In caso di preliminare con consegna del bene il promissario acquirente resta un detentore e solo il contratto definitivo è idoeno a produrre l'effetto traslativo

Nella promessa di vendita quando venga convenuta la consegna del bene prima del perfezionamento del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilita' in tal modo conseguita dal promissario acquirente ha mera natura di detenzione, sia pur qualificata, collegata ad un contratto con effetti obbligatori, costitutivo di reciproci diritti di credito ad un fare (prestazione del successivo consenso); e non di possesso utile ad usucapionem: salva la dimostrazione di una sopraggiunta interversio possessionis nei modi di cui all'articolo 1141 c.c., comma 2 (Cass., sez. unite, 27 marzo 2008, n. 7930). Solo il possessore, infatti, e non anche il detentore, puo' usucapire il bene (e godere delle azioni di manutenzione e di nunciazione: articoli 1170 e 1171 cod. civ.); mentre, al promissario acquirente va riconosciuta una detenzione qualificata, esercitata nel proprio interesse, ma alieno nomine; in assenza dell'animus possidenti, escluso dalla consapevolezza che l'effetto traslativo non si e' ancora prodotto. Ne consegue che, anche in presenza del cd. preliminare ad effetti anticipati - che pure ha, certo portata ben piu' pregnante del paradigmatico pactum de contraendo - e' pur sempre il contratto definitivo, espressione di autonomia negoziale e non mero atto dovuto solvendi causa, a produrre l'effetto traslativo reale: restando esclusa la scissione tra titulus e modus adquirendi (eventualmente, anche mediante atto non negoziale), che era propria del diritto romano ed e' tuttora vigente in taluni ordinamenti moderni, come quello tedesco.

Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 1 marzo 2010, n. 4863



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo - Presidente

Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere

Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere

Dott. BERNABAI Renato - rel. Consigliere

Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 2924-2005 proposto da:

AL. S.R.L. (P.I. (OMESSO)), BE. S.R.L. (P.I. (OMESSO)), GA. S.R.L. ((OMESSO)), in persona dei rispettivi Amministratori pro tempore, nonche' SO. GE. CO. S.P.A. (P.I. (OMESSO)), in persona del legale rappresentante pro tempore, e DI. BA. AN. nella qualita' di Curatore del Fallimento della So. Ge. Co. , elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 34, presso l'avvocato D'ANGELO QUIRINO, rappresentati e difesi dall'avvocato DI BIASE GIOVANNI, giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrenti -

contro

RA. GI. , RA. MA. PI. ;

- intimati -

sul ricorso 6152-2005 proposto da:

RA. GI. (c.f. (OMESSO)), RA. MA. PI. (c.f. (OMESSO)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTESANTO 25, presso l'avvocato IDINI GIOVANNA, rappresentati e difesi dall'avvocato DURANTE EBERTO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale subordinato;

- controricorrenti e ricorrenti incidentali -

contro

AL. S.R.L., BE. S.R.L., GA. S.R.L., SO. GE. CO. S.P.A., DI. BA. AN. ;

- intimati -

avverso la sentenza n. 625/2004 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 03/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2009 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

previa riunione dei ricorsi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale; per il rigetto dell'incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 20 giugno 1992 l'Al. s.r.l., la Be. s.r.l., la Ga. s.r.l. e la So. Ge. Co. - S.G.C., s.p.a. convenivano dinanzi al Tribunale di Pescara la signora Di. Ma.Ma. per sentirla condannare al rilascio di un appartamento e di un negozio siti in (OMESSO) e da lei occupati a seguito di un contratto preliminare di compravendita stipulato con la S.G.C., prima del suo fallimento.

Esponevano che la curatela non aveva mai consentito alla stipulazione del contratto definitivo e che degli immobili avevano invece acquistato la proprieta' le prime tre societa' in forza del concordato fallimentare omologato che prevedeva il loro obbligo di soddisfare i creditori concorsuali a fronte della cessione di tutti i beni della societa' fallita.

Costituitasi ritualmente, la signora Di. Ma. eccepiva, in via preliminare, la carenza di legittimazione attiva delle societa' assuntrici del concordato, in carenza del decreto di trasferimento, da parte del giudice delegato, degli immobili rivendicati; nel merito, deduceva di esserne divenuta proprietaria, automaticamente, in virtu' del precedente contratto da lei stipulato - da qualificare come vendita obbligatoria di cose future, e non come preliminare di compravendita - una volta ultimata la loro edificazione; o, alternativamente, a titolo originario, per usucapione da possesso ultraventennale. Chiedeva, quindi, in via riconvenzionale, l'accertamento del proprio diritto di proprieta'.

A seguito del decesso della Di. Ma. , il giudizio proseguiva con il subingresso degli eredi Ra. Gu. e Ra. Ma. Pi. .

Integrato il contraddicono nei confronti della curatela del fallimento S.G.C. - che, costituendosi, eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva a seguito della chiusura della procedura concorsuale, omologata con sentenza passata in giudicato - il Tribunale di Pescara con sentenza 29 giugno 1998 rigettava la domanda principale e, in accoglimento della riconvenzionale, dichiarava l'usucapione degli immobili; con condanna delle societa' attrici Al. , Be. e Ga. alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti dei convenuti e loro compensazione invece tra il fallimento S.G.C., e questi ultimi.

I successivi gravami - principale, delle societa', e incidentale dei sigg. Ra. - venivano respinti dalla Corte d'appello di L'Aquila con sentenza 3 settembre 2004.

La corte motivava:

- che la curatela difettava di legittimazione passiva a seguito del passaggio in giudicato della sentenza omologativa del concordato fallimentare, con recupero della capacita' sostanziale e processuale della S.G.C.;

- che erano del pari carenti di legittimazione attiva le tre societa' assuntrici, mai divenute proprietarie degli immobili in mancanza di prova dell'allegata emissione del decreto di trasferimento in loro favore da parte del giudice delegato;

- che la domanda non poteva ritenersi svolta dalla S.G.S. s.p.a. in bonis, limitatasi ad intervenire ad adiuvandum, con richiesta, solo in subordine, dell'accertamento del proprio diritto di proprieta' in caso di risoluzione del concordato;

- che era pure infondato il gravame incidentale condizionato, volto all'accertamento della natura di contratto di vendita obbligatorio di cosa futura, e non di contratto preliminare: qualificazione, da escludere sulla base degli elementi letterali della scrittura privata, gia' valorizzati dal tribunale e non contestati in modo specifico dai signori Ra. .

Avverso a sentenza, non notificata, proponevano ricorso per cassazione l'Al. s.r.l., la Be. s.r.l., la Ga. s.r.l., la s.p.a. So. Ge. Co. , nonche' il curatore del fallimento S.G.S. (con la formula "per quanto occorrer possa") con atto notificato il 24 gennaio 2005.

Deducevano:

1) la violazione degli articolo 130 e 136, L.F., e dell'articolo 1356 cod. civ., giacche' la sentenza di omologazione del concordato costituiva titolo immediato e diretto del trasferimento degli immobili, di cui il successivo provvedimento del giudice delegato aveva solo funzione integrativa ed esecutiva: onde, sussisteva la loro legittimazione a richiedere il rilascio dell'immobile acquistato. In ogni caso, la legittimazione attiva costituiva solo una condizione dell'azione, integrabile nel corso del processo, e nella specie era stata sicuramente acquisita dopo che il giudice delegato, con decreto 31 ottobre 2002, aveva disposto procedersi al trasferimento degli immobili ed il curatore vi aveva provveduto con atto pubblico 18 dicembre 2002; la cui produzione, nel giudizio di legittimita', doveva intendersi consentito ex articolo 372 cod. proc. civ. al fine di dimostrare l'ammissibilita' del ricorso. In subordine, doveva riconoscersi alle societa' assuntrici la legittimazione in pendenza della condizione sospensiva dell'acquisto, consistente nell'adempimento degli obblighi concordatane articolo 1356 cod. civ.), o quanto meno alla So. ge. co. tornata in bonis, o in alternativa, alla curatela: a pena di ritenere il patrimonio del fallito inammissibilmente privo di titolare e abbandonato a se stesso.

2) La violazione degli articoli 1158 e ss., 1166, 2941 e 2942 cod. civ. e la carenza di motivazione in ordine all'accertamento dell'acquisto per usucapione, non essendo stata fornita la prova del trasferimento del possesso in forza del contratto preliminare, ne' dell'animus possidendi in capo alla signora Di. Ma. : incompatibili, entrambi, con la natura obbligatoria, e non reale, del diritto costituito in suo favore. Oltre a cio', faceva difetto l'elemento psicologico dell'inerzia della proprietaria S.G.C., s.p.a., che aveva perduto la capacita' di agire per ottenere il rilascio dell'immobile, a seguito del fallimento dichiarato nel (OMESSO).

Resistevano con controricorso i sigg. Ra. Gi. e Ma. Pi. , che svolgevano altresi' ricorso incidentale subordinato per violazione dell'articolo 1472 cod. civ. nella negazione della natura definitiva del contratto di compravendita di cosa futura stipulato dalla loro dante causa.

Entrambe le parti depositavano memorie illustrative ex articolo 378 cod. proc. civ..

All'udienza del 17 dicembre 2009, dopo la riunione dei ricorsi ex articolo 335 cod. proc. civ., il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, di contenuto variegato, le societa' ricorrenti deducono la violazione degli articoli 130 e 136, L.F., e dell'articolo 1356 cod. civ..

La censura e' articolata sotto piu' profili che occorre esaminare partitamente.

Viene in considerazione, in via preliminare di rito, la questione dell'ammissibilita' della produzione del decreto con cui il giudice delegato avrebbe autorizzato il trasferimento degli immobili, nelle more del giudizio, e del conseguente atto pubblico 18 dicembre 2002 che vi avrebbe dato attuazione.

Sul punto, deve accogliersi l'eccezione d'irricevibilita' sollevata nel controricorso.

I documenti in questione non valgono, infatti, a dimostrare l'ammissibilita' del ricorso, ai sensi dell'articolo 372 c.c., comma 1. Questa e', infatti, del tutto incontroversa sotto il profilo della legittimazione ad impugnare, che deriva dalla qualita' di parte processuale gia' assunta nei gradi di merito da tutte le societa' ricorrenti. In realta', cio' che s'intende provare mediante la documentazione allegata e', piuttosto, la titolarita' del diritto di proprieta' degli immobili, che sarebbe ormai stata acquisita dalle societa' con l'atto pubblico offerto in esibizione: e cioe', una circostanza di fatto attinente alla questione di merito posta a fondamento della sentenza di rigetto della domanda, sia in primo che in secondo grado. E' vero che la legittimazione attiva - rectius: la titolarita' del diritto vantato dalle attrici - e' condizione dell'azione (Cass., sez. 3, 30 Maggio 2008, n. 14468), verificabile, quindi, fino al momento della decisione; senza che a quest'ultima debba assegnarsi il significato restrittivo, prospettato dai resistenti, di decisione di primo grado. Tuttavia, cosa diversa dall'astratta rilevanza della condizione sopravvenuta e' il regime di prova del fatto costitutivo che la sostanzia, soggetto alle regole preclusive proprie di ciascun grado di giudizio. A tale stregua, resta inammissibile, nella fase di legittimita', qualsiasi attivita' istruttoria, sia pure documentale; ed il fatto sopravvenuto puo' trovare ingresso nel thema decidendum solo se oggetto di esplicita ammissione della controparte che lo renda pacifico.

Nella specie, peraltro, i signori Ra. non hanno affatto confermato l'altrui acquisto del diritto, contestando, anzi, la natura incondizionata ed efficace del decreto del giudice delegato, a loro dire meramente autorizzativo della vendita. Ne consegue che la circostanza integrativa della condizione dell'azione resta controversa e non puo' trovare dimostrazione aliunde, per via documentale (articolo 372 cod. proc. civ.).

Viene ora all'esame la tesi subordinata dell'acquisto della proprieta' degli immobili per effetto della stessa sentenza omologativa del concordato fallimentare, con cui si disponeva l'alienazione dei beni della S.C.G. s.p.a. agli assuntori.

Al riguardo, dev'essere ribadito il costante orientamento che a tale pronuncia riconosce natura di titolo diretto ed immediato del trasferimento dei beni del fallito nel patrimonio dell'assuntore, di cui segna, di conseguenza, il dies a quo (Cass., sez. 3, 13 aprile 2007, n. 8832; Cass., sez. 2, 8 novembre 2002, n. 15.716). Essa attua, infatti, come corrispettivo dell'accollo dei debiti del fallito, il trasferimento dei suoi beni, che fino a quel momento erano assoggettati al vincolo di indisponibilita' in favore dei creditori dalla data di apertura del concorso (Cass., sez. 1, 27 Maggio 1987, n. 4715). Ne consegue che eventuali provvedimenti integrativi o attuativi assunti dal giudice delegato ex articolo 136, comma 3, L.F., in epoca successiva, una volta accertato il completo adempimento del concordato, nell'esercizio di un'attivita' di sorveglianza e controllo priva di contenuto decisorio - ivi comprese la descrizione specifica dei beni alienati necessaria per la trascrizione e la cancellazione delle ipoteche, con io svincolo delle cauzioni - si pongono in funzione meramente esecutiva (Cass., sez. 1, 23 dicembre 1992, n. 13.626); mentre, la sentenza di omologazione ha effetti costitutivi dei trasferimento della proprieta', allo stesso modo di un contratto di compravendita o della sentenza di esecuzione in forma specifica pronunziata ex articolo 2932 cod. civ..

Tuttavia, nella specie, l'acquisto da parte delle societa' Al. , Be. e Ga. non era efficace all'atto stesso della sentenza, bensi' sottoposto alla condizione sospensiva del regolare adempimento degli obblighi concordatari assunti.

Ne discende che, nelle more - ed ancora, alla data dell'edictio actionis - esse non erano proprietarie degli immobili pretesi, ma solo titolari di un'aspettativa qualificata, suscettibile di mera tutela cautelare, conservativa, in pendenza della condizione (articolo 1356 cod. civ.).

Alla luce di questa ricostruzione in fatto e diritto, eccedeva dunque i limiti di legittimazione la domanda di merito svolta dalle s.r.l. Al. , Be. e Ga. , volta ad ottenere il rilascio dell'appartamento e del negozio occupati dalla signora Di. Ma. , previo accertamento del proprio diritto pieno, poziore rispetto a quello vantato da quest'ultima.

Anche la censura relativa al diniego di legittimazione della curatela e della S.G.C, s.p.a., tornata in bonis, non puo' trovare accoglimento.

Sotto il primo profilo e' esatto che, una volta omologato il concordato, la curatela perde ogni potere d'impulso processuale che valichi i limiti della vigilanza sull'esatto adempimento delle obbligazioni concordatarie.

In ordine, invece, alla societa', la doglianza e' inammissibile, volta com'e' ad un riesame, nel merito, del contenuto della domanda da essa svolta: interpretata dalla corte territoriale, con motivazione immune da vizi logici, come mero intervento ad adiuvandum delle societa' Al. , Be. e Ga. (salva l'azione in proprio nell'ipotesi subordinata, non ricorrente nella specie, di risoluzione del concordato fallimentare).

Con il secondo motivo le societa' ricorrenti censurano la violazione degli articoli 1158 e ss., 1166, 2941 e 2942 cod. civ. e la carenza di motivazione in ordine all'accertamento dell'acquisto per usucapione.

Il motivo e' fondato nei limiti di cui appresso.

A riguardo, viene all'esame, in via preliminare, il problema della legittimazione attiva all'impugnazione delle societa' Al. , Be. e Ga. , di cui si e' teste' negato l'acquisto della proprieta' in epoca anteriore all'edictio actionis e nelle more del processo, entro il termine preclusivo della relativa prova.

Dalla suddetta statuizione non discende peraltro la carenza del potere di contraddire in ordine all'altrui domanda di accertamento dell'usucapione.

E cio', sotto un duplice profilo.

Da un lato, le predette societa' sono legittimate ad impugnare la sentenza quali parti convenute, in riconvenzione, dalla stessa Di. Ma. , che le aveva individuate come legittime controinteressate alla dichiarazione di acquisto a titolo originario della proprieta' degli immobili. Si tratta di una veste processuale stabile, non legata all'esito della domanda principale da esse svolta, cui e' correlata la perpetuano del potere di resistere alla domanda riconvenzionale e di impugnarne la sentenza di accoglimento, nella perdurante presenza dell'interesse a contraddire (articolo 100 cod. proc. civ.).

Dall'altro, non puo' del pari disconoscersi una, sia pur limitata, tutela sostanziale al titolare di un'aspettativa (quale va, appunto, qualificato l'acquirente di un diritto subordinato a condizione sospensiva), tesa ad impedire eventi - materiali o, come nella specie, giuridici - suscettibili di pregiudicarla irreversibilmente.

Dalla disciplina della condizione deriva, infatti, la tipizzazione di una gamma di facolta' che eleva l'aspettativa al rango di situazione di diritto: incluso, perfino, il potere di disporre del diritto condizionato, significativo, per antonomasia, di una signoria sulla cosa (articolo 1357 cod. civ.).

Al riguardo, anche se sia da ritenere impropria, in sede concettuale, la definizione di "doppia titolarita'" del medesimo diritto di proprieta' - in capo, rispettivamente, all'acquirente e all'alienante sub condizione - resta che la situazione soggettiva del primo non e' un mero interesse di fatto: al punto da essere specificamente tutelata tramite la legittimazione a compiere atti conservativi (articolo 1356 cod. civ.). Con quest'ultima locuzione, non infrequente nel codice (articolo 460 c.c., comma 2, e articolo 1130 c.c., comma 1, n. 4), non si intendono, innanzitutto, solo i ricorsi cautelari, ma anche quelli possessori (Cass., sez. 2, 14 maggio 1990, n. 4117), che pure hanno efficacia interruttiva dell'altrui possesso ad usucapendum (articoli 1165 e 2943 cod. civ.: Cass., sez. 2, 19 giugno 2003, n. 9845; Cass., sez. 2, 15 maggio 1992 n. 5801).

Inoltre, la nozione di atto conservativo ex articolo 1356 cod. civile, se trova il suo naturale ambito di riferimento nei provvedimenti cautelari o possessori, tesi a contrastare eventuali abusi del venditore - che e' pur sempre titolare attuale del diritto, poziore rispetto all'aspettativa dell'acquirente - puo' invece espandersi fino a ricomprendere altresi' l'azione e la resistenza in un giudizio di cognizione nei confronti del terzo detentore, al fine di impedirne l'acquisto a titolo originario della proprieta', preclusivo financo della retroattivita' reale dell'effetto dell'avveramento della condizione (articolo 1360 cod. civ.). In tale contesto deve riconoscersi legittimazione all'acquirente sub condicione a resistere alla pretesa di un quisque de populo, privo, allo stato, di alcun titolo giustificativo del godimento della cosa.

Per completezza di analisi, si puo' soggiungere, in sede sistematica, che analoga potesta' viene riconosciuta anche al chiamato all'eredita', nella fattispecie di cui all'articolo 460 cod. civ.: con l'unica conseguenza che l'esercizio della domanda di cognizione, travalicante i confini dell'atto conservativo in senso stretto, cautelare o possessorio, menzionato nella norma, produrra' l'effetto di un'accettazione tacita dell'eredita' (Cass., sez. 3, 1 luglio 2005, n. 14081; Cass., sez. 2, 27 giugno 2005, n. 13738).

Sotto il profilo in esame, resta invece limitata ad un ruolo adesivo la compresenza nel ricorso della S.G.C., in bonis) nonche' della curatela del fallimento S.G.C., del resto perfino espressamente connotato in tal senso con la formula "per quanto occorrer possa" contenuta nell'epigrafe del ricorso.

Cio' premesso in ordine alla legittimazione al ricorso in parte qua, si osserva che la contestazione mossa dalle societa' Al. , Be. e Ga. al possesso goduto dalla signora Di. Ma. , e poi dai suoi aventi causa a titolo ereditario, se e' inammissibile nella parte in cui tende a proporre un riesame nel merito della situazione di fatto dell'immobile a partire dal (OMESSO) accertata nei due gradi pregressi, appare invece fondata laddove denunzia, in punto di diritto, l'insussistenza del possesso utile all'acquisto per usucapione, non identificabile con la detenzione degli immobili attribuita con il contratto stipulato in data (OMESSO), qualificato concordemente dei giudici di merito come preliminare di compravendita.

Nella promessa di vendita, infatti, quando venga convenuta la consegna del bene prima del perfezionamento del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilita' in tal modo conseguita dal promissario acquirente ha mera natura di detenzione, sia pur qualificata, collegata ad un contratto con effetti obbligatori, costitutivo di reciproci diritti di credito ad un fare (prestazione del successivo consenso); e non di possesso utile ad usucapionem: salva la dimostrazione di una sopraggiunta interversio possessionis nei modi di cui all'articolo 1141 c.c., comma 2 (Cass., sez. unite, 27 marzo 2008, n. 7930).

Solo il possessore, infatti, e non anche il detentore, puo' usucapire il bene (e godere delle azioni di manutenzione e di nunciazione: articoli 1170 e 1171 cod. civ.); mentre, al promissario acquirente va riconosciuta una detenzione qualificata, esercitata nel proprio interesse, ma alieno nomine; in assenza dell'animus possidenti, escluso dalla consapevolezza che l'effetto traslativo non si e' ancora prodotto.

In conclusione, anche in presenza del cd. preliminare ad effetti anticipati - che pure ha, certo portata ben piu' pregnante del paradigmatico pactum de contraendo - e' pur sempre il contratto definitivo, espressione di autonomia negoziale e non mero atto dovuto solvendi causa, a produrre l'effetto traslativo reale: restando esclusa la scissione tra titulus e modus adquirendi (eventualmente, anche mediante atto non negoziale), che era propria del diritto romano ed e' tuttora vigente in taluni ordinamenti moderni, come quello tedesco.

Entro questa cornice concettuale, la consegna della cosa e l'anticipato pagamento del prezzo non sono incompatibili, in ultima analisi, con la figura del preliminare, ne' indice della natura definitiva della compravendita; quale che ne sia la giustificazione causale: se per clausola atipica, introduttiva di un'obbligazione aggiuntiva, o per collegamento negoziale (preliminare di compravendita, comodato e mutuo gratuito: in questo senso, Cass. sez. un. 7930/2008, cit.).

In applicazione dei predetti principi, appare dunque erronea la decisione della Corte d'appello di L'Aquila nella parte in cui ha dichiarato l'acquisto per usucapione in forza della prolungata detenzione da parte della signora Di. Ma. e dei suoi eredi.

E' invece inammissibile il ricorso incidentale condizionato dei signori Ra. , perche' volto ad una diversa ricostruzione ermeneutica del contratto avente natura di merito che non puo' trovare ingresso in questa sede, in quanto volta ad attribuirgli natura definitiva, e non preliminare, sulla base di un riesame degli elementi connotativi (articolo 1362 c.c. e segg.).

La sentenza dev'esser quindi cassata nei limiti sopra precisati, con rinvio alla medesima corte territoriale, in diversa composizione, per l'applicazione del principio di diritto enunciato, salvo l'accertamento di un'eventuale interversio possessionis, ed anche per la liquidazione delle spese della presente fase di legittimita'.

P.Q.M.

- Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo del ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

- cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa dinanzi alla Corte d'appello di L'Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

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