È configurabile il reato di minaccia nella condotta dell'insegnante che prospetti a una sua allieva una ingiusta bocciatura

È configurabile il reato di minaccia nella condotta dell'insegnante che prospetti a una sua allieva una ingiusta bocciatura. Nella specie, la minaccia era infatti stata ricollegata, secondo la ricostruzione del giudice di merito, a un atteggiamento ritorsivo dell'insegnante nei confronti della madre dell'allieva, che lo aveva contestato durante un'assemblea dei genitori (Corte di Cassazione Sezione 6 Penale
Sentenza del 24 settembre 2008, n. 36700).






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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio - Presidente

Dott. CARMENINI Secondo - Consigliere

Dott. FIANDANESE Franco - Consigliere

Dott. GALLO Domenico - Consigliere

Dott. MELIADO' Giuseppe - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) CA. TE., n. a (OMESSO);

2) RO. GI., n. a (OMESSO);

3) AP. DO., n. a (OMESSO);

4) RO. MA., n. a (OMESSO);

avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia dell'11/06/2007;

sentita la relazione del Consigliere Dr. CARMENINI;

sentite le conclusioni del P.G. Dr. MURA Antonio, e dei difensori presenti, che hanno concluso come da verbale allegato;

2) 1 - 8135/08 Ca. Te. + 3 (Ndr: testo originale non comprensibile).

Il P.G. salvo verifica dei verbali di 1 grado per individuare eventuali sospensioni della decorrenza di termini di prescrizione del reato, chiede:

- Annullarsi la sentenza impugnata nei confronti di CA. Te., RO. Gi. e AP. Do., limitatamente al capo B dell'imputazione essendo il reato estinto per prescrizione: con rinvio alla competente C. app. per la determinazione della pena residua;

- rigettarsi nel resto i ricorsi di CA. Te., RO. Gi. e AP. Do.;

- rigettarsi il ricorso di RO. Ma.;

- correggersi l'errore materiale nel dispositivo della sentenza d'appello, eliminando - rispetto a RO. Ma. - il riferimento al punto B/5 dell'imputazione.

L'avv. Tiziani Tiziana, di Mantova difensore di Ro. Ma.; l'avv. De Bellis Mario di Mantova, difensore di Ap. Do.; l'avv. Ruggerini Piertacito di Mantova difensore di Ro. Gi. e di Ca. Te., in forza di memoria e sostituto processuale dell'avv. Arria Claudio di Mantova, che viene depositata; l'avv. Giarda Angelo, di Milano, difensore di Ro. Gi. deposita memoria; tutti i difensori chiedono l'accoglimento dei ricorsi.

OSSERVA

Ca. Te., Ro. Gi., Ap. Do. e Ro. Ma. furono rinviati a giudizio davanti al Tribunale di Mantova per rispondere, ciascuno secondo le rispettive qualita' funzionali, di tre imputazioni qualificate come violazione dell'articolo 316 ter c.p. (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato) e delineate in fatto come plurime condotte relative all'organizzazione ed attuazione, nel periodo tra il (OMESSO), di corsi e progetti formativi.

In particolare la prima, quale presidente e legale rappresentante della Associazione Progetto, il secondo, quale amministratore della Da. S.r.l. e collaboratore qualificato della As. Pr., il terzo ed il quarto quali concorrenti a vario titolo con i primi due, sono stati accusati di avere indebitamente conseguito pubbliche erogazioni relativamente ad un corso per operatrice di teleservizio (capo A), un progetto di orientamento per sordi denominato " AT. " (capo B) ed un corso di formazione per esperti in gestione museale denominato "E. Ge.Mu." (capo C); ai primi due imputati e' stato anche addebitato, in concorso, un duplice fatto di falsita' in scrittura privata (capi D ed E).

Le imputazioni sono il risultato di una lunga e complessa attivita' di accertamento della Guardia di Finanza sull'effettivo svolgimento e regolare rendicontazione dei progetti e corsi ammessi al finanziamento pubblico e concretamente finanziati a favore della Associazione Progetto;

tutti i progetti e corsi promossi dalla predetta associazione (e concretamente attuati con il sostanziale intervento della Da. S.r.l.) erano stati effettivamente svolti anche in maniera apprezzabile, pur tuttavia, secondo l'accusa, alcune voci di spesa per le quali era stato richiesto ed ottenuto il finanziamento non erano finanziabili per essere materialmente insussistenti oppure giuridicamente non imputabili al titolo indicato; a queste conclusioni gli inquirenti erano giunti sulla base di varie dichiarazioni, attestazioni, lettere di incarico, fatture ritenute pro forma, ed altro.

Al termine del dibattimento, celebrato alla costante presenza degli imputati Ro. Gi. e Ro. Ma. e Ap. Do., mentre la Ca. comparve solamente in occasione dell'ultima udienza, il Tribunale assolveva gli imputati dai reati ascritti ai capi A), B) e C) perche' il fatto non era previsto dalla legge come reato, e riteneva CA. Te. e RO. Gi. colpevoli dei reati loro ascritti ai capi D) ed E), e, concesse ad entrambi le attenuanti generiche, ritenuta la continuazione tra i reati, condannava ciascuno alla pena di mesi sette di reclusione.

I difensori di Ca. Te. e Ro. Gi. proponevano appello avverso le condanne relative ai capi D) ed E); nel contempo il pubblico ministero proponeva ricorso per Cassazione, lamentando che il Tribunale avrebbe dovuto ritenere il reato di truffa, sotto il particolare profilo giuridico dell'articolo 640 bis c.p..

I ricorso per Cassazione del pubblico ministero veniva convertito in appello e la Corte di Appello decideva tutti i gravami, pervenendo alla condanna di tutti gli imputati per i reato di truffa ut supra relativamente ai fatti contestati e condannava per falso il solo Ro. Gi.. Piu' specificamente, cosi' provvedeva: "Dichiara l'inammissibilita' della impugnazione del P.M. relativamente al capo A) della imputazione; in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Mantova del 23 gennaio 2006 appellata dal Pubblico Ministero e da Ca. Te. e Ro. Gi., assolve Ca. Te. dall'imputazione di cui ai capi D) ed E) per non avere commesso il fatto; dichiara non doversi procedere nei confronti di Ro. Gi. Pa. in ordine al reato di cui al capo E) perche' il reato e' estinto per intervenuta prescrizione; dichiara l'imputato Ro. Gi. colpevole dei reati dei reati di truffa aggravata di cui all'articolo 640 bis c.p., cosi' riqualificate le imputazioni di cui ai capi B) e C) della rubrica e dichiarata la prevalenza delle contestate aggravanti sulle concesse attenuanti generiche e ritenuta la continuazione fra i predetti reati ed il reato di falso di cui al capo D) lo condanna alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ed euro 2.000,00 di multa; dichiara Ca. Te. e Ap. Do. colpevoli dei reati di truffa aggravata di cui all'articolo 640 bis c.p., cosi' riqualificate le imputazioni di cui ai capi B) e C) della rubrica, e Ro. Ma. colpevole del reato di cui al capo C) con esclusione dei punti B/5 e C/8, esclusa l'aggravante del danno di rilevante gravita' per il Ro. Ma. e l' Ap. Do. e, dichiarata l'equivalenza fra le generiche e le aggravanti per la Ca. Te., il Ro. Ma. e l' Ap. Do. e ritenuta la continuazione fra i reati predetti, li condanna.....(alle pene come in atti) ".

Avverso detta sentenza propongono ricorso per Cassazione tutti gli imputati con vari motivi che possono essere cosi' sintetizzati.

MOTIVO PRIMO: inosservanza o erronea applicazione degli articoli 405 e 597 c.p.p., in relazione agli articoli 24 e 111 Cost. e al principio del favor rei; inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 178 c.p.p., lettera b) e c) e dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera a).

In particolare si eccepisce la nullita' dell'impugnazione del pubblico ministero per violazione dell'articolo 178 c.p.p., lettere b) e c) e dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera a) sotto il seguente profilo: "Il Pubblico Ministero ha contestato al Ro. e alla Ca. la violazione dell'articolo 316 ter c.p.; preso atto che il Tribunale ha ritenuto inapplicabile alla fattispecie il reato contestato, e ha assolto gli imputati, ha quindi mutato strategia, chiedendo, nell'atto di appello, la condanna per il reato di truffa.

In sostanza i ricorrenti sostengono che tale mutamento di richiesta nell'atto di gravame viola l'articolo 178 c.p.p..

MOTIVO SECONDO: illogicita' della sentenza nella parte in cui ritiene l'inammissibilita' del ricorso per Cassazione del pubblico ministero in ordine al capo a) della sentenza del tribunale e ritiene l'ammissibilita' in ordine ai capi b) e c); inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 518 c.p.p., lettera c) e articolo 606 c.p.p., lettera e). Secondo i ricorrenti la Corte d'Appello si sarebbe limitata a rilevare che la richiesta difensiva di declaratoria di inammissibilita' dell'impugnazione del Pubblico Ministero e' meritevole di accoglimento limitatamente alla pronuncia assolutoria concernente il capo a), sotto il profilo che il P.M. non ha esposto nell'atto di ricorso in modo specifico le ragioni per le quali i singoli fatti indicati nell'imputazione integrerebbero il reato di truffa aggravata e non quello di cui all'articolo 316 ter c.p..

Sostengono ancora i ricorrenti che la Corte bresciana non rileva lo stesso vizio di genericita' del ricorso del P.M., relativamente ai capi b) e c) della sentenza del tribunale di Mantova, pur trattandosi di un caso di sostanziale identita' dei motivi e quindi dello stesso vizio.

MOTIVO TERZO: violazione dell'articolo 606 c.p.p. per omesso esame dell'ammissibilita' del ricorso per Cassazione del pubblico ministero secondo i parametri previsti dalla suddetta norma.

Poiche' il ricorso per Cassazione del Pubblico Ministero e' stato convertito in appello a sensi dell'articolo 580 c.p.p., la Corte d'Appello avrebbe dovuto analizzare la fattispecie sottoposta dal Pubblico Ministero, verificando se il ricorso prospettasse i casi previsti dell'articolo 606 c.p.p., e limitarsi poi a sindacarne l'ammissibilita' secondo i parametri del detto articolo 606 c.p.p..

MOTIVO QUARTO: omessa e contraddittoria motivazione in ordine all'eccezione di nullita' della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio. La difesa Ca. aveva eccepito in primo grado la nullita' della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio per indeterminatezza del fatto.

Tale questione era stata respinta dal tribunale, ma all'esito del giudizio di primo grado la Ca. non aveva potuto proporre gravame sulla questione a causa dell'inibizione all'impugnazione di una sentenza di proscioglimento; la stessa questione e' stata nuovamente prospettata avanti alla Corte d'Appello, che l'ha ritenuta inammissibile per mancanza di motivi a sostegno.

MOTIVO QUINTO: mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla valutazione delle prove e alla mancata valutazione delle prove indicate nelle memorie difensive presentate in primo e secondo grado - omessa motivazione in relazione ai capi C) n. 10 e 11;

inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 522 c.p.p. per travisamento del fatto; inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 533 c.p.p., comma 1, in ordine alla sussistenza del ragionevole dubbio - inosservanza o erronea applicazione articolo 192 c.p.p. per omessa indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova - inosservanza o erronea applicazione articolo 640 bis c.p..

Secondo i ricorrenti un problema di questo processo e' dato dalla terminologia: molti capi di imputazione derivano dal differente significato dato alla terminologia dall'accusa rispetto al senso conosciuto dagli imputati dai testimoni e dagli ispettori; e su questo la Corte di merito non si e' soffermata adeguatamente.

I ricorrenti passano, poi, all'esame dei singoli capi di imputazione, attraverso un esame critico delle valutazioni delle risultanze probatorie.

MOTIVO SESTO: inosservanza o erronea applicazione degli articoli 516 e 522 c.p.p. - nullita' della sentenza in ordine alla omessa contestazione dell'elemento oggettivo della truffa - inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 640 bis c.p. Sempre secondo i ricorrenti la Corte di Appello, nonostante la differente imputazione, ha ritenuto di potere pervenire alla condanna per avere commesso il reato di truffa in quanto, nella maggior parte dei fatti descritti ha erroneamente ravvisato tale reato e non quello previsto dall'articolo 316 ter c.p..

MOTIVO SETTIMO: la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere la prescrizione dei reati ascritti; inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 158 c.p.p..

La difesa eccepisce la prescrizione di tutti reati ascritti ai capi B e C nell'assunto che il termine di prescrizione decorre dal momento dell'effettuazione dei primi pagamenti dopo la rendicontazione, non avendo rilevanza quelli avvenuti successivamente.

MOTIVO OTTAVO: errato bilanciamento delle circostanze aggravanti e attenuanti, illogicita' della sentenza e inosservanza o erronea applicazione degli articoli 69 e 133 c.p. e articolo 192 c.p.p.. Il giudizio di bilanciamento di aggravanti e attenuanti svolto in sentenza dalla Corte d'Appello e' errato. Il collegio ha ritenuto che debba essere dichiarata la equivalenza tra le generiche e le aggravanti.

Manca inoltre qualunque valutazione dei criteri previsti dall'articolo 133 c.p., comma 2.

MOTIVO NONO : mancanza e illogicita' della motivazione della sentenza nella determinazione della pena; inosservanza o erronea applicazione degli articoli 132 e 133 c.p..

Cosi' esposta per sommi capi la situazione processuale, e' necessario puntualizzare subito una premessa di ordine metodologico, che semplifica in misura consistente la disamina delle questioni proposte e la loro soluzione.

I motivi di ricorso, anche per la parte non espressamente riportata nella esposizione che precede, si presentano articolati in un complesso di doglianze che attengono in parte a questioni di diritto, in parte tendono ad una diversa ricostruzione dei fatti, in parte riportano anche brani di prove assunte nei giudizi di merito.

Cio' posto, e' noto che la mancanza o manifesta illogicita' della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato e l'indagine di legittimita' e' necessariamente circoscritta a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo svolto dal giudice di merito. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto gia' vagliati e posti a fondamento della decisione impugnata, non potendo integrare il vizio di legittimita' soltanto una diversa ricostruzione delle risultanze processuali, magari prospettata in maniera piu' utile per il ricorrente.

Per ritornare alla questione metodologica si deve sottolineare, sulla base dei principi esposti, che questa Corte non deve fornire risposta ai problemi di stretto merito, non dovendo entrare nella ricostruzione fattuale dei singoli episodi, minuziosamente effettuata - dal proprio punto di vista - dai vari ricorrenti. Deve, invece, incanalare la propria attenzione nel dare risposta alle tematiche di diritto che precedono le questioni di fatto.

Quattro appaiono essere le tematiche giuridiche rilevanti ai fini del decidere: 1) la delimitazione del campo concesso all'appello del P.M.; 2) la immutatio facti e il principio del contraddittorio; 3) la qualificazione giuridica dei fatti; 4) i termini prescrizionali.

Principio cardine che regola il vigente rito processuale penale e' il principio del contraddittorio; tale regola e' stata elevata a rango di principio costituzionale nell'ambito delle regole del giusto processo (articolo 111 Cost.). A ben vedere il principio in parola incide con forza determinante sui diritti della difesa e quindi ogni valutazione circa il rispetto delle relative regole deve essere rapportata alla lesione o meno del diritto di difesa. A questa tematica deve essere collegata l'osservazione che la giurisprudenza costituzionale e di legittimita' ha ispirato le sue decisioni all'orientamento sostanzialista, piuttosto che a quello formalista.

Da questi rilievi discende che, nel presente caso, ogni questione attinente a pretese lesioni del diritto di difesa deve essere affrontata e risolta attraverso l'indagine approfondita se nel concreto e nella sostanza gli imputati siano stati messi in grado, o meno, in ogni fase e grado del processo di difendersi sulle contestazioni loro mosse.

In questa cornice si puo' affermare che il P.M., anche se ha dato alle imputazioni una determinata qualificazione giuridica, puo' esercitare l'azione penale in tutti i gradi di giudizio anche mutando il nomen iuris, purche' non sia mutato il fatto contestato e purche' l'imputato sia sempre stato in grado di contrapporre le sue tesi e le sue offerte probatorie alla strategie dell'accusa.

Detto questo, deve aggiungersi che mai come nel caso di specie il fatto e' stato contestato nella sua pienezza e "stabilita'" fin dall'inizio dell'esercizio dell'azione penale, atteso che sono stati subito definiti gli ambiti delle indebite erogazioni pubbliche, le qualita' soggettive, i bilanci, le attivita' illecite e le false rappresentazioni e tutto quanto serviva a definire le condotte illecite.

Restava, quindi, soltanto la definizione giuridica.

Al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 200716568 riv. 235962) hanno rilevato che mentre l'articolo 316 bis c.p. (che non entra in ballo in questo caso) e' inteso a reprimere la distrazione dei contributi pubblici dalle finalita' per le quali erano stati erogati e si riferisce necessariamente ai contributi connotati appunto da un tale vincolo di destinazione; all'articolo 316 ter e articolo 640 bis c.p., essendo entrambi destinati a reprimere la percezione di per se' indebita dei contributi, indipendentemente dalla loro successiva destinazione, sono applicabili anche a erogazioni non condizionate da particolari destinazioni funzionali. Hanno, poi, ritenuto che la differenza tra le due ipotesi di reato (articolo 316 ter c.p. o articolo 640 bis c.p.) sta nella presenza o meno di artifici o raggiri, di modo che l'ambito di applicabilita' dell'articolo 316 ter c.p. si riduce cosi' a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale, poiche' in taluni casi il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone, almeno in via provvisoria, l'effettivo accertamento da parte dell'erogatore dei presupposti del singolo contributo.

Per contro, nei casi come quello di specie, in cui l'erogazione dipende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'erogatore, causata dall'attivita' del richiedente, vengono di necessita' integrati gli estremi della truffa.

La distinzione tra i due reati puo' dipendere, oltre che dalla disciplina normativa del procedimento, anche dalle modalita' effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto; ne discende che l'accertamento dell'esistenza di un'induzione in errore, quale elemento costitutivo del delitto di truffa, ovvero la sua mancanza, con la conseguente configurazione del delitto previsto dall'articolo 316 ter c.p., e' questione di fatto, che risulta riservata al giudice del merito.

La Corte bresciana ha divisato correttamente la sussistenza della truffa, bene descritta nell'articolata condotta falsa ed artificiosa riportata nei capi d'imputazione (e' sufficiente leggerli e si verifichera' che si specificano le omissioni, le false fatturazioni, le prestazioni non effettuate ecc.); cosicche' ha esercitato i suoi poteri anche "di dare al fatto una definizione giuridica piu' grave" (articolo 597 c.p.p.).

Corrispondentemente il P.M. ha esercitato le sue facolta' di impugnazione nell'invocare l'esercizio di detto potere da parte del giudice di merito e di trame le debite conseguenze. In tale contesto nessuna limitazione al gravame puo' discendere dall'originario necessitato ricorso per Cassazione, atteso che la Corte costituzionale, con sentenza che esplica i suoi effetti su tutte le situazioni non esaurite, ha ripristinato il potere di appello del P.M. nei confronti delle sentenza assolutorie (Corte cost. sent. 2672007).

Si puo' ora procedere ad un breve riepilogo dei principi di diritto e delle rilevazioni da affermare nel caso in esame: 1) il principio cardine che regola il vigente rito processuale penale e' il principio del contraddicono; 2) nel valutare le lesioni di tale principio si deve adottare un approccio sostanzialista; 3) nel caso di specie nessuna lesione di tal genere si e' verificata; 4) la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza sussiste solo quando, nella ricostruzione del fatto posta a fondamento della decisione, la struttura dell'imputazione sia modificata quanto alla condotta, al nesso causale ed all'elemento soggettivo del reato, al punto che, per effetto delle divergenze introdotte, la difesa apprestata dall'imputato non abbia potuto utilmente sostenere la propria estraneita' ai fatti criminosi globalmente considerati; 5) entro questi limiti e solo ove non si violi il diritto di difesa il P.M. puo' condurre la sua strategia anche nel grado di appello, anche attraverso una diversa qualificazione giuridica del fatto rimessa ai poteri del giudice, sempre che non vi sia immutatio facti; 6) la differenza tra i delitti previsti dall'articolo 316 ter c.p. e articolo 640 bis c.p., come sopra delineata, e' questione di fatto, riservata al giudice del merito.

Si aggiunga che nessuna indeterminatezza si ravvisa nella richiesta e nel decreto che dispone il giudizio, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, mentre l'apparente contraddizione tra la ritenuta inammissibilita' dell'appello del P.M. soltanto in ordine al capo a) e l'ammissibilita' in ordine agli altri capi non puo' portare a ritenere corretta soltanto la soluzione piu' favorevole ai ricorrenti, poiche' la soluzione riguardo agli altri capi d'imputazione e' ispirata a corretti canoni.

Con queste considerazioni si devono ritenere risolti tutti i motivi dedotti dalle parti, ad eccezione di quello relativo alla prescrizione.

Riguardo, appunto, a questo istituto deve affermarsi che il termine iniziale deve farsi coincidere con l'ultimo dei pagamenti effettuati con i capi B) e C) e che si applica la novella dell'articolo 158 c.p.; che, quindi, il reato sub B) e' prescritto, mentre non lo e' il restante compendio degli addebiti protrattosi almeno fino al 16 marzo 2001.

Il trattamento sanzionatorio, infine, visto l'impianto motivazionale complessivo della sentenza impugnata, e' ispirato correttamente ai criteri di cui agli articoli 133, 132 e 69 c.p., specie in relazione alla gravita' e complessita' dei fatti.

Segue il limitato annullamento come da dispositivo con rinvio ad altra sezione della stessa Corte di appello per la sola determinazione della pena nei confronti di Ca., Ap. e Ro. Gi.; questa pronuncia rende irrevocabile il giudizio di colpevolezza, che non potra' subire effetti estintivi.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Ca. Te., Ro. Gi. e Ap. Do. limitatamente al capo B) della imputazione, essendo il reato estinto per prescrizione, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Brescia per la determinazione della pena. Rigetta nel resto i ricorsi di Ca. Te., Ro. Gi. e Ap. Do..

Rigetta il ricorso di Ro. Ma., che condanna al pagamento delle spese processuali.

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