In materia di licenziamento collettivo dichiarato illegittimo le somme percepite dal lavoratore a titolo di trattamento previdenziale devono essere restituite, su sua richiesta, all'ente previdenziale

In materia di licenziamento collettivo dichiarato illegittimo, poichè il trattamento economico CIGS ha natura previdenziale, nell'ipotesi di licenziamento dichiarato illegittimo, le somme medio tempore percepite dal lavoratore a titolo di trattamento previdenziale (pensione, indennita' di mobilita' o trattamento CIGS) si sottraggono alla regola della "compensatio lucri cum damno", e quindi non vanno sottratte dal risarcimento danni conseguente all'annullamento, commisurato alle retribuzioni perdute, in quanto tali somme perdono il loro titolo giustificativo con l'annullamento del licenziamento e devono pertanto essere restituite, su sua richiesta, all'ente previdenziale.

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 30 novembre 2009, n. 25235



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele - Presidente

Dott. IANNIELLO Antonio - rel. Consigliere

Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere

Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere

Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

C.C.R. - CASE CURA RIUNITE S.R.L. in liquidazione (gia' in Amministrazione Straordinaria), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA VESCOVIO 21, presso lo studio dell'avvocato MANFEROCE TOMMASO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale atto Notar BOERO PIETRO di Torino del 295? 16/10/2007, rep. n. 164716;

contro

- controricorrente -

SOCIETA' CBH S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell'avvocato GAROFALO DOMENICO, (studio GHERA GAROFALO), che la rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

contro

- controricorrente -

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/10/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il ricorso n.r.g. 29703/2006: rigetto del ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In via subordinata, aveva chiesto l'accertamento del proprio diritto a transitare alle dipendenze della C.B.H. s.p.a., con decorrenza dal 1 luglio 2000 ex art. 2112 c.c. e, in ulteriore subordine, la condanna delle due societa', eventualmente in solido, a reintegrarlo nel posto di lavoro e alle conseguenze di cui all'art. 18 S.L..

Poiche' in data di poco precedente, con atto pubblico del 29 giugno 2000, la societa', su autorizzazione del Ministero dell'industria del 5 maggio 2000, aveva ceduto la propria azienda alla C.B.H., s.p.a., la quale aveva acquisito la parte residua del personale precedentemente occupato dalla CCR (poco meno di 1000 dipendenti su circa 3000 preesistenti al licenziamento), il ricorrente aveva dichiarato di non accettare la revoca del licenziamento e quindi, dopo avere inutilmente attivato due procedimenti ex art. 700 c.p.c., aveva formulato nel giudizio di merito le domande sopraindicate.

In particolare, la Corte territoriale aveva accertato che il lavoratore non aveva accettato la revoca del licenziamento neppure implicitamente.

La Corte aveva infine ritenuto applicabile, quanto al passaggio anche del rapporto del lavoratore appellato, la disciplina di cui all'art. 2112 c.c. al trasferimento di azienda dalla CCR s.r.l. in amministrazione straordinaria alla C.B.H. s.p.a..

In proposito, questa Corte ha anzitutto affermato la possibilita' in astratto di una tacita accettazione della revoca del licenziamento e rilevato che tale accettazione sarebbe suscettibile di comportare la rinuncia del lavoratore a far valere i diritti scaturenti dall'intimato licenziamento, a condizione che ne sia accertata in maniera sicura la volonta' abdicati va, nel senso che la condotta dell'accettante attesti in modo univoco la volonta' di dismettere tali diritti entrati nel suo patrimonio e non sia viceversa "compatibile con altre specifiche ed individuabili motivazioni rivelatrici dell'intento conservativo dei propri diritti".

Il lavoratore in CIG e' infatti pur sempre alle dipendenze del datore di lavoro e la corresponsione del trattamento da parte di quest'ultimo (ancorche' in luogo dell'INPS) e' del resto la regola, l'eccezione alla quale non esclude peraltro che il rapporto sia comunque operante, sia pure con obbligazioni ridotte.

"Nella stessa direzione, e sempre attraverso una esauriente ed attenta valutazione dell'intero materiale probatorio ... il giudice d'appello avrebbe dovuto accertare se il lavoratore aveva accettato la cassa integrazione con la consapevolezza di usufruire di una vantaggiosa alternativa ad una possibile (e legittimamente praticabile) riduzione di personale ... .

Il che, avrebbe, a sua volta, finito per determinare il venir meno di qualsiasi pretesa all'assunzione al lavoro - ai sensi del disposto dell'art. 2112 cod. civ. da parte della CBH come societa' cessionaria".

Alla luce di cio', per essi l'esclusione di un rifiuto di accettare la revoca avrebbe dovuto passare attraverso una verifica in concreto, in esito ad una valutazione dei comportamenti tenuti nel non breve periodo corrente dalla revoca del licenziamento alla data del documento in parola.

Prosegue quindi la Corte "In questa delicata opera di ricostruzione del significato da assegnarsi alla condotta dei lavoratori, non era certo secondario considerare (ponendolo in correlazione con i fatti che ad esso avevano condotto) il contenuto, l'efficacia e la ratio dell'accordo sindacale del 26 settembre 2000, la cui operativita' - sia pure al diverso fine di valutare il ricorso nel caso concreto degli estremi per l'applicazione dell'art. 2112 cod. civ. (o della sua esclusione ai sensi della L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, comma 5), e' stata contestata dalla Corte territoriale".

"Non risultando, pertanto, la sentenza impugnata sorretta da una motivazione congrua e corretta sul piano logico-giuridico la stessa va riformata previo accoglimento, per quanto di ragione del primo motivo di cui ai ricorsi delle societa'".

In proposito, la Corte d'appello di Lecce, ricordata la sequenza dei fatti, ha rilevato che il lavoratore, ben consapevole della situazione di crisi della C.C.R. e delle vicende che avevano determinato il trasferimento di azienda e l'entita' degli esuberi, aveva impugnato il licenziamento prima del trasferimento di azienda, ribadendo con lettera successiva del 24 maggio 2000 di non volere accettare la preannunciata revoca dei licenziamenti e confermando il proprio interesse a far valere l'illegittimita' del licenziamento nei confronti della societa' indicata come futura cessionaria dell'azienda.

Inoltre, secondo la Corte territoriale non era stata mai revocata da tale societa' la comunicazione del nominativo del lavoratore quale collocato in mobilita', cosi' determinandosi un clima di incertezza in ordine alla reale situazione dello stesso, come risulterebbe confermato da una nota del 17 ottobre 2000 dell'ufficio di mobilita' della Regione, il quale aveva fatto presente alla C.C.R. che recentemente stavano pervenendo richieste, verbali e scritte, di lavoratori che, anche con riferimento ad un contenzioso in atto, chiedevano l'inserimento nelle liste di mobilita', invitando la CCR a comunicare i nominativi di coloro che andavano ivi inseriti.

Per quanto riguarda la significativita', sul piano indicato della eventuale accettazione tacita della revoca, del percepimento del trattamento CIGS, la Corte territoriale l'ha esclusa, rilevando che tale trattamento era stato erogato dall'INPS e non dalla societa', la quale anche in altri modi aveva manifestato la volonta' di ritenere ormai conclusi i rapporti di lavoro dei 2000 dipendenti - del resto destinati chiaramente ad estinguersi - e che ancora alla fine di luglio aveva espresso l'intenzione di considerare ancora in mobilita' i dipendenti che lo avessero chiesto, peraltro senza poi tenere in alcun cono la chiara manifestazione di volonta' del controricorrente in tal senso.

Cosi' confermato l'accertamento del giudice di prime cure, la Corte d'appello di Lecce ha esaminato gli altri motivi di censura, ritenuti assorbiti da questa Corte, relativi anzitutto alla dedotta inapplicabilita' dell'art. 2112 c.c. nel trasferimento di azienda dalla C.C.R. alla C.B.H. sia per la dedotta necessita' di una concessione amministrativa per svolgere la relativa attivita', sia per la presenza di accordi sindacali sottoscritti il 13 giugno 2000 e il 20 aprile 2001 che, ai sensi della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5 e in presenza della cessazione dell'attivita' da parte della CCR, avrebbero legittimamente stabilito il trasferimento solo di parte del personale dell'impresa cedente alla C.B.H..

Infine, la Corte d'appello di Lecce ha confermato l'accertamento del giudice di prime cure relativamente alla violazione della procedura di mobilita', sia quanto alla comunicazione iniziale della L. n. 223 del 1991, ex art. 4, commi 2 e 3 ritenuta reticente, sia con riguardo al superamento del termine di 120 giorni di cui all'art. 4, comma 9 della medesima Legge per la collocazione in mobilita' dei lavoratori, sia infine quanto alla puntuale indicazione delle modalita' di applicazione dei criteri di scelta, come prescritto da tale ultima norma.

Analogo ricorso per cassazione, qualificabile come ricorso incidentale, ha proposto con atto separato la C.B.H. s.p.a..

Prima dell'udienza di discussione, e' stato depositato in cancelleria atto di rinuncia al ricorso da parte della C.B.H. s.p.a., a seguito di accordi intervenuti tra le parti con verbale di conciliazione stragiudiziale.

1 - I due ricorsi vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., avendo ad oggetto la medesima sentenza.

3 - Col primo motivo di ricorso, la Case di Cura Riunite s.r.l. in liquidazione (gia' in amministrazione straordinaria) denuncia, in ordine alla revoca del licenziamento, la violazione degli artt. 100 e 115 c.p.c., della normativa in materia di CIGS, della L. n. 223 del 1991, art. 4 e ss., dell'art. 2697 c.c., comma 2, degli artt. 116, 416, 437 e 394 c.p.c. e della normativa in materia di rapporto di lavoro subordinato nonche' l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata su punti decisivi.

In proposito, censura anzitutto, in termini di violazione dell'art. 100 c.p.c., il rilievo dato dalla sentenza all'attivismo giudiziario del lavoratore, in quanto dovrebbe dimostrare l'interesse dello stesso a far valere tutti i diritti scaturenti dall'impugnato licenziamento, mentre tale interesse deve viceversa costituire la condizione e non l'effetto delle iniziative giudiziarie.

In un passaggio della sentenza, la Corte d'appello aveva inoltre affermato che la materiale percezione del trattamento CIGS era eccezione nuova in giudizio, ma cio' violerebbe la L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 7 in quanto collocamento in CIGS e successiva erogazione del relativo trattamento sarebbero due facce della medesima medaglia.

La Corte avrebbe poi escluso la "consapevolezza" nel controricorrente dei vantaggi del collocamento in CIGS in luogo del licenziamento sulla base della considerazione che il trattamento CIGS gli era stato erogato dall'INPS senza alcuna comunicazione da parte della CCR e del fatto che la procedura di mobilita' e le comunicazioni relative non erano state revocate, quando viceversa la CCR gli aveva comunicato la revoca con il collocamento in CIGS e le ulteriori attivita' non erano obbligatorie.

La motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria e insufficiente anche laddove ha ritenuto inequivoche le dichiarazioni rese in giudizio del lavoratore e viceversa di significato non univoco il fatto della percezione da parte sua del trattamento CIGS, considerando che questa puo' avere altre ragioni e che comunque coinciderebbe, nell'ammontare, con l'indennita' di mobilita'.

Il motivo e' infondato.

In proposito, infatti, l'originario ricorrente aveva sostenuto in giudizio di non avere accettato la revoca del licenziamento, in quanto questa ricostituiva il rapporto da epoca successiva al trasferimento dell'azienda da C.C.R. a C.B.H., mentre egli intendeva ottenerne l'annullamento con effetto ex tunc, con la finalita' di essere coinvolto nel predetto trasferimento, a preferenza di una collocazione in CIGS da parte della impresa cedente, situazione, quest'ultima, della quale era inipotizzabile una evoluzione nel senso della ricostituzione della pienezza del rapporto di lavoro.

Correggendo l'errore di diritto in cui era incorsa la Corte d'appello con la sentenza annullata e aderendo ai principi di diritto enunciati da questa Corte, i giudici leccesi in sede di rinvio, con un giudizio di fatto - incensurabile in questa sede di legittimita' se non per l'eventuale coinvolgimento di erronee questioni di diritto o per vizio di insufficienza o contraddittorieta' di motivazione, hanno in proposito analizzato i fatti rilevanti sul piano dell'indagine commessale, in particolare il comportamento tenuto dal lavoratore prima, durante e successivamente alla revoca del licenziamento nel quadro complessivo della situazione venutasi a determinare, giungendo con ampia, articolata, ragionata motivazione, ad escludere l'accettazione della revoca del licenziamento da parte del lavoratore e con essa l'abdicazione alle pretese conseguenti, azionate nel giudizio.

Cio' avviene quando essa sostiene l'assenza di un interesse ad agire del ricorrente, che la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare come preesistente alle iniziative giudiziarie di questi, anziche' rinvenirne la dimostrazione in queste ultime.

Anche le altre censure specifiche mosse dalla societa' alla sentenza impugnata, qualche volta favorite da una sorta di frazionamento del complesso discorso condotto dalla Corte territoriale in sede di analisi della volonta' dell'originario ricorrente, estraendone le singole componenti dal contesto argomentativo complessivo, cosi' depotenziandone il significato, sono comunque infondate.

Con un ulteriore rilievo, la societa' ricorrente censura l'utilizzazione della lettera citata da parte del giudice di rinvio, denunciandone la tardiva produzione in sede di appello, come del resto gia' in tale sede eccepito, ma non deduce, in violazione della regola della autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui cfr., per tutte, da ultimo, Cass. nn. 5043/09, 4823/09 e 338/09), se la Corte d'appello, che, alla stregua dell'orientamento consolidato di questa Corte a partire dalla sentenza delle sezioni unite civili 20 aprile 2005 n. 8292 citata dalle stesse ricorrenti, aveva il potere, nel rito del lavoro ai sensi dell'art. 437 c.p.c., comma 2, di ammettere anche d'ufficio nuovi mezzi di prova, abbia o meno ammesso la produzione documentale indicata.

Immotivata, se non in maniera meramente assertiva, appare poi la denuncia di insufficienza e contraddittorieta' della sentenza, laddove i giudici di rinvio, con una valutazione di merito ad essi riservata, hanno ritenuto inequivoche e quindi prevalenti sul possibile significato della percezione del trattamento CIGS le dichiarazioni esplicite del lavoratore rese anche in giudizio di non voler accettare la revoca del licenziamento e di voler vedere il proprio rapporto di lavoro transitare alle dipendenze della cessionaria.

In definitiva, il motivo di ricorso svolto non riesce a cogliere e contestare in maniera convincente il significato complessivo dell'operazione compiuta dal giudice di rinvio in piena aderenza con le indicazioni provenienti da questa Corte, anche con riguardo alla ripartizione tra le parti dell'onere della prova, correttamente ritenuto assolto sulla base degli elementi, anche indiziali, evidenziati.

Con la sua decisione di ritenere applicabile l'art. 2112 c.c. in quanto il trasferimento sarebbe avvenuto non in virtu' di un provvedimento amministrativo ma di un atto negoziale tra privati, la Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare il fatto, pacifico, che l'attivita' in convenzione col SSN, gia' gestita dalla C.C.R. in amministrazione straordinaria, richiedesse una nuova convenzione tra C.B.H. e la Regione Puglia.

Censura altresi' l'affermazione della Corte territoriale secondo cui non sarebbe applicabile al caso di specie la L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5 per la mancata ricorrenza delle due condizioni ivi previste: la cessazione dell'attivita' della cedente e il raggiungimento di un accordo sindacale circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione.

La contraria affermazione della Corte di rinvio violerebbe pertanto l'art. 116 c.p.c. e sarebbe sostenuta da una motivazione insufficiente.

La societa' deduce altresi' l'esistenza di un valido ed efficace accordo sindacale per il mantenimento anche parziale dell'occupazione, costituente la condizione indispensabile per poter derogare all'art. 2112 c.c..

Tale accordo sarebbe infine pienamente opponibile anche ai lavoratori non iscritti ai sindacati stipulanti, in quanto mera condicio iuris per la produzione di un effetto stabilito direttamente dalla legge.

Le argomentazioni di sostegno al motivo in esame riproducono sostanzialmente analoghi rilievi mossi dalla ricorrente in sede di giudizio di rinvio e che sono stati adeguatamente contrastati dalla sentenza impugnata.

Anche nel caso in esame, va pertanto ribadito che "non vale addurre ... che il trasferimento ex art. 2112 c.c. era impedito, nel caso di specie, per richiedere l'attivita' sanitaria un rapporto di natura concessoria, atteso che, come ha correttamente osservato la sentenza impugnata, la C.B.H. poteva spiegare, quale struttura privata, la propria attivita' imprenditoriale senza un provvedimento concessorio, come era dimostrato dal fatto che, sia pure relativamente ad alcuni comparti e ad alcune strutture, aveva operato al di fuori del regime di autorizzazione/concessione o accreditamento".

E soprattutto, hanno invocato la regola della necessita', per quanto possibile, di interpretare le norme interne alla luce della disciplina comunitaria, per sostenere correttamente (e in linea con l'orientamento ultimo di questa Corte: cfr. Cass. 8 novembre 2004 n. 21248) che anche antecedentemente alla novella di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18 (che nella definizione di trasferimento di azienda prescinde dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento e' attivato) e in applicazione dell'orientamento espresso dalla Corte di giustizia con le sentenze 19 maggio 1992, resa in causa C-29/91, 14 settembre 2000, resa in causa C-343/98 e 25 gennaio 2001, resa in causa C-172/99, l'art. 2112 c.c, nel testo modificato dalla L. n. 428 del 1990, art. 47 e' invocabile anche nei casi in cui il trasferimento di azienda derivi da decisioni unilaterali di pubbliche amministrazioni per i lavoratori il cui rapporto sia disciplinato dal diritto comune al momento del trasferimento.

Per quanto infine attiene all'ulteriore presupposto stabilito dal dell'art. 47 cit., comma 5 va rilevato, anche in questo giudizio, che gli accordi sindacali del 13 giugno 2000 e del 20 aprile 2001 "non potevano impedire il trasferimento di azienda, avendo questa Corte piu' volte affermato che la L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5, interpretato privilegiandone il significato maggiormente conforme al diritto comunitario di cui costituisce applicazione, in materia di salvaguardia dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda (direttiva 14 febbraio 1977 n. 77/187, a sua volta interpretata in base alle sentenze della Corte di giustizia della Comunita' europea 25 luglio 1991 n. C-362/89, D'Urso e dicembre 1995 n. C-472/93, Spano e alla piu' recente direttiva 29 giugno 1998 n. 98/50" nonche' all'ultima razionalizzazione della relativa disciplina con la direttiva 2001/23/CE) "consente modificazioni peggiorative del trattamento dei lavoratori, in deroga all'art. 2112 c.c., allo scopo di salvaguardare le opportunita' occupazionali, quando venga trasferita l'azienda di una impresa insolvente, purche' - ferma restando la continuazione dei rapporti di lavoro - il potere modificativo dell'imprenditore cessionario sia esercitato nei modi e nei limiti di cui ai principi dell'Ordinamento interno e quindi non in maniera unilaterale, ma solo sulla base di un nuovo e regolare contratto collettivo e/o individuale " (Cass. n. 5929/08, cit., che richiama altresi' le precedenti sentenze nn. 16673/03 e 4724/99).

Inoltre, i giudici del rinvio hanno ritenuto irrilevante sul piano considerato l'accordo del 20.4.2001 (raggiunto quando il giudizio era gia' pendente), da cui emergerebbe unicamente l'intento di una spiegazione postuma del contenuto "monco" della precedente intesa.

Alla luce delle argomentazioni sviluppate svolte dai giudici di rinvio, appare infine conseguente l'affermazione della irrilevanza delle considerazioni svolte in tesi dalle societa' in ordine alla collocazione sistematica dell'accordo sindacale all'interno della norma di legge in esame.

5 - Col terzo motivo viene dedotta la violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 e 24 e il vizio di motivazione.

La ricorrente sostiene viceversa che la comunicazione iniziale era completa delle indicazioni richieste e delle ragioni per le quali non erano perseguibili misure alternative al licenziamento, illustrate anche in un allegato richiamato nella comunicazione medesima. Richiama, in proposito, le sentenze di questa Corte che affermano che le specificazioni sono in funzione della finalita' informativa, per cui non sempre devono essere molto dettagliate, specialmente quanto ai rimedi astrattamente possibili e alle ragioni per non adottarli.

Il giudice di rinvio avrebbe inoltre errato nel ritenere applicabile alla mobilita' un termine stabilito solo per il licenziamento collettivo ex art. 24 della Legge.

Infine, quanto alla comunicazione delle modalita' con le quali sono stati applicati i criteri di scelta, la ricorrente ribadisce quanto affermato avanti alla Corte territoriale di rinvio e sostiene che le modalita' erano gia' comprensibili nella comunicazione finale del 13 maggio 2000, ma comunque erano state poi specificate successivamente con nota del 28 giugno 2000 a seguito del rinnovo dei criteri medesimi imposta da un intervento della Prefettura di Bari (cita la sentenza delle S.U. del 27 giugno 2000 n. 461, oltre a quelle 11 maggio 2000 n. 302 e 13 giugno 2000 n. 419).

Il giudice di rinvio ha infatti riscontrato nella procedura di mobilita' posta in essere dalla CCR numerosi vizi procedurali, in particolare rilevando: a) che nell'iniziale comunicazione del 12 aprile 1999, letta anche in combinazione con i relativi allegati, erano contenute unicamente frasi di stile quanto alla individuazione dei motivi dell'eccedenza, delle misure alternative al licenziamento, della collocazione aziendale del personale eccedente; b) che non era stato rispettato il termine di 120 giorni dalla chiusura della procedura (26.11,99) per l'intimazione del licenziamento; c) non erano state sufficientemente specificate le modalita' con le quali erano stati applicati i criteri di scelta di cui alla L. n. 223, art. 5, comma 1.

Nel caso in esame, la difesa della ricorrente si limita in proposito a contrastare i rilievi della sentenza impugnata, in particolare quanto alla pretesa correttezza delle comunicazioni iniziale e finale, richiamando il contenuto e gli allegati alle stesse, che afferma sufficientemente specifiche, senza peraltro riprodurne il contenuto o spiegare in maniera adeguata la rilevanza, sul piano dell'osservanza del disposto di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 della vicenda dell'annullamento della prima applicazione dei criteri legali di scelta (che la sentenza dichiara non incidente sulla violazione di legge contestata), non osservando cosi' la regola dell'autosufficienza del ricorso e senza specifiche contestazioni, riconducibili alla possibile violazione di pertinenti regole di diritto o a vizi di motivazione, delle singole valutazioni della Corte territoriale, alle quali pertanto contrappone in maniera meramente assertiva proprie opposte valutazioni, sostanzialmente di merito, alla ricerca di un giudizio di terza istanza, non consentito in questa sede di legittimita'.

6 - Infine col quarto motivo, la ricorrente deduce la violazione di principi di diritto e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, laddove in sede di risarcimento danni ex art. 18 S.L. al lavoratore, la Corte non ha dedotto quanto da questi percepito a titolo di trattamento CIGS a decorrere dal 14 maggio 2000.

Premesso che il trattamento economico CIGS ha natura previdenziale, va infatti ribadito, in linea con l'orientamento consolidato di questa Corte, a partire da Cass. S.U. 13 agosto 2002 n. 12194 (cfr., tra le altre, Cass. 14 giugno 2007 n. 13871 e 14 febbraio 2005 n. 2928) che nell'ipotesi di licenziamento dichiarato illegittimo, le somme medio tempore percepite dal lavoratore a titolo di trattamento previdenziale (pensione, indennita' di mobilita' o trattamento CIGS) si sottraggono alla regola della "compensatio lucri cum damno", e quindi non vanno sottratte dal risarcimento danni conseguente all'annullamento, commisurato alle retribuzioni perdute, in quanto tali somme perdono il loro titolo giustificativo con l'annullamento del licenziamento e devono pertanto essere restituite, su sua richiesta, all'ente previdenziale.


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