per contributi, sanzioni ecc. per le inadempienze accertate in sede di verifica ispettiva durata circa un anno; che dalle descritte modalita' di svolgimento del l'accertamento ispettivo emergevano la violazione del diritto di difesa, la carenza di potere e l'omesso adempimento della formalita' prescritta dal 2126 c.c. stante l'evidente carattere illecito della causa e dei motivi dei rapporti di lavoro con questi intercorsi; che in merito alle lavoratrici So. e Ga. , sue nuore, non rispondeva al vero che erano occupate a svolgere attivita' lavorativa poiche' abitavano all'interno dell'azienda; che infine riguardo al lavoratore Fa. Da. non era possibile ritenerlo operaio a tempo indeterminato anziche' operaio a tempo determinato.

L'Inps si costituiva e chiedeva il rigetto del ricorso.

Con sentenza n. 22080/2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese.

Il Ro. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma, con l'accoglimento della domanda.

L'istituto appellato si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d'Appello di Roma, con sentenza depositata il 23-10-2006, respingeva l'appello e condannava l'appellante al pagamento delle spese.

In sintesi la Corte territoriale, premesso che oggetto del giudizio era l'azione di accertamento negativo della pretesa creditoria dell'Inps, concernente un credito contributivo dell'istituto, riteneva ininfluenti i vizi procedimentali denunziati dal Ro. in se' considerati, potendo i medesimi rilevare soltanto "nell'ambito della valutazione probatoria delle risultanze dell'attivita' amministrativa".

Tanto premesso, esaminate, quindi, le testimonianze Ve. e V. , la Corte di merito in sostanza affermava che lo svolgimento dell'attivita' ispettiva era risultato conforme alle previsioni del Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 3, conv. con Legge n. 638 del 1983, e che gli asseriti inadempimenti di cui al citato articolo 3, comma 2 (peraltro neppure risultati provati in giudizio) costituivano mere irregolarita' che non inficiavano l'intero accertamento ispettivo, mentre, in ogni caso, "i punti di fatto salienti e in contestazione dell'accertamento compiuto, anche nei loro riferimenti alle risultanze della documentazione" avevano "formato oggetto di conferma in sede testimoniale" per cui "ininfluente" sarebbe rimasto comunque "l'eventuale venir meno del valore probatorio privilegiato, in parte qua, del citato verbale ispettivo".

La Corte territoriale, inoltre, riteneva che nella fattispecie non era "ravvisatale alcuna illiceita' dell'oggetto o della causa" dei contratti di lavoro con i cittadini extracomunitari non in regola ed infine, respingeva anche le doglianze relative alle posizioni delle nuore del Ro. e del lavoratore Fa. Da. .

Per la cassazione di tale sentenza il Ro. ha proposto ricorso con cinque motivi.

L'INPS ha depositato procura in calce al ricorso notificato.

Infine il Ro. ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, in sintesi, considerato che "l'azione ispettiva previdenziale mira a realizzare non interessi legittimi ma diritti soggettivi previdenziali perfetti" e che "l'accertamento corretto e conforme al potere di verifica e controllo realizza la condizione di pretesa creditoria dell'INPS", deduce che "se l'INPS, attraverso gli ispettori, viola le norme di legge, entrando in azienda, non rispettando le specifiche regole poste da norme procedurali penali a preciso limite dell'accesso aziendale ispettivo, per le verifiche previdenziali, tutto l'accertamento dovra' considerarsi in violazione di diritti soggettivi ineludibili" ed in quanto tale "neppure nullo, ma inesistente, non essendo imputabile al soggetto INPS, ma solo all'autore materiale del "fatto illecito" che e' privo di volonta' giuridica dell'INPS".

Con il secondo motivo, il ricorrente, denunciando "travisamento delle risultanze probatorie/confessorie acquisite e violazione di legge" (Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 3), sostiene che dalle deposizioni del maresciallo Ve. e dell'ispettore V. in sostanza erano emersi i denunciati abusi e le lamentate irregolarita' in sede di accertamenti ispettivi.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'articolo 116 c.p.c., in sintesi deduce che la Corte d'appello, attesa "l'illegittimita' del verbale come atto" scaturito da "accesso illecito", era tenuta "a valutare nel merito detto verbale, specie con riferimento alla sentenza penale" (del Tribunale di Velletri n. 200/96/2005, acquisita agli atti) che indirettamente "estingueva" la responsabilita' del datore di lavoro relativamente alle posizioni di Ga. e So. (assolte "perche' il fatto non sussiste" dall'imputazione di truffa ai danni dell'INPS).

Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando "violazione di legge", "per motivazione meramente formale ma intrinsecamente giustificatrice delle illegalita' o delle attivita' in carenza di potere costituenti il presupposto del verbale ispettivo", in sostanza deduce: che la impugnata decisione appare in contrasto con la citata sentenza penale; che la collaborazione tra operatori pubblici non puo' essere "strumentalizzata al fine di incutere timore all'ispezionato; che la condanna del Ro. , in sede di patteggiamento, per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12 "prova l'esatto contrario di quanto ritenuto dalla Corte"; che l'ispezione aveva riguardato tutto il terreno aziendale, nel quale ben sapeva l'ispettore che vi era l'abitazione del Ro. e dei figli.

Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'articolo 2126 c.c., comma 1, ultimo cpv., in sostanza deduce che, essendo stata accertata (con la sentenza di patteggiamento) la assunzione di lavoratori extracomunitari" privi del permesso di soggiorno, "favorendo la permanenza (degli stessi) nel territorio dello stato", tale reato "impedisce l'emersione degli effetti propri di un contratto (lecito) o di un rapporto di lavoro di fatto (illegittimo)", e "l'INPS non puo' chiedere il pagamento dei contributi evasi".

Osserva preliminarmente il Collegio che, trattandosi di ricorso avverso sentenza pubblicata successivamente all'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 40 del 2006 ed anteriormente all'entrata in vigore della Legge n. 69 del 2009, nella fattispecie ratione temporis trova applicazione l'articolo 366 bis c.p.c. (ora abrogato).

Pertanto, in base a quanto piu' volte affermato da questa Corte, va qui ribadito che tale norma, "nel prescrivere le modalita' di formulazione dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilita' del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimita' a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall'articolo 384 cod. proc. civ., all'enunciazione del principio di diritto ovvero a "dieta" giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all'articolo 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo "iter" argomentativo della decisione impugnata), e' richiesta una illustrazione che pur libera da rigidita' formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione" (v. Cass. 25-2-2009 n. 4556).

In particolare il quesito di diritto "deve comprendere l'indicazione sia della "regola iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile" (v. Cass. 30-9-2008 n. 24339). Peraltro "e' inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneita' a chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie" (v. Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).

Pertanto e' inammissibile non solo il motivo nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione del motivo stesso; "ovvero sia formulato in modo implicito, si' da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico" (v. Cass. S.U. 28-9-2007 n. 20360 cfr. Cass. S.U.5-2-2008 n. 2658).

Nell'ipotesi, poi, prevista dall'articolo 360 c.p.c., n. 5, "l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita', la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione" e "la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita'" (v. Cass. S.U. 1-10-2007 n. 20603, Cass. 20-2-2008 4309).

Orbene, nel caso in esame, in relazione al primo motivo, il ricorrente ha formulato i seguenti quesiti: "Dica la Corte se l'azione dell'ispettorato interno INPS debba svolgersi nel rispetto delle tutele dell'indagato sancite dal codice di procedura penale; dica se l'accertamento sulla corretta applicazione della disciplina previdenziale in materia di obbligo di contribuzione I.V.S. da parte di imprese datrici di lavoro, concerna diritti soggettivi perfetti (diritti ed obblighi) o se l'INPS nella verifica dell'esecuzione del rapporto previdenziale sia dotato di poteri discrezionali, insensibili alla regolamentazione processualistica penale". "Dica la Corte se il verbale ispettivo adottato alla stregua di attivita' di verifica e controllo di adempimenti previdenziali e regolarita' aziendale incida su diritti soggettivi, e se sussista potere discrezionale dell'INPS in materia di modalita' ricognitive e ispettive. Dica se il provvedimento INPS, privo di causa perche' scaturito da attivita' in carenza di potere, sia valutabile incidenter tantum dall'AGO ai fini della disapplicazione delle prescrizioni violative di legge (cfr......)".

Tali quesiti risultano assolutamente generici e privi di qualsiasi riferimento idoneo ad esprimere una sintesi logico-giuridica delle questioni sollevate con il motivo, in relazione alla fattispecie concreta e allo specifico decisimi della Corte di merito (che, tra l'altro, analiticamente ha escluso la sussistenza in concreto delle asserite irregolarita' procedimentali e violazioni della legalita' nell'azione ispettiva).

In effetti i quesiti, cosi' come formulati in modo del tutto astratto e generico, si limitano a chiedere una altrettanto astratta e generica risposta, che non circoscriverebbe affatto la soluzione delle questioni specifiche sollevate con il motivo, che pertanto risulta inammissibile.

Del pari inammissibile e', inoltre, il secondo motivo, in quanto del tutto privo di una qualsiasi formulazione di quesito.

Il terzo motivo, poi, che formalmente denuncia "errori in iudicando - violazione dell'articolo 116 c.p.c., esimendosi da un accertamento dovuto".

Da un lato, infatti, si richiede genericamente un accertamento delle violazioni indicate e dall'altro si lamenta, in sostanza, altrettanto genericamente, un vizio di motivazione in ordine alla citata sentenza penale, senza evidenziare specificamente gli errori ed i vizi in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale e, soprattutto, senza tener conto in alcun modo del decisum della detta Corte, che, per un verso, ha escluso, come si e' gia' detto, la sussistenza in concreto delle asserite irregolarita' procedimentali e violazioni della legalita' nell'azione ispettiva e, per altro verso, ha attentamente valutato anche la assoluzione in sede penale delle nuore del Ro. , nel quadro, pero', complessivo di tutta la "serie di elementi" emersi e specificamente richiamati in sentenza.

Del resto, come questa Corte ha piu' volte affermato, "in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli articoli 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non gia' dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimita'" (v. fra le altre Cass. sez. 1 20-6-2006 n. 14267).

Analoghe considerazioni vanno svolte con riferimento al quarto motivo, che formalmente denuncia una "violazione di legge per motivazione meramente formale" e che si conclude con un "quesito" altrettanto generico, in quanto del tutto prescindente proprio dal decisum della sentenza impugnata come sopra evidenziato ("Dica la Corte se il verbale ispettivo sia valido rispetto al contenuto derivato a) da ispezione del tutto censurata ed eliminata dal panorama giuridico sostanziale, per effetto della sentenza del Tribunale Ordinario Penale di Velletri n. 20096/2005 del 17-5-2005 o, invece, sia nullo almeno in parte qua, b) Dica se la collaborazione fra organismi pubblici sia valida e legale anche quando e' finalizzata ad incutere METUS FISCI").

Cosi' ritenuti inammissibili i primi quattro motivi, per violazione dell'articolo 366 bis c.p.c., risulta invece rispondente a tale norma il quesito relativo al quinto motivo, in quanto offre una sufficiente sintesi logico-giuridica della questione di diritto sollevata con il detto motivo.

Sennonche' il motivo stesso e' infondato e va respinto.

In base infatti al principio affermato da questa Corte, che va qui ribadito, "in tema di prestazioni lavorative rese dal lavoratore extracomunitario privo del permesso di soggiorno, l'illegittimita' del contratto per la violazione di norme imperative (articolo 2126 cod. civ.), sempre che la prestazione lavorativa sia lecita, non esclude l'obbligazione retributiva e contributiva a carico del datore di lavoro in coerenza con la razionalita' complessiva del sistema che vedrebbe altrimenti alterate le regole del mercato e della concorrenza ove si consentisse a chi viola la legge sull'immigrazione di fruire di condizioni piu' vantaggiose rispetto a quelle cui e' soggetto il datore di lavoro che rispetti la disciplina in tema di immigrazione" (v. Cass. 26-3-2010 n. 7380).

Il ricorso va pertanto respinto.

Infine non deve provvedersi sulle spese, non avendo l'istituto intimato svolto alcuna attivita' difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.
 

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