L'eccesso di protezione che ha come conseguenza l'isolamento del bambino dal contesto sociale fa scattare il reato di maltrattamenti in famiglia

L'eccesso di protezione che ha come conseguenza l'isolamento del bambino dal contesto sociale fa scattare il reato di maltrattamenti in famiglia. Tale reato è infatti estensibile a condotte in grado di ritardare gravemente lo sviluppo psicologico e relazionale del minore; danni che possono essere assimilati alla violenza fisica a prescindere dalla consapevolezza della vittima di subirla. Nel caso di specie, un nonno e una madre, iperprotettivi verso il minore, gli avevano impedito di frequentare i coetanei, cancellando la figura paterna e facendogli frequentare saltuariamente la scuola. Combinazione di comportamenti che avevano avuto l'effetto di danneggiare il bambino che era arrivato ad avere disturbi deambulatori.

Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 10 ottobre 2011, n. 36503



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MILO Nicola - Presidente

Dott. IPPOLITO Francesco - Consigliere

Dott. LANZA Luigi - rel. Consigliere

Dott. CITTERIO Carlo - Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Ga. El. , nata a (OMESSO), e Ga. Gi. , nato a (OMESSO);

avverso la sentenza 19 ottobre della corte d'appello di Bologna, che li ha condannati per il delitto di cui all'articolo 572 c.p., confermando la decisione di condanna 17 maggio 2007 del G.U.P. del Tribunale di Ferrara;

Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza;

Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per il rigetto di entrambi ricorsi.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Ga. El. , e Ga. Gi. , rispettivamente madre e nonno materno del minore Ca. Ri. (nato il (OMESSO)) ricorrono, a mezzo del loro comune difensore, avverso la sentenza 19 ottobre della corte d'appello di Bologna (che li ha condannati per il delitto di cui all'articolo 572 c.p., confermando la decisione di condanna 17 maggio 2007 del G.U.P. del Tribunale di Ferrara), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1) l'accusa e le conformi decisioni dei giudici di merito.

I Ga. (nonno materno e madre del minore Ca. Ri. ), sono imputati: 1) del delitto p. e p. dall'articolo 572 c.p., per aver, in concorso tra loro, quali conviventi con il minore Ca. Ri. , nato il (OMESSO), mediante atteggiamenti iperprotettivi nei confronti del minore medesimo, consistiti fra gli altri nel non far frequentare con regolarita' la scuola allo stesso, nell'impedire la sua socializzazione (il minore ha conosciuto suoi coetanei solo in prima elementare), nell'impartire regole di vita tali da incidere sullo sviluppo psichico del minore con conseguenti disturbi deambulatori, prospettandogli, inoltre, la figura paterna come negativa e violenta tanto da imporgli di farsi chiamare con il cognome materno, sottoponendolo a tutte dette vessazioni, maltrattato il minore Ca. Ri. . Reato commesso in (OMESSO) fino al mese di (OMESSO).

Con sentenza 17 maggio 2007 del G.U.P. di Ferrara, all'esito di giudizio abbreviato, gli odierni ricorrenti sono stati dichiarati responsabili del reato ascritto e condannati alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ciascuno (pena base anni 3, in ragione della speciale gravita' delle condotte e della loro prosecuzione per anni, ridotta ad anni 2 per le generiche ed ulteriormente come a dispositivo per la scelta del rito). Il G.U.P. ha negato la chiesta sospensione condizionale della pena, che e' stata peraltro interamente condonata.

Con sentenza 19 ottobre 2010 la Corte di appello di Bologna su gravame degli imputati ha confermato le statuizioni del G.U.P. di Ferrara in data 17 maggio 2007.

Per i giudici di merito gli atti di maltrattamento, nei confronti del minore, convivente con la madre ed il nonno nella casa di questi, si sono materializzati:

a) in atteggiamenti iperprotettivi qualificati come "eccesso di accudienza", mantenuto e proseguito in eta' preadolescenziale, con imposizione di atti riservati all'eta' infantile, nonche' nell'esclusione del minore da attivita' anche didattiche istituzionali, inerenti la motricita';

b) in deprivazioni sociali (impedimento di rapporti con coetanei) e psicologiche (rimozione della figura paterna); condotte tutte contestate come commesse fino all'(OMESSO).

Tali condotte, una volta accertate, sono state nel loro complesso valutate come concretamente idonee a ritardare gravemente nel minore sia lo sviluppo psicologico relazionale (con i coetanei e la figura paterna), sia l'acquisizione di abilita' in attivita' materiali e fisiche, anche elementari (come la corretta deambulazione).

2.) i motivi di impugnazione.

Il ricorso e' articolato in quattro diffusi motivi di doglianza, i primi dei quali attengono all'azione esecutiva e ai profili soggettivi del delitto di maltrattamenti, mentre l'ultimo riguarda l'entita' della sanzione irrogata.

Con un primo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonche' vizio di motivazione in punto di affermazione della penale responsabilita', erronea applicazione della legge penale sostanziale, errata qualificazione giuridica del fatto, sotto il profilo dell'elemento oggettivo del reato di cui all'articolo 572 c.p..

Con un secondo motivo si lamenta vizio di motivazione e violazione di legge in punto di penale responsabilita', erronea applicazione della legge penale sostanziale, errata qualificazione giuridica del fatto sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato di cui all'articolo 572 c.p..

Con un terzo motivo si prospetta manifesta illogicita' della motivazione in punto di responsabilita' ex articolo 572 c.p., per difetto del dolo.

Con un quarto motivo si evidenzia l'illogicita' della motivazione posta a fondamento del trattamento sanzionatolo, con il riconoscimento di una condizione di supremazia del padre ricorrente sulla figlia, cui non e' corrisposta una equa riduzione della sanzione, e a cui si e' accompagnata una motivazione sulle condotte successive dei condannati desunta da una pronuncia di colpevolezza per fatti successivi e non coperta da giudicato.

3.) le ragioni della decisione di rigetto della Corte di legittimita'.

Prima di esaminare analiticamente il tenore del gravame va precisato che nella verifica della consistenza dei rilievi mossi alla sentenza della Corte di secondo grado, tale decisione non puo' essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza del primo giudice, dal momento che entrambe risultano sviluppate e condotte secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti.

La difesa degli imputati sostiene che la Corte d'Appello di Bologna ha confermato la sentenza di prime cure, maturando un giudizio di diritto che non puo' essere condiviso, in quanto, per confermare la decisione del Giudice di primo grado, essa ha finito per rimodellare la struttura del reato di maltrattamenti, stravolgendone la natura e gli elementi costitutivi, al fine di rendere applicabile la predetta norma sostanziale a condotte che non possono rientrare, invece, nell'ambito dell'elemento oggettivo richiesto dalla norma in esame.

2.1) l'elemento oggettivo del reato e la conforme azione esecutiva nella condotta dei ricorrenti.

Il ricorrente, premesso l'assunto (pacifico) che i maltrattamenti di cui si sarebbero resi responsabili i Ga. consisterebbero sostanzialmente in atteggiamenti di iperprotezione e di ipercura, prospetta con il primo motivo che tali condotte andrebbero considerate espressione di fenomeni patologici che non possono rientrare nel concetto di x maltrattamenti, cosi' come inteso dalla norma in esame, in quanto prive di una chiara connotazione negativa.

Quali esempi tipici della materialita' dei maltrattamenti, il ricorso indica: il consentire al minore di vivere in stato di abbandono in strada per chiedere l'elemosina; la ripetuta esposizione del minore a contesti erotici; l'utilizzo di mezzi e metodi trascendenti qualsiasi aspetto di liceita' correttiva ed estranei a ogni plausibile scopo pedagogico formativo, sostanziati in percosse e punizioni umilianti e gratuite.

Si tratta ad avviso del difensore di condotte tutte che si qualificano per una chiara "connotazione negativa", talora violenta, talora subdolamente mortificante o ingiustificatamente punitiva, ma sempre e comunque negativa, come peraltro indica, inequivocabilmente, la stessa rubrica dell'articolo 572 c.p..

La conclusione dell'argomentare difensivo e' quindi nel senso che - al contrario- gli atteggiamenti di iperprotezione o di ipercura, lungi dal costituire i maltrattamenti sanzionati dalla norma, integrano la ripetizione di condotte che nascono come positive e certo ispirate da intenzioni lodevoli, salvo poi riverberare effetti negativi su chi tali condotte subisce a causa della loro eccessiva e patologica esasperazione.

Da cio' deriverebbe che l'ipercura e l'iperprotezione, addebitate ai Ga. , non possano costituire l'elemento oggettivo del reato di maltrattamenti, atteso che tra le due condotte, quella di chi maltratta e quella di chi ipercura o iperprotegge, esiste, con tutta evidenza, un'incompatibilita' strutturale insanabile.

Ritiene il Collegio che lo sforzo del difensore, pur apprezzabile per il suo sviluppo dialettico, parta da una "posizione riduttiva" nella lettura del dettato normativo, dimenticando che nel reato di maltrattamenti di cui all'articolo Cass. pen. sez. 6, 37019/2003 Rv. 226794), interessate al rispetto integrale della loro personalita' e delle loro potenzialita' nello svolgimento di un rapporto, fondato su costruttivi e socializzanti vincoli familiari aperti alle risorse del mondo esterno, a prescindere da condotte pacificamente vessatorie e violente.

In tale quadro, poco conta la "soglia di sensibilita' del minore vittima", la quale, non solo per il grado di sviluppo psico-fisico della persona offesa, ma, soprattutto, perche' essa, oggettivamente disafferenziata dai contesti di riferimento ("gruppo dei pari di eta'"), di necessita', non puo' disporre di standard di peso della negativa e deteriore realta' in cui e' costretta a vivere.

In tale quadro si appalesa quindi irrilevante il riferito "stato di benessere del bambino"r tenuto conto che, non a caso, in tutti i sistemi di civilta' evoluta, lo Stato puo' verificare in modo intrusivo le "realta' di disagio anomalo" nella famiglia e le loro cause umane, imponendo prescrizioni ai familiari, sino alla decadenza dalla potesta', all'allontanamento, e allo stato di adottabilita' del minore stesso.

Ne' miglior sorte va riservata al secondo profilo critico del ricorso, prospettato per negare la materialita' dei maltrattamenti, sulla base del rilevo che il reato esige - come risultato - che gli atti di maltrattamento (lesivi dell'integrita' fisica o morale, della liberta' o del decoro della vittima) siano tali da rendere abitualmente dolorose e mortificanti le relazioni tra il soggetto attivo e la persona offesa, con conseguente necessita', ad avviso del ricorrente, di un rapporto diretto tra colui che pone in essere le condotte di maltrattamento ed il soggetto che, in ragione di tali condotte, trova sofferenza e disagio ed, ancora, che vi sia un rapporto causale diretto tra maltrattamento da un lato ed il dolore ed il disagio dall'altro, realta' che nella vicenda sarebbero escluse dal manifestato benessere del minore di vivere iperaccudito nella realta' familiare.

La conclusione della difesa soffre dello stesso vizio di lettura della precedente doglianza in quanto pone, come crinale e "discrimen" del maltrattamento, lesivo dei processi di crescita psicologica e fisica del minore, il grado di percezione del maltrattamento stesso ad opera della vittima minorenne.

Non e' chi non veda l'insostenibilita' dell'assunto che fa dipendere Soggettiva sussistenza della condotta illecita dalla "variabile soglia di sensibilita' della vittima", che, in quanto minore esige efficace tutela, anche contro la sua stessa infantile limitata percezione soggettiva.

La critica va quindi rigettata, senza dimenticare la regola che in ogni caso, a prescindere dalla minore eta' della vittima, il reato de quo mai puo' essere scriminato dal consenso dell'avente diritto, sia pure affermato sulla base di opzioni sub-culturali o, come nella specie, scelte e stili pedagogici obsoleti, od in assoluto contrasto con i principi che stanno alla base dell'ordinamento giuridico italiano, in particolare con la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo sanciti dall'articolo 29-31 Cost. (cfr. Cass. pen. sezione.6, 46300/08, Fhami; Cass. Penale sez. 6 , 3398/1999, Rv. 215158, Bajarami). Quanto al tema della "deprivazione psicologica" e quindi della "rimozione della figura paterna", sostiene il difensore che non sarebbe emersa alcuna prova certa in ordine all'asserito condizionamento psicologico, tanto piu' che l'avversione del minore nei confronti del padre, ad esito del giudizio di primo grado, era gia' stata temporalmente e causalmente collocata con riguardo al fortissimo trauma subito in occasione dei tentativi di allontanamento ed, in generale, all'iter doloroso cui il minore si sentiva sottoposto a causa dei pur nobili intenti del padre.

Il motivo, per come profilato, non supera la soglia dell'ammissibilita'.

Nella specie, ci si trova di fronte a due sentenze, di primo e secondo grado, che concordano nell'analisi e nella vantazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che si salda perfettamente con quella precedente si' da costituire un unico complessivo corpo argomentativo, privo di lacune, sul punto della "rimozione della figura paterna" considerato che la sentenza impugnata, ha dato comunque congrua e ragionevole giustificazione del finale giudizio di colpevolezza.

In conclusione l'esito del giudizio di responsabilita' non puo' essere invalidato dalle prospettazioni alternative del ricorrente le quali si risolvono nel delineare una "mirata rilettura" di quegli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione, nonche' nella autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perche' illustrati come maggiormente plausibili, oppure perche' assertivamente dotati di una migliore capacita' esplicativa, nel contesto in cui la condotta si e' in concreto esplicata.

Il motivo va quindi respinto in tutte le sue articolazioni.

2.2) la sussistenza dei profili soggettivi del contestato delitto.

Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione e violazione di legge in punto di penale responsabilita', erronea applicazione della legge penale sostanziale, errata qualificazione giuridica del fatto sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato di cui all'articolo 572 c.p..

Con il terzo motivo si prospetta manifesta illogicita' della motivazione in punto di responsabilita' ex articolo 572 c.p., per difetto del dolo.

I due motivi tra loro correlati vanno congiuntamente esaminati e valutati.

Il difensore, nel prendere atto che se puo' essere fonte di censura, o di rammarico, il modo in cui i Ga. recepiscono gli accadimenti, nonche' "la rigidita' e la chiusura mentale che mostrano", sostiene che "non si puo' esigere che tale dato, ineliminabile e per cosi' dire strutturale, cambi nel momento in cui tutta la famiglia si sente sotto attacco", circostanza peraltro che a suo avviso non varrebbe ad integrare il dolo richiesto dalla norma.

In buona sostanza ed in altre parole: l'assunto difensivo e' che difetterebbe la seppur minima consapevolezza di creare disagio in Riccardo, in persone adulte e mature per le quali, osserva peraltro il Collegio, non e' stata prospettata avanti ai giudici di merito alcuna questione di non-integrita' dei processi di intelligenza e volonta'.

L'argomento non regge.

Invero, se e' ragionevole ritenere che, inizialmente, la diade "madre-nonno" possa aver agito in buona fede, sia pur secondo una falsa coscienza, nella scelta delle metodiche educative e nell'accurata attenzione nell'impedire contatti di ogni tipo al bambino, isolandolo nelle sicure "mura domestiche", tale profilo soggettivo non aveva piu' motivo di sussistere dopo i ripetuti sinergici interventi correttivi di una pluralita' di esperti e tecnici dell'eta' evolutiva e del disagio psichico ed i conformi interventi dell'autorita' giudiziaria.

La persistenza, cio' nonostante, delle metodiche di iperaccudienza e di isolamento, in palese violazione delle indicazioni e delle prescrizioni, talora imposte e talora pure concordate, segnala, al di la' di ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, la pacifica ricorrenza in capo agli accusati della intenzionalita' che connota il delitto ritenuto nei termini correttamente ribaditi dai giudici di merito.

Il motivo va quindi rigettato.

2.3) il trattamento sanzionatorio.

Con un quarto motivo i ricorrenti evidenziano l'illogicita' della motivazione, posta a fondamento del trattamento sanzionatorio, con il riconoscimento di una condizione di supremazia del padre ricorrente sulla figlia, cui non e' corrisposta una equa riduzione della sanzione per la donna, ed alla quale si e' comunque accompagnata una motivazione sulle condotte successive dei condannati, desunta da una pronuncia di colpevolezza per fatti successivi e non coperta da giudicato. Anche questo motivo non ha fondamento. Il trattamento sanzionatorio paritario risulta efficacemente argomentato, gia' in primo grado, con riferimento al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, attribuite al nonno per la sua incensuratezza ed alla Ga.El. (con precedenti) per il ruolo in sottordine rispetto al padre.

Quanto al richiamo alla prosecuzione della condotta illecita, utilizzato dalla corte distrettuale per ribadire "ad abundantiam" le formulate argomentazioni, in punto di conferma della sanzione, valorizzando in proposito anche il dispositivo di una sentenza di condanna per lo stesso illecito (decisione non definitiva ed acquisita agli atti in appello dalla parte civile), va rammentato che il principio di non colpevolezza di cui all'articolo Cass. pen. sez. 1, 4878/1997 Rv. 208342).

Bene pertanto di tale circostanza e' stato fatto uso per valutare la personalita' dei rei nell'esercizio del potere discrezionale nella determinazione della pena.

Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformita' del provvedimento alle norme stabilite, nonche' apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che e' stata formulata nelle conformi decisioni dei giudici di merito.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

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