Difetti dell'opera e responsabilità dell'appaltatore

In materia di appalto, i gravi difetti della costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669, c.c., non vanno individuati soltanto nei fenomeni che influiscono sulla stabilità dell'edificio, giacché diversamente finirebbero per identificarsi con l'ipotesi, espressamente prevista nella norma citata, del pericolo di rovina, ma possono consistere in tutte quelle alterazioni che, pur riguardano una parte dell'opera, incidono direttamente sulla struttura e funzionalità globale dell'immobile, menomandone apprezzabilmente il godimento. (Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 28 dicembre 2007, n. 27193).



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Svolgimento del processo

Con atto notificato il 3 giugno 1991, Giovanna Falasco, premesso di avere commesso alla Edicocco Costruzioni S.r.l. la realizzazione di lavori di copertura in cemento armato di un fabbricato in Piedimonte San Germano sotto la direzione del progettista arch. Giuseppe Carcione e che dopo l'esecuzione dell'opera si erano manifestate delle lesioni nei sottostanti vano scala ed ambiente cucina per violazione delle previsioni progettuali e delle regole della tecnica e della normativa antisismica, convenne la società ed il Carcione davanti al Tribunale di Cassino e ne domandò la condanna solidale al risarcimento dei danni.
Resisterono il Carcione e la Edilcocco Costruzioni ed il Tribunale, all'esito di c.t.u., con sentenza del 3 marzo 2000 condannò in solido i convenuti al risarcimento del danno cagionato all'attrice nella misura di L. 72.000.000, oltre L. 180.000 mensili per il mancato utilizzo della struttura, rivalutazione, interessi e spese.
La decisione, gravata dal Carcione e, in via incidentale dalla società Edilcocco, venne riformata il 17 settembre 2002 dalla Corte di Appello di Roma, che in accoglimento delle impugnazioni, rideterminò la misura dei danni in € 17.106,94, oltre interessi al saggio del 5% annuo sulla somma di € 14.637,12 a decorrere dall'1 agosto 1990 al saldo, compensando tra le, parti le spese del doppio grado di giudizio. Il Carcione è ricorso con tre motivi per la cassazione della sentenza e gli intimati Falasca ed Edilcocco non hanno resistito in giudizio.

Motivi della decisione

Il ricorso denuncia la nullità della sentenza, con il primo motivo, per vizio di motivazione, avendo la decisione "dato esclusivo rilievo all'elaborato del tecnico dell'attrice senza indicare le ragioni per le quali ne aveva privilegiato le conclusioni rispetto a quelle divergenti del consulente della società convenuta ed omettendo di considerare che la quantificazione del prezzo d'opera alla quale aveva aderito non era conforme dalle disposizioni di cui all'art. 1657, c.c., che impone di calcolare il corrispettivo dell'appalto con riferimento alle tariffe esistenti e non ai prezzi di mercato.
Con il secondo motivo, per falsa applicazione dell'art. 1669, c.c., giacché, non sussistendo alcuna prova dello scorrimento della falda di copertura del fabbricato, esclusa anche dal c.t.u., avrebbe dovuto rigettare la domanda formulata dall'attrice ex art. 1669, c.c., difettandone le condizioni della rovina o pericolo di rovina, totale o parziale, dell'edificio ovvero dell'esistenza di gravi difetti di costruzione, e, qualificata l'azione come di garanzia per vizi e difformità dell'opera ex art. 1667, c.c., avrebbe dovuto ritenere la domanda inammissibile per i motivi esposti nel giudizio di merito, tenuto conto anche che l'appaltatore si era dichiarato disposto all'eliminazione degli stessi a proprie spese.
Con il terzo motivo, per falsa applicazione degli artt. 1176 e 2336, c.c., in quanto nessun addebito poteva essere fatto al direttore dei lavori in relazione alle opere richieste in variazione, inerendo le stesse esclusivamente a modeste differenze costruttive di travi, e quanto alla trave occultata, essendo stata la sua realizzazione conforme al progetto.
Il primo motivo è infondato.
Il giudice di secondo grado ha parzialmente accolto le censure rivolte dal progettista-direttore dei lavori all'entità del danno, determinata dal tribunale sulla base della relazione del c.t.u., osservando che, avendo il Genio Civile ritenuto la validità delle opere di rimozione delle cause delle lesioni indicate negli elaborati esecutivi del tecnico dell'attrice ed autorizzato la loro esecuzione, il danno poteva essere adeguatamente liquidato con riferimento ai lavori ed ai costi da quest'ultimo preventivati, anziché a quelli ipotizzati dall'ausiliare in primo grado.
Ha, dunque, dato adeguato e logico conto delle ragioni per le quali ha condiviso l'operato del tecnico dell'attrice, più favorevole ai convenuti rispetto a quello del c.t.u., e la deduzione che nella individuazione dei costi la pronuncia aveva fatto riferimento ai prezzi di mercato e non al tariffario della Regione Lazio per l'anno 1997, oltre ad essere priva di specificità, costituendo una mera enunciazione del ricorso che il progetto non fosse stato redatto in conformità a tariffe esistenti e che dalla eventuale loro applicazione sarebbe risultato un costo minore, non attinge la legittimità della pronuncia, in quanto le tariffe del Genio Civile, alle quali fa sussidiario richiamo l'art. 1657, c.c., per la determinazione della misura del corrispettivo dell'appalto, non sono vincolanti ed inderogabili, ma hanno un valore meramente indicativo (cfr.: Cass. civ., sez. II, sent. 30 agosto 2004, n. 17386).
Neppure il secondo motivo può essere accolto.
Lo stesso è inammissibile laddove invoca a sostegno "tutti i motivi paventati dall'appellante, che qui debbono intendersi riportati e trascritti", atteso che la mancata trascrizione di essi nel ricorso elude il principio di autosufficienza dell'impugnazione, e nella parte in cui richiama la disponibilità dell'appaltatore all'eliminazione dei vizi a proprie spese "come risulta dagli atti", giacché introduce in sede di legittimità una questione che non risulta trattata nel giudizio di merito e della quale il ricorrente non ha neppure enunciato la rituale e tempestiva proposizione.
È infondato, invece, nella parte in cui censura sotto il profilo della violazione di legge la sussistenza delle condizioni dell'azione esercitata in giudizio.
I gravi difetti della costruzione, che anche danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669, c.c., non vanno individuati, infatti, soltanto nei fenomeni che influiscono sulla stabilità dell'edificio, giacché diversamente finirebbero per identificarsi con l'ipotesi, espressamente prevista nella norma citata, del pericolo di rovina, ma possono consistere in tutte quelle alterazioni che, pur riguardando una parte dell'opera, incidono direttamente sulla struttura e funzionalità globale dell'immobile, menomando apprezzabilmente il godimento dell'opera (cfr.: Cass. civ., sez. II, sent. 19 febbraio 2007, n. 3752; Cass. civ., Sez. II, sent. 1 marzo 2003, n. 3002; Cass. civ., Sez. II, sent. 30 gennaio 1995, n. 1081).
Nella specie, la decisione impugnata, dopo avere premesso che l'attrice aveva proposto una domanda di risarcimento dei danni a norma dell'art. 1669, c.c., adducendo gravi difetti incidenti sulla conservazione e stabilità dell'opera riscontrati da un proprio tecnico, il quale aveva rilevato lo scorrimento della falda di copertura e riferito delle dimensioni inadeguate delle travi e del mancato ancoraggio del pilastro 15, ha condiviso il giudizio espresso dal tribunale in base alla relazione del c.t.u. sull'esistenza dei gravi difetti denunciati e sulla loro incidenza sulla normale utilizzabilità dell'opera nell'ambito della funzione pratica ed economica cui era destinata, anche se ha escluso la necessità per la loro rimozione dell'intervento demolitorio interessante tutte le aree strutturali individuate dal c.t.u., ritenendo all'uopo sufficienti gli interventi di parziale demolizione e consolidamento del detto pilastro in corrispondenza dell'attacco delle travi in esso concorrenti, suggeriti dal tecnico dell'attrice ed assentiti dal Genio Civile.
Non è ravvisabile, quindi, una falsa applicazione dell'art. 1669, c.c., e l'omessa estensione della doglianza alla motivazione del giudizio espresso sulla gravità dei difetti e la loro incidenza sulla struttura e funzionalità dell'opera esclude l'esame delle argomentazione generi¬camente addotte per contestare l'accertamento di fatto sul quale si fonda.
Il terzo motivo è inammissibile.
La stringata esposizione del fatto contenuta nel ricorso, che, sotto il profilo della falsa applicazione di norme sulla diligenza nell'adempimento e sulla responsabilità del prestatore d'opera delle norme, nega la contestabilità di un addebito al direttore dei lavori in relazione alle differenze costruttive delle travi e ad una trave occultata, non consente alcuna disamina della censura formulata, non essendo dato comprendere come dette differenze e la trave occultata abbiano inciso nell'affermazione della responsabilità del ricorrente, che, peraltro, era stato convenuto e ritenuto responsabile non solo quale direttore dei lavori, ma anche quale progettista dell'opera risultata affetta dagli accertati gravi difetti.
All'inammissibilità o infondatezza dei motivi segue il rigetto del ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.


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