Avviamento escluso dalla base imponibile di donazioni e successioni

In tema di imposta sulle donazioni e successioni, in base all'art. 16, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 346 del 1990 l'avviamento della società non va calcolato ai fini della determinazione della base imponibile relativamente ad azioni o quote di società non quotate in borsa nè negoziate al mercato ristretto, comprese nell'attivo ereditario, quando il patrimonio netto della stessa risulti dalla redazione dell'ultimo bilancio approvato o dall'ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato. Pertanto l'imposta non risulta applicabile sui plusvalori latenti della società.

Sentenza Cassazione n. 4535 del 25 febbraio 2009



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Z.A.M., M.E., M.M. e M. M.C. proposero ricorso dinanzi alla Commissione provinciale di Modena avverso gli avvisi di rettifica e di liquidazione dell'imposta di successione relativa all'eredità di M.F., che avevano elevato il valore delle azioni sociali da esse ricevute aggiungendo, ai fini della base imponibile, il valore costituito dall'avviamento dell'impresa, ed altresì maggiorato, in ragione dell'aumento della rendita catastale rispetto a quella proposta secondo la procedura prevista dal D.M. n. 701 del 1994, il valore dell'immobile sito nel comune di (OMISSIS).

Sostennero le contribuenti l'illegittimità dell'atto impugnato, osservando che, ai sensi del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 16, lett. b), l'avviamento non andava computato in presenza di un bilancio della società regolarmente approvato e che la rendita catastale da loro proposta non poteva essere modificata essendo divenuta definitiva per non avere l'Amministrazione notificato la variazione nel termine di dodici mesi dalla data di presentazione della domanda relativa. Il Giudice di primo grado accolse il ricorso con riferimento alla valutazione della società e solo in parte in relazione all'immobile, di cui si limitò a ridurre il valore della rendita.

Interposto gravame da entrambe le parti, la Commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna, con sentenza n. 34 del 30.6.2004, riformò la decisione di primo grado con riguardo al capo relativo al valore della rendita dell'immobile caduto in successione, rilevando che esso avrebbe dovuto essere determinato sulla base della rendita proposta dai contribuenti, atteso che la stessa era divenuta definitiva a seguito di silenzio assenso dell'Amministrazione, che non aveva mai notificato la variazione catastale agli aventi diritto, avendo proceduto a comunicarla, senza esito, al de cuius dopo la sua morte, e non già a M.C., che invece aveva sottoscritto la dichiarazione di attribuzione della rendita e si era, in tal modo, sia pure implicitamente, affermata titolare del bene.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 30.9.2005 ricorrono, sulla base di due motivi, il Ministero delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate. Resistono con controricorso Z.A.M., M.E., M.M. e M. M.C..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va esaminata l'eccezione sollevata dalle parti intimate di nullità del ricorso per vizi inerenti alla sua notifica, formulata sulla base delle circostanze che essa è avvenuta presso lo studio del procuratore non domiciliatario, che la notifica personale è stata fatta ai sensi dell'art. 140 c.p.c., in assenza delle condizioni e senza compimento delle formalità richieste dalla legge e che nella notifica indirizzata a M.M. la parte risulta erroneamente indicata come M.C..

L'eccezione è respinta, in quanto, premesso che la parte M. M. risulta esattamente indicata nella notifica del ricorso eseguita presso il procuratore, tutti i vizi denunziati attengono a cause di nullità e non di inesistenza della notifica, con la conseguenza che le eventuali nullità debbono comunque ritenersi sanate, ai sensi dell'art. 160 c.p.c., e art. 156 c.p.c., comma 2, per effetto della costituzione di tutte le parti intimate, avendo l'atto, pur se viziato, raggiunto il suo scopo (Cass. S.U. n. 28657 del 2008).

2. Il primo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione del D.M. 19 aprile 1994, n. 701, art. 1, ed insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto inefficace la notifica al de cuius M.F. della variazione della rendita catastale dell'immobile attribuita dall'Ufficio in quanto avvenuta dopo la sua morte e che essa avrebbe dovuto essere effettuata nei confronti di M.C., quale erede e firmataria della dichiarazione. Tale valutazione, assume il ricorso, è viziata per non avere il Giudice di secondo grado considerato con la dovuta attenzione che M.C. aveva sottoscritto la relativa domanda senza precisare la propria qualità ed indicando come dichiarante lo stesso M.F., sicchè l'Ufficio, che ignorava il suo decesso, non poteva che notificare l'atto di variazione a quest'ultimo, aggiungendosi altresì che il Giudice a quo non ha tenuto conto che, attesa la particolare procedura disciplinata dal D.M. n. 701 del 1994, e le conseguenze che derivano dal l'applicazione ad essa della figura del silenzio assenso in caso di inerzia dell'Amministrazione, il dichiarante ha il precipuo onere di fornire tutti i dati identificativi dell'avente diritto, con l'effetto che le conseguenze derivanti da eventuali imprecisioni o omissioni sul punto non possono farsi ricadere sull'Amministrazione.

Il motivo è infondato.

Premesso che la censura svolta non investe la decisione di merito in ordine alla conseguenze giuridiche che derivano, nella procedura prevista dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701, (c.d. procedura DOCFA), a seguito del silenzio dell'Amministrazione sulla proposta di rendita formulata dal contribuente, la soluzione fatta propria dalla decisione impugnata, che ha ravvisato sussistente l'inerzia dell'Ufficio ritenendo inesistente o comunque invalida la notifica della variazione catastale a M.F., appare corretta e conforme alla legge, atteso, da un lato, che l'art. 1, comma 10, del citato regolamento stabilisce che la variazione sia notificata dall'Ufficio al contribuente, identificato dal precedente comma 2, nel soggetto che ha la titolarità di diritti reali sui beni immobili ed essendo, dall'altro lato, del tutto pacifico che, nel caso di specie, tale notificazione non ha avuto luogo, per essere stata diretta nei confronti del de cuius, vale a dire di soggetto che era, all'epoca, deceduto.

L'argomentazione svolta dall'Amministrazione secondo cui questa omessa notifica della variazione sarebbe irrilevante in quanto dovuta ad un errore cagionato dalla stessa contribuente M.C., che nella dichiarazione aveva indicato come dichiarante il proprio genitore deceduto, appare per contro non solo infondata giuridicamente, ma altresì smentita, nella sua premessa, dalla sentenza impugnata, la quale, svolgendo una considerazione fondata su un accertamento di fatto che non è nemmeno investita dal motivo, ha ritenuto che l'Amministrazione, provvedendo sulla domanda sottoscritta dall'erede, aveva implicitamente riconosciuto ad essa la qualità di contribuente, con l'effetto che il successivo atto di variazione doveva essere notificato a quest'ultima e non al de cuius.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 16, comma 2, lett. b), lamentando che il Giudice di appello non abbia seguito il principio, affermato dalla Corte di legittimità, secondo cui ai fini della determinazione del valore della azioni di società non quotate in borsa deve tenersi conto del valore dell'azienda presente nell'attivo ereditario, incluso l'avviamento.

Il motivo è infondato.

Ritiene il Collegio che, pur potendo la tesi dell'Amministrazione finanziaria contare su alcune pronunce favorevoli (Cass. n. 2955 del 2006; Cass. n. 18075 del 2002), debba essere ribadito l'orientamento prevalente di questa Corte, secondo cui, in tema di imposta sulle successioni e donazioni, nel sistema precedente alla novella introdotta dalla L. n. 342 del 2000, art. 69, comma 1, l'avviamento della società non va calcolato ai fini della determinazione della base imponibile relativamente ad azioni e quote di società non quotate in borsa nè negoziate nel mercato ristretto, nei casi in cui il patrimonio netto della società risulti dal bilancio regolarmente approvato (Cass. n. 12422 del 2007; Cass. n. 7104 del 2003; Cass. n. 14173 del 2003). Tale ultimo indirizzo va condiviso, dal momento che esso si fonda su una convincente e non confutabile interpretazione letterale della disposizione di legge applicabile nella fattispecie.

In particolare, il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 16, comma 2, lett. b), nella versione originaria ed in vigore all'epoca della donazione di cui si tratta (1995) e fino al 9.12.2000 - stabilisce che la base imponibile va determinata assumendo " per le azioni e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, non quotati in borsa, nè negoziati al mercato ristretto, nonchè per le quote di società non azionarie, comprese le società semplici e le società di fatto, il valore proporzionalmente corrispondente al valore, alla data di apertura della successione, del patrimonio netto dell'ente o della società risultante dall'ultimo bilancio approvato o dall'ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti, ovvero, in mancanza di bilancio o inventario, al valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti all'ente o alla società al netto delle passività risultanti a norma degli artt. 22 e 23, escludendo i beni indicati dall'art. 12, lett. h) e i), e aggiungendo l'avviamento".

Dalla lettura di tale disposizione emerge che la determinazione della base imponibile relativamente alle azioni di società non quotate e non negoziate nel mercato ristretto o alle quote di società non azionarie deve prendere in considerazione il valore complessivo dei beni, compreso l'avviamento, soltanto nei casi in cui ed a condizione che il relativo valore non sia determinabile, alla data dell'apertura della successione, sulla base del patrimonio netto della società risultante dall'ultimo bilancio approvato o dall'ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato.

Sul punto la sentenza n. 7104 del 2003 di questa Corte correttamente osserva che tale norma non può essere ricostruita scorporando l'ultimo inciso (esattamente la locuzione "escludendo i beni indicati dall'art. 12, lett. h) ed i), e aggiungendo l'avviamento dalla seconda parte della previsione normativa, ed attribuendolo così ad entrambe le ipotesi previste, sia alla prima di regolare redazione del bilancio e dell'inventario, sia alla seconda di mancanza del bilancio e/o dell'inventario perchè se avesse voluto scorporare quella locuzione attribuendo, per questo aspetto, ai soci di tutte le società non quotate un identico regime con l'inserimento in essa dell'avviamento il legislatore non si sarebbe limitato ad un inciso separato da una virgola, ma avrebbe utilizzato una formulazione indicativa di una espressa volontà estensiva, come in ogni caso, o equivalente.

Ne deriva che il valore delle azioni di società non quotale in borsa, nè trattate al mercato ristretto (e degli altri titoli indicati dalla medesima disposizione), deve essere determinato in base alle risultanze di bilancio, con l'effetto che, quando sussiste un bilancio approvato, il valore del patrimonio netto risultante da quest'ultimo è vincolante per l'Amministrazione finanziaria, che non può procedere ad una autonoma valutazione del valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti alla società al netto delle passività - salvo che non denunci (motivatamente) la inattendibilità delle poste di bilancio - potendo l'Amministrazione, in questi casi, soltanto procedere, assumendosene il relativo onere probatorio, ad una eventuale attualizzazione delle poste, attive e passive, espresse nel medesimo bilancio, qualora queste ultime fossero inadeguate a rappresentare fedelmente il patrimonio netto (attuale) della società, a causa dei possibili mutamenti intervenuti nel lasso di tempo trascorso tra l'approvazione del bilancio e la morte del socio (si vedano, anche: Cass. n. 6915 del 2003; Cass. n. 11998 del 2003; Cass. n. 23462 del 2007).

Merita inoltre di essere condivisa anche l'ulteriore osservazione secondo cui, la preferenza accordata dalla disposizione di legge in esame ai dati risultanti dal bilancio, appare, sul piano sistematico, coerente con l'indirizzo legislativo teso ad uniformare, almeno tendenzialmente, i dati fiscalmente rilevanti con quelli contabili della società ed a trarre i primi dai secondi, salvo il potere dell'Ufficio finanziario di contestarli, provando la non corrispondenza alla realtà del dato contabile (Cass. n. 12422 del 2007).

Il ricorso va pertanto respinto.

La soccombenza delle resistenti sulle questioni preliminari e la natura controversa della questione affrontata con il secondo motivo di ricorso integrano giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e compensa le spese di giudizio.

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