Il giudice può stabilire in mancanza di accordo tra le parti il termine (per la restituzione della cosa oggetto di comodato) quando ciò sia necessario per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell'esecuzione

Premesso che il comodato precario è caratterizzato dalla circostanza che la determinazione del termine di efficacia del "vinculum iuris" costituito tra le parti è rimessa in via potestativa alla sola volontà del comodante, che ha facoltà di manifestarla "ad nutum" con la semplice richiesta di restituzione del bene senza che assuma rilievo la circostanza che l'immobile sia stato adibito a casa familiare e sia stato assegnato, in sede di separazione tra i coniugi, all'affidatario dei figli, tuttavia, nel comodato, ancorché il comodatario sia tenuto a restituire la cosa in presenza dei presupposti stabiliti dagli artt. 1809 e 1810 c.c.. tale disciplina, configurandosi un'ipotesi specifica della regola generale prevista nella prima parte del comma 1 dell'art. 1183 c. c., non esclude l'applicazione della disposizione di cui alla seconda parte del citato comma 1, con la conseguenza che il giudice, in mancanza di accordo delle parti, può stabilire il termine (per la restituzione della cosa oggetto di comodato) quando ciò sia necessario per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell'esecuzione e, segnatamente, quando, trattandosi di comodato di immobile ad uso di abitazione, il comodatario necessiti di una congrua dilazione per rilasciare vuoto l'immobile e per trovare altra sistemazione abitativa.

Tribunale Roma, Sezione 5 civile, Sentenza 7 ottobre 2010, n. 19876



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI ROMA

QUINTA SEZIONE CIVILE

in composizione monocratica, nella persona del dott. Silvio Cinque, all'udienza del 7.10.2010 ha emesso la seguente

SENTENZA

ai sensi dell'art. 429 c.p.c,. nella causa civile di primo grado iscritta al n. 71155 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2009, vertente tra

Ga.Fr., rapp.to e difeso dall'Avv. Lu.De., via (...) - Roma

Ricorrente

E

Ci.Cr., rapp.ta e difesa dagli Avv.ti Al.Pi. e Ma.Lu., Largo (...) - Roma

Resistente

FATTO E DIRITTO

Il Sig. Fr.Ga., premesso di aver concesso, nell'estate del 2003, l'appartamento sito in Roma, via (...), scala C, int. 1, in comodato al proprio figlio Da.; che questi, poi, vi ha abitato con la moglie, l'odierna resistente Sig.ra Ci., dopo il matrimonio, contratto in data 13.9.2004; che Da.Ga. era deceduto il 6.11.2004; rappresentato di aver inoltrato alla Ci., in data 3.7.2008, la disdetta del contratto, chiedendole la riconsegna dell'appartamento, e di aver ribadito la richiesta con lettera del 26.6.2009; precisato che entrambi i solleciti erano rimasti senza esito e che la Ci. continua a disporre tutt'oggi dell'appartamento, ha chiesto dichiararsi risolto il contratto di comodato e, per l'effetto, condannarsi la resistente al rilascio immediato dell'immobile; con vittoria di spese, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

La resistente si è opposta alla domanda, sostenendo che, secondo la giurisprudenza consolidata, la concessione in comodato di un immobile senza previsione di scadenza, ma per esigenze abitative di un nucleo familiare, non consente di qualificare il contratto come "precario" e, di conseguenza, non è giustificata la richiesta di restituzione del bene ad nutum, nemmeno nell'ipotesi della cessazione del rapporto di coniugio.

Pacifici i fatti, unica questione controversa è quella relativa alla sussistenza o meno, in capo all'occupante dell'immobile, dell'obbligo del rilascio dell'appartamento a semplice richiesta del comodante.

Sostiene la difesa del ricorrente che l'orientamento giurisprudenziale su cui fa leva controparte si riferisce ai casi in cui l'immobile concesso in comodato sia poi assegnato, in sede di separazione personale tra i coniugi, a quello affidatario dei figli minori, mentre la fattispecie in esame sarebbe del tutto diversa, non avendo la coppia avuto prole.

La tesi prospettata dal ricorrente è condivisibile ed interpreta in maniera esatta la giurisprudenza formatasi in materia, anche prima della sentenza della Suprema Corte n. 15986 del 7.7.2010, cui si farà cenno in prosieguo, giurisprudenza tutta orientata alla tutela del nucleo familiare con prole e, più in generale, della comunità domestica, delle esigenze abitative della famiglia anche nelle sue potenzialità di espansione. Detto orientamento giurisprudenziale riguarda l'ipotesi di separazione personale dei coniugi, ma, per identità di ratio, è sicuramente applicabile alla fattispecie in esame, in cui il rapporto matrimoniale è venuto meno per il decesso di uno dei coniugi.

Le Sezioni Unite della Cassazione, nella sentenza n. 13603/2004, hanno ritenuto che non può configurarsi l'istituto del comodato c.d. precario "nei casi in cui la destinazione (del bene) sia diretta ad assicurare - così assumendo un connotato di marcata specificità - che il nucleo familiare già formato o in via di formazione abbia un proprio habitat, come stabile punto di riferimento e centro di comuni interessi materiali e spirituali dei suoi componenti". Hanno precisato, altresì, che "viene in tali situazioni in rilievo la nozione di casa familiare quale luogo degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime la vita familiare e si svolge la continuità delle relazioni domestiche, centro di aggregazione e di unificazione dei componenti del nucleo, complesso di beni funzionalmente organizzati per assicurare l'esistenza della comunità familiare, che appunto in forza dei caratteri di stabilità e continuità che ne costituiscono l'essenza si profila concettualmente incompatibile con un godimento segnato da provvisorietà ed incertezza.

In questa prospettiva il dato oggettivo della destinazione a casa familiare, finalizzata a consentire un godimento per definizione esteso a tutti i componenti della comunità familiare, comporta che il soggetto che formalmente assume la qualità di comodatario riceva il bene non solo o non tanto a titolo personale, quanto piuttosto quale esponente di detta comunità.

Per effetto della concorde volontà delle parti viene così a configurarsi un vincolo di destinazione dell'immobile alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso cui la cosa doveva essere destinata il carattere di termine implicito della durata del rapporto, la cui scadenza non è determinata, ma è strettamente correlata alla destinazione impressa ed alle finalità cui essa tende: né tale vincolo può considerarsi automaticamente caducato per il sopravvenire della crisi coniugale, prescindendo quella destinazione, nella sua oggettività, dalla effettiva composizione, al momento della concessione in comodato, della comunità domestica, ed apparendo piuttosto indirizzata a soddisfare le esigenze abitative della famiglia anche nelle sue potenzialità di espansione".

Le Sezioni Unite hanno conclusivamente enunciato il seguente principio di diritto:

"Nell'ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non auto sufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, ma determina concentrazione, nella persona dell'assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso previsto nel contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c.".

Ragionando a contrario, un'altra sentenza della Corte, successiva alla precedente, applica il principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite, sottolineando come la valenza del provvedimento di 2l assegnazione, quale elemento che impedisca la funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà, stia nella presenza o meno di esigenze legate all'affidamento della prole. Infatti, la Cassazione ha evidenziato come il provvedimento di autorizzazione di uno dei due coniugi ad abitare nella casa concessa in comodato da un terzo, emesso dal giudice della separazione in assenza del provvedimento di affidamento della prole, non impone al comodante alcun obbligo di consentire la continuazione del godimento del bene, essendo cessata, al momento della separazione personale dei coniugi, la destinazione di questo a casa famigliare (Cass. Sez. I, n. 9253/2005).

In questo caso, dunque, il comodante potrà chiedere il rilascio dell'immobile.

La sentenza da ultimo citata (n. 9253/2005), ha rimarcato che anche la menzionata sentenza SS. UU. n. 13603/2004 muove dal presupposto che scopo ed effetti precipui del provvedimento di assegnazione consistano nel mantenere, al di là della separazione coniugale, la stabilità dell'ambiente familiare "a tutela della prole minorenne o anche di quella maggiorenne, ma non ancora auto sufficiente senza propria colpa"; e che quindi detto provvedimento non possa essere pronunziato se non a favore del coniuge affidatario della prole medesima.

Inoltre, è opportuno sottolineare che, già in precedenza, era stato affermato che il giudice della separazione non ha il potere di disporre l'assegnazione della casa a favore del coniuge che non sia affidatario della prole minorenne o che non conviva con figli maggiorenni non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri (SS. UU. n. 11297/1995); giacché "le norme di cui all'art. 155, quarto comma, del codice civile, e all'art. 6, sesto comma, della legge n. 74 del 1987 sono ispirate alla eadem ratio dell'esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale della prole; di conseguenza, l'assegnazione della casa familiare, "non crea tanto un titolo di legittimazione ad abitare per uno dei coniugi quanto conserva destinazione dell'immobile con il suo arredo nella funzione di residenza familiare. Il titolo ad abitare per il coniuge è infatti strumentale alla conservazione della comunità domestica e giustificato esclusivamente dall'interesse morale e materiale della prole affidatagli" (Corte Costituzionale, sentenza n. 454 del 1989, dalla motivazione).

E' pertanto evidente, ad avviso del giudicante, che il discrimine tra l'obbligo di restituzione dell'immobile a semplice richiesta del comodante ed il diritto del coniuge separato (o superstite) di continuare a detenere l'immobile per esigenze familiari sia costituito dalla presenza della prole (minorenne o anche maggiorenne, ma non ancora autosufficiente senza propria colpa), che sola legittima il protrarsi dell'occupazione, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, cod. civ., non prospettata nella fattispecie in esame.

In ogni caso, la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, come già fatto cenno, è andata oltre, ritenendo che il comodato precario è caratterizzato dalla circostanza che la determinazione del termine di efficacia del "vinculum iuris" costituito tra le parti è rimessa in via potestativa alla sola volontà del comodante, che ha facoltà di manifestarla "ad nutum" con la semplice richiesta di restituzione del bene senza che assuma rilievo la circostanza che l'immobile sia stato adibito a casa familiare e sia stato assegnato, in sede di separazione tra i coniugi, all'affidatario dei figli (Cass. Sez. III, Sentenza n. 15986 del 07/07/2010).

Per i motivi illustrati, la domanda è meritevole di accoglimento; di conseguenza, va dichiarato risolto il contratto di comodato relativo all'appartamento sito in Roma, via (...), e, per l'effetto, la resistente va condannata al rilascio in favore del ricorrente dell'immobile, libero e vuoto da persone e da cose, anche interposte.

Tuttavia, nel comodato, ancorché il comodatario sia tenuto a restituire la cosa in presenza dei presupposti stabiliti dagli artt. 1809 e 1810 c.c. tale disciplina, configurandosi un'ipotesi specifica della regola generale prevista nella prima parte del comma 1 dell'art. 1183 c.c., non esclude l'applicazione della disposizione di cui alla seconda parte del citato comma 1, con la conseguenza che il giudice, in mancanza di accordo delle parti, può stabilire il termine (per la restituzione della cosa oggetto di comodato) quando ciò sia necessario per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell'esecuzione e, segnatamente, quando, trattandosi di comodato di immobile ad uso di abitazione, il comodatario necessiti di una congrua dilazione per rilasciare vuoto l'immobile e per trovare altra sistemazione abitativa (Cass. 10.8.1988, n. 4921).

Pertanto, in accoglimento della richiesta formulata dalla resistente, si reputa equo fissare per il rilascio dell'immobile il termine di mesi quattro dalla pubblicazione della sentenza.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

A) dichiara risolto il contratto di comodato inter partes e, per l'effetto, condanna Ci.Cr. al rilascio in favore di Ga.Fr. dell'immobile sito in Roma, via (...), libero e vuoto da persone e da cose, anche interposte, entro e non oltre il termine di mesi quattro dalla pubblicazione della sentenza;

B) condanna la resistente al rimborso in favore del ricorrente delle spese di lite, liquidate in Euro 209,92 per esborsi, Euro 1.280,00 per onorari e Euro 922,00 per diritti, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario Avv. Lu.De.

Così deciso in Roma il 7 ottobre 2010.

Depositata in Cancelleria il 7 ottobre 2010.

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