La decadenza della potestà genitoriale

Il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.

In tutti i casi nei quali i genitori non esercitano i loro doveri nei confronti dei figli, ovvero abusino dei relativi poteri, con pregiudizio per i figli medesimi, il codice civile prevede forme di intervento da parte del giudice, graduate a secondo della maggiore o minore gravità dell'inadempimento: dalla decadenza della potestà genitoriale all'assunzione dei provvedimenti atipici ex art. 333 ritenuti più opportuni «secondo le circostanze»

I provvedimenti in questione possono essere adottati nei confronti di entrambi i genitori o di uno solo di essi, cui sia imputabile la violazione del dovere. Il Tribunale potrebbe altresì adottare nei confronti dei genitori provvedimenti differenziati. 

A ta riguardo assume quindi rilievo la condotta obiettiva del genitore, in contrasto con i doveri connessi alla potestà, senza che alcun rilievo pregnante possa riconoscersi alla natura dolosa o colposa del comportamento. I provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 non hanno infatti natura propriamente sanzionatoria, per assumere essenzialmente una funzione preventiva. Essi (e segnatamente la decadenza dalla potestà) mirano non già a punire i genitori per gli inadempimenti connessi, né tanto meno ad eliminare per il passato le conseguenze pregiudizievoli per il figlio, bensì ad evitare che per l'avvenire si ripetano altri atti dannosi del genitore, ovvero si protraggano ulteriormente le conseguenze dei precedenti inadempimenti. La natura colposa ovvero dolosa dell'inadempimento può tuttavia influire solo nell'indirizzare il giudice verso la misura più drastica della decadenza, o piuttosto verso provvedimenti meno severi, secondo il maggiore o minore grado di consapevolezza dei genitori.

Carattere sanzionatorio assume invece la decadenza dalla potestà, pronunciata in sede penale, quale pena accessoria ex art. 34 c.p. ovvero per i reati di violenza sessuale ex artt. 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquiese 609 octies c.p.

 

Presupposti

Sono due i presupposti previsti dalla norma in esame per la declaratoria della decadenza dalla potestà: una condotta del genitore in contrasto con i doveri inerenti alla potestà o con abuso dei relativi poteri ed un grave pregiudizio per il figlio, quale conseguenza di quella condotta. 

Alquanto variegata la casistica giurisprudenziale, in relazione al primo presupposto. Si sono così ritenuti sussistere gli estremi per la decadenza dalla potestà in presenza di:

- comportamenti violenti e minacciosi nei confronti del coniuge e dei figli, ovvero nei confronti del solo coniuge, quando siano tali da alterare l'atmosfera familiare nel suo complesso;

- incapacità di capire i bisogni del figlio e coartazione psicologica, in spregio dell'opera di sensibilizzazione dei servizi sociali;

- rifiuto di far sottoporre il figlio ad interventi medici necessari per la salute (vaccinazioni, trasfusioni);

- affidamento del figlio, poco dopo la nascita, a persone sconosciute per farlo adottare, con conseguente elisione di ogni rapporto con queste ultime ( T. min. Roma 7.4.1977).

Si è invece escluso che possa legittimare l'intervento del giudice, in base alla norma in commento:

- l'affidamento, da parte di soggetti di etnia diversa dalla nostra, del figlio a terzi, nella convinzione di potergli garantire un benessere economico;

- la malattia mentale del genitore;

- l'esercizio della prostituzione da parte della madre, quando non comporti di per sé grave pregiudizio al figlio.

 

Potestà e adozione

Può verificarsi che la situazione del minore sia talmente grave da integrare gli estremi dell'abbandono, morale e materiale. In tal caso, il Tribunale minorile dichiarerà lo stato di adottabilità; esso assorbe tutti i provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333, che presuppongono pur sempre una situazione reversibile per il minore, ancorché più o meno grave; tanto è vero che il successivo art. 332 prevede proprio la reintegrazione del genitore nella potestà, quando sono venute meno le ragioni per le quali la decadenza era stata pronunciata.

Avuto riguardo alla gradualità dei provvedimenti che possono essere adottati, si è precisato in giurisprudenza che, quando sia accolta l'opposizione allo stato di adottabilità, ben può il giudice minorile pronunciare ex artt. 330 e 333, ove l'interesse del minore lo richieda. Così spetta al Tribunale esaminare se il fanciullo, non più in stato di abbandono, possa rientrare a casa, ovvero ricorrano gli estremi per una pronuncia ablativa o limitativa della potestà; in diversa prospettiva si è invece ritenuta inammissibile l'apertura di un procedimento ex artt. 330 e 333, posto che, in questo modo, si potrebbe porre nel nulla la precedente decisione.

La Corte di Cassazione ha affermato che il genitore è legittimato ad impugnare il provvedimento di adozione in casi particolari, ancorché decaduto dall'esercizio della potestà genitoriale, permanendo la sua qualità di parte nel relativo procedimento.

 

Effetti

La pronuncia di decadenza comporta per il genitore la sospensione dalla titolarità e dall'esercizio della potestà; di contro, il genitore continua ad essere gravato di tutti i compiti (primo fra tutti quello di mantenimento) il cui assolvimento non sia incompatibile con gli effetti della pronuncia. In tal senso la giurisprudenza ha più volte affermato la responsabilità penale per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza ai figli minori, a carico di quel genitore pur dichiarato decaduto dalla potestà. La cessazione della potestà, come già anticipato, si verifica solo nei confronti del figlio o dei figli rispetto ai quali il genitore ha violato i suoi doveri, senza che necessariamente la decadenza si estenda a tutti i fratelli. Lo stesso vale per i figli nati dopo la pronuncia di decadenza, rispetto ai quali non possono essersi verificati, ovviamente i relativi presupposti. Qualora il provvedimento riguardi uno solo dei genitori, l'esercizio della potestà spetterà in modo esclusivo, all'altro genitore. Se invece la decadenza riguarda entrambi i genitori o il genitore esercente in via esclusiva la potestà, si aprirà la tutela ex art. 343.

Tanto il 2° co. dell'art. 330 quanto l'art. 333 prevedono che il Tribunale minorile possa disporre l' allontanamento del minore dalla residenza familiare. Diversa è peraltro la funzione che tale provvedimento assume nelle due disposizioni normative: nell'art. 330 l'allontanamento del minore si configura come un accessorio eventuale della misura principale della decadenza dalla potestà genitoriale. Esso è ammissibile solo se ricorrono "gravi motivi", da interpretarsi come una specificazione del "grave pregiudizio" di cui al 1° co.

L'allontanamento, quindi, potrà essere pronunciato quando non possa essere garantita, nel nucleo familiare, la convivenza stabile con altri soggetti, comunque idonei a rivestire un ruolo significativo per il minore.

Tra i "gravi motivi" legittimanti l'allontanamento possono individuarsi il pericolo del perpetuarsi di maltrattamenti o violenze ed il rischio di turbe psichiche o emotive conseguenti alla condotta anomala dei genitori.

Il provvedimento di cui all' art. 333 ha invece una sua autonomia all'interno di quelli, atipici, che il Tribunale può assumere. Esso si configura anzi come la misura più grave, risolvendosi per il genitore nella perdita, se pur temporanea, del potere "di fatto" sulla persona del figlio.

Pertanto di recente si è statuito che il genitore dichiarato decaduto dalla potestà ha comunque diritto a incontrare il figlio, con l'unico limite di salvaguardare l'interesse del minore, diversamente opinando sarebbe inutile la pronuncia di reintegra prevista dall' art. 332 poiché anche al mutare delle condizioni, il genitore coattivamente allontanato dal figlio, a seguito della pronunciata decadenza, difficilmente potrebbe riallacciare i rapporti con la prole, in quanto irrimediabilmente compromessi dalla prolungata lontananza.

Nello specifico, e in altri termini, quindi, il decreto di sospensione del potere-dovere del genitore verso il figlio e di divieto dei relativi rapporti, è adottato rebus sic stantibus e non è impugnabile in sede di legittimità. Infatti, il ricorso straordinario per Cassazione dei provvedimenti emessi in sede di reclamo, e relativi a procedimenti camerali, è ammissibile purché sussistano tutte le condizioni previste dalla legge: incidenza su posizioni di diritto soggettivo e di status, decisorietà e definitività.

Sul tema si segnala una recente pronuncia della Corte di Cassazione, che precisa come, in ottemperanza alla regola della prevalenza della sostanza sulla forma, sia ricorribile per Cassazione, ai sensi dell' art. 111 Cost. il decreto della Corte di appello, emesso su reclamo ex art. 739 c.p.c., avverso il provvedimento del Tribunale dei minorenni che, non avendo rilevato la propria incompetenza, si sia pronunciato sulla revisione della regolamentazione del regime di affidamento dei figli nell'ambito della separazione dei coniugi ( C. 7041/2013).

 

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