In sede di separazione dei coniugi, nell'ipotesi di assegnazione di casa concessa da un terzo in comodato, il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso previsto nel contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urg

Nell'ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, e di successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione, il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso previsto nel contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno. (Corte di Cassazione Sezione 3 civile, Sentenza 06.06.2006, n. 13260)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Michele Varrone - Presidente

Dott. Fabio Mazza - Consigliere

Dott. Camillo Filadoro - Consigliere

Dott. Mario Finocchiaro - Consigliere

Dott, Giulio Levi - Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Fi. Se., elettivamente domiciliata in Ro. Via Ba. Cu. 45, presso l'Avvocato Vi. Em. Ru., che la difende, con studio in 66054 - Va. (Ch), Corso de Pa. n. 10, giusta delega in atti;

contro

Vi. Ia., An. Ri., Ni. Ia.;

intimati

avverso la sentenza n. 308/02 della Corte d'Appello di l'Aquila, sezione civile, emessa il 16/10/01, depositata il 21/05/02, R.G. 561/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/04/06 dal Consigliere Dott. Giulio Levi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Maurizio Velardi, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Vi. Ia. e An. Ri., coniugi e genitori di Ni. Ia., esponevano: che erano proprietari, tra l'altro, di una casa di civile abitazione in Sa. Sa., distribuita su due piani, che avevano concesso in comodato precario e gratuito ai coniugi Ni. Ia. e Fi. Se. perché vi abitassero fino dal 1979; che con racc. 8.1.1984 questi ultimi vennero invitati al rilascio della casa perché serviva urgentemente ai proprietari, senza esito.

Con sentenza 10.7.1996 il Tribunale di Vasto respingeva la domanda degli attori volta ad ottenere il rilascio della casa ed il risarcimento danni per detenzione senza titolo e contro tale sentenza Vi. Ia. e An. Ri. proponevano appello chiedendone la riforma.

Si costituiva la Fi. Se., mentre veniva dichiarata la contumacia di Ni. Ia..

La Corte d'Appello de L'Aquila con sentenza 21.5.2002 accoglieva il gravame e condannava Ni. Ia. e Fi. Se. all'immediato rilascio dell'immobile, mentre rigettava la domanda di risarcimento danni; spese del doppio grado a cario degli appellati.

Ha proposto ricorso per cassazione la Fi. Se. affidandolo a due motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questo grado.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1809 e 1810 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, contesta la statuizione del giudice di appello secondo il quale "se è vero che è astrattamente ipotizzabile che un'abitazione venga concessa in comodato per tutta la vita del beneficiario (Cass., n. 11620/1990), è del tutto errato, da un punto di vista logico-giuridico, ritenere, come ha fatto il primo giudice, che l'uso abitativo sia di per sé indicativo di una durata indefinita del comodato stesso". Ha aggiunto la Corte aquilana che "in realtà, a fronte della richiesta di restituzione dei comodanti, era preciso onere probatorio dei comodatari quello di dimostrare che l'uso abitativo veniva concesso "vita natural durante", circostanza che, invece, è stata solo allegata e connessa ad una presunta volontà dei comodanti di far pervenire l'immobile in donazione al nipote, figlio dei comodatari". Ed ha concluso che "erroneo appare anche il riferimento alla mancata prova, da parte dei comodanti, del loro urgente ed imprevedibile bisogno di riavere la disponibilità dell'immobile: in realtà, ai sensi dell'art. 1809 c.c., gli attori avrebbero dovuto fornire siffatta prova solo ove i convenuti avessero a loro volta, propedeuticamente, dimostrato l'esistenza di un termine che non veniva rispettato dalla richiesta di restituzione dei comodanti".

A fronte dell'esposta motivazione, la ricorrente ha obiettato che nel procedimento di separazione personale, le erano stati affidati i figli minori e assegnata la casa di cui sopra per abitarci e che tale circostanza doveva impedire di ravvisare nella specie un'ipotesi di mero comodato precario, come tale revocabile ad nutum.

Il motivo è fondato. Le S.U. di questa Corte, affrontando recentemente la delicata questione della disciplina del comodato concesso per ragioni familiari, senza determinazione di un termine finale, premesso che l'individuazione del vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari costituisce un accertamento di fatto devoluto al giudice di merito, ha statuito che "quando un terzo (nella specie: il genitore di uno dei coniugi) abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perchè sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento - pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio - di assegnazione in favore del coniuge (nella specie: la nuora del comodante) affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, atteso che l'ordinamento non stabilisce una "funzionalizzazione assoluta" del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario. Infatti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto e a "concentrare" il godimento del bene in favore della persona dell'assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza, ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale), il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso previsto nel contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, (Cass. S.U. 21.7.2004, n. 13603).

In altre parole, in questo caso, per effetto della concorde volontà delle parti, si imprime all'immobile un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario) idoneo a conferire all'uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente ad nutum del comodante.

Ora l'impugnata sentenza non è conforme al principio di diritto sopraesposto (peraltro affermato dopo la sua pronuncia) ed il primo motivo va accolto, con conseguente assorbimento del secondo motivo (con cui la ricorrente contesta la condanna degli appellati alle spese del doppio grado); segue la cassazione della sentenza e rinvio della causa ad altro giudice di pari grado (individuato nella Corte di Appello di Perugia) che provvedere all'accertamento ed alle conseguenti statuizioni di cui alla sentenza n. 13603/04 di questa Corte, nonché alle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa l'impugnata sentenza e rinvia anche per le spese del giudizio di Cassazione alla Corte d'Appello di Perugia.

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