L'impossibilità di esercitare il diritto di servitù ne determina la qiuescenza e non l'estinzione

Quando, ai sensi dell'art. 1074 cod. civ., venga a cessare l'"utilitas" della servitù o la concreta possibilità di usarne, il vincolo rimane allo stato di quiescenza, ma non si estingue se non per effetto della prescrizione nel termine di cui all'art. 1073 cod. civ.. Pertanto, fino al momento in cui sia possibile il ripristino, la servitù deve essere tutelata al fine di impedire un mutamento irreversibile dello stato dei luoghi che ne impedisca definitivamente l'esercizio. (Corte di Cassazione Sezione 2 civile, Sentenza 30.01.2006, n. 1854)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi sigg.ri Magistrati:

Dott. Vincenzo CALFAPIETRA - Presidente

Dott. Alfredo MENSITIERI - Rel. Consigliere

Dott. Vincenzo COLARUSSO - Consigliere

Dott. Olindo SCHETTINO - Consigliere

Dott. Luigi PICCIALLI - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Ca.Cl., Gr.Al., elettivamente domiciliati in Ro. Via De.Pi.Ce. (...), presso lo studio dell'avvocato Al.Gr., difesi, dall'avvocato It.Fe., giusta delega in atti;- ricorrenti -

contro

Vi.Au., Vi.Ca., Vi.An., elettivamente domiciliati in Ro. Via Li. (...), presso lo studio dell'avvocato Ca.Pi., difesi dall'avvocato Ca.Pi., giusta delega in atti;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 2608/02 della Corte d'Appello di Ro., emessa il 26/04/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/12/05 dal Consigliere Dott. Alfredo
MENSITIERI;

udito l'Avvocato Mi.Tr., con delega depositata in udienza dell'Avvocato Sa., difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo MARINELLI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 5 giugno 1989 Au., Ca. e An.Vi., proprietari di distinte particelle, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Velletri, Cl.Ca. e Al.Gr. per sentir dichiarare che l'unica servitù gravante sui loro fondi era quella di passaggio al fine di attingere acqua e che, essendo allo stato la fonte inaridita, l'esercizio della stessa era illegittimo.

I convenuti, costituitisi, assumevano che il diritto di passaggio era esercitato in conformità al titolo e che comunque esso era stato usucapito.

Con sentenza del 30 giugno 1999 il Tribunale riteneva il difetto di legittimazione attiva di Au. e Ca.Vi. in quanto, a seguito di divisione, gli stessi non erano proprietari di alcun tratto di terreno interessato alla servitù di passaggio.

Dichiarava altresì quel giudice che in ogni caso la "servitus acquae haustum" a favore dei terreni di proprietà dei convenuti era in quiescenza, stante l'inaridimento della fonte, e che la sua estinzione si sarebbe verificata con il trascorrere del ventennio di non uso, termine non ancora maturato.
Proposto gravame dai soccombenti, la Corte d'appello di Roma, con sentenza del luglio 2002 rigettava l'impugnazione e condannava gli appellanti alle maggiori spese del grado.

Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione Ca.Cl. e Gr.Al. sulla base di due motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso i Vi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si denunzia, in riferimento all'art. 360 n.ri 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 91 stesso codice, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Lamentano i ricorrenti che la Corte del merito abbia erroneamente considerato unitariamente e globalmente la posizione processuale di tutti gli attori in prime cure e la soccombenza dei convenuti anziché separatamente ed in maniera distinta ed autonoma atteso che ognuno di essi quale unico proprietario titolare del singolo terreno era portatore di una propria pretesa.

Stante pertanto la totale soccombenza di Au. e Ca.Vi. la Corte territoriale, in accoglimento del primo motivo del gravame di merito, avrebbe dovuto condannarli entrambi al pagamento delle spese processuali.

Quel giudice aveva invece posto tali spese a carico dei convenuti nonostante che costoro risultassero parti vittoriose nel giudizio nei confronti dei nominati Vi.Au. e Ca.

Il motivo è infondato.

Ha osservato la Corte romana che, nella fattispecie in esame, gli attori Vi. hanno agito unitariamente, anche perché in origine il terreno era indiviso. Pur essendo stata accolta la domanda con riferimento alla sola Vi.An., tenuto conto del fatto che i convenuti, attuali ricorrenti, si erano opposti "in toto" alla domanda ed anzi avevano essi stessi proposto domanda riconvenzionale poi abbandonata nelle conclusioni finali, si era determinata una situazione che non rendeva illegittima la disciplina unitaria delle spese di lite, con compensazione delle stesse in ragione della metà, avendo il giudice tenuto conto sia delle ragioni addotte da parte attrice che della soccombenza dei convenuti, nonché del loro comportamento processuale.

Il ragionamento del giudice d'appello resiste alle critiche avanzate dai Ca.-Gr. posto che, come correttamente statuito dalla Corte romana, se l'art. 91 c.p.c. nel collegare l'onere delle spese alla soccombenza, impedisce che le stesse siano poste a carico della parte totalmente vittoriosa, al di fuori di questa ipotesi il regolamento delle medesime è rimesso al potere discrezionale del giudice del merito, al cui prudente ed insindacabile criterio sono riservati anche l'accertamento e la valutazione dei giusti motivi in considerazione dei quali esse possono essere totalmente o parzialmente compensate ai sensi dell'art. 92 cpc, giusti motivi che possono riguardare tanto il merito della controversia, quanto aspetti processuali o di condotta processuale.

Con il secondo mezzo si deduce, sempre in riferimento all'art. 360 n.ri 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 1074 c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Osservano i ricorrenti che, contrariamente all'assunto dei giudici del gravame di merito, del tutto legittimo doveva ritenersi l'esercizio del passaggio sul fondo servente di Vi.An. avendo il diritto di servitù piena tutela nel periodo della quiescenza, con correlativa illegittimità del compimento da parte del proprietario o possessore del fondo servente di atti contrari alla servitù stessa e impeditivi del suo uso.

La doglianza non può essere accolta.

Ha affermato la Corte territoriale, nel disattendere l'analoga censura proposta con il gravame di merito, che una volta acclarato che la servitù di passaggio era strumentale all'attingimento dell'acqua e che la fonte si era inaridita, il giudice di primo grado ne aveva tratto le giuste conseguenze, applicando gli artt. 1073 e 1074 c.c.

Ai sensi dell'art. 1074 quando venga a cessare l'"utilitas" della servitù o la concreta possibilità di usarne, il vincolo rimane allo stato di quiescenza, ma non si estingue se non per effetto della prescrizione nel termine di cui all'art. 1073.

Pertanto fino al momento in cui è possibile il ripristino del suo esercizio la servitù esiste, anche se non è possibile il suo esercizio, sicché, nel caso di specie era illegittimo, ad avviso della Corte romana, il comportamento dei Ca.Gr. che continuavano ad esercitare il passaggio, anche se era venuta meno l"utilitas" per cui era stato concesso.

Ad avviso del Collegio il ragionamento dei giudici del merito non contrasta con la "ratio" delle norme che si assumono violate.

Venuta meno l'"utilitas", il titolare del fondo dominante non ha interesse e diritto all'esercizio della servitù:proprio per questo motivo si dice che la stessa rimane "quiescente". Se, come correttamente sostiene parte resistente, egli conservasse il diritto all'esercizio nel periodo in cui è venuta meno l"utilitas", verrebbe a costituirsi una nuova e diversa servitù di passaggio per scopi ulteriori che concretizzerebbero un diritto diverso da quello originario. Con la conseguenza che se l'esercizio non finalizzato a quella specifica "utilitas" venisse protratto per oltre un ventennio, il titolare del fondo dominante acquisterebbe per usucapione una nuova e diversa servitù.

Peraltro la indubbia tutela cui deve essere sottoposta la servitù in discorso fino al momento in cui è possibile il ripristino del suo esercizio(v. Cass. n. 10018/97) è all'evidenza quella tendente ad impedire un mutamento dello stato dei luoghi impeditivi del ripristino in discorso, tal che del tutto giustificabile sarebbe stata, in ipotesi, nella fattispecie che ne occupa, una reazione giudiziale degli attuali ricorrenti ad una eventuale eliminazione da parte della Vi. del pozzo costituente la fonte d'acqua, ancorché attualmente inaridita, o del viale che ad essa conduce.

Alla stregua delle svolte argomentazioni il proposto ricorso va respinto con la condanna dei ricorrenti, in solido, alle spese di questo giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore di Vi.Au., Ca. e An., delle spese di questo giudizio che liquida in euro 1500,00 ivi compresi euro 1400,00 per onorari, con gli accessori di legge.

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