Successione azienda condotta in affitto

Quando un imprenditore individuale che ha concesso in affitto la sua unica azienda decede in pendenza di contratto occorre stabilire come procedere secondo corretti comportamenti civilistici e fiscali.

Quando un imprenditore individuale che ha concesso in affitto la sua unica azienda decede in pendenza di contratto si possono verificare due casi:

·        esiste un unico erede;

·        esiste una pluralità di eredi

Nel primo caso la problematica appare più semplice nel senso che non occorre gestire rapporti fra più soggetti partecipanti alla comunione, mentre nel secondo caso la situazione può manifestarsi più complessa poiché qualora uno solo degli eredi desideri continuare l’attività occorre gestire la liquidazione della sua quota di comunione di azienda dell’altro erede.

In entrambi i casi sia che l’erede sia unico sia che esista un pluralità di eredi (comunione ereditaria incidentale) la qualifica di imprenditore non viene acquisita.

Ne consegue che la tipologia di reddito prodotta continua ad essere la medesima di quella prodotta in capo al de-cuius e cioè reddito diverso.

Senza dubbio nel caso di comunione ereditaria il reddito va dichiarato pro-quota dai membri della comunione sulla base delle quote di legittima spettanti (considerata l’eventuale presenza di testamentaria).

Si sottolinea che non acquisendo per effetto della successione la qualifica di imprenditore l’erede o gli eredi continueranno ad incassare canoni fuori dal campo di applicazione IVA per mancanza del presupposto oggettivo di applicazione del tributo.

Senonchè al momento della riconsegna dell’azienda l’erede o la comunione ereditaria si ritrova nella posizione di poter valutare se:

·        divenire imprenditore o società di fatto che andrà eventualmente regolarizzata in una forma prevista dal codice civile;

·        porre in essere la cessione/liquidazione dell’azienda non desiderando continuare l’attività.

Qualora si decidesse di continuare l’attività d’impresa occorre richiedere nuova P. IVA, utilizzando i nuovi modelli AA/9/10 e AA7/10, al fine di acquisire la qualifica di impresa ed esercitare l’attività sotto di forma di imprenditore individuale oppure sotto forma di società di fatto a seconda dei casi.

Se invece gli eredi non decidono di subentrare nell’attività al termine dell’affitto possono decidere di cedere l’azienda o liquidare i beni presenti.

Infine la situazione “intermedia” è quella sopra accennata in cui solo uno degli eredi decide di continuare l’azienda acquisendo dunque la qualifica di imprenditore.

In tale fattispecie si ritiene che gli altri eredi possano (con atto notarile) cedere a titolo oneroso la quota di azienda pervenuta in eredità affinché solo uno di loro possa continuare ad esercitare l’azienda sotto forma di impresa individuale.

Si tiene a specificare che la cessione di quota di azienda non si può verificare nel caso in cui gli eredi abbiano deciso di continuare l’attività richiedendo l’attribuzione di una nuova partita Iva in capo alla società di fatto.

Tale circostanza fa sì che al momento della manifestazione della volontà di “uscire” di un erede occorre porre in essere una cessione di partecipazione della società di fatto e non una cessione di quota di azienda.

Ne consegue poi che nel caso di uscita di uno dei due eredi debba essere ricostituita la pluralità dei soci entro 6 mesi pena l’obbligo di scioglimento della società di fatto con attribuzione di tutte le attività e passività in capo all’erede restante che provvede ad aprire nuova partita iva come imprenditore individuale.

Si precisa che ai sensi dell’art. 58  co. 1 TUIR tali operazioni sono fiscalmente neutre se vengono mantenuti i valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa con la precisazione che in caso di scioglimento della società fra eredi la neutralità viene garantita a condizione che la chiusura della società, con acquisizione della stessa in capo ad un unico erede, si verifichi entro cinque anni dalla apertura della successione.

Cessione/autoconsumo di cespiti al termine del contratto

Nel caso in cui gli eredi dell’affittante al termine del contratto di affitto di azienda decidano di cedere alcuni beni occorre effettuare le dovute distinzioni:

·         nel caso di affittante imprenditore individuale che ha affittato l’unica azienda al quale a seguito di decesso è succeduta comunione ereditaria la quale non esercita attività d’impresa, la cessione dei beni origina una plusvalenza determinata ai sensi dell’art. 86 TUIR che tuttavia concorre a formare reddito diverso ex art. 67 in capo ai membri della comunione pro quota;

·         nel caso in cui invece gli eredi abbiano acquisito la qualifica di imprenditori aprendo P. IVA ad una società di fatto la cessione origina plusvalenza ma sotto forma di reddito di impresa.

La concorrenza alla formazione di reddito diverso esclude l’applicazione dei contributi previdenziali a contraris il reddito d’impresa ne viene sottoposto.

Ai fini della determinazione del costo fiscalmente riconosciuto del cespite in vendita si rammenta che occorre tenere conto degli ammortamenti dedotti in capo all’affittuario nel corso della durata del contratto.

CESSIONE/AUTOCONSUMO BENI AZIENDA

Comunione ereditaria

Reddito diverso tassato per cassa e pro-quota

Società di fatto

Reddito d’impresa tassato per competenza e con eventuale possibile rateazione della plusvalenza

Dal punto di vista dell’imposta sul valore aggiunto nessun dubbio nel caso in cui all’affittante subentri una società di fatto che, magari dopo aver continuato per un breve periodo la gestione, decida di “liberarsi” di tutti i cespiti aziendali cedendoli o autoconsumandoli (nell’impossibilità di cedere l’azienda).

In questo caso la cessione o l’autoconsumo dei beni è senz’altro sottoposta ad IVA.

Ma è lecito domandarsi come dovrebbe comportarsi la comunione ereditaria che a seguito del decesso dell’imprenditore individuale che aveva affittato l’unica azienda si ritrova dopo qualche tempo, al termine del contratto di affitto, a dover autoconsumare i cespiti aziendali iscritti nel registro cespiti dell’affittante deceduto.

Si tiene a specificare che la comunione non acquisisce alcuna posizione IVA autonoma poiché non continua l’attività (al contrario di ciò che avviene nel caso di società di fatto).

In prima battuta si potrebbe ritenere che, visto che la comunione non riacquisisce lo status di impresa temporaneamente sospeso in capo all’imprenditore che aveva affittato l’unica azienda, la soluzione al quesito è quella di cedere i beni o autoconsumarli come privato e dunque senza assolvere alcun  obbligo IVA per assenza del presupposto soggettivo di applicazione del tributo.

Purtuttavia è vero che sui cespiti acquisiti è stata detratta IVA e dunque pare lecito il dubbio che possano sorgere contestazioni da parte dell’Agenzia delle entrate la quale potrebbe ritenere di dare rilievo IVA all’operazione in questione. 

Il problema non ha particolare rilevanza pratica nel caso in cui i valori in gioco siano di modesta entità per cui il problema della rilevanza IVA dell’ autoconsumo può essere superato  con un comportamento prudente di assolvimento dell’imposta al fine di evitare qualsiasi contestazione.

Ma nel caso di valori rilevanti, si pensi ad autovetture e magari anche all’immobile, occorrerebbe essere certi della rilevanza IVA dell’operazione in questione.

L’Agenzia delle entrate è intervenuta in merito alla fattispecie in questione solo nel lontano 24 ottobre 1978 con  R.M. prot. 361708.

In tale intervento di prassi si esamina il caso della cessazione dell’attività di imprenditore individuale a seguito di morte con un erede che  non desidera continuare l’attività.

L’agenzia afferma che “gli effetti giuridici del decesso non costituiscono fatto generatore dell’IVA…” poichè la fattispecie non risulta assimilabile alla destinazione a finalità estranee all’esercizio di impresa.

Sulla base di questa interpretazione pare allora di poter affermare che in caso di autoconsumo di beni provenienti dalla sfera aziendale del de-cuius non sia dovuta Iva per mancanza del presupposto di applicazione del tributo.

CESSIONE/AUTOCONSUMO BENI AZIENDA

Comunione ereditaria

Fuori campo IVA

Società di fatto

Operazione soggetta ad IVA

Componente immobiliare

Estremamente interessante è la questione dell’autoconsumo della eventuale componente immobiliare.

Dal punto di vista delle imposte sui redditi occorre domandarsi se la comunione ereditaria è tenuta a dichiarare la plusvalenza data dalla differenza fra il valore di mercato ed il costo fiscalmente riconosciuto dell’immobile.

Tuttavia l’art. 67 TUIR al co. 1 lett. b) dispone che costituiscono redditi diversi le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di 5 anni esclusi quelli acquisiti per successione.
Va da sé che nel caso dell’immobile se si ritiene applicabile quanto sopra detto la comunione ereditaria non sconta imposte dirette in caso di vendita o autoconsumo senza neppure dover verificare il possesso quinquennale.

Bisogna rammentare che occorrerà tenere in considerazione l’applicazione proporzionale delle imposte di registro, ipotecarie e catastali.

Per quanto concerne l’Iva la problematica relativa all’immobile  resta nei termini di quanto sopra detto ma a parere di chi scrive la seppur datata interpretazione ministeriale risulta condivisibile.

Occorre in conclusione ricordare che qualora l’immobile sia stato inserito nel registro cespiti successivamente  all’acquisto effettuato dall’imprenditore ma in qualità di “privato” (situazione non rara) e dunque senza alcuna detrazione dell’IVA la sopra esposta problematica di autoconsumo viene a cadere completamente.

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