La capacità del minore: il matrimonio e l'emancipazione.

Il nuovo nato ha, quindi, la titolarità di diritti e di doveri, ma non è nelle condizioni di poterli esercitare o di potervi ottemperare personalmente.

Nel nostro ordinamento, a parte qualche riconoscimento in materia ereditaria, al concepito e al nascituro non viene attribuita nessuna forma di capacità.

Del resto, anche il nuovo nato ha per legge solo la capacità giuridica (assunta con il fatto stesso della nascita) e, quindi, la titolarità di situazioni giuridiche attive e passive (diritti e doveri), ma non anche quella di agire – a causa dell’immaturità insita nella condizione stessa di minore, aprioristicamente considerato come soggetto con parziale, se non addirittura nulla, capacità di intendere e di volere – che si acquista con la maggiore età (art. 2 c.c.).

Il nuovo nato ha, quindi, la titolarità di diritti e di doveri, ma non è nelle condizioni di poterli esercitare o di potervi ottemperare personalmente.

Il codice civile prevede, però, delle eccezioni a quanto si è fin qui detto.

Il nostro legislatore ha affermato all’art. 84 c.c. che uno degli impedimenti per la contrazione del matrimonio è quello della minore età.

Quella stessa norma stabilisce e regola le deroghe a questo principio generale, decretando che il Tribunale per i Minorenni, su istanza dell'interessato, accertata la sua maturità psico-fisica e la fondatezza delle ragioni addotte, sentito il pubblico ministero, i genitori o il tutore, può, con decreto emesso in camera di consiglio, ammettere per gravi motivi al matrimonio chi abbia compiuto i sedici anni.

Si deve precisare che il giudice minorile non considera grave motivo per la concessione dell’autorizzazione in discussione la circostanza che la richiedente ultrasedicenne sia in attesa di un bimbo.

L’autorizzazione a contrarre matrimonio può essere opposta con reclamo presso la Corte di Appello - Sezione per i minorenni, entro 10 giorni dalla sua comunicazione ai nubendi, ai loro genitori, al tutore e al pubblico ministero.

Con la celebrazione del matrimonio, il minore ultrasedicenne si emancipa di diritto (art. 390 c.c.) e acquista – con anticipo, rispetto al compimento dei diciotto anni – la capacità di agire.

Si tratta, però, di una forma di capacità, che si potrebbe definire, ridotta, perché gli è, per legge, nominato un curatore (art. 392 c.c.) e, in ogni caso, “il minore ammesso a contrarre matrimonio è capace di prestare il consenso per tutte le relative convenzioni matrimoniali, le quali sono valide se egli è assistito dai genitori esercenti la potestà su di lui o dal tutore o dal curatore speciale” nominato proprio ai fini della stipulazione delle convenzioni matrimoniali (art. 90 c.c.)

Quanto detto sta a significare che al minore coniugato spetterà il potere di compiere solo gli atti che non eccedano la normale amministrazione, ferma restando per tutti gli altri, oltre al consenso del curatore, la necessaria autorizzazione del giudice tutelare (art. 394 c.c.).

Anche queste disposizioni generali ammettono, però, delle eccezioni: è il caso dell’art. 397 c.c. che, allargando l’ambito di operatività e l’autonomia dal curatore del minore emancipato, testualmente stabilisce che lo stesso “…può esercitare un’impresa commerciale senza l'assistenza del curatore, se è autorizzato dal tribunale, previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore. L'autorizzazione può essere revocata dal tribunale su istanza del curatore o d'ufficio, previo, in entrambi i casi, il parere del giudice tutelare e sentito il minore emancipato. Il minore emancipato, che è autorizzato all'esercizio di un’impresa commerciale, può compiere da solo gli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione, anche se estranei all'esercizio dell’impresa”.

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