In tema di adozione, premesso il diritto del minore a crescere nella famiglia di origine grava sul giudice di merito l'onere di accertare sulla base di riscontri oggettivi lo stato di abbandono

In tema di adozione l'articolo 1 della legge n. 184 del 1983 (nel testo sostituito dalla legge n. 149 del 2001) sancisce il diritto del minore di crescere e di essere educato nell'ambito della propria famiglia naturale e mira e rendere effettivo questo diritto attraverso la predisposizione di interventi solidaristici di sostegno in caso di difficoltà della famiglia di origine, onde rimuovere le cause, di ordine economico o sociale, che possano precludere, in essa, una crescita serena del bambino. In questo contesto - di valorizzazione e di recupero, finché possibile, del legame di sangue e anche dei vincoli, come quelli con i nonni, che affondano le loro radici nella tradizione familiare, la quale trova il suo riconoscimento della Costituzione, si rende necessario un particolare rigore, da parte del giudice del merito nella valutazione di abbandono del minore, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, a essa potendosi ricorrere solo in presenza di una situazione di carenza di cure materiali e morali da parte dei genitori e degli stretti congiunti (e a prescindere dall'imputabilità a costoro di detta situazione) tale da pregiudicare in modo grave e non transeunte lo sviluppo e l'equilibrio psicofisico del minore stesso. Detta situazione deve essere accertata in concreto sulla base di riscontri obiettivi, non potendo la verifica dello stato di abbandono del minore essere rimessa a una valutazione astratta compiuta ex ante, alla stregua di un giudizio prognostico fondato su indizi di valenza assoluta. (Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile,Sentenza del 18 dicembre 2007, n. 26667)



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 20 giugno 2004, il Tribunale per i minorenni di Palermo dichiarava lo stato di adottabilita' di M. A., nata a (OMESSO); disponeva il divieto di visita e di contatti nei confronti della minore da parte dei familiari; sospendeva Ma. An. e Bo. Co. dall'esercizio della potesta' genitoriale sulla figlia minore; nominava tutore della piccola A. il responsabile del centro Infanzia del Comune di Palermo; disponeva l'inserimento della minore in idoneo nucleo familiare selezionato.

Avverso detto decreto proponeva opposizione il solo Ma. An.. Nel corso del procedimento, svoltosi nell'assenza dell'opponente, veniva sentita la responsabile della casa famiglia ove la minore era inserita. Con sentenza pronunciata in data 4 novembre 2005, il Tribunale per i minorenni rigettava l'opposizione proposta dal Ma., compensando interamente le spese del giudizio tra il predetto e il Curatore speciale della minore e lasciava a carico dell'Erario quelle sostenute da quest'ultimo.

Rilevava il Tribunale, a sostegno della decisione, che la condizione di adottabilita' ricorre anche quando i genitori tengano nei confronti dei figli una condotta che, di fatto, impedisca ed esponga a grave rischio il loro sano sviluppo, per irreparabile difetto di assistenza morale e materiale indispensabile al corretto sviluppo della loro personalita'; che, nel caso in discussione, la Bo., che non aveva proposto opposizione avverso il decreto impugnato dal solo Ma., aveva comunque trascurato di collaborare con i servizi nell'interesse della minore, ancorche' sollecitata, ed era apparsa incapace di prendersi cura di A. per la gravita delle sue stesse condizioni psichiche, - che, dal canto suo, il padre - che non era comparso in udienza - non aveva dimostrato alcuna capacita' di prendersi cura della figlia, impegnato in attivita' lavorative e in passato anche lui in carico al Servizio Tutela Salute Mentale; che il Ma., peraltro, non aveva preso alcuna coscienza della gravita' delle condizioni della moglie, cui aveva delegato l'accudire la figlia; che la bambina, nel corso degli incontri in casa famiglia, aveva rifiutato apertamente il padre; che la stessa aveva reagito in modo molto positivo al suo inserimento in una casa famiglia, allontanando il rischio di uno scivolamento autistico che era stato constatato quando viveva con, i genitori; che l'esperienza degli altri fratelli, M. (nato nel (OMESSO)) e Vi. (nato nel (OMESSO)) ritornati in un istituto riabilitativo, ormai cresciuti con grave ritardo mentale, tale da impedire qualsiasi possibilita' di adozione, era indicativa dell'inadeguatezza dell'opponente ed appariva come un esempio da non ripetere; che non ricorrevano i presupposti per un affidamento eterofamiliare, riservato dalla legge a situazioni di difficolta' "familiare di tipo transitorio e nelle quali il mantenimento di un legame con i genitori trova giustificazione in un certo livello di capacita' affettiva ed educativa di questi; che, peraltro, il tentativo di affidare la bambina al fratello del Ma., residente in (OMESSO), era fallito, avendo quest'ultimo, dopo un breve periodo, riportato A. nella casa famiglia, senza piu' farsi sentire dalla bambina, nonostante l'espresso invito rivoltogli dagli operatori, e senza presentare opposizione avverso il decreto dichiarativo dello stato di adottabilita' della nipote, che gli era stato notificato.

La Corte d'appello di Palermo - sezione per i minorenni con sentenza 5.12.2006 rigettava l'appello proposto dal Ma.. Premetteva che per potersi affermare la sussistenza dello stato di abbandono che giustificava la dichiarazione di adottabilita' del minore occorreva che sussistessero carenze affettive e materiali di tale rilevanza da integrare di per se una situazione di pregiudizio per il minore stesso, tenuto anche conto dell'esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di origine, esigenza che non puo' essere sacrificata per la semplice inadeguatezza dell'assistenza o degli atteggiamenti psicologici o educativi dei genitori, cui puo' ovviarsi attraverso interventi solidaristici di sostegno. Di conseguenza la sottrazione alla famiglia era giustificata soltanto in presenza di gravi ragioni, da valutare in concreto, che impediscano al nucleo familiare di origine (e dunque guardando non soltanto ai genitori, ma anche agli stretti congiunti) di garantire al minore una normale crescita ed adeguati supporti educativi e psicologici.

Ancora lo stato di adottabilita sussisteva soltanto a fronte di una situazione non transeunte, insuscettibile di essere superata e la cui rimozione sia necessaria per assicurare al minore l'assistenza di cui il suo sviluppo ha bisogno.

La Corte di merito rilevava che i Ma. non erano in grado di assicurare alla piccola Ad. quel minimo di cure materiali e di aiuto psicologico indispensabili per il suo sviluppo e la sua formazione.

La Bo. presentava condizioni psichiche gravi, non si era opposta al decreto dichiarativo dello stato di adottabilita' e non aveva proposto appello contro la sentenza che quel decreto aveva confermato, dando cosi' credito all'affermata impossibilita' di accudire la bambina.

Ma.An. non aveva dimostrato nel tempo, secondo gli esiti dei controlli effettuati dai Servizi sociali, alcuna capacita' di prendersi cura della figlia. Impegnato in attivita' lavorativa per gran parte del giorno ed in passato anche lui in carico al Servizio Tutela Salute Mentale, non aveva preso coscienza della gravita delle condizioni della moglie, cui aveva delegato di accudire la figlia. Nel verbale di audizione del 2.5.2005 aveva sostenuto che la Bo. era in grado di prendersi cura della bambina.

circostanza questa smentita dagli accertamenti effettuati.

I Servizi territoriali erano intervenuti per circa un decennio per sostenere la capacita' genitoriale dei Ma. con riguardo agli altri due figli della coppia, M. e Vi., riconosciuti affetti da ritardo mentale di media gravita, prima restituiti alla famiglia e poi ricoverati presso un istituto riabilitativo. Si trattava di elemento negativo ai fini della valutazione delle capacita' genitoriali. Se era vero che A. era psichicamente sana, a differenza dei fratelli, occorreva sottolineare che la bambina aveva reagito positivamente all'inserimento in casa famiglia, superando il rischio di scivolamento autistico che era stato in precedenza constatato, come da relazione del responsabile della casa famiglia. La bambina nel corso degli incontri in casa famiglia aveva rifiutato il padre, mostrandosi con lui timida ed insicura. Non rispondeva a verita' guanto sostenuto dall'appellante che il comportamento di A. dovesse essere inteso come consapevole partecipazione alle difficolta' del padre.

Quanto alla possibilita' d'intervento del fratello del Ma. An., M., residente in Scozia e di sostegno da parte della nonna paterna, Sc. Ad., la Corte osservava che la bambina era stata affidata temporaneamente allo zio, prima della dichiarazione di adottabilita', e che questi l'aveva ricondotta alla casa famiglia, dopo un breve soggiorno in (OMESSO), senza piu' mantenere contatto con essa, nonostante gli espressi inviti in tal senso degli operatori.

Il M. M. non aveva proposto opposizione contro il decreto di adottabilita', che gli era stato notificato, e non era intervenuto nel giudizio, dimostrando disinteresse per la vicenda della nipote.

La stessa bambina aveva espresso l'intenzione di non tornare a vivere con lo zio lamentando contrasti con la di lui famiglia.

La nonna paterna aveva verbalmente dichiarato di essere disponibile ad aiutare il figlio, andando ad abitare con lui per sostenerlo nella cura della bambina. Ma la stessa Sc. abitava in casa famiglia e il Ma. non si era procurato un'abitazione, nonostante il tempo trascorso. La nonna paterna inoltre era sieropositiva e non era pertanto in grado di farsi carico della nipotina. Anche nel procedimento di adozione di A., altra figlia del Ma., la Sc. aveva ammesso l'incapacita' genitoriale della Bo. e aveva suggerito di trovare una casa famiglia per la minore.

Concludeva la Corte affermando che la Sc. non aveva manifestato una seria disponibilita' ad occuparsi di A..

All'accertata limitatezza mentale dei genitori si accompagnava dunque un quadro complessivo da cui emergeva l'incapacita' assoluta ad allevare i figli, tale da provocare danno psico-fisico per i minori, gia' verificatosi, e da lasciar ritenere sussistente il pericolo di un pregiudizio grave ed irreparabile ad una corretta crescita nel caso di ritorno nell'ambiente natio. Tale situazione non poteva trovare rimedio nel sostegno dei Servizi sociali.

Avverso la sentenza ricorrono per cassazione Ma. An. e Bo. Co.. Il curatore speciale della minore e il P.G. presso la Corte d'appello di Palermo non hanno svolto attivita' difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il ricorso Ma. An. e Bo. Co. lamentano violazione della Legge n. 184 del 1983. La Corte d'appello non avrebbe fornito sufficienti elementi di riscontro dell'inadeguatezza dei genitori, senza considerare che lo stato di abbandono non puo' discendere soltanto dal fatto che i genitori ed i parenti prossimi hanno problemi personali. Ancora la Corte di merito non avrebbe adeguatamente valutato il proposito manifestato dai Ma. di garantire ad figli le cure piu' adeguate che essi possono fornire, sia pur con i limiti derivanti dal loro stato psico-fisico.

La Corte non avrebbe adeguatamente valutato che M. M. aveva dichiarato la propria disponibilita' ad occuparsi della minore; che la stessa aveva vissuto per un mese ad (OMESSO) con la famiglia dello zio e che la convivenza si era svolta positivamente, sia pur con qualche difficolta'. Non avrebbe tenuto conto che le dichiarazioni di A., contraria ad andare a vivere con lo zio, non potevano essere sopravvalutate, tenuto conto della tenera eta' della minore e del fatto che non aveva indicato il contenuto dei contrasti con lo zio, che non potevano avere contenuto serio.

Anche la moglie del M. M., Pe., aveva manifestato l'intenzione, sia pur al procuratore dei ricorrenti, di tenere la bambina con se, nonostante i contrasti, dovuti a gelosia, insorti con la propria figlia Lu.. La Corte d'appello aveva omesso di convocare nuovamente il M. M., per verificare questa disponibilita', provvedendo senza ulteriore istruttoria.

Lo stato di abbandono, tenuto conto della priorita' del mantenimento del minore nella famiglia naturale, non poteva essere desunto dai vani tentativi di recupero dei fratelli di A., al cui insuccesso aveva certamente contribuito lo stato di handicap mentale grave da cui essi sono affetti.

Il fatto poi che la nonna paterna tuttora viva in casa di cura, non costituisce ostacolo perche' essa ha manifestato l'intenzione di andare ad abitare con il figlio, allo scopo di apprestare una casa per la piccola A..

In conclusione si sarebbe in presenza non di uno stato di abbandono, ma di una situazione transitoria, che da sola non giustifica la dichiarazione di adottabilita'. La Corte in luogo di dichiarare lo stato di adottabilita', avrebbe potuto quantomeno disporre l'affidamento in via temporanea della bambina con rientri periodici in famiglia, finche' il padre non fosse stato in condizioni di occuparsi della piccola.

2. Va preliminarmente rilevato che la sentenza impugnata e' stata depositata il 5.12.2006. Di conseguenza il giudizio di cassazione e' retto dalla disciplina introdotta dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40. Ai sensi dell'articolo 366 bis, introdotto dal citato decreto legislativo, i motivi di ricorso rientranti nella previsione dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 debbono recare, a pena d'inammissibilita', la formulazione del quesito di diritto.

Ne deriva che la censura di violazione di legge dedotta dai ricorrenti e' inammissibile, perche' nel ricorso non risulta formulato in nessun modo il quesito di diritto relativo alla denunciata violazione di legge.

3. Ancora va sottolineato che il ricorso proposto da Bo. Co., che non ha proposto opposizione avverso il decreto pronunciato dal Tribunale per i minorenni che ha dichiarato lo stato di adottabilita' della minore, e' inammissibile. Questa Corte ha infatti ritenuto che in base alla disciplina processuale dell'adozione ai sensi della Legge 4 maggio 1983, n. 184 nel testo precedente alle modifiche introdotte dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149 (essendo l'operativita' di tali modifiche rimasta sospesa, limitatamente alle disposizioni di carattere processuale, fino all'emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilita' e comunque non oltre il 30 giugno 2007 per effetto, da ultimo, della Legge di Conversione 12 luglio 2006, n. 228, articolo 1, comma 2, con modificazioni, del Decreto Legge 12 maggio 2006, n. 173), nei giudizi di impugnazione (ricorso in appello e per cassazione) susseguenti alla pronuncia da parte del tribunale per i minorenni della sentenza sull'opposizione avverso il decreto di adottabilita', fra i soggetti che erano legittimati all'opposizione, in quanto destinatari della notificazione del decreto di adottabilita' ai sensi della Legge n. 184 del 1983 articolo 15 (P.M., genitori, parenti entro il quarto grado, tutore), assumono la qualita' di litisconsorti necessari soltanto quelli che abbiano effettivamente proposto l'opposizione, poiche' gli altri non hanno la legittimazione ad impugnare la sentenza del tribunale, che spetta, ai sensi della cit. Legge, articolo 17 ai soggetti destinatari della notifica di quest'ultima, cioe' al P.M., all'opponente e al curatore (Cass. 19.10.2006, n. 22499; Cass. 23.5.1997, n. 4625).

4. Resta da verificare se il ricorso, per guanto concerne il ricorrente Ma. An., che era parte appellante nel giudizio di appello definito dalla sentenza impugnata, contenga anche una censura di difetto di motivazione della sentenza impugnata. In proposito va sottolineato che questa Corte ha in passato affermato che avverso le sentenze sullo stato di adottabilita' pronunciate dalla sezione per i minorenni della corte d'appello, il ricorso per cassazione continua ad essere ammesso esclusivamente per violazione di legge, secondo la disciplina contenuta nel testo originario della Legge 4 maggio 1983, n. 184 articolo 17 giacche' l'entrata in vigore della nuova normativa processuale (articolo 16 della legge 28 marzo 2001, n. 149, sostitutivo del richiamato articolo 17) - la quale aveva esteso l'ambito dei motivi di ricorso per cassazione avverso le dette sentenze, comprendendovi anche il vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) era rimasta sospesa in forza della disposizione transitoria di cui al Decreto Legge 24 aprile 2001, n. 150 articolo 1 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 giugno 2001, n. 240), il cui termine di efficacia, dapprima fissato al 30 giugno 2002, e' stato ripetutamente prorogato, e da ultimo fino al 3 0 giugno 2007, in forza della Legge 12 luglio 2006, n. 228 articolo 1 comma 2, di conversione del Decreto Legge 12 maggio 2006, n. 173 (Cass. 25.7.2006, n. 16986).

Tale principio non puo' peraltro valere nel caso di specie, perche' il differimento dell'entrata in vigore della nuova disciplina e' venuto meno in difetto di ulteriore proroga del termine scaduto il 30.6.2007. Tanto premesso, va sottolineato che, pur lamentando formalmente la sola violazione di legge, il ricorrente Ma. deduce una serie di circostanze (relative alla personalita' della minore, alle possibilita' di intervento dei parenti, all'assenza di un pregiudizio grave ed irreparabile per la bambina) che sono tutte dirette a criticare l'iter logico seguito dalla Corte d'appello nel pervenire al rigetto dell'impugnazione. Sussiste dunque la censura di difetto di motivazione, che, peraltro, non e' fondata.

In proposito e' sufficiente rilevare che la Corte d'appello ha fatto puntuale applicazione della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in tema di adozione, la Legge 4 maggio 1983, n. 184 articolo 1 (nel testo sostituito dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149) sancisce il diritto del minore di crescere e di essere educato nell'ambito della propria famiglia naturale, e mira a rendere effettivo questo diritto attraverso la predisposizione di interventi solidaristici di sostegno in caso di difficolta' della famiglia di origine, onde rimuovere le cause, di ordine economico o sociale, che possano precludere, in essa, una crescita serena del bambino. In questo contesto - di valorizzazione e di recupero, finche' possibile, del legame di sangue, ed anche dei vincoli, come quelli con i nonni, che affondano le loro radici nella tradizione familiare, la quale trova il suo riconoscimento nella Costituzione (articolo 29) - si rende necessario un particolare rigore, da parte del giudice del merito, nella valutazione della situazione di abbandono del minore quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilita', ad essa potendosi ricorrere solo in presenza di una situazione di carenza di cure materiali e morali, da parte dei genitori e degli stretti congiunti (ed a prescindere dalla imputabilita' a costoro di detta situazione), tale da pregiudicare, in modo grave e non transeunte, lo sviluppo e l'equilibrio psico-fisico del minore stesso, e sempre che detta situazione sia accertata in concreto sulla base di riscontri obiettivi, non potendo la verifica dello stato di abbandono del minore essere rimessa ad una valutazione astratta, compiuta "ex ante", alla stregua di un giudizio prognostico fondato su indizi privi di valenza assoluta (cfr. ex multis Cass. 12.5.2006, n. 11019).

Tanto premesso la Corte d'appello, con ampia e adeguata motivazione, ha osservato che la Bo. Co. era affetta da gravi turbe mentali e non era idonea ad occuparsi della minore, avendo peraltro manifestato sia con la rinuncia all'opposizione avverso il decreto di adottabilita' sia con l'atteggiamento assunto in occasione della dichiarazione di adottabilita' dell'altra figlia A., un atteggiamento di rinuncia a svolgere le funzioni genitoriali. Il Ma. An. a sua volta, oltre ad essere stato anch'egli bisognoso dell'intervento del Servizio di Tutela Salute Mentale ed essersi occupato in modo insoddisfacente della minore secondo i controlli effettuati dai Servizi Sociali, aveva dimostrato in piu' occasioni di non comprendere che la moglie non era in grado di occuparsi seriamente della bambina, continuando a proporre al Tribunale per i minori soluzioni fondate sull'intervento della moglie. Egli inoltre risultava assorbito dalla sua attivita' lavorativa ed aveva poco il tempo da dedicare alla minore.

L'esperienza dei fratelli maggiori di A., affetti da turbe mentali e ricoverati in istituto, e della stessa sorella minore A., pur essa dichiarata in stato di adottabilita', confermavano le conclusioni cui la Corte era pervenuta in ordine all'inaffidabilita' dei genitori naturali per l'educazione e la crescita della minore.

L'intervento del fratello del M. M., che ad avviso del ricorrente non sarebbe stato adeguatamente valutato dalla Corte di merito, era stato insoddisfacente. Se era vero che la bambina era stata affidata per circa un mese allo zio ed aveva vissuto con la famiglia di questi in (OMESSO), l'esperimento non aveva dato esiti positivi. La bambina aveva rifiutato di vivere ancora con lo zio; erano emerse difficolta' di convivenza nella famiglia dello zio; questi aveva ricondotto la minore in Italia e successivamente si era disinteressato della bambina, non mantenendo con la stessa nessun tipo di contatto, neanche telefonico, nonostante i suggerimenti in tal senso degli operatori dei Servizi sociali. La nonna paterna, poi, Sc. Ad., era sieropositiva, viveva presso una casa di cura, e, per quanto avesse manifestato l'intenzione di aiutare il figlio Ma. An. a creare un'abitazione in cui ospitare la minore, non aveva fatto seguire alle parole i fatti e non appariva idonea a sostenere il peso dell'educazione della minore.

La Corte pertanto ha correttamente concluso che la situazione di abbandono della minore non discendeva tanto dalle turbe mentali da cui risultavano affetti i genitori, ma dalla complessiva incapacita' ed inaffidabilita' di tutti i familiari ad occuparsi della minore, ivi compresi lo zio e la nonna, si che, sussistendo lo stato di abbandono, nell'interesse della bambina, doveva disporsi l'adottabilita'. Il ricorso va pertanto rigettato, il mancato svolgimento di attivita' difensiva da parte degli intimati, esime dalla pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per guanto proposto da Bo. Co. e lo rigetta per quanto attiene al Ma..

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