Imputazione del reddito da parte degli eredi di socio di S.n.c.

L'art. 5, co. 1 TUIR afferma che ""i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili". Il principio sancito dal citato articolo non sempre è stato sufficiente a regolamentare le varie fattispecie che prendono sostanza per effetto di eventi molto diffusi quali varie tipologie di cessione di quote sociali, recesso del socio, successioni o donazioni.

In particolare in caso di successione di partecipazione occorre riferirsi all’art. 68 co. 6 TUIR e al D.lgs n. 346/1990 al fine di determinare il costo fiscalmente riconosciuto della quota sociale.

L’assoluta generalità della norma è stata ovviata, come spesso accade, da copiosa giurisprudenza e prassi che hanno chiarito in modo oramai abbastanza definitivo come il contribuente deve comportarsi nelle varie vicissitudini pocanzi citate.

Quote trasferite per successione

La C.M. n. 12/E del 19 febbraio 2008 ha fornito alcune delucidazioni in merito alla determinazione della plusvalenza da cessione di partecipazioni ricevute per effetto di successione e la relativa tassazione delle medesime.

Secondo quanto disposto dall’art. 68, co. 6, TUIR il costo fiscalmente riconosciuto in capo all’erede della partecipazione è quello definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione e nel caso di titoli esenti da tale imposta il valore normale alla data di apertura della successione.

Tuttavia per effetto dell’art. 3, co. 4-ter, D.lgs. n. 346/1990 l’imposta non si applica ai trasferimenti di quote sociali o aziende a condizione che:

·        il destinatario del trasferimento sia un discendente o il coniuge del de-cuius;

·        i beneficiari proseguano l’esercizio dell’impresa per un periodo non inferiore a 5 anni;

·        al momento della presentazione della dichiarazione di successione dichiarino la sussistenza delle condizioni sopraccitate.

Nel caso di società di persone l’acquisizione del controllo della società ex art. 2359, co. 1 C.C. non assume alcuna rilevanza. Anzi a tal proposito l’Agenzia delle entrate è intervenuta con C.M. n. 3/E del 22 gennaio 2008 affermando che  nelle società di persone l’esenzione spetta indipendentemente dall’entità della quota sociale trasferita.

Ne consegue dunque che, nel caso di trasferimenti di quote di società di persone, secondo quanto disposto dall’art. 68, co. 6, TUIR, l’esenzione dall’imposta sulle successioni, fa sì che il costo fiscalmente riconosciuto della quota sia dato dal valore normale della stessa.

La C.M. n. 12/2008 chiarisce infine che non esiste per l’erede la possibilità, nel caso di applicazione dell’imposta sulle successioni, di optare fra valore definito ai fini dell’imposta successoria e costo sostenuto dal de-cuius.

Si rammenta a titolo di completezza che la base imponibile ai fini dell’imposta di successione per i trasferimenti di partecipazioni è data, ai sensi dell’art. 16, co.1 , lett. b), D.lgs n. 346/1990, dalla quota di patrimonio netto della società secondo ultimo bilancio.

Il subentro degli eredi del socio di societa’ di persone

La R.M. n. 157/E del 17 aprile 2008 interviene a chiarire un caso di successione di quote sociali di una società di persone in capo a cinque eredi di cui due minorenni.

Come disposto dall’art. 2284 C.C.  quando muore uno dei soci “gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano”.

L’accettazione dell’eredità del de cuius comporta, quindi, solo il diritto alla liquidazione della proporzionale quota del capitale sociale spettante e non da diritto a subentrare nella società al posto del defunto, in quanto il rapporto sociale non si trasmette mortis causa (Cass. sez. I, 14 marzo 2001, n. 3671). Sono quindi i soci superstiti a dover decidere se ammettere nella compagine sociale gli eredi o se liquidare a questi la quota di spettanza non avendo alcun diritto gli eredi stessi di richiedere l’automatica acquisizione della qualità di soci (vale all’interno delle società di persone il principio dell’intuitu personae). 

La Cassazione con sentenza n. 6849 del 16 dicembre 1986 ha infatti affermato “… l’erede del socio defunto diventa socio non iure successionis, ma ad opera di un accordo che è atto inter vivos: accordo che – come noto- non richiede forma scritta e può risultare anche da fatti concludenti”.

Al contrario nelle società di capitali, la partecipazione sociale può essere in via generale liberamente trasferita con atti inter vivos o mortis causa, in ragione sostanzialmente della netta separazione tra titolarità della società e trasmissione dei diritti legati alla qualità di socio rappresentati dalle azioni o quote.

Nel caso in questione esistono eredi ancora minorenni e come previsto dall’art. 2294 C.C. un soggetto incapace per poter subentrare in un rapporto societario che comporta l’assunzione una responsabilità illimitata, come accade in una società di persone, deve ottenere l’autorizzazione da parte del Tribunale alla continuazione del rapporto societario.

Dunque se da una parte vale la regola sopra esposta secondo la quale dichiarano il reddito i soci che sono tali al termine del periodo d’imposta dall’altra occorre appunto tenere in considerazione che nel caso in esame gli eredi minorenni che non abbiano ancora ricevuto l’autorizzazione del tribunale competente non possono essere considerati soci. Dunque l’erede che non può acquisire la qualifica di socio, come nel caso esaminato, o non viene accettato dai soci superstiti, non è tenuto a dichiarare alcun reddito derivante dalla società.

Ne consegue che il reddito può essere dichiarato solo dai soci superstiti a dagli eredi maggiorenni senza tenere in considerazione gli altri due eredi minorenni.

La risoluzione chiude affermando che qualora il Tribunale autorizzasse il subentro dei minorenni nella compagine societaria con effetto retroattivo nessuna conseguenza si avrebbe dal punto di vista fiscale ma si produrrebbe una semplice effetto di natura civilistica.

Tanto che l’eventuale distribuzione in periodi di imposta successivi di utili accantonati in apposita riserva, conseguente all’intervenuta autorizzazione del Tribunale, non produrrà effetti di natura fiscale, essendo stato il reddito già imputato, ai sensi dell’art. 5 del TUIR, ai soci che risultano tali al termine del periodo d’imposta.

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